La rinuncia e il non-attaccamento nel pensiero buddista tibetano

Venerdì sera sono finalmente tornato da Bruxelles, in realtà sono solo stati pochi giorni ma… casa è sempre casa 🙂 E poi con tutti questi animaletti ad aspettarmi, compagna a parte naturalmente, come potrebbe non mancarmi? 😉

Tom, Julius e SissiVolevo brevemente parlarvi del concetto buddista di “rinuncia”. La rinuncia buddista, il “non attaccamento”, è stato spesso mal inteso e di conseguenza osteggiato dal mondo occidentale.
“Non attaccamento” non significa rinuncia ai piaceri e alla comodità come generalmente crediamo, forse anche perché condizionati dal pensiero cristiano; la rinuncia e il non attaccamento si riferiscono all’approccio mentale non solo a piaceri e comodità, ma a tutto, proprio tutto ciò che esperiamo in questa vita.
Poniamo che siamo riusciti finalmente a comprarci una TV LCD o al plasma da 42″. Un giorno, scaduta la garanzia, la TV si guasta e non abbiamo soldi per ripararla o comprarne un’altra. Ecco… è in questo momento che si capisce quanto siamo o meno “attaccati” ad essa: se siamo disperati per l’avvenuto, perché non possiamo più godere di questa TV, allora eravamo emotivamente e mentalmente attaccati ad essa, dipendevamo da essa, e il piacere che abbiamo provato quando siamo riusciti a comprarla non era che l’anticipazione, o se vogliamo perfino la causa, della sofferenza che proviamo adesso che non l’abbiamo più.
Non è lo “avere” a
d essere male di per sé, ma piuttosto il valore che consapevolmente o inconsapevolmente ad esso attribuiamo. In genere noi attribuiamo un eccessivo valore ad ogni cosa, questo causa attaccamento e l’attaccamento provoca sofferenza: sofferenza nel momento di perdere quella cosa, cosa che prima o dopo accadrà inevitabilmente, sofferenza e paura per il pensiero che questo potrebbe succedere.
Siamo capaci di godere delle nostre cose, delle nostre conoscenze, dei nostri affetti, della nostra stessa vita, senza essere attaccati ad esse? No, suppongo che pochi di noi lo facciano. Ma è la motivazione che conta. Forse non ci riusciamo per ignoranza, perché pensiamo che “non essere attaccati” significhi non tenere in conto i nostri oggetti, non amare davvero, non impegnarci, ma è proprio il contrario: è quando diamo il giusto valore, scevri da preoccupazioni e paure, a riuscire davvero a godere di ciò che abbiamo e ad avere le maggiori probabilità di ottenere ciò che vogliamo.
Anche se, forse, potremmo scoprire che, avendo dato loro il giusto valore, certe cose non le desideriamo più, e invece ne desideriamo altre alle quali in precedenza non pensavamo, come la serenità e la compassione.

tramonto a genova nervifoto mia: tramonto a Genova Nervi

71 pensieri su “La rinuncia e il non-attaccamento nel pensiero buddista tibetano

  1. Di solito io mi "attacco" alle mie cose perché ho poco tempo per procurarmene altre che le sostituiscano e poco tempo per imparare a usarle. Per cui spero che tutto duri il più a lungo possibile, in modo da non dover "accantonare" del tempo per attività di cui non sento la necessità.
    Invece, quello che mi procura ansia e dolore, è il sapere che i miei adorati animaletti non possano godere di tanti anni di vita quanto vorrei. Ci penso spesso (il mio cane ha già 12 anni) e questo mi causa una sofferenza latente. A volte, egoisticamente, penso che sarebbe meglio non avere alcuna bestiola, proprio per evitare il distacco. Ogni volta per me è una sofferenza atroce 😦

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  2. Per primo, bentornato. Ottimo divano ben "arredato", scusa..a sinistra dietro il cagnolino…un altro peluche o è una bestiolina.

    Hai ragione è difficile. Amo molto le mie cose non per il valore intrinseco, a volte mancante del tutto, piuttosto per il ricordo della provenienza o della mia scelta. Pertanto legato alla mia sfera emotiva. Pronta comunque a rinunciarvi piuttosto che perdere un affetto. In questo ultimo anno e mezzo, periodo difficile, mi sento molto meno legata a tutto (secondo me sto perdendo l’entusiamo, e questo è un male, a mio avviso).
    Mio marito ad esempio non è persona legata alle cose pur conservando molto non da loro valore: Sono Materia utile e basta. Beninteso non è un’egoista, anzi….forse gode i frutti dei suoi lunghi anni di studio della filosofia, non so. Nella vita di tutti i giorni accetta quel che viene. Da invidiare? Non lo so, certo è più sereno di me.

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  3. Io ho imparato con il tempo a non essere mai schiava delle "cose". Credo di essere più importante di loro, e mi comporto di conseguenza.
    Ciò non esclude un minimo di giusta affezione.
    Un abbraccio, caro Lupo

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  4. "ci attacchiamo alle cose"…direi che rappresentano valori affettivi ad esse leghiamo i nostri frammenti di vita ..ne sentiamo la mancanza e se ci dovessero mancare ci mancherebbe un pezzo di vita..spesso certe decisioni dipendono da esse e dal valore che diamo e dalla sicurezza che rappresentano..e poi ci son cose e cose ..qualcuna se ne otrebbe fare  ameno di altre no…viverle con distacco ? ci aiuterebbe in certi casi a sopravvivere meglio ..
    un caro saluto
    ultimamente sono poco presente ..ho un altro blog  e mi impegna..

