In attesa della tempesta

Un tempo scrivevo anche brevi racconti, come forse qualcuno ricorda 🙂 Questo è esattamente di 9 anni fa: era il 25 marzo 2008. Qui trovate l’originale con i commenti dell’epoca: In attesa della tempesta

Molti dei racconti, in realtà molti dei post, scritti da me, sono stati uno specchio dei tempi che attraversavo, e questo non fu da meno. In effetti all’epoca di questo post ero in piena “rivoluzione personale” e la mia vita sarebbe cambiata da lì a poco, non senza incognite.

Quindi è facile capire il senso del racconto e… del lupo in esso protagonista 😉

P.S.: colgo l’occasione per salutare Paolo, grande amico di Lady Wolf, mancato pochi giorni fa in seguito ad una lunghissima malattia. Anche se non era suo coetaneo, aveva già superato i 70 da tempo, è stato una persona vitale fino quando ha potuto, un amico che non sarà dimenticato. Buon passaggio Paolo, se i buddhisti hanno ragione, non mancheremo di ritrovarci in una delle prossime vite 😉


occhi lupoIl lupo era immobile. Raffiche di vento gelido, a volte accompagnate da sferzate di pioggia, lo costringevano a stare ben piantato sulle quattro zampe ed a tenere socchiuse le palpebre dei suoi occhi. Pochi metri piu’ avanti, lo strapiombo dell’alta scogliera sul mare. Alle sue spalle il folto bosco i cui rami e foglie, sempre piu’ agitate, sembravano parlare concitatamente tra loro, come spaventate da cio’ che temevano potesse accadere.

Nonostante il calare della notte, il freddo e il folto pelo ormai zuppo d’acqua, gli occhi socchiusi del lupo puntavano dritti su quegli improvvisi lampi di luce che squarciavano lo spazio che divideva il cielo dal mare.
tempestaA volte quell’enorme massa scura che dal largo avanzava si illuminava qua e la’ con scariche elettriche improvvise e furibonde. Sembrava un mostro senza pelle, incapace di tenere nascosta la rabbia che lo divorava al suo interno e che si preparava a dirigere contro qualunque cosa gli si parasse davanti.

La tempesta avanzava, e nessun essere del bosco si sentiva al sicuro. Ogni animale era gia’ corso nella propria tana, anche la luna si era ritirata ormai da tempo dietro le nubi. Solo il potento fischio del vento, ormai un vero e proprio urlo, dava vita e suono a qualcosa che altrimenti sarebbe stato di un silenzio irreale.
Adesso anche il picchiettio dei goccioloni d’acqua stava aumentando di intensita’.

Il lupo osservava la massa nera che si avvicinava minacciosa, un senso misto di stupore e fascino per la potenza della natura, stava lasciando via via il posto al timore… eppure non indietreggiava di un passo, immobile come una scultura scolpita nella roccia. Se avesse avuto il dono della parola, avrebbe detto: “Ti aspetto qui. Ti temo, e’ vero, ma il senso della sfida per la sopravvivenza e’ piu’ forte. Ho paura, ma per vincere dovrai avere la forza di abbattermi. Sei pronta? Io si’, sono pronto…”.

Quelle parole non si udivano… ma si leggevano chiare nei suoi occhi, immobili verso quella tempesta da sfidare per rivedere l’alba serena di domani…

lupo osservatore

Pubblicità

22 giorni – un racconto contro la mattanza pasquale di povere e innocenti creature

So che non cambierà le cose, questo racconto di Alessandro Vegano Vettorato segnalato dall’amica http://passatorecortese.iobloggo.com/: ognuno avrà già fatto le sue scelte per Pasqua e, purtroppo, non le cambierà adesso, ma… servisse a far cambiare idea ad uno solo di voi, ne sarrebbe valsa la pena!

Ci scandalizziamo per la giraffina soppressa nello zoo in Danimarca, per i delfini che fanno la stessa fine, per i cani mangiati in Corea e Cina, per le balene massacrate in Giappone… e poi facciamo questo. Basta con queste tradizioni orribili, crudeli e senza senso! Non mi dite che il gusto (!) di un agnello vale la sua mattanza! Se proprio volete l’agnello a tavola, compratene uno di marzapane, i bambini lo apprezzeranno sicuramente di più!

Wolfghost

22 giorni.

Sono nato 22 giorni fa. Faceva ancora freddo e mi sono rifugiato nella lana calda di mamma.

Ho capito subito, appena nato, che fosse lei dal modo in cui mi ha leccato sulla testa, da come mi ha chiamato e, soprattutto, da come mi ha guardato.

I primi giorni li ho passati nel tepore del suo respiro. Era bello chiudere gli occhi e sapere che lei era lì.

 

Sono nato 22 giorni fa e, tutto attorno a me, altri agnellini. Dall’alto avremmo potuto essere scambiati per nuvolette. Correvamo per i prati, rendendo soffice l’erba che nasceva, rendendo soffice il richiamo di mamma, impigliato fra le fronde degli alberi ed il mio cuore.

 

Qualche giorno fa ho chiesto a mamma se fossi figlio unico. Lei ha sospirato e non ha risposto. È diventata all’improvviso triste e se ne è andata via.

Quella sera mi si è avvicinata una vecchia pecora, con il vello tutto stopposo, ma con gli occhi saggi.

Mi ha detto che ogni pecora non ha mai un solo figlio. Mi ha detto che ogni pecora è madre ogni anno e che ogni anno… ma poi non ha voluto continuare, gli occhi le si sono inumiditi, ha dato la colpa al freddo della sera e se ne è andata anche lei.

 

22 giorni.

 

Abito in un prato con la mamma, tante altre mamme pecore e tanti altri agnellini. Lo spazio non è enorme, a volte mi chiedo cosa ci sia al di là dello steccato, ma sono troppo impegnato a correre, giocare, mangiare, dormire, sognare per pensare ad altro.

