Prendersi cura della propria mente

Tom e Logan
Logan

Mentre metto alcune foto recenti dei nostri amici a quattro zampe per stemperare un po’ la drammaticità del momento che stiamo vivendo in Italia, volevo scrivere qualcosa a proposito di un argomento che per gli amanti delle filosofie orientali come me è di grande importanza, soprattutto in momenti che sì, sono duri, ma che soprattutto implicano una grandissima pressione esterna dei mass media sulla nostra personalità.

Numa (e Logan)

 

Raramente siamo consapevoli di come la nostra mente sia facilmente influenzabile. Normalmente cio’ non è una cosa brutta, è proprio grazie alla malleabilità della nostra mente che possiamo cambiare e crescere, altrimenti resteremmo sempre fermi, con le nostra fissazioni, i nostri traumi, le nostre abitudini spesso cattive.

 

Jones e la sua ombra

Il succo, il centro, il cuore del Buddhismo in fondo è tutto qua: è grazie all’interdipendenza della nostra mente (ovvero al fatto che non sia intrinseca, ferma, non dipendente da cio’ che la circonda) che possiamo imparare a direzionarla, evolvere e aspirare alla liberazione dalla sofferenza.

 

 

 

Junior

Ma la mente va diretta, altrimenti è come quella famosa storiella zen del contadino e del cavaliere: un contadino, vedendo un cavaliere in groppa al suo cavallo correre a tutta velocità e supponendo stiano andando in qualche luogo di grande importanza, gli chiede “Dove state andando??” e il cavaliere urla di rimando “Non lo so! Chiedi al cavallo!!” 🙂

 

Perseo

Così siamo noi quando lasciamo le redini della nostra mente. A volte si resta sgomenti, fermandosi a rifletterci, di vedere dove la nostra mente sia andata a parare e delle derive pericolose a cui puo’ portare. Bisogna prendersene cura.

 

 

Surya

Fino a quando non si è capaci di controllare con continuità la propria mente, non solo a sprazzi, è meglio assumere la sana abitudine di prendersi qualche pausa, staccando dal turbinio di informazioni a cui siamo sottoposti.

A volte è sufficiente spegnere la TV o cliccare sulla “X” in cima alla pagina web e immergersi, ad esempio, nella natura o in qualunque altra cosa che ispiri serenità.

Sembra una banalità ma è molto importante.

Surya galoppa
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“Solo quando…” di Thich Nhat Hanh, e un saluto a Brontolo e Mya :-)

Non so se ricordate un post che misi a Febbraio a proposito di due dolcissimi cagnolotti che aspettavano adozione, Mya e Brontolo… ? Bene, Mya qualche settimana fa e oggi Brontolo… sono andati nelle loro rispettive nuove famiglie 🙂

Box di Brontolo oggi! 😉
Box di Brontolo “ieri”…

Il canile locale si è quasi svuotato, anche se sappiamo che è probabilmente un fenomeno stagionale: purtroppo più avanti nella stagione è probabile che molti altri cani arriveranno.

Al momento, a parte un paio di nuove arrivate dal Sud Italia (ma che, me la gioco, per me non resteranno a lungo 😉 ), restano casi “difficili”, ovvero cani dolci e bravi ma… di taglia medio-grande e bisognosi di spazio e corse. Speriamo che anche per loro si possa trovare una buona adozione.

E veniamo alle parole Thich Nhat Hanh. E’ un estratto da uno dei suoi ultimissimi libri, “Ogni istante è un dono”, in realtà un libricino breve e molto scorrevole, diviso sostanzialmente in due parti: la prima dove ci sono ricordi e poesie dal suo passato nel Vietnam nel terrore della guerra, ma anche prima e dopo di essa; la seconda con insegnamenti di un buddhismo, il suo, che è sempre calato nella vita quotidiana e mai astratto.


Solo quando…

Mio caro, non cercare la felicità nel futuro. Non aspettare quel giorno, non aspettare un lontanto futuro poi… Non dire che quella felicità sarà possibile solo quando avrai questo o quello. Cos’è che stai cercando? Cos’è che stai aspettando? E’ la fama? La ricchezza? Il potere? Il sesso? Oppure è solo la distrazione dal vuoto interiore? Non pensare che sarai davvero felice solo quando avrai ottenuto queste cose. Non aspettare il poi.