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  5. Uhhhhhhhh… che bello!!!
    Guarda, hai tratteggiato magistralemnte la differenza tra me e mia sorella.
    Io: appartamento in città, in una zona per niente "in", senza ascensore, un garage in affitto, la metà degli inquilini o più non è italiana…. ma a casa mia ci sto bene, mi piace, me la godo e me la vivo.
    Mia sorella: villetta bifamiliare nel paese vicino, dove abitano anche i miei.
    Sono in tre: lei, marito, figlia. Hanno tanto di quello spazio che ci vogliono tre appartamenti come il mio per andare a pari. Giardino super curato davanti, proticato coperto in fianco, prato e giardino dietro, doppio garage, legnaia,…………… e non è mai contenta. Sta sempre a disfare e a rifare qualcosa: il bagno su, il bagno giù, la cucina, lo scalone….. e credi che poi sia contenta e soddisfatta di quel che ha e se lo goda? Nooooooooo!!!! Non appena finisce un lavoro, prima si lamenta per un po’ di tempo per tutti i soldi che le sono partiti, poi comincia già a guardarsi intorno per vedere cos’altro può comprare o rifare o sistemare….
    Ha una casa che potrebbe apparire sulle riviste d’arredamento…. eppure non è mai contenta!
    Uffff…………. ho smesso anche di cercare di farla ragionare…. tanto non serve…. se uno è così, è così e basta. La paura di perdere quello che ha, che non sia più il top, di non avere il massimo….. la fa vivere così male, che preferisco il mio piccolo appartamento senza tutte quelle paturnie, credimi!
    Scusami,  mi sono dilungata un cicinin, ma è un argomento che mi fa ribollire….

    Troppo bella la schiera dei tuoi inquilini…. non si distinguono i veri dai finti!!!
    Ciao, buon inizio settimana!

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  6. Attaccarsi alle cose…,.forse questo attaccamento dipende un po’ anche dalla storia di ognuno di noi.
    Chi, per esempio, in passato s’è dovuta privare di tante cose e adesso le ha,  attribuisce anche il valore della privazione della cosa,  perché sa cosa significa esserne senza. Dietro alla cosa ci sono stati sacrifici e magari anche qualche sofferenza.
    Sto pensando, per esempio, alla casa e agli oggetti,  al calore che può emanare un ambiente sereno.
    Dunque, se a me mancasse anche soltanto il porta candele (amo molto accendere le candele di sera), mi prenderebbe un colpo!! Dovrebbe bastarmi l’oscurità, se ho l’opportunità di illuminare l’ambiente?
    Casa mia è carica di ricordi, quadri di fotografie attaccate alle pareti, oggetti di quando erano piccole le ragazze, cose mie di quando ero piccola, oggetti che mi parlano della mia madre Patria e di chi non c’è più.
    Sono tutte cose che rappresentano il “mondo” di una persona. La sua identificazione.
    Vero è che sono solo “cose”, anche  perché un giorno…speriamo lontano…, non ce le portiamo dietro, ma non ci portiamo dietro nemmeno il nostro corpo, però queste nostre “cose” parleranno di noi ai nostri discendenti. E se mancassero, pazienza, ma l’uomo, a mio avviso, è fatto per “costruire”, non per privarsene. Se poi il Buddismo mi parla di cose superficiali, allora è un altro discorso.  
     
    Diversamente, forse, è  per gli affetti. Ama e non ti aspettare nulla in cambio. Qui ci lavorerei sopra.
    Ho scritto un pensierino ultimamente che dice: colui che rinuncia all’amore per l’amore sarà sempre amato.
     
    Non è facile il rinunciare, quando in ogni cosa si da un valore affettivo. Se mi abbattono l’albero di fronte a casa, quando ogni stagione seguo il mutamento delle sue foglie e il fiorire dei rami, mi dispiacerebbe tanto, perché fa parte del mio quotidiano, un quotidiano di cui molti si lamentano, ma guai se mancasse. Certo, posso vivere lo stesso senza l’albero, ma la mia solitudine non sarebbe la stessa. Così potrebbe pure essere per il televisore. Ci sono molte persone sole ed anziani per cui la televisione è una compagnia. Potrebbero pure viverne senza, ma poi perché privarci di qualcosa che altro non può farci del bene? E se c’è dipendenza, pazienza.
    La dipendenza vera è l’essere avido. colui che accumula cose per il solo fatto di possedere come fosse una mania e non rappresentano altro che il possesso.
      
    Io la penso così. Forse non ho capito il concetto profondo del Buddismo, ossia l’essere indipendente dalle cose. Lo spirito dovrebbe essere indipendente dalle cose materiali? Beh, questo forse potrebbe valere per l’eremita o per il frate, ma per una persona che costruisce, anche beni materiali, per una vecchiaia tranquilla, credo sia impensabile privarsene.  
    Insomma, mi pare che ti ho descritto i motivi per l’attaccamento delle cose, a cui preferirei, sinceramente,  non rinunciare.
     
    Grazie per la riflessione Wolfghost e a presto!
     
    Rondine
     
     
     
     
     