 

Sono diventato amico di tanti animaletti. Talpe, ricci, galline, un tasso, qualche uccellino. Sono questi ultimi, però, che, ogni volta che parlo del futuro, di come mi cresceranno le corna in testa, di quanto sarà folto il mio vello da grande si lanciano strane occhiate e sospirano. Se chiedo il perché di ciò volano via.

 

22 giorni.

 

Mi sembra ieri quando ho aperto gli occhi per la prima volta ed ho assaggiato il latte della mamma.

La mamma ha lo sguardo pensieroso. Mi guarda come se dovesse non vedermi più.

Quando fa così vado da lei e le appoggio il muso sulla pancia. La sento respirare. La mia mamma è una culla. Mi addormento e faccio bei sogni.

 

22 giorni.

 

Qualche giorno fa sono scomparsi degli agnellini. È tutto talmente strano. Il giorno prima giocavano con me, il giorno dopo non c’erano più.

Sono andato a cercarli, ma il prato non è così grande e le sbarre troppo alte perché siano saltati dall’altra parte.

Perché non sono venuti a salutarmi? Siamo amici.

Le loro mamme piangono in un angolo della stalla. Hanno il muso tutto sporco di fieno e non vogliono mangiare. Incrocio lo sguardo di mamma. Mi sta guardando. Ha gli occhi stanchi. Vorrei chiederle qualcosa di questa situazione, del perché quelle mamme piangano, ma lei se ne va via.

 

22 giorni.

 

Altri agnellini sono scomparsi. C’è agitazione fra di noi. Tutti bisbigliano, nessuno bela a voce alta. Noi agnellini stiamo in gruppo e cerchiamo di capirci qualcosa, ma nessun adulto sembra volerci dare delle spiegazioni.

 

22 giorni.

 

Ho ancora gli occhi impastati di sogni quando gli esseri strani a due zampe entrano nella stalla e mi svegliano. Non lo fanno molto delicatamente, mi rovesciano a testa in giù e mi tirano su per le zampe. Mi fanno male, cerco di farglielo capire belando, ma quello che mi ha preso mi scuote, dice delle cose in un linguaggio strano, sembra arrabbiato. Cerco mamma con lo sguardo, la trovo, lei è sveglia e sta belando forte. Mi dice che mi vuole bene. Mi dice che sarò sempre il suo bambino. Mi dice che non mi dimenticherà. Mamma piange. Mi portano via. Il mondo a testa in giù è anche divertente da vedere, ma non voglio che mamma sia triste. Le mani che mi tengono le zampe stringono, fanno male. Vedo che stanno portando via anche altri due agnellini.

 

Dove ci portano?

Siamo fuori. Siamo fuori dal prato. Abbiamo superato le sbarre. Forse questo significa diventare grandi. Avere il vello folto. Ma la mamma mi manca.

Volto la testa verso il prato dove sono nato, voglio vederla, forse è lei con il muso infilato fra le sbarre che mi chiama, che mi chiama, poi entriamo in una stanza e qui ci sbattono a terra. Che posto strano. Ci sono dei ganci che pendono dal soffitto e ci sono delle macchie scure sui muri. Mi avvicino, ne annuso una, è un odore pungente che mi ricorda il sangue, ma non può essere sangue, sono macchie troppo grandi, poi quello strano essere che chiamano uomo afferra uno dei miei amici agnellini per le zampe, lo lega al gancio, fa lo stesso anche con l’altro,

 

poi è il mio turno.

 

Mi divincolo, ho paura, voglio la mamma, ma quelle braccia sono troppo forti e lo vedo, l’uomo, lo vedo mentre belo e piango a testa in giù, lo vedo che prende un oggetto da un tavolino, si avvicina a me, mi prende per la testa, me la solleva e l’ultimissima cosa che ricordo, prima che tutto diventi scuro, è che quando sono nato ed ho cercato di mettermi in piedi sulle zampe il muso di mamma era lì, a sostenermi, ed io ho pensato che ci sarebbe stato tutta la vita.

 

P.S.: 22 sono in media i giorni che vivono gli agnelli destinati ad essere ammazzati per pasqua

Cit A. Alessandro Vegano Vettorato

Ancora una volta – miniracconto

La riunione alla ARG Research & Development Company si stava accalorando.

Tom si era preparato per bene, aveva costruito una linea difensiva basata su principi di civiltà e rispetto per la vita, in ogni sua forma. Era convinto che sarebbe riuscito a convincere il management e le autorità convenute che l’esperimento doveva andare avanti inalterato o, al massimo, con la minor interferenza possibile. Adesso però si sentiva all’angolo, iniziava a temere che tutto ciò su cui lui e i suoi collaboratori avevano lavorato potesse essere spazzato via. Ancora una volta.

“Un lavoro del genere richiede tempi estremamente lunghi per essere valutato”, argomentò Tom, “siamo solo a metà del percorso, forse anche meno. Fare tabula rasa adesso vorrebbe dire perdere tutti i passi avanti compiuti finora. Vorrebbe dire ripartire da zero, senza alcuna garanzia di poter ottenere in futuro risultati migliori. E poi non è solo una questione di lavoro, finanziamenti e risultati. Stiamo parlando di esseri vivi, esseri che sentono, soffrono, che sono consapevoli, come noi. O forse non proprio come noi, ma a modo loro sì.”

“Andiamo Tom!”, replicò il responsabile dei rapporti con l’Autorità, “Smettiamola con queste sciocchezze animaliste non degne di uno scienziato come lei! Qui si sta parlando di fare il futuro, avendo la possibilità al contempo di capire il passato, il nostro passato. Si tratta di avere materiale genetico di grande importanza per preservare sì una specie, ma la nostra! E se per questo dobbiamo ripartire da zero, allora questa è la strada che dobbiamo seguire! Queste creature sono di quanto più dissimile e inutile potevamo ottenere, è ormai evidente che continuando ad insistere su di loro perderemo solo tempo e denaro! Quando si capisce che si è imboccato un vicolo cieco, bisogna avere il coraggio di tornare indietro!”