Guardati intorno. Ci sono una miriade di persone che hanno tutte queste cose, ma non hanno la pace mentale, non sono ancora felici. Non sentono mai di avere abbastanza perché il pozzo dei desideri è senza fondo. Se siamo assetati ma continuamo a mangiare del sale, avremo sempre più sete. Dobbiamo imparare le pratiche di avere il numero minimo di desideri possibile e di “ho abbastanza”. Quando riusciamo a vedere che in questo preciso momento abbiamo già abbastanza, la nostra sete viene saziata, la nostra brama viene placata, e la vera felicità diventa possibile.

[…]

I nostri cari sono qui. Sono il nostro compagno o compagna, il nostro amico o amica, i nostri figli o i nostri genitori. Eppure abbiamo la sensazione che il semplice essere insieme non basti, ci serve qualcosa di più. Sentiamo il bisogno di andare in cerca di successo, trionfo, più soldi o un più alto status sociale da portare ai nostri cari per farli felici, per renderli orgogliosi, per conquistarne l’amore. Il poi diventa la condizione dell’ora.

Molti di noi pensano che soltanto quando avremo questo o quello, soltanto quando la situazione cambierà, soltanto allora potremo essere felici. Non riconosciamo la nostra felicità nell’ora e la cerchiamo nel poi. Siamo convinti che la felicità sia situata in un imprecisato momento futuro. Ci diciamo a vicenda: “Dobbiamo aspettare, tesoro, e poi…”. E mentre siamo impegnati a cercare di creare quel poi abbandoniamo i nostri cari nell’ora. Sacrifichiamo l’ora che è così prezioso per un poi che non arriva mai.

Il poi appartiene sempre al futuro. E’ un’illusione che non può mai diventare realtà.

Thich Nhat Hanh

Vita e morte sono nella mente – un pensiero di Sogyal Rinpoche

La scoperta più rivoluzionaria del Buddhismo è questa: vita e morte sono nella mente, e in nessun altro luogo. La mente è vista come la base universale di tutte le esperienze, il creatore della felicità e della sofferenza, il costruttore di ciò che chiamiamo vita e di ciò che chiamiamo morte.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal Rinpoche


Per il Buddhismo, la vita, come la percepiamo, è una sorta di Matrix, ovvero un’illusione della mente. L’illusione non sta in ciò che materialmente abbiamo attorno – un albero è vero, non è un’illusione – ma in come noi lo percepiamo. L’albero dell’esempio non è una entità separata, è un tutt’uno con ciò che lo circonda, non vi è una vera separazione. Ogni cosa, noi stessi, è una “precipitazione”, una “condensazione” dell’energia universale, qualcosa che la nostra mente separa dal resto, ma tale separazione, come un’onda dell’oceano che è parte dell’oceano stesso, è solo un inganno della percezione.

Al di là di questo, in pratica, la mente è davvero la creatrice di tutto ciò che percepiamo, soprattutto delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti. Una volta ebbi una delusione sentimentale. Ricordo che ero in palestra, in stato di frustrazione. Improvvisamente ebbi una sorta di illuminazione, mi guardai attorno e mi dissi “Dov’è la persona che ti sta facendo soffrire? Qua non c’è, perché allora soffri?” e improvvisamente la sofferenza passò. Anni dopo subì un grave lutto. Feci lo stesso esperimento… e funzionò, anche se dopo, poiché non lo trovavo giusto, preferì non continuare. Ma in realtà… cosa è giusto e cosa non lo è? Culturalmente sappiamo che dobbiamo piangere quando subiamo una perdita, che dobbiamo disperarci quando ci dicono che ci resta poco da vivere. Ma tutto ciò è vero o è frutto di condizionamento? Ad ogni modo, è sempre lei, la mente, a decidere quando dobbiamo soffire o dobbiamo disperarci. Giusto o sbagliato che sia. Questa è una delle dimostrazioni che ciò che percepiamo non è il “teritorio”, ma è solo una “mappa” mentale. Una mappa che non è immutabile, ma che anzi è un processo dinamico dovuto all’esperienza ad al condizionamento.