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  7. x FireArrow: pero’ "sperare che tutto duri il piu’ a lungo possibile", benche’ umano nel nostro modo di vedere le cose, non e’ di alcuna utilita’ a protrarne l’esistenza. Anzi, dicendo che "speriamo che…" stiamo gia’ dicendo che abbiamo paura di perdere cio’ che abbiamo, e se abbiamo paura allora non possiamo godere davvero di quelle cose perche’ la nostra contentezza nell’averle e’ gia’ minata da tale paura. Se non avessimo attaccamento, non staremmo a pensare "oddio, domani i miei animaletti non ci saranno piu’!", ma ci godremmo la loro presenza – e doneremmo ad essi la nostra – senza preoccupazioni che ci tolgano la stessa gioia.
    Uno dei post che vorrei prima o poi scrivere, parla di "consapevolezza vs. paura". Infatti spesso pensiamo che se non abbiamo paura di qualche cosa (perdere un oggetto, una persona amata, la nostra salute, il lavoro, …) allora non porremo su di essa la giusta attenzione e potremmo percio’ finire davvero per perderla. Ma questo non e’ esatto. Non e’ per mancanza di paura che perdiamo le cose, e’ perche’ siamo distratti, perche’ non poniamo la giusta attenzione mentre viviamo, perche’ non abbiamo consapevolezza di cio’ che stiamo facendo.
    Prendiamo due persone che abbiano un problema di salute. La prima si spaventa, la seconda resta tranquilla. Cio’ vuol dire che la prima si rivolgera’ al medico poiche’ spaventata mentre la seconda no? Non e’ assolutamente detto. La prima anzi potrebbe non rivolgersi nemmeno al medico, perche’ terrorizzata da cosa esso potrebbe scoprire; alla seconda invece basta la consapevolezza, la comprensione, di capire quando e’ il caso o meno di rivolgersi al medico: non ha "bisogno" di avere paura.
    Lo stesso dicasi per le parole care o i nostri animaletti: se viviamo nella paura di perderli, non saremo in grado di goderne la presenza, ne’ di regalare ad essi la nostra in modo gioioso.
    Non e’ bello vivere con una spada di Damocle che pende sulle nostre vite…

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  8. x Jouy: eheheh no, no, e’ una lince di peluche La regalai a mia madre… uhm … circa 25 anni fa!
    Tuo marito e’ piu’ sereno sicuramente, direi, almeno di primo acchito Attorniarsi di oggetti che ci ricordano il nostro passato, vuol dire spesso essere legato ad esso, non poterne fare a meno. Sebbene non sia un male ricordare i nostri trascorsi, questo non dovrebbe in alcun modo impedirci di vivere e godere del presente. Se siamo preoccupati di perdere questi appigli al nostro passato, o addirittura ci rifugiamo in cio’ che essi rappresentano, finiamo per vivere solo parzialmente nel presente.
    Anche qua spesso c’entra la paura di essere "distaccati", come se non riportare la mente sul nostro passato e sulle persone che l’hanno popolato, significasse non portare rispetto, dimenticare. Ovviamente non e’ cosi’. Se non ho un quadro dei miei genitori attaccato in sala, non significa che li ho "dimenticati", semplicemente il mio pensiero non cadra’ sempre su di loro e sul passato che rappresentano.
    Perche’, se ho voluto bene al mio passato ed alle persone che ne facevano parte, dovrei contornarmi di cio’ che me li ricorda? Loro sono in me, fanno parte di me, non ho bisogno di questi oggetti esteriori
    Come scritto nel post, questo non significa dirsi "bene, adesso prendo uno scatolone e butto tutto!", significa semplicemente dare il giusto valore a quegli oggetti: sono solo oggetti, non sono quelle persone, non dobbiamo vivere con la preoccupazione di perderli.

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  9. x Missi: benvenuta Missi

    x Anne: be’, si’, io sono partito dalle "cose" per allargarmi a "tutto il resto". Affezione spesso e’ sinonimo di attaccamento per noi, anche se certo riconosco che esserne completamente privi e’ cosa rara.
    Piu’ umanamente potremmo forse arrivare ad un equilibrio che ci permetta uno spirito di accettazione maggiore
    Abbraccio!

    x Yasmine: grazie cara

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  10. x Raggioluminoso: dici? Non so, io credo che molte persone saprebbero parlare di argomenti anche piu’ complicati in maniera almeno altrettanto () semplice; pero’ molti preferiscono dare un "tono" ai loro discorsi, magari creare un alone di mistero, di conoscenza che arriva chissa’ da dove. In questo modo creano una sorta di personale elite di lettori. A me non piace questo, preferisco cercare di parlare e scrivere in modo da essere comprensibile da chiunque legga. E quando non ci riesco non e’ perche’ sono i concetti ad essere troppo complicati, e’ che sono io ad essere pasticcione!

    x Lucesulmare: secondo me l’errore sta proprio in questo: legare il nostro passato e le persone che ne facevano parte, a oggetti o luoghi. Essi sono dentro di noi, fanno parte di noi, che lo vogliamo oppure no. Noi siamo in grado di riportarne alla luce il ricordo ogni volta che lo desideriamo, non abbiamo bisogno di oggetti esterni. Gli oggetti esterni anzi ci vincolano, ci impediscono a volte di essere liberi, di non vivere nel passato. E forse e’ proprio questo il punto, forse ci sentiamo in colpa quando cerchiamo di non vivere nel passato, ci sembra di dimenticare chi ne ha fatto parte. Ma questa e’ una sciocchezza, e’ un trucco della nostra mente razionale e di una societa’ per cui perfino i ricordi sono business.
    Sono anche io poco presente purtroppo Quindi non preoccuparti: capisco perfettamente

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  11.  E’ tutto chiarissimo Francesco.
    Io vorrei fare un altro esempio che, rispetto ai concetti importanti che esprimi tu, a qualcuno farà anche sorridere o sembrerà poco “calzante” in quanto sto parlando di un vizio.
    Tu sai che negli ospedali non si fuma.(controllo ferreo a livello di “secondinaggio”).
    Io, per motvi che non sto qui a dire, ho stazionato in un ospedale per 20 giorni.
    Prima di allora, io “viaggiavo” a 2 pacchetti al giorno.
    Tu non hai idea, amico mio, avevo anche perso l’appetito.
    Ma da quel momento in poi, sono riuscito a “centellinarle”, quando prima capitava anche che dopo due “tiri” le gettavo nel portacenere, vista l’abbondanza.
    Un abbraccio.
    SHERWOOD

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  12. x Azalea: ahahah ma si che si distinguono i veri dai finti, daiiiii!
    Molto calzante il tuo esempio, hai fatto bene a riportarlo
    Grazie e buona settimana anche a te!