“Idiota!”, pensò Tom, “Questo imbecille è solo preoccupato di perdere i finanziamenti pubblici! Non capisce che sta combinando!”

“Signori, vi prego di non dimenticare i passi avanti che abbiamo ottenuto con queste creature e che sono evidenti. Già la volta precedente avevamo ottenuto discreti risultati. Alcune specie cacciavano in branchi, dimostrando una buona intelligenza di gruppo. Risolvevano problemi di vario genere, anche se di relativa semplicità. Dimostravano una discreta socialità e buona emotività, difendendo i propri simili, in special modo i nuovi nati. Sono convinto che già in quel caso ci siamo arresi troppo presto. Abbiamo cancellato innumerevoli miliardi di esseri che già presentavano un certo grado di evoluzione. Non posso dimenticarlo, e non voglio ripetere lo stesso abominio in nome di una scienza senz’anima. E poi, come ho detto, è passato troppo poco tempo per una valutazione sensata.”

“Tom”, intervenne il presidente dell’Autorità in persona, “da quanto tempo ci conosciamo? Come sai, ho sempre rispettato il tuo buon cuore, il modo con cui ti battevi per difendere i più indifesi, ma… non stiamo parlando di nostri simili e nemmeno di entità a noi vicine. E’ vero, questa specie sembra più evoluta di quelle precedenti, te ne rendo atto e merito. Ma… non vedi come si azzuffano per ogni cosa? Come sono distruttivi ed autodistruttivi? Alcune tra le specie precedenti se non altro rispettavano i loro simili. Anche se apparentemente erano meno evolute, la loro socialità, il loro rispetto erano maggiori. Se proprio lo devo dire… mi erano anche più simpatici. Questa nuova specie si è evoluta molto in fretta da un punto di vista della logica e delle capacità intellettuali, il loro progresso tecnologico, seppure rozzo e primitivo, è stato sbalorditivo per i tempi in cui è stato messo in atto, ma… è evidente che come socialità e capacità di interazione non ci siamo, Tom, lo devi ammettere. A volte penso che se non ci pensiamo noi, ci penseranno da soli ad autodistruggersi.”

Tom comprese di avere perso. In fondo sapeva che il Presidente aveva ragione. Ma lui aveva imparato ad amare quelle creature che avevano creato. Le amava proprio per la loro varietà, per la loro imprevedibilità. Anche se a volte non ne capiva la crudeltà, non solo verso le altre specie, ma perfino verso i loro stessi simili. Era chiaro che non stavano mettendo in pericolo solo loro stessi, ma l’intero pianeta che abitavano, una tale insensatezza era difficilmente difendibile. Questo aspetto non era previsto. Non era scritto nel DNA, o, se lo era, doveva essergli sfuggito.

“Capisco…”, il tono della sua voce, il suo sguardo basso, davano ad intendere che si era arreso. “Forse possiamo fare di meglio. Datemi solo un po’ di tempo per capire dove abbiamo sbagliato, in modo da poter ricominciare, speriamo, per l’ultima volta.”

“Bene, sono contento che abbia capito, Tom. Le diamo ancora un po’ di tempo per preparare il nuovo materiale genetico”, concluse il Presidente, “poi il pianeta sarà colpito per provocare la distruzione controllata della specie dominante esistente, come abbiamo fatto l’altra volta. Ho visto a lungo l’evoluzione di questa specie, onestamente ad un certo punto mi ero anche illuso che l’esito stavolta sarebbe stato diverso. Sono scaltri e già con una certa evoluzione tecnologica… suppongo che l’impatto dovrà essere un po’ più forte di quello che servì per l’eliminazione dei dinosauri. L’umanità cercherà di sopravvivere fino alla fine.”

Goffredo – Racconto

Goffredo si stava godendo un bel tramonto, con una fresca brezza che finalmente portava un po' di refrigerio dopo una giornata afosa. La sua finestra dava sulla tranquilla stradina privata del cortile della palazzina a fianco alla casa dove viveva, a breve distanza pero' si stagliavano gli alberi del bosco del vicino parco, solo in piccola parte coperti dalle costruzioni urbane. Dall'altra parte del suo palazzo c'era il mare, e anche se l'abitazione non aveva finestre su quel lato, questo conferiva più suggestione al paesaggio, soprattutto per la presenza dei numerosi gabbiani che non mancavano di far sentire le loro grida.
Goffredo non vedeva e non poteva muoversi, eppure "sentiva" tutto e per anni era riuscito ad essere felice di quella posizione. Maria, la padrona di casa, l'aveva accolto di cuore nella sua casa, lui che veniva da un paese molto lontano. Si erano incontrati alcuni anni prima in un paesotto del basso Piemonte, fuori da una chiesa alla fine di una messa di Natale. Maria lo aveva preso subito con sé. Lo curava, gli parlava, ed era sicura che lui potesse ascoltare e che, a suo modo, lui gli rispondesse. Era certa che fosse contento di essere arrivato lì. E aveva ragione: Goffredo era felice di essere lì, sentiva l'amore di Maria e questo gli dava grande forza. Per anni avevano vissuto entrambi felici e sereni.
Mentre ricordava Maria, Goffredo soffriva. Maria se n'era andata a causa di una malattia che in breve l'aveva portata alla morte, fino alla fine pero' lei si era presa cura di lui.
Per fortuna almeno il sole era adesso tramontato e il luogo era un po' più fresco, ma la sete lo tormentava sempre più. Quando Maria era mancata, Goffredo aveva pensato che sicuramente qualcuno dei suoi parenti si sarebbe preso cura di lui, invece li aveva sentiti aggirarsi per casa, arraffare gli oggetti che avevano un minimo di valore, ma nessuno lo aveva avvicinato. Com'era possibile? Poi la porta si era chiusa un'ultima volta, e da allora nessuno era più entrato.
Goffredo era via via deperito, e adesso era agli sgoccioli, sapeva che non sarebbe sopravvissuto per più di un paio di giorni ancora. Nonostante fosse deluso da quelle persone che si erano dimostrate avide, egoiste e insensibili, non solo nei suoi confronti ma anche in quelli verso Maria, che certamente avrebbe immaginato per lui un trattamento ben diverso, Goffredo era grato alla vita ed a Maria per tutti quegli anni felici che gli erano stati concessi.
Mentre perdeva le ultime foglie, ormai rinsecchite, Goffredo ricordava quando era stato scelto da Maria, in mezzo a tutte le altre piantine della bancarella all'uscita della chiesa, in quella gelida notte di quel Natale.
Chissà se presto l'avrebbe rivista, magari altrove…