Quando il buddhismo dice che non c’è nascita e non c’è morte, significa che un “me”, separato dal resto, non esiste, è solo frutto della percezione della mente. Il “me” è un’onda dell’oceano, la cui nascita e la cui fine non possono esistere, perché il mare esisteva prima e continuerà ad esistere dopo. Assieme all’onda che, semplicemente, non sarà più un’apparazione manifesta, ma continuerà comunque ad esistere nell’oceano.

Jones e Junior

 

Riflettere sulla morte – un pensiero di Sogyal Rinpoche

Anche questo 2016 sta riservando parecchie sorprese. Diciamo che il periodo di tanto sospirata serenità, che sembrava dietro l’angolo fino a qualche settimana fa’, è ancora un miraggio.

Sappiamo benissimo che la serenità non è un “traguardo” bensì una condizione che si può raggiungere ogni tanto nel corso della vita, per poi cercare di mantenerla il più a lungo possibile. Quanto a lungo però… è quasi indipendente dai nostri sforzi: la vita fa’ quel che vuole, non guarda in faccia nessuno. Non guarda ai meriti, all’impegno, alla bravura o alla bontà. Dico sempre che la vita non è “meritocratica”, non c’è un premio. Nell’aldilà… non lo so, non so nemmeno se c’è un’aldilà, e soprattutto nessuno sa davvero come è fatto e se e in quale modo ne faremo parte.

Il riconoscimento della transitorietà della vita è uno dei capisaldi del Buddismo. La sua promessa è quella di liberarci dalla sofferenza, soprattutto mentale, e dalla paura della morte, riuscendo così a vivere pienamente il tempo che abbiamo. Fondamentalmente l’idea è: non respingendo l’idea della morte, ma anzi accogliendola completamente, alla fine si termina di averne paura, poiché si riconosce l’inutilità di qualcosa dalla quale è impossibile fuggire. Non ha senso dunque averne paura. Vero, il buddismo ha la reincarnazione, ha un aldilà come lo hanno i cristiani, seppure diverso. Eppure non è la rinascita il vero scopo del buddismo, essa non è nemmeno così importante. Si narra che il Budda storico, quello realmente vissuto, non rispondeva mai alle domande sull’aldilà e sulla rinascita, poiché, diceva, questi sono solo pensieri che rischiano di distogliere l’attenzione sulla vera liberazione, quella della mente, quella dalla paura e dalla sofferenza. Che esista o meno un aldilà.

Il pensiero illuminista occidentale è invece l’opposto, è la negazione della morte. Sappiamo tutti, a livello logico, che moriremo, ma restiamo aggrappati alla vita come se ciò fosse evitabile. Qualche tempo fa’ misi un post, tratto dal pensiero di uno psicologo romano, che sosteva che è inutile cercare di “risolvere” la paura della morte: è impossibile uscirne, si può solo “svagarsi”, pensarci il meno possibile. E’ un po’ il “La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti.” di Epicuro.

Quale delle due si scelga, e lo stesso vale per l’idea della resurrezione cristiana, comunque va perseguita totalmente, questo è il difficile. Tutte difficilmente resistono alla prova del tempo, della malattia, della vicinanza della dipartita, propria o dei propri cari. Quasi nessuno ci riesce, basta lasciare uno spiraglio di porta aperta al dubbio e l’angoscia e la paura entrano strisciando.


Riflettere sulla morte ha lo scopo di indurre un reale cambiamento nel profondo del cuore. Ciò può richiedere un periodo di ritiro e di contemplazione, perché spesso solo così possiamo aprire davvero gli occhi a come stiamo usando la nostra vita.

La contemplazione della morte vi darà un senso sempre più profondo di ciò che viene chiamato ‘rinuncia’, in tibetano ngé jung. Ngé significa ‘realmente, totalmente’ e jung, ‘nascere, emergere, venire fuori’. Il frutto di un’assidua e profonda riflessione sulla morta è che vi sentirete ‘emergere’, spesso con un senso di nausea, dai vostri modelli abituali. Vi scoprirete sempre più disposti ad abbandonarli, finché saprete liberarvene con la stessa facilità, dicono i maestri, “con cui si toglie un capello da una fetta di burro”.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal Rinpoche

La mente, meraviglia e nemica – un pensiero di Sogyal Rinpoche

Bene, il 2016 ormai è iniziato. Un saluto dai nostri animalotti (manca Sissi… lei non si schioda dal suo divano 😀 ).