    x Leggerevolare: infatti il dharma buddista tibetano mi piace perche’… ha spesso poco a che fare con quella che per noi e’ la "religione classica": si tratta piu’ di un "metodo" su come usare la mente piuttosto che di una serie di dogmi religiosi. Non c’e’ dunque da sorprendersi se talora, vivendo con buonsenso, possiamo rispecchiarci in alcuni dei loro insegnamenti

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  13. x Rondine: il tuo e’ un bel commento, bene articolato e nel quale certamente in molti si riconosceranno Mi da quindi modo di approfondire alcuni concetti
    Io credo che chi abbia lottato per cose davvero importanti nella vita sappia meglio di altri attribuire ad esso il giusto valore. Parli di oggetti e di "ambiente sereno", ma e’ pur vero che l’ambiente sereno e’ spesso indipendente dagli oggetti circostanti, leggi a tal scopo l’intervento di Azalearossa, poco qua sopra. Ci sono persone che si circondano di cose che ricordano il loro passato e le persone che ne hanno fatto parte, ma queste non fanno altro che farli macerare nella loro malinconia per qualcosa che non hanno piu’, impedendogli di fatto di vivere serenamente il loro presente. Altre persone hanno una casa apparentemente "senza ricordo", eppure in essa vivono benissimo. Non e’ in realta’ faccenda di avere o meno ricordi, quanto la capacita’ di rimanere di essi prigionieri.
    Parli proprio di oggetti che avrebbero acquisito "valore" per la fatica che abbiamo fatto a conquistarli. Va bene. Facciamo un esempio. Magari io ho sudato anni per pagare le rate della mia umile auto. Appena finiti i pagamenti (ma forse anche prima, che e’ ben peggio) distruggo l’auto in un incidente senza possibilita’ di essere coperto dall’assicurazione. Ne sono dispiaciuto? Be’, ovvio che si’. Sono disperato? … dipende.
    Analizziamo un attimo. Serve a qualcosa l’essere disperato per la perdita dell’auto o mi avvelena solo ulteriormente la vita? La seconda, non e’ cosi’? Ecco, quello che sostengo non e’ che potremmo lasciar marcire l’auto perche’ tanto non siamo attaccati ad essa, no, vorrebbe dire essere insensati, non non avere attaccamento. Voglio dire che se non siamo attaccati ad essa ci dispiacera’ perderla perche’ vorra’ dire che dovremo farne senza, ma la disperazione potremo non averla, pur se non siamo in grado di ricomprarla. Siamo noi a scegliere quanto siamo attaccati agli oggetti, anche se cosi’ puo’ non sembrarci razionalmente e anche se liberarci da tale attaccamento puo’ essere difficile.
    Questo concetto si puo’ applicare a qualunque cosa, qualunque.
    Il problema vero sai qual e’? Che noi sotto sotto crediamo che se non siamo "attaccati" alle cose, allora vuol dire che non "teniamo" ad esse, che non le curiamo, che non le amiamo. Noi e la nostra societa’ crediamo fortemente che quando subiamo una perdita dobbiamo essere disperati, altrimenti non tenevamo a cosa abbiamo perso.
    E’ un po’ il concetto che si riscontra quando una persona perde un caro amato: magari sa che cio’ fa parte della vita (facile dirlo, vero? ma quanti davvero lo "sanno" realmente?) e, pur subendo il grave lutto, sa accettarlo presto; peccato che agli occhi della societa’, se esso non appare disperato per mesi e mesi oppure anni… allora vuol dire che non ci teneva.
    Questa e’ una stupidaggine. Non essere disperati per una perdita non vuol dire che non si teneva a cosa si ha perso, che non si voleva bene alla persona amata che non c’e’ piu’; vuol dire solo aver usato la comprensione che permette di "farsi una ragione" della perdita. I buddisti parlano di "impermanenza": tutto e’ "impermanente", nulla resiste per sempre. Comprendendo questo, comprendendolo davvero (magari aiutati nella fede in un processo che va piu’ in la di questa singola vita), si puo’ accettare anche la perdita piu’ estrema. E questo non vuol dire che non si teneva, o non si amava, cio’ che si e’ perso.

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  14. x Sherwood: nel piccolo esiste il grande, caro Sherwood Sono sempre stato convinto che la nostra reazione alle "piccolo cose" ricalca quella che sara’ la reazione alle "cose grandi". Tu hai colto l’opportunita’ che una costrizione ti ha offerto; potevi benissimo fumare meno li’ e riprendere a farlo come prima non appena uscivi… eppure non l’hai fatto.
    Quindi anche queste "piccole" conquiste ("piccole" per modo di dire, sappiamo quanto e’ difficile smettere o ridurre questo vizio) sono importanti
    Abbraccio ricambiato.

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  15. Molto istruttivo questo concetto dell’attaccamento, si dovrebbe tenerne più conto. soprattutto quando si tratta di oggetti… o di abitudini.
    Spesso ci si attacca morbosamente a qualche cosa che ci dà un piacere momentaneo senza renderci conto che in fondo non sono cose vitali e che potremmo benissimo farne a meno.
    Più difficile pensare alle rinunce  che riguardano gli affetti ……ai quali rinunciare (quando gli eventi ce ne privano) è molto doloroso e spesso cambia la vita in modo radicale. Una cultura che difficilmente può essere compresa in un mondo come il nostro ormai avviato verso un totale coinvolgimento consumistico:-))

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  16. Ho letto diverse cose al riguardo  in un periodo che ho avuto veramente bisogno di capire cosa mi era accaduto e come affrontare le situazioni create e la vita in seguito, …..bene ho messo impegno e determinazione e  piano piano ho messo a frutto quanto letto  riuscendo a vedere e sentire in un altro modo.  Purtroppo però  si riabbassa la guardia se non si è sempre presenti a questo tipo di pensieri, si scivola facilmente e si riparte (perlomeno da parte mia) per il percorso inverso, allora ci si ferma, si guarda, e ci si accorge che temiamo di perdere quella cosa che ci piace tanto…….ed è proprio in quel momento che ci accorgiamo che l’abbiamo perduta, proprio perchè non la viviamo più bene.
    Tutto estremamente vero, tutto estremamente autentico quello che dici …..ma il punto allora è che non ci bastiamo? perchè ci diamo la sofferenza?…..è questione che, come tu giustamente concludi, non siamo in grado di sentire come desiderio più grande la serenità. …..vogliamo altro.
    P.S. la foto del divano con i cuccioli veri e non è bella, si sente il calore di una casa….