Nota al racconto: La scienza ha dimostrato che anche le piante "sentono" e soffrono, seppure a loro modo. Questo racconto è dedicato a tutte le piante che vengono comprate per appartamenti o uffici e che poi vengono abbandonate quando la gente che li occupa si sposta per qualche motivo, o che vengono gettate solo perché iniziano a perdere qualche foglia e divengono "brutte". E' per me strano pensare come qualcuno che ci ha fatto compagnia per anni, seppure in maniera silenziosa, venga poi lasciato a morte certa per motivi così futili o per semplice superficialità. E la dedica va anche a tutti gli alberi e la vegetazione mediterranea che ogni anno vengono distrutti negli incendi estivi, quasi sempre di origine dolosa.
P.S.: Goffredo è esistito realmente 🙂 Era una piantina grassa che comprai molti anni fa (almeno 20) in un paesino del basso Piemonte la notte di Natale. Il nome gli arrivo' proprio pensando al freddo pungente di quella notte e a come lo dovesse sentire una piantina che certamente arrivava da un paese caldo ("go-freddo"! :-D). Restò con me qualche anno, e poi morì, ma vi assicuro che la innaffiai fino alla fine! 😛

Coast

Nascerà, e avrà la passione per il volo – Racconto (3a e ultima parte)

Era sera ormai. Le forze di Grab erano ridotte al lumicino, sentiva che la morte stava arrivando. Gli uffici si erano svuotati, i negozi chiusi, passanti e auto erano adesso rari. Le luci dei lampioni si stavano lentamente illuminando affiancandosi a quella del cartello luminoso di un negozio che indicava temperatura e data: il 13 di Luglio.
Gli occhi lucidi di Grab puntarono all’altro capo della strada: c’era un marciapiede, e poi, oltre una ringhiera, il dirupo che dava sul mare.
Provò a muoversi. Era così stanco che non sentiva nemmeno più il dolore. Con una fatica immensa ed una lentezza esasperante si trascinò per il marciapiede e poi giù in strada. Vide arrivare un auto. Sapeva che non avrebbe potuto evitarla, quindi restò immobile, in attesa… ma l’auto gli passò solo vicino, poté sentirne lo spostamento d’aria che, in quella giornata ancora afosa, gli fece perfino piacere dandogli un pizzico di energia in più. Ricominciò a trascinarsi verso il marciapiede opposto, conscio che forse non sarebbe riuscito a salirci sopra. Forse sarebbe morto lì, accanto a quel marciapiede.
Poi udì un verso alle sua spalle. Trasalì: aveva imparato a riconoscere quel verso, era quello di un gatto che aveva puntato la preda. Ormai doveva giocarsi il tutto per tutto. Con uno sforzo terribile e l’azione congiunta di zampe, ala buona e perfino del muso, riuscì a salire sul marciapiede. Il gatto stava arrivando di corsa ma nella mente di Grab esisteva adesso solo il cielo oltre la ringhiera.

Un attimo prima che il gatto fosse su di lui, Grab scavalcò il metallo, e si lascio cadere nel vuoto.
Allargò le ali come poteva, non ascoltando il dolore di quella rotta e ritraendo un po’ quella buona per evitare di iniziare a roteare su sé stesso…

… stava volando!! Non importava se era l’ultima, volava, ancora una volta!

Era il 28 Luglio. Susan Brennan aveva coronato il sogno di una vita: mettere al mondo un bambino! Per anni lei e suo marito ci avevano provato ma sembrava non ci fossero speranze. Poi, quando ormai si erano arresi, lei si era scoperta incinta. Sapeva che sarebbe stata una maternità a rischio ma non le importava e decise che per nulla al mondo avrebbe rinunciato. Il marito, al suo fianco, l’aveva appoggiata con amore, seppure conscio del serio rischio che avrebbe corso non solo il piccolo, ma anche lei stessa.
L’infermiera entrò nella stanza e le mostrò il bimbo. Susan si mise a piangere dalla felicità.
Poi entrò il dottore.
“Susan, purtroppo c’è stato un inconveniente che non siamo stati in grado di prevedere ne’ di evitare… Suo figlio ha una lesione alla spalla sinistra, probabilmente non avrà l’uso completo del braccio.”
Susan non sembrò troppo colpita dalla notizia, in fondo era stata decisa a rischiare ben di più pur di far nascere il suo bambino.
Chiese solo “Ma… sarà in grado di pilotare un velivolo?”
Medico e infermiera si squadrarono, evidentemente spiazzati dalla strana domanda.
“Ah… certo… Certo! Non è una lesione grave, con ogni probabilità sarà solo impossibilitato ad alzare completamente il braccio sopra la testa… tutto qua!” rispose il dottore con un sorriso.
“Sa, quando ero incinta e mi avvisarono che avrei potuto perdere il bambino, mi rivolsi ad una maga e lei mi disse << Nascerà. E avrà la passione per il volo … >>”.