Ogni anno buttiamo giù i nostri buoni propositi per l’anno nuovo di cui poi quasi sempre ci dimentichiamo. Se ci prendessimo la briga di andare a leggere quelli degli anni precedenti chissà cosa scopriremmo, non dico sui completati con successo, ma anche solo a riguardo di quelli che abbiamo almeno tentato di portare avanti, diciamo, per un paio di mesi 🙂

Il passo seguente ci ricorda come la mente possa essere il nostro paradiso o il nostro inferno, a seconda di come la usiamo. Ci sono persone che, purtroppo, versano in condizioni gravissime, eppure sono serene; altre che hanno piena salute e uno stato socio-economico invidiabile… eppure moralmente e psicologicamente sono distrutte. Ciò che fa la differenza è sempre la mente.

Da ciò si deduce l’importanza di controllarla. Ma come?

La mente è come un cane, il momento del “cambiamento” è essenziale nel suo controllo. Se il cane vede un nemico, dobbiamo essere immediati nel richiamarlo, un attimo di ritardo e, quando ormai “il sangue gli è andato al cervello”, ogni richiamo è inutile.

Chi li ha provati, sa che anche gli attacchi di panico, ma in generale gli stati emotivi, sono così. Se si riesce a “riportare la mente a casa” immediatamente, li si può evitare, altrimenti non si può che aspettare che facciano il loro doloroso percorso e passino. E poiché il successo genera fiducia nelle proprie possibilità, genera il successo futuro. Tuttavia prima che il controllo diventi un automatismo, ci vogliono innumerevoli successi, e qui sta il difficile: raramente “siamo presenti” a noi stessi, molto più spesso ci facciamo trascinare supinamente dai nostri stati emotivi e perdiamo il controllo.

Il buddhismo dice che non è pensabile riuscire ad affrontare i grandi cambiamenti senza prima aver imparato a gestire quelli piccoli, che nascono nella nostra mente, ed esorta perciò ad essere vigili sui cambiamenti di stato della propria mente, nel riconoscerli prontamente e gestirli finché è possibile.

Quando sarà diventata una sana abitudine, allora saremo pronti a gestire i cambiamenti, anche quelli dolorosi e drammatici che, altrimenti, ci devasterebbero.

Ecco, per quest’anno il mio unico proposito è questo: essere osservatore dei miei stati mentali, riconoscendone i cambiamenti agli albori e, se necessario, intervenendo prontamente per eliminare paura, angoscia, rabbia.

Ovviamente non mi aspetto di riuscirci, non sempre, anzi all’inizio sarà solo una volta ogni tanto, ma è la ripetizione, il non arrendersi, il riprendere il tentativo più e più volte senza lasciarsi abbattere dagli insuccessi, a portare alla riuscita. Soprattutto bisogna sapere che è possibile, eliminando il dubbio che non sia alla nostra portata.

La mente è malleabile, come scritto solo pochi post or sono, ma per cambiarne il funzionamento occorre innumerevole ripetizione.


 

La mente può essere meravigliosa, ma allo stesso tempo anche il nostro peggior nemico. Ci crea un’infinità di problemi. A volte vorrei che fosse come una dentiera, che si può togliere e lasciare tutta la notte sul comodino. Almeno, potremmo avere un po’ di tregua dalle sue noiose e spossanti divagazioni. Siamo così in balia delle mente che perfino quando sentiamo che gli insegnamenti spirituali fanno risuonare una corda dentro di noi, e ci toccano più di ogni altra esperienza, continuamo ugualmente ad esitare, per una sorta di radicata ed inspiegabile diffidenza. Prima o poi, però, dobbiamo smetterla di diffidare; dobbiamo lasciar andare i dubbi e i sospetti, che in teoria dovrebbero proteggerci ma non lo fanno mai, e finiscono col danneggiarci anche più di ciò da cui dovrebbero difenderci.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche