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  17. Il paragone delle foto regge benissimo, le foto ci sono si mettono in cornice stanno lì. Diventano un pezzo di arredo. Credo di essere una persona che vive abbastanza il presente, il futuro non mi interessa. Se guardo indietro lo faccio perchè è la parte di noi, oggi siamo così perchè c’era l’ieri, oggi sarà lo ieri di domani. Altro esempio, vado al cimitero di rado, si loro sono dentro ai loculi o sotto terra….fisicamente, ma non sono più loro. Ciò che di loro resta è dentro di me nel bene o nel meno bene.Ti ringrazio tanto Lupaccio!

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  18. Caro Wolf, ammiro tutti i tuoi gatti ed anche il cane che mi sembra stia un pò sulle sue…ma soprattutto la tua pazienza nell’accudirle, io invece sono molto triste perchè nei giorni scorsi la mia Mucimuci è andata nel mondo dei sogni…era una gattina molto amorosa, figurati che ogni tanto veniva a leccarmi in segno d’affetto la mano…pazienza! per il resto come vedi se vai sul mio sito…proseguo. Ho aperto sezioni nuove ed  anche una pagina banner e resto in attesa anche del tuo se ne hai uno.
    Con amicizia
    Fer/

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  19. x Specchio: il concetto del non attaccamento è ancora più difficile in una società con stampo consumistico, è vero. Comunque la sua applicazione agli affetti e alla vita stessa è davvero difficile per tutti: che l’importanza degli oggetti possa essere sopravvalutata è capibile anche razionalmente, come spieghi tu, in fondo possiamo anche farne a meno; è più sottile capire che, per quanto ci addolori, l’impermanenza e la sua comprensione e accettazione, investe ogni cosa, anche la nostra vita e i nostri cari.
    E’ proprio questa difficoltà che rende ancora più preziosi questi insegnamenti che ci arrivano da lontano

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  20. x Zeroschemi: vogliamo altro perché la serenità che ci arriva dall’esterno, dall’avere questo o quell’altro, ha sempre vita breve; ciò che ci dava serenità presto o tardi sparisce, e la sofferenza arriva. E sapere che ciò inevitabilmente accadrà ci provoca una paura che ci fa vivere male. In un certo senso molti di noi muoiono molte volte nella loro vita a causa della loro paura.
    La vera serenità, quella che non passa, arriva solo dalla comprensione e dall’accettazione della natura nostra e della vita… facile, vero?
    E’ vero: Sissi, Tom e Julius rendono questa casetta sempre viva

    x Jouy: ciò che importa è il motivo per cui ci si guarda indietro: se lo facciamo perché abbiamo ancora qualcosa da imparare allora ben venga (anche se è importante non esagerare), come dovrebbero essere ben accetti tutti quei ricordi che ci portano un sorriso Purtroppo però i nostri ricordi si trasformano per noi in prigioni, con sbarre fatte di malinconia. Allora dovremmo davvero avere il coraggio di voltare pagina, pur senza rinnegare il nostro passato…

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  21. x Fer: noooo! Tomino non stava "sulle sue", era così solo perché la sua padroncina gli stava scattando una foto: si mette sempre in posa lui!
    Mi spiace tanto per Mucimuci, spero abbia avuto una vita serena e piena d’affetto!
    A presto cara Fer!

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  22. sagge le tue parole…ma effettivamente è difficile non essere "attaccati" a qualcosa…ed è ancora più difficile non essere "attaccati" a qualcuno…che sia una persona o un animale, poco importa; sempre esseri viventi, sono:) 
    degli oggetti si può tranquillamente fare a meno – o almeno, per me è così; delle persone…beh, direi che è già molto più difficile…non è che siano completamente sostituibili, ecco:)…ovvero: un genitore, ad esempio, non credo possa essere sostituibile:)
    riguardo agli animali…quando si pensa alla loro inevitabile morte, e quindi al distacco, si soffre, è indubbio…naturalmente si può però pensare di donare lo stesso affetto ad un altro animale, dopo che il "nostro" se ne sarà andato…ovvero, io con i miei cani lo faccio; pur non dimenticando nessuno dei cani che hanno preceduto l’attuale…:)

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  23. L’attaccamento alle cose è un problema che mi ha colpita di recente… ho rotto per l’ennesima volta il pc… non che io sia particolarmente attaccata all’oggetto in sè, quanto piuttosto al suo contenuto… lo uso infatti sia per lavoro che per diletto (in breve ci scrivo, sia per lavoro che per piacere) e non ho l’abitudine purtroppo di fare copie così da essere salva in caso di incidenti…
    Fortunatamente il danno è stato riparato…
    Questo per dire cosa? Che a volte non è l’oggetto in sè al quale ci affezioniamo o morbosamente ci attacchiamo, quanto piuttosto ciò che rappresenta per noi… Un oggetto come un pc del quale si potrebbe tranquillamente fare a meno, rappresenta per me il contenitore del mio m ondo, fatto di relazioni, di scritti, di pensieri, di parole che uniscono persone lontane, di progetti da realizzare e di lavori da portare a termine…

    Ti abbraccio,
    a presto!