Nascerà, e avrà la passione per il volo – Racconto (II / III)

L’ala rotta doleva terribilmente, non solo non poteva riprendere il volo ma, dovendola trascinare sull’asfalto, faceva anche fatica a spostarsi sulle zampe.
Improvvisamente ebbe un sussulto: aveva riconosciuto il suono delle voci di quei ragazzi che inspiegabilmente ce l’avevano con lui…
“Eccolo! Ve l’ho detto che l’avevo beccato!”
Grab cerco’ per un attimo di allontanarsi ma si rese subito conto che le sue condizioni non gli avrebbero permesso di fare più di qualche metro: non ce l’avrebbe mai fatta, in luogo aperto si sarebbe anzi ritrovato alla mercé dei suoi aguzzini…
Si schiaccio’ ancora di più nel suo angolino e, per proteggerla, volse la testolina verso il basso. Qualcosa lo colpì violentemente all’ala già ferita, Grab sobbalzò, sopraffatto dal dolore.
“Sei nostro adesso! Non ci scappi più!” gridavano i ragazzi raccogliendo altri sassi.
“Giovanni!! Ancora con quel piccione? Quante volte ti ho detto che devi lasciarli perdere!”, la madre di uno dei ragazzi era intervenuta e, tirandolo per un braccio, lo stava portando via. Anche gli altri ragazzi si erano allontanati.
Grab tirò un sospiro di sollievo e sentì una profonda riconoscenza verso quella donna: anche se non capiva cosa stesse dicendo, aveva certamente un’anima benevola…
“Che schifo! Ti ho detto mille volte che devi stare lontano da queste bestie! Non lo sai portano le malattie? Ma perché non li sterminano tutti una buona volta!”.

Grab divenne in breve il più coraggioso dei piccioni del quartiere. Quanto adorava volare! Ma non era solo per il piacere del volo, gli piaceva quella possibilità di muoversi liberamente, di andare là dove la curiosità lo spingeva. Ad esempio amava planare nel parco, dove trovava sempre qualche briciola che una amabile signora lanciava a lui e ad altri piccioni. Certo, doveva mangiare in fretta, c’erano sempre i gatti pronti a cercare l’assalto, ma ormai – nutriti anche loro abbondantemente – erano troppo grassi e lenti per riuscire ad essere realmente pericolosi. Non ce l’aveva con loro, anzi capiva che agivano per un istinto nato dal bisogno di sopravvivere, dalla necessità… e meno male che portavano loro il cibo, altrimenti quegli sciocchi avrebbero potuto morir di fame tanto goffi erano diventati! In fondo quasi si divertiva a sfidarli e sospettava che anche loro si divertissero alle sue gesta.
Una volta vide la signora piangere su una panchina lì vicino. Accanto a lei ce n’era un’altra che la stava ascoltando e confortando. Grab, senza rendersene conto, si era avvicinato a passetti piccoli piccoli. Si era affezionato a quella signora così buona e gli dispiaceva vederla così anche se non capiva perché stesse piangendo…
Lei si accorse del piccione, e un flebile sorriso le rischiarò il volto.
“Guarda… sembra che capisca…”
“Ma va’! Dai, non essere sciocca. Vorrà solo qualche altra briciola.” Aveva sentenziato l’altra.
Quella fu l’ultima volta che Grab vide la sua amica umana. Tornò lì incessantemente ogni mattina sperando di rivederla, anche quando ormai tutti gli altri piccioni avevano cambiato zona in cerca di altre fonti di cibo. A poco a poco la sensazione che qualcosa di brutto le fosse accaduto si fece spazio in lui, ma non voleva arrendersi. Aveva compreso che in fondo anche quelle creature così strane e a volte pericolose, erano deboli e vulnerabili come lui, gli altri piccioni e i gatti.
Che la loro apparente cattiveria nascesse proprio dalla sofferenza che anche essi provavano?

Poi, un pomeriggio di una calda estate, proprio mentre stava tornando in volo dal parco, triste per non aver ritrovato la sua amica nemmeno quel giorno, quel dolore lancinante e improvviso all’ala, la caduta rovinosa sul duro asfalto di un marciapiede e il ricovero d’emergenza sulla porta del negozio…

Continua…

Nascerà, e avrà la passione per il volo – Racconto (I / III)

piccioneGrab si guardava attorno visibilmente spaventato. Era evidente che l’uscio del negozio – per fortuna chiuso – nel quale si era con fatica rifugiato non gli sarebbe stato di protezione a lungo. Il posto era di gran passaggio ed ogni volta che provava ad allungare il collo per vedere se era il momento di moversi, vedeva qualcuna di quelle grandi e temibili creature passare con rapida falcata mostrando indifferenza o, addirittura, un evidente fastidio e repulsione di cui lui non capiva il motivo… E’ vero, aveva l’ala sinistra spezzata, ma davvero era così brutto a vedersi?

Così, d’istinto, si schiacciava contro la saracinesca cercando di farsi il più piccolo possibile. Nessuno lo aiutava, ma almeno lo lasciavano in pace. Pero’ iniziava ad avere fame… quanto avrebbe resistito?

Grab era stato l’ultimo ad uscire dal guscio, il fratellino era stato molto più rapido, tuttavia lui si era dimostrato subito più curioso e, non appena in grado di zampettare, aveva iniziato a perlustrare i dintorni del nido, trovandoli presto troppo angusti e noiosi.
I piccioni crescono in fretta, dopo un solo mese sono già pronti a spiccare il volo. Grab pero’ bruciava le tappe e dopo solo venti giorni già faceva i primi tentativi. Ispirato da quanto vedeva fare a mamma e papà non vedeva l’ora di poter librarsi in volo sopra il mondo e vederlo così tutto dall’alto!

Era un mondo rumoroso quello in cui era nato, pieno di strani suoni e di voci che a volte gli trasmettevano serenità ma più spesso, assomigliando a lamenti disperati o grida rabbiose, gli incutivano timore. Sua mamma gli aveva spiegato che provenivano da esseri viventi chiamati uomini, e che era meglio stare alla larga da loro perché solo da pochi venivano accettati e ricevevano qualche briciola di cibo, mentre gli altri erano cattivi e presuntuosi e vedevano i piccioni come sgradevoli esseri da allontanare.
Ma a lui non sembrava possibile che potesse davvero essere così: c’è sempre un motivo per cui qualcuno si comporta male con qualcun altro, ci deve essere!
Quelle creature anzi lo affascinavano e incuriosivano. Dai racconti che sentiva su di essi si era fatta l’idea di una sorta di creature mitologiche, semi-dei che potevano fare cose mirabolanti… eppure che erano sempre inquieti; capaci, ma sempre insoddisfatti e tristi. Non vedeva l’ora di conoscere anche loro e capire il perché di quella apparente contraddizione.