La malleabilità della mente – un pensiero di Sogyal Rinpoche

I maestri buddhisti di meditazione sanno quanto sia flessibile e malleabile la mente. Se la educhiamo, tutto diventa possibile. Siamo stati perfettamente educati dal samsara per il samsara, siamo stati educati a provare invidia, educati ad afferrare, educati a provare ansia, tristezza, disperazione e avidità; educati a reagire con rabbia a tutto ciò che ci provoca. Siamo così bene educati che queste emozioni negative sorgono spontaneamente, senza nessuno sforzo per suscitarle.

Tutto sta nell’educazione e nella forza dell’abitudine. Se siamo sinceri con noi stessi, sappiamo anche troppo bene che la mente, se la consegnamo alla confusione, diventa una un’oscura maestra di confusione, abile nelle sue intossicazioni, subdola e perversamente docile alle sue schiavitù. Consegnatela, con la meditazione, al compito di liberarsi dall’illusione e scoprirete che, con il tempo, la pazienza, la disciplina e la pratica corretta, incomincerà a sciogliere i propri nodi e a riconoscere la propria beatitudine e chiarezza essenziali.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche

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Commento di Wolfghost: al di là del richiamo alla meditazione, che possiamo sentire o non sentire, è indubbio che la mente sia estremamente malleabile. Ciò è evidente nei bambini e nei cuccioli in generale: sono come spugne, vedono e imitano tutto ciò che vedono fare, e così imparano. Il problema è che di ciò non siamo normalmente consapevoli. Diamo per scontato che le nostre reazioni, i nostri pensieri, siano indipendenti e incontrollabili, che, per dirla con Sogyal, sorgano spontanei. Eppure essi sono figli dell’abitudine.

L’abitudine non si cambia con un singolo atto di volontà, ma con la costanza e la ripetizione. Non è facile, ma imparare a evitare la rabbia, l’ostilità, la paura, l’angoscia, le disperazione e altre emozioni e sentimenti negativi è senza ombra di dubbio un premio che dovrebbe stimolarci a provarci e a non arrenderci al primo ostacolo.

Perseo e Jones

Lutto e sentimenti – un pensiero di Sogyal Rinpoche

Una perdita, un lutto possono farvi diventare acutamente consapevoli delle conseguenze di non aver dimostrato nella vita amore e comprensione, di non aver chiesto perdono, e ciò può rendervi molto più sensibili verso le persone care che restano.

Dice Elizabeth Kubler-Ross: “Cerco di insegnare alla gente a vivere in modo da dire agli altri queste cose mentre possono ancora ascoltarle”. E Raymond Moody, dopo una vita di lavoro con le esperienze di pre-morte, scrive: “Ho incominciato a capire quanto tutti siamo vicini alla morte nella vita quotidiana. Ora più che mai sono attento a comunicare alle persone che amo i miei sentimenti”.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche

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Commento di Wolfghost: tutti, almeno tra le persone che ho conosciuto io, diventiamo più ricettivi verso i sentimenti e il rispetto degli altri e della vita in generale, allorquando subiamo un lutto o andiamo vicini alla morte, anche se ognuno risponde a questi drammatici eventi a modo proprio. Tuttavia, sebbene sia auspicabile e necessario superare la fase del lutto o della paura per poter continuare a vivere, troppo spesso dopo un po’ di tempo molte persone ricadono negli stessi errori di prima, come se non avessero imparato nulla. Tornano a prendersela oltre misura per banalità, ad essere solamente incentrati su sé stessi, a non rispettare la vita in ogni forma in cui essa si presenti, a sottovalutare le cose davvero importanti.

Un tempo amavo dire che meglio sarebbe restare un po’ più ignoranti piuttosto che subire lezioni tremende, ma visto che queste, purtroppo, accadono ugualmente, è un peccato – nel vero senso del termine – non imparare nulla.

 

Un aggiornamento su Tom: verrà operato per l’asportazione del tumore martedì prossimo, tra una settimana esatta. Poi non potremo fare altro che restare in attesa del risultato dell’esame istologico, così poi da decidere se e quale terapia adottare.