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  24. Noto che anche tu ami molto gli animali, eh? 🙂
    Riguardo all’attaccamento alle cose io ne sono senz’altro vittima. Non butto via mai nulla, anche le cose più inutili, perché per me è un vero trauma staccarmene. Da quando mi sono sposata e vivo in una casa microscopica ho dovuto però modificare questo mio modo d’essere. Ho portato con me solo l’essenziale. Persino i miei amati libri sono costretta a darli via una volta letti, altrimenti dove li metto? Ciao, Wolf. Un abbraccio.

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  25. ..Lupo….accettare e comprendere la nostra natura e la vita tutta ,  lo trovo  giusto …………. forse anche  facile!!!! ma occorrere comprendere molto di più……   per pochi eletti arriva la vera serenità
    un abbraccione

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  26. Ritorno sull’argomento perché, a dir il vero, è un argomento su cui sto lavorando e per di più mi ha sempre affascinato.
    Ho letto l’intervento di Azalearossa e se, mi permettete, vorrei dire che la sorella, probabilmente, non è in armonia con se stessa, perché se così fosse non starebbe a cambiare continuamente i bagni di sotto e di sopra e ad inventarsi nuovi lavori e non essere mai soddisfatta di quello che ha. Ma non la conosco, quindi mi baso solo su quel che suppongo e nel contesto del nostro discorso.
    Non mi sorprende la cosa, visto che ho una sorella uguale uguale. Ha sempre da spostare qualche parete, anche se ultimamente si sta adeguando a ridipingere e a spostare “soltanto”  i mobili. Costa di meno…
    Ma io lo so perché fa questo. La casa riflette noi stessi. Ed è quel che siamo. Non per nulla i poeti sanno che la casa ha un’Anima. E l’Anima è di chi ci vive dentro.
    C’è una bella differenza tra una casa spoglia e una piena di cose che ci raccontano di chi vive o  è vissuto in essa. I ricordi non devono rattristire, anzi. Testimoniano la nostra bellissima storia, perché ognuno di noi ne ha una e non può essere stata soltanto brutta.
     
    Quando vado a far visita ad una persona che conosco poco, quel che la persona non dice me lo dice la casa. Dunque, una casa troppo ordinata, o sterile,  me la dice lunga quanto una casa troppo disordinata.
    La casa va “vissuta”, il che è diverso.
     
    Per quanto mi riguarda, circondarmi di ricordi non mi rende malinconica, anzi, né mi sento prigioniera,  e se malinconia ci fosse in ciò che scrivo è qualcosa che ha a che fare con la mia indole, una indole che non rivelo facilmente. Bisognerebbe invece essere contento di aver “vissutoveramente, a confronto di persone che rimpiangono il…non vissuto…Pensa che tristezza !!
    Però comprendo benissimo che non tutti sono come sono io. Ognuno è fatto a modo suo ed ognuno vive e reagisce a modo suo i propri lutti e se non ce la fa, ci sono le persone esperte apposta per aiutarle. Ma questo, probabilmente, accade a quelle persone, appunto, che credono che la vita sulla terra sia eterna. Pensano che certi eventi accadono solo agli altri e che mai potrebbe accadere a loro stessi e siccome sono così sicuri, si trovano impreparati di fronte a quando gli eventi grandi come lo è il distacco o la morte tocchi proprio a loro.
     
    Se il pensiero di Buddah, come lo è anche quello di Cristo, e come credo  siano tutte le filosofie delle religioni, è quella di vivere senza dimenticare che la vita sulla terra non è eterna, forse allora saremmo più preparati a sopportare, quando avremo a che fare con qualcosa di più grande della stessa vita e che si chiama Morte, o per lo meno con il tempo (che sempre è soggettivo) dare una ragione all’evento. Difficile, ma non impossibile, perché la rosa continua a fiorire,  perché il mondo continua a girare, anche senza quella persona.  
     
    Ecco, se il pensiero di Buddah fosse l’essere indipendenti dai schemi della società, dai giudizi della gente, allora sì che sarei d’accordo. Non è poi tanto importante cosa “pensa” la società di me, quanto quello che penso io di me, perché l’esempio della vedova, l’ho già vissuta. Al collega che mandò in giro una certa voce, proprio perché, come dice il tuo esempio,  non mi comportavo secondo le regole della società, gli dissi chiaramente: “io so che tu parli a vanvera, ma ad una persona che non ti conosce e non sa che parli a vanvera  e  a cui vai a raccontare cose che non ti riguardano e che per di più sono fandonie, potrebbe pure crederti e mi dispiacerebbe che tu ti approfittassi della buona fede della persona che ti ascolta…”. A parte il fatto che la persona che ascolta non è meno fanfarone di chi racconta….
    Da quel momento lui restò zitto e non si permise più di parlare.
     
    Sono d’accordo sul “non attaccamento” agli affetti. Prendo  come esempio il rapporto mio con le mie figlie. Le voglio un  bene dell’Anima a tutte e due, ma devono essere liberi di andarsene a ricostruire la loro vita altrove, proprio come ho fatto.
    Lasciale andare che se vogliono ritornano, pensavo tempo fa.  
    Stranamente, quasi tutti i fine settimana, per un motivo o per un altro,  me le ritrovo a casa.
     
    Sia Marianna che Eleonora hanno le loro camerette pronte con tutto l’arredo. La gente prima mi diceva che era una spesa superflua, visto che non abitavano in casa. Ma io so, e ho sempre saputo, che prima poi sarebbero tornati (magari insieme ai nipotini) anche se momentaneamente.
    Loro devono sapere che questo è il loro porto sicuro e io sono il “guardiano del faro” J
     
    Un abbraccio grande e grazie!
     