Continua…

Non arrendersi – Il vento lo sa’…

Purtroppo questo e’ un periodo molto pieno di impegni per me, non riesco ad essere presente ed aggiornare come vorrei 😐
Il futuro… chissa’ che mi riservera’? Ci sono grandi mutamenti nel mio ambito lavorativo, molta incertezza, e l’idea di cambiare (o cercare di farlo) diviene sempre piu’ ostica con l’avanzare dell’eta’… ma credo che questo stato di cose sia abbastanza comune a tante persone oggi, non e’ vero? 😦
Comunque non bisogna abbattersi o, peggio, arrendersi.
Come diceva John Fitzgerald Kennedy, «Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità» 😐

Nonostante il poco tempo, oggi pubblicare mi e’ facile. Infatti, proprio sul tema di resistere prima e superare poi, le avversita’, ho trovato una splendida storia sul blog di Kjya (Amore Infinito) e voglio condividerla con voi.
Personalmente l’ho “sentita” molto, e credo che anche voi, chi almeno ancora non la conosce, l’apprezzerete…


Il vento lo sa’…
dal blog
Amore Infinito
di Kjya

Lui solo sa’? Un mattino il soffione fu afferrato dalle dita invisibili e forti del vento. I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute e volarono via, ghermiti dalla corrente d’aria. “Addio… addio”, si salutavano i piccoli semi. Mentre la maggioranza atterrava nella buona terra degli orti e dei prati, uno, il più piccolo di tutti, fece un volo molto breve e finì in una screpolatura del cemento di un marciapiede.

C’era un pizzico di polvere depositato dal vento e dalla pioggia, così meschino in confronto alla buona terra grassa del prato. “Ma è tutta mia!”, si disse il semino. Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò subito a lavorare di radici. Davanti alla screpolatura nel cemento c’era una panchina sbilenca e scarabocchiata.
Proprio su quella panchina si sedeva spesso un giovane. Era un giovane dall’aria tormentata e lo sguardo inquieto. Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue mani erano sempre strette a pugno. Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento. Rise amaramente: “Non ce la farai! Sei come me!”, e con un piede le calpestò.

Ma il giorno dopo vide che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro. Da quel momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda coraggiosa pianticella. Dopo qualche giorno spuntò il fiore, giallo brillante, come un grido di felicità.

Per la prima volta dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l’amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi. Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni. Diede un gran pugno sullo schienale della panchina e gridò: “Ma certo! Ce la possiamo fare!”. Aveva voglia di piangere e di ridere. Sfiorò con le dita la testolina gialla del fiore. Le piante sentono l’amore e la bontà degli esseri umani. Per il piccolo e coraggioso dente di leone la carezza del giovane fu la cosa più bella della vita.

Non chiedere al vento perché ti ha portato dove sei. Anche se sei soffocato dal cemento, lavora di radici e vivi. Tu sei un messaggio Noi siamo messaggi…

La gestione della crisi

scalataRiprendiamo il normale percorso “post-Natale” parlando di qualcosa che prima o poi ci tocca tutti: le crisi e la loro gestione.
Credo che saper gestire le crisi sia uno degli aspetti più importanti e cruciali della nostra esistenza, in qualche caso può addirittura fare la differenza tra la vita e la morte.
Per quanto si stia accorti nell’evitare intoppi e problemi, prima o poi gli eventi negativi arrivano ed è necessario affrontarli. Non bastano le precauzioni: bisogna essere pronti a fronteggiare le crisi. Puo’ sembrare una cosa difficile, puo’ spaventarci, ma in realtà ho visto che molte persone scoprono di avere risorse inaspettate quando si trovano ad affrontare quelle che, almeno per loro, sono autentiche calamità.
La prima e più importante cosa è non darsi per spacciati:
la paura può essere inevitabile, ma bisogna evitare di farsi prendere dal panico. Non accettare di credere che ciò che accade sia senza soluzione, non percepire ciò che è apparso come una montagna impervia, impossibile da scalare, ma piuttosto come un labirinto con il quale bisogna sì armarsi di santa pazienza, attenzione, determinazione e prontezza di spirito, ma dal quale un’uscita c’è… e va trovata.
Bisogna affrontare la difficoltà a testa alta, come fosse una sfida. Nascondere la testa sotto la sabbia o limitarsi a battere i pugni sul tavolo non servirà a granché.
Anche se personalmente non credo nel Destino, mi piace ricordare una frase che pressapoco diceva: “Non possiamo sceglierci il Destino, ma possiamo scegliere come affrontarlo”.
Voglio chiudere rispolverando un vecchio racconto (se così si può chiamare) scritto un paio di anni fa in previsione di una… tempesta 😉

In attesa della tempesta (link al post originale: In attesa della tempesta)

occhi lupoIl lupo era immobile. Raffiche di vento gelido, a volte accompagnate da sferzate di pioggia, lo costringevano a stare ben piantato sulle quattro zampe ed a tenere socchiuse le palpebre dei suoi occhi. Pochi metri piu’ avanti, lo strapiombo dell’alta scogliera sul mare. Alle sue spalle il folto bosco i cui rami e foglie, sempre piu’ agitate, sembravano parlare concitatamente tra loro, come spaventate da cio’ che temevano potesse accadere.