Riportare la mente a casa e… aggiornamenti su Julius

Aggiornamento Julius, 22 settembre: oggi il ragazzo non ha quasi mangiato, tuttavia il veterinario è venuto a visitarlo e… si è detto soddisfatto: ricordando com’era dieci giorni fa’, con tre zampette su quattro nella fossa, il miglioramento è evidente, anche se ci sarà tanto da lottare. Pare che Julius non mangi quando la febbre sale sopra i 39 gradi (che non corrispondono ai nostri 39, per fortuna: la temperatura basale dei gatti è più alta), e stasera gli ha trovato 39,4. Abbiamo deciso di tornare a terapia piena con i corticosteroidi poiché il veterinario pensa che la temperatura sia salita per la riduzione della dose. Anche la diagnosi è cambiata: essendo al momento sopravvissuto, il veterinario pensa a questo punto che sia un problema autoimmune (anemia emolitica autoimmune) che probabilmente aveva da tempo e si è via via aggravato. E’ meno grave di un tumore e si può tentare di curarla con la stessa cura che abbiamo iniziato ormai undici giorni fa’. Poi, a seconda dei risultati, la cambieremo, perché i medicinali che prende non si possono assumere per lungo tempo. Adesso la prossima pietra miliare sarà giovedì: per allora, grazie al ripristino della dose di medicinali, si spera che la temperatura si sia abbassata. Vedremo… Buonanotte a tutti, noi adesso iniziamo la terapia serale a Julius 😉

Ieri sera pensavo di mettere un aggiornamento su Julius; Lady Wolf però mi ha suggerito “Sì, ma basta col post ‘Addio Julius’! E’ vivo: mettine uno nuovo!”. Ed aveva ragione: è ora di andare avanti e… cambiare post 😉

Così stasera vi metto un brano del maestro buddhista tibetano Sogyal Rinpoche, del quale ho parlato pochi post or sono, e… vi aggiorno sul ragazzo 🙂

Partiamo con Julius.

Julius, 19 settembre 2015

Questo era Julius stamattina. La foto è la più… bella, ce ne sono altre nelle quali si nota lo sguardo ancora… diverso, ma abbiamo scelto di mettere questa. Non fosse per il segno della rasatura sotto collo, per il prelievo di sangue di una settimana fa’, non si noterebbe granché, vero? Bé… in realtà si può vedere che è dimagrito dallo “svuotamento” di ciccetta sulla coscia. Ma chi non è abituato a vedere Julius spesso… non può accorgersene. Inoltre si intravede il colorito giallastro dell’interno-orecchia (fate il raffronto con la foto sotto).

Julius è tornato a mangiare, seppure con moderazione. Mangiucchia l’umido (tonno in gelatina), pezzi di stecchino (prima ci provava ma a causa della masticazione difficile sputava quasi tutto) e, mi dice Lady Wolf (io non l’ho visto), perfino qualche crocca. Inoltre la sera gli diamo un po’ di omogeneizzato. Come? Bé, a forza di tentativi abbiamo trovato la chiave: mi poggio Julius sulle cosce, come se fosse “seduto”, mettiamo un po’ di omogeneizzato tra pollice e dorso della mano e, avvicinandogliela al muso… lecca da solo! 🙂

Come medicinali, la novità “pesante” è che da stasera dimezziamo il corticosteroide… speriamo bene! Stava reagendo bene e non vorrei che il merito fosse di questo prodotto! Per gli altri medicinali – flebo, antibatterico, epatoprotettore e multivitaminico – continuamo così.

Lo stato del “gatto-capo” è migliorato: a tratti è tornato ad aggirarsi per casa e giardino, anche se riposa molto a lungo ed ha comprensibili difficoltà a saltare. Il colorito di lingua, mucose e pelle, appare meno giallo. Tuttavia è evidente che non è fuori pericolo, si ha come la sensazione che… la situazione possa cambiare rapidamente. O sono le parole profetiche del veterinario che ci fa’ pensare che c’è poco da sperare.

Noi andiamo avanti.

Julius con la “sorellina” Numa, 2010

E ora il brano di Sogyal Rinpoche.