    Rondine J
     
     
     
     
     
     
    p.s.
    Ah dimenticavo: se a me si rompesse la macchina, al di là del valore affettivo che invero non le do,  mi prenderebbe un colpo, perché per andare al lavoro la mattina sarebbe un’avventura. Certo che posso vivere senza l’auto, con la differenza che per andare a lavoro impiegherei anziché un’ora il doppio. Aiutooooo!!!

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  27. Forse non ho capito bene o forse sono troppo lontana dal pensiero buddista, ma a me la rinuncia in senso buddista senza ancora più dura da sopportare di quella cristiana.
    A meno che, appunto, non si desideri niente e allora avere o non avere un bene materiale o un affetto con comporta nessun cambiamento in noi, nessuna sofferenza per la rinuncia.

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  28. x Morellina: Bé, per il proprietario di un animale il suo animale non è "un animale": non si può "sostituire" nemmeno quello Ma qui nessuno dice di "sostituire", si parla di "accettare" ciò che non può essere evitato. Si parla di comprendere che tutto finisce, almeno in questa vita, e che disperarsi per questo è inutile, anche se – soprattutto nella nostra concezione occidentale – crediamo essere umano farlo. E’ sui termini che dobbiamo porre attenzione: dispiacere, anche profondo, non è "disperazione"; affetto o amore, non sono "attaccamento".

    x Tittidiruolo: bé, per loro, i buddisti tibetani, no: sono due concetti diversi… anche se sbagliati entrambi Ma di nuovo bisogna stare attenti: il "desiderio" buddista non è il nostro desiderio, loro danno al desiderio l’accezione di "bramosia", di "spirito di possesso", ma non c’è nulla di male, ad esempio, nel desiderare una tazza di té caldo, un compagno di vita, una vita tranquilla e tante altra cose. E’ lo "spirito", la motivazione che spinge il nostro desiderio a contare

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  29. x Lilith: infatti io parlavo dell’attaccamento agli oggetti perché è quello più facilmente comprensibile, ma il discorso dovrebbe essere allargato a tutto. Ti si rompe il PC e ti ritrovi a non poter comunicare con il mondo… e allora? Va bene cercare di porvi rimedio, ma la disperazione o il dolore per l’avvenuto, cosa ti danno? Davvero ti aiutano a affrontare la cosa o, piuttosto, la rabbia, la paura, la sofferenza, aggiungono "nebbia" alla visione del da farsi?
    Io credo che spesso siamo troppo indulgenti con noi stessi: soffriamo, ci arrabbiamo, e diamo una motivazione alla nostra sofferenza, alla nostra rabbia, cerchiamo di convincerci che è giusto provare questi sentimenti, anche se c’è chi, nelle medesime situazioni, non le prova e le affronta a testa alta e nel migliore dei modi.
    Abbraccio ricambiato

    x Raggioluminoso: bé, grazie Io non penso… oppure, se preferisci, è una dote che sotto sotto abbiamo tutti

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  30. x Luna70: eheheh a volte, quando noi non riusciamo a modificare un nostro atteggiamento che faremo bene a modificare, accade qualcosa che ci costringe a farlo
    Amo la vita, cara Luna Credo che ama la vita non può non amare ogni sua manifestazione: noi, gli animali, perfino le piante

    x Zeroschemi: per pochi eletti… forse però perché in pochi ci proviamo davvero, un po’ perché non sappiamo che è possibile (ignoranza), un po’ perché comporta uno sforzo, un cambiamento di abitudini, che non vogliamo fare
    Abbraccione!

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  31. x Rondine: … e perché una casa dovrebbe raccontarti il "passato" di una persona? E’ così importante il suo passato? Quella persona, ovunque tu la incontri, ti può mostrare il suo presente. Il suo passato potrebbe perfino fuorviarci, dandoci un’immagine che non corrisponde a quella presente.
    Te stessa hai scritto che l’immagine della nostra casa è un po’ l’immagine di noi stessi; poi scrivi che gli oggetti che ti ricordano il tuo passato non ti mettono malinconia… ma che la malinconia è nella tua indole. Ma allora mi chiedo come sia possibile che gli oggetti di cui ti circondi, che a quanto sostieni dovrebbero essere "a tua immagine", non ti provochino malinconia essi stessi Naturalmente è possibile che per te il tuo passato non sia sinonimo di malinconia, ma in generale credo che chi si circonda di tanti ricordi sia molto legato emotivamente al suo passato… credo che, si… gli manchi. E questa è malinconia. Non lo è quando il passato si "presenta da solo", attraverso i ricordi (mnemonici intendo), e riusciamo a ricordarlo con un sorriso dettato dal fatto di essere contenti di averlo vissuto, non uno di quei "sorrisi tristi" perché ci manca. Guarda che i miei, questi come quelli precedenti, sono pensieri "generali": io non so, non posso sapere, come sei tu, ho già avuto modo di apprezzare la tua forza attraverso i tuoi racconti e le tue poesie.
    Ottima la tua descrizione della differenza tra "attaccamento" e "affetto", la quoto in pieno ed anzi ti faccio i complimenti: come vedi la vita, attraverso il comportamento delle tue figlie, ti ha "premiato", perché il "lasciare andare" quando è giusto farlo, è una delle più belle dimostrazioni di amore

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  32. x Happysummer: ahahah io penso che tu non abbia capito d’altronde non è un concetto facile da spiegare, io ci ho provato in poche righe quando esistono dei tomi voluminosi sull’argomento
    Credo che tu non abbia colto (ripeto: certamente perché la mia spiegazione non era chiara) perché se fossimo in grado di vivere davvero senza attaccamento, con la rinuncia ad esso, ci godremmo molto di più ogni cosa che abbiamo e che di "bello" ci capita, e riusciremmo a patire molto meno quello che ci manca o che di negativo subiamo
    Sul desiderio ti rimando al mio commento a Tittidiruolo, nel #35.