Nonostante il calare della notte, il freddo e il folto pelo ormai zuppo d’acqua, gli occhi socchiusi del lupo puntavano dritti su quegli improvvisi lampi di luce che squarciavano lo spazio che divideva il cielo dal mare.
tempestaA volte quell’enorme massa scura che dal largo avanzava si illuminava qua e la’ con scariche elettriche improvvise e furibonde. Sembrava un mostro senza pelle, incapace di tenere nascosta la rabbia che lo divorava al suo interno e che si preparava a dirigere contro qualunque cosa gli si parasse davanti.

La tempesta avanzava, e nessun essere del bosco si sentiva al sicuro. Ogni animale era gia’ corso nella propria tana, anche la luna si era ritirata ormai da tempo dietro le nubi. Solo il potento fischio del vento, ormai un vero e proprio urlo, dava vita e suono a qualcosa che altrimenti sarebbe stato di un silenzio irreale.
Adesso anche il picchiettio dei goccioloni d’acqua stava aumentando di intensita’.

Il lupo osservava la massa nera che si avvicinava minacciosa, un senso misto di stupore e fascino per la potenza della natura, stava lasciando via via il posto al timore… eppure non indietreggiava di un passo, immobile come una scultura scolpita nella roccia. Se avesse avuto il dono della parola, avrebbe detto: “Ti aspetto qui. Ti temo, e’ vero, ma il senso della sfida per la sopravvivenza e’ piu’ forte. Ho paura, ma per vincere dovrai avere la forza di abbattermi. Sei pronta? Io si’, sono pronto…”.

Quelle parole non si udivano… ma si leggevano chiare nei suoi occhi, immobili verso quella tempesta da sfidare per rivedere l’alba serena di domani…

lupo osservatore

Foglie in un piccolo bosco – un racconto di Mecan

Oggi torno a pubblicare post di altri blogger, questo è un racconto della simpaticissima Mecan1, blog Semplicemente Mecan 🙂 Mecan è una persona di grande cuore, da anni si batte per salvare la vita di animali abbandonati o in difficoltà, spesso scontrandosi contro l’indifferenza di persone e istituzioni 😦
Questo suo racconto mi è piaciuto molto, racconta di due vite sostanzialmente simili, vissute fianco a fianco, ma che divengono diverse – e molto – a causa del diverso stato d’animo con il quale i protagonisti vivono.
Mi piacerebbe identificarmi con la Foglia d’Ulivo… ma ammetto che spesso mi ritrovo maggiormente nella Foglia di Roverella 😀