“Quando insegno la meditazione incomincio spesso dicendo: “Riportate la mente a casa. Allentate la presa. Rilassatevi”.

Riportare la mente a casa significa portare la mente nello stato di dimorare nella calma mediante la pratica della presenza mentale. Al livello più profondo, riportare la mente a casa significa rivolgerla verso l’interno e farla riposare nella natura della mente. Questa è la forma più alta di meditazione.

Allentare la presa significa liberare la mente dalla prigionia dell’afferrare, riconoscendo che la paura, il dolore e l’angoscia derivano dall’avidità della mente che afferra. A livello più profondo, la fiducia che nasce dalla sempre maggiore comprensione della natura della mente ispira quella profonda e naturale generosità che vi rende capaci di lasciare andare tutti gli attaccamenti che sono nel vostro cuore. Così il cuore si libera, sciogliendosi nell’ispirazione della meditazione.

Infine, rilassarsi significa essere spaziosi e rilassare la mente da tutte le tensioni. A livello più profondo, vi rilassate nella vera natura della mente, lo stato di Rigpa. E’ come colare lentamente una manciata di sabbia su una superficie piatta: ogni granello trova spontaneamente il suo posto. Lo stesso accade se vi rilassate nella vostra vera natura, lasciando che i pensieri e le emozioni si calmino naturalmente dissolvendosi nello stato naturale della mente.”

Sogyal Rinpoche – Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire

Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire – Sogyal Rinpoche

Sogyal Rinpoche, maestro buddhista tibetano, è tra i miei autori preferiti. Sul mio blog ho già presentato uno dei suoi libri: Vivere e morire – Il libro tibetano del vivere e del morire, per me autentico capolavoro. Purtroppo, pur essendo molto attivo in tutto il mondo – ha avuto una parte perfino nel film di Bertolucci “Il piccolo Buddha” – non ha scritto molto, altri soli due libri a parte il precedente (che però da solo ne vale cento); “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” è uno di questi.

Normalmente non mi piacciono le raccolte di aforismi o pensieri e questo è proprio uno di quei libri “un pensiero al giorno” con tanto di data.

Tuttavia gli aforismi sono davvero pochi e sempre a tema, gli altri sono tutti brevi pensieri di Sogyal Rinpoche con un numero percentualmente elevato di essi che merita davvero riflessione attenta.

E poi… non è forse estate? Cosa c’è di meglio di un breve pensiero prima di addormentarsi o qua e là nel corso della giornata, magari in una sosta su qualche sasso con vista monti o su uno scoglio in riva al mare? E “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” si presta bene, visto che è anche tascabile 😉

Comunque nel seguito vi proporrò qualche pensiero tratto dal libro, anzi inizio proprio dal primo che ci aiuta a capire quanto questa filosofia sia distante dalla nostra società occidentale: provate in giro a dire che vi state preparando alla morte… sentirete i commenti! Come minimo vi sentirete dire il classico “Ma vivi e non pensarci!”, come se questo nascondere la testa sotto la sabbia allontanasse l’ineluttabile problema. Il punto è che pochi in Occidente accettano davvero di pensare alla morte: sanno solo, a livello “scolastico”, che accadrà, ma dentro di sé c’è una rimozione completa della faccenda. Ma affrontare la morte significa non solo svuotarla dal terrore che essa apporta ma anche vivere molto più pienamente che facendo finta che essa non ci riguardi.

“Secondo la saggezza del Buddha, noi possiamo utilizzare la vita per prepararci alla morte. Non dobbiamo aspettare che la morte dolorosa di una persona cara o una malattia terminale ci costringano finalmente a considerare la nostra vita. E neppure siamo condannati ad affrontare la morte a mani vuote, andando incontro all’ignoto. Possiamo incominciare qui e ora a trovare un significato nella nostra vita. Possiamo trasformare ogni momento in un’occasione per cambiare e per prepararci, con sincerità, accuratezza e pace mentale, alla morte e all’eternità.”