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  33. x TUTTI: ultimamente sono un po’ sfortunato con il blog, stasera è la linea fissa a non funzionare, mi sono arrangiato con il videofonino ma adesso devo staccare perché i 50MB quotidiani che esso mi permette sono quasi finiti e se gli sforo pago come una banca
    Riprenderò i commenti e le visite ai vostri blog appena potrò, spero già da domani
    Buonanotte a tutti!

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  34. Sarà anche che sotto sotto tutti possiedono questa dote, ma a molti rimane davvero molto sotto. Con i tupi post interessanti sei in grado sempre di scuscitare un putiferio. Bravissimo per ciò che pubblichi!

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  35. x Raggio: grazie cara

    x Anna: penso che tu sia in buona compagnia, ma… credo che in parte cio’ dipenda dal fatto che siano a volte di difficile comprensione. Una volta capito, davvero sono concetti affascinanti e che non hanno alcuna controindicazione

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  36. Ciao carissimo Wolfghost, scusami se replico ma trovo il discorso interessante e costruttivo, dunque continuo. Spero che non ti secchi. 
      
    La casa non mi racconta solo del passato della persona, ma anche del suo presente e il passato è importante, perché il passato che fa di noi quella persona che siamo oggi. Almeno io così la penso.
    Hai presente quanto è importante la storia di un Paese, tanto – a mio avviso – è importante la storia di una  persona. Il  passato non si può cambiare, però resta dentro. Il presente è il tempo che, camminando con noi si è evoluto insieme a noi, diciamo che il presente possiamo costruirlo, partendo proprio da "quel passato" e quel passato è di ciascuno di noi e di nessun altro.
    E’ interessante capire quanti sforzi abbia potuto fare una persona per arrivare a quella che è oggi.
    Non so se mi sono spiegata. Esempio: se il passato mio non fosse stato com’è stato, forse (lasciamo il beneficio del dubbio, tutto può essere opinabile) non sarei la persona che sono oggi. Io non sono una persona molto erudita, ho un po’ di cultura svedese e un po’ di cultura italiana ma nulla di profondo e preciso, tutto quel su cui mi baso è sulla mia  esperienza di vita, dunque anche di quella passata ed è diversa da quella degli altri. E’ questa diversità che affascina.

    Certo, stiamo parlando in generale e tu hai a che fare, in questo momento, con una persona che ama scrivere tante cose, tra cui anche poesie e, tenendo conto di questo è facile che io idealizzi perfino la vita e la morte stessa,  però la vita è anche qualcosa di concreto, non solo una poesia aleatoria…e questo lo sappiamo tutti bene.

    Parlo in prima persona, perché mi sembra più facile farmi capire e certo non puoi conoscermi, se non altraverso i miei testi, un po’ veri un po’ inventati. Lascio al lettore indovinare.

    Mi circondo di ricordi e non mi danno nessun malinconia, e sai perché? perché attraverso un lungo percorso sono arrivata ad accettare il presente, così com’è e, se mi guardo in giro, ti dico che tutto sommato non sono tra quegli più sfortunati. Non mi manca il passato, perché ho due "futuri" tra le dita: le mie adorate figlie che sono il seme del mio passato.  Diciamo che ho deviato la strada che credevo di dover percorrere e ora cammino con discrezione dietro le mie figlie. Sono loro il mio bellissimo presente e non c’è valore abbastanza grande a questo meraviglioso presente.

    Grazie Wolfghost e scusami se ho insistito, ma il mio messaggio vuole essere questo:, con un po’ di sforzo possiamo accettare quel che stato e trarre dal passato il meglio che abbiamo vissuto e non il peggio, guardando la vita con un po’ di indulgenza, se non altro è servito e servirà per una buona lezione di vita. Poi, ovviamente, si può essere più o meno d’accordo. Io credo che certe teorie impallidiscono di fronte all’esperienza, se vogliamo.

    Giuro che ho finito e ti lascio un sorriso.

    Rondine

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  37. x Gabry: buon pomeriggio a te, Gabry!

    x Rondine: sono d’accordo, ma… se guardiamo al nostro presente, visto proprio che cio’ che siamo oggi e’ (anche) il nostro passato… perche’ andare a rispolverare il passato? Mi spiego… Il nostro passato ha contribuito a costruire il nostro presente, ma non tutto cio’ che e’ stato e’ ancora valido, ci sono cose che potremmo aver superato e che non fanno piu’ parte di noi. Allora perche’, se noi siamo anche il prodotto del nostro passato, non dovremmo accontentarci del nostro presente? Lui rappresenta anche quella parte del nostro passato che e’ ancora viva in noi, giusto? Viceversa, guardare il passato di una persona puo’ darci informazioni che non sono piu’ valide; pensiamo a qualcuno che ha sbagliato, che vent’anni fa e’ finito in carcere e poi ne e’ uscito e si e’ "redento" dal suo errore… non e’ che rispolverando cio’ che fu vent’anni fa rischierebbe di portarci a fare un errore di valutazione nella sua onesta’?

    Nel mio passato ci sono cose belle e senz’altro cose che lo sono meno. Tuttavia io sento di essere felice di aver vissuto fino a questo momento, non ho rancori, non ho rimpianti, so che il solo fatto di esserci ancora e’ il regalo piu’ bello Tutto questo e’ vita, con le cose belle e brutte che sono successe. Non ho bisogno di "ricordare" volutamente per saperlo, e so che nulla comunque va perso, anche se non riporto piu’ l’attenzione sul quel passato: ogni cosa e’ in me, non ho bisogno di ricordarmene

    Puoi anche non aver finito eh! A me piacciono questi scambi!

    Un sorrisone

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