FOGLIE IN UN PICCOLO BOSCO
by
Mecan1
Blog: Semplicemente Mecan

foto di Alessandro Santulli, dal sito picasaweb.google.comEra autunno, in un piccolo Bosco di grandi Roverelle inframezzate da vecchi Alberi di Ulivo. Le giornate erano sempre più corte e buie, ogni tanto pioveva, e l’ erba, che in estate si era tutta seccata lasciando brulla la terra, ora era ricresciuta, in una morbida e verdissima coltre, come in primavera.
Un giorno, mentre il cielo grigio si preparava per un acquazzone, una Foglia di Roverella, ormai vecchia e stanca per il duro lavoro svolto in quell’ anno, disse all’ amica Foglia d’ Ulivo, che invece era ancora verde e forte come all’ inizio della stagione:
-Ho paura che anche oggi pioverà…- E mentre lo diceva, sembrava proprio che fosse colta da grande sconforto. Era triste, pareva infreddolita (aveva cominciato ad accartocciarsi), e, soprattutto, sembrava che avesse tanta paura. L’ amica Foglia d’ Ulivo (erano state sempre una accanto all’ altra, perché le fronde dei loro grandi Alberi, ormai erano arrivate a toccarsi), che invece era sempre di buon umore e ottimista nei confronti della vita, cercò allora di tranquillizzarla e di tirarla un po’ su. Così le disse:
-Coraggio Amica mia! Ne abbiamo passati tanti di temporali insieme… Vedrai, passeremo anche questo senza difficoltà. Poi, mi stavo annoiando con tutto questo sole, un po’ d’ acqua non può che farci bene, ci laverà via la polvere e gli escrementi degli Uccelli e ci rinvigorirà. Fidati, andrà tutto bene! Guarda me, se ti viene il panico, ti sorriderò come sempre.-
Detto questo, si guardarono con affetto e aspettarono l’ acqua. Infatti, poco dopo, ecco il primo lampo e, con il suo fragoroso tuono, arrivò quasi subito anche la pioggia.
-Uhaooo! Evvivaaaaa! Viva la pioggia! Sorridi Amica mia, questa è Vita!- Disse la Foglia d’ Ulivo con tono allegro, rassicurante e incoraggiante. Così, pure la triste e spaventata Foglia di Roverella, sentendosi meglio, riuscì ad apprezzare quell’ incredibile scrosciata d’ acqua. Aveva ragione la Foglia d’ Ulivo, una bella lavata ci voleva proprio!
Passato il temporale, tutte le foglie apparivano più belle, lucenti e morbide, proprio come se l’ acqua avesse ridato loro vigore e giovinezza.
-Lo sai?- Disse la Foglia di Roverella: -Avevi ragione tu, ora mi sento molto meglio, non ho neanche più freddo. D’ ora in poi, cercherò di fare come fai tu, e scaccerò via i cattivi pensieri.-
-Bene! Brava!- Rispose sorridente la Foglia d’ Ulivo: -Ne sono molto contenta.-
Purtroppo però la Foglia di Roverella, era una di quelle foglie nate per invecchiare presto, così la sua tristezza, la sua angoscia e il suo scoraggiamento, continuarono ad affiorare sempre più di frequente. Non lo faceva apposta, non voleva essere triste, non voleva scoraggiarsi, né tanto meno voleva angosciare la sua amica, ma era più forte di lei, la tristezza ormai la “attanagliava”, la raggrinziva e la ingialliva ogni giorno di più. Così la sua amica Foglia d’ Ulivo, con tanta pazienza e tanto amore, ogni volta la rincuorava e, nei momenti peggiori, in silenzio la sfiorava delicatamente per farle sentire che lei era lì e non l’ avrebbe mai lasciata sola.
Così passarono i giorni e le varie intemperie che porta l’ autunno: vento, pioggia, freddo, si alternarono a brevi sprazzi di sole tiepido, ma le due amiche continuarono a resistere, superando insieme ogni capriccio del tempo. Finché…, era già novembre inoltrato, mentre le due Foglie, cullate dolcemente da una leggera brezza pomeridiana, si sorridevano fiduciose e sicure l’ una dell’ altra, all’ improvviso, il picciolo che teneva la Foglia d’ Ulivo attaccata al suo ramo, si ruppe e la piccola cadde volteggiando inesorabilmente nel vuoto. Mentre cadeva, con un sorriso un po’ smarrito, continuava a fissare la sua amica Foglia di Roverella, che tanto aveva temuto quella fine, e che invece si trovava ancora lassù appesa al suo ramo.
-Nooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!- Gridò con dolore quest’ultima:
-Noooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!- Gridò ancora.
Grazie alla Foglia d’ Ulivo era riuscita a vivere un po’ meglio, solo grazie a lei era riuscita a sorridere di più alla vita, e solo per lei viveva. Eccola quella fine, ma non era affatto come si aspettava, era molto più dolorosa e terribile, perché aveva colpito la sua Amica, ed ora restava da sola attaccata al suo ramo. Era insopportabile quel dolore, e disperatamente la faceva star male. Perché quella sorte che tanto aveva temuto per se stessa, era ora toccata prima alla sua Amica? Perché proprio a lei, che era così felice di vivere? Non era giusto, non se lo spiegava, non si dava pace. Così, triste, tristissima, per quella così cattiva e inaspettata sorte, si accartocciò a forza, si seccò tutta e diventò marrone, ma il suo picciolo non si ruppe lo stesso. Nonostante tutto, continuò a restare saldamente attaccato al suo ramo. Ora voleva solo raggiungere a tutti i costi, la sua cara Foglia d’ Ulivo, che giaceva a terra proprio sotto di lei. Adesso sì, che desiderava il vento, la pioggia, le bufere più tremende… Voleva solo staccarsi da quell’ odioso ramo, voleva morire, farla davvero finita.
Ma né il Vento, né le Piogge, né le Bufere, riuscirono a strapparla da quel dannato ramo. Vide tante sue sorelle cadere, e sperava che arrivasse finalmente il suo turno, ma no, lei no… Continuava a stare ben attaccata lassù. Cos’ era, quella? Forse una punizione per non aver saputo apprezzare di più la vita, quando poteva godersela come le aveva sempre insegnato la sua Amica Foglia d’ Ulivo? Per aver avuto così tanta paura di perderla, da non riuscire più a viverla serenamente? Ora aveva capito quanto era stata stupida ad angosciarsi, ora sìììììììììì!
Ormai però, era troppo tardi, e la sua tristezza era diventata davvero enorme e incontenibile, non capiva perché continuasse a stare appesa lassù e provava solo una forte rabbia disperata.
Intanto l’ Inverno era quasi terminato e, ai primi di marzo, la Primavera era già alle porte. Come mai lei, vecchia e triste, era rimasta da sola su quella grande Quercia e non era ancora caduta giù come le altre foglie? Che strano arcano era mai quello?……
Quando si accorse però, che le gemme delle sue giovani sorelline si stavano gonfiando e cominciò a sentirle rumoreggiare allegramente, pronte a venir fuori col primo sole tiepido della Primavera, capì tutto: capì finalmente perché, per così tanto tempo, era rimasta attaccata al suo ramo.
L’ Albero a cui apparteneva infatti, l’ aveva “trattenuta” perché voleva che lei raccontasse, alle sue giovani e inesperte sorelline, la sua triste storia. Doveva insegnare loro ad apprezzare le piccole grandi gioie della vita, senza angosciarsi mai per il domani, perché tanto non si può mai sapere in anticipo cosa ci aspetta. Bisogna vivere con serenità il presente, bisogna vivere la vita senza crearsi troppi problemi, perché il tempo passa, e non aspetta le nostre paure, non si ferma per le nostre angosce. Perciò, se siamo “con lui”, bene! Ma se non ci siamo, peggio per noi, perché non tornerà più indietro.
Tutte le sue giovani sorelline rimasero quiete ad ascoltarla in silenzio, e quando ebbe finito, le sorrisero dolcemente con gratitudine, pronte più che mai, ad iniziare con coraggio la loro (per quanto breve), splendida e importantissima esistenza.
Anche sulla vecchia Foglia di Roverella, ormai secchissima e completamente aggrinzita, spuntò di nuovo il sorriso e, mentre cercava di stiracchiarsi un po’ per fare omaggio di un sorriso anche alla sua Amica Foglia d’ Ulivo, che ormai da mesi, giaceva inerme sotto di lei, ecco risuonare quasi impercettibile, il tanto sospirato “tac”….
Il suo picciolo finalmente si ruppe, fu libera di lasciarsi andare dolcemente verso il basso, e di adagiarsi vicino alla sua grande e carissima Amica Foglia d’ Ulivo. Sorrise accanto a lei, e finalmente trovò la sua pace.
E così le grandi Querce Roverelle, ogni anno a fine stagione, trattengono sui loro rami, fino alla primavera successiva, alcune foglie vecchie e ormai completamente rinsecchite, perché forse vogliono davvero che queste insegnino alle loro giovani sorelline, appena spuntate, ad apprezzare al meglio la vita che sarà loro concessa. Perché, anche se è breve, irta di pericoli e di difficoltà, merita sempre e comunque di essere vissuta appieno e con tanta gioiosa serenità.

FINE
Mecan, autunno 2002

dal sito piante-e-arbusti.itFoto: in alto a sinistra, di Alessandro Santulli, dal sito picasaweb.google.com; in basso a chiusura, dal sito piante-e-arbusti.it.