Tom alle cascate Arroscia

Fine stagione 2013-2014 e Istituto Lama Tzong Khapa

Ho usato un termine un po’ calcistico (“stagione 2013-2014”) per indicare la fine delle vacanze e il prossimo rientro al lavoro 😦 In effetti il vero spartiacque tra due anni, per chi ha un lavoro “classico” con ferie più o meno agostane, è questo anziché le vacanze natalizie… anche perché Lady Wolf, che lavora per un commercialista, sotto Natale di vacanze ne ha davvero poche o nulla.

Colgo allora l’occasione per fare una breve disamina del periodo. Personalmente parlando, abbiamo quasi terminato ferie che sono state caratterizzate dal maltempo più o meno senza soluzione di continuità, si saranno salvati si e no cinque o sei giorni, incluse le giornate di ieri e di oggi. Peccato, perché avendo terminato il trasloco a metà Luglio non avevamo nemmeno goduto dei pochi weekend estivi precedenti e quindi abbiamo praticamente saltato tutti i viaggetti “fuori-porta” che ci piacciono tanto.

Comunque qualcosa abbiamo fatto. Un paio di giorni fa, in particolare, abbiamo fatto un salto all’Istituto Lama Tzong Khapa, in quel di Pomaia, in provincia di Pisa. Si tratta di uno dei principali siti di buddhismo tibetano d’Europa. Ci ero già stato nel 1999, ovvero ormai quindici anni fa, e da parecchio volevo mostrarlo anche a Lady Wolf che ha particolarmente apprezzato. Il posto è immerso nelle colline toscane, è molto silenzioso, e anche chi vi abita o ci va a fare pratica, studiare o meditare, rispetta tale silenzio. Non ci sono insomma schiamazzi o rumori, e si respira un’aria di serenità. Mi è piaciuto molto il commento che dopo una mezz’ora ha fatto Lady Wolf: “… mi sembra che tutto sia rimasto fuori”, dove “tutto” è quanto di negativo aveva accumulato, soprattutto per le difficoltà legate al lavoro, nel corso dell’anno. Ci torneremo sicuramente, stavolta fermandoci anche per un paio di notti, magari seguendo uno dei corsi offerti ai visitatori.

Comunque ci siamo portati a casa alcuni oggettini di arredo, oltre a qualche libro, che mi piacciono molto e che, spero, portino anche un po’ di serenità e fortuna 🙂 Si tratta di due drappi verticali di buona fortuna, con impresso il mantra om mani padme hum, e di una ruota di preghiera, contenente un rotolino di mantra della Grande Compassione, che potete vedere nelle immagini.

Non sono buddhista, tuttavia questa è una delle filosofie alle quali mi sento più vicino, lo definirei più un “metodo” per controllare i propri stati mentali e liberarsi dalla sofferenza, che una filosofia o una religione, anche se certamente ha richiami legati alla tradizione e alla cultura nella quale si è sviluppata che richiamano una vera e propria religione.

Obiettivi per… la stagione 2014-2015? Bé, per Lady Wolf è imperativo trovare un nuovo lavoro. Sappiamo che non sarà facile, ma sono convinto che ce la farà. Anche a me piacerebbe cambiare, aprire un’attività che sia tutta mia, ma essendo il mio un lavoro full time e discretamente retributo, mi rendo conto che il mio “salto” sarebbe più rischioso. Quindi… non lo accantono, diciamo che resterà il classico sogno nel cassetto da tirare fuori al momento opportuno… se tale momento arriverà mai.

Poi, vorrei riuscire a dedicare più spazio proprio alle pratiche di controllo mentale ed emotivo a cui ho accennato sopra. Ci sono poche cose che mi spiazzano… ma quelle lo fanno molto, troppo. E ciò non va bene. Credo davvero che la grande parte della sofferenza delle nostre vite possa essere eliminata. E’ vero infatti che il dolore fisico, se c’è, resta, ma anche in questo caso esso è molto spesso accompagnato da stati di malessere mentale, come angoscia, paura, disperazione, o, in altri casi, rabbia e ira. Eliminate queste ed avrete eliminato la maggior parte della vostra sofferenza.

Per il resto, qua ci troviamo bene… spero che per qualche anno riusciremo ad evitare nuovi traslochi, anche se, lo sappiamo bene, la vita è come il Monopoli: esistono probabilità… ma anche – e tanti – imprevisti 🙂