Paura – supera la tempesta con la saggezza, un libro di Thich Nhat Hanh

Bene, eccomi qua dopo più di due mesi 😮 🙂

Non vi nascondo che a volte penso di chiudere. Non l’ho ancora fatto perché questo blog per il suo valore storico (ha più di undici anni ormai) è una specie di diario che serve più a me che per chi, passando da qua, lo legga.

Per riprendere ho deciso di affidarmi ad un estratto da un libro del monaco buddhista vietnamita Thich Nhat Hanh, da me già citato in passato in diverse occasioni.

Il libro è “Paura – supera la tempesta con la saggezza” e in esso Thich Nhat Hanh, che a volte è poetico e semplice – probabilmente in modo voluto perché sa di rivolgersi principalmente ad un pubblico che non è pronto per la profondità e la vastità dei concetti buddhisti – va un po’ più sul “tecnico” riuscendo, nonostante la brevità del libro, a toccare corde profonde.

Vi lascio all’estratto, specificando – mi sembra doveroso – che il buddhismo non chiede in realtà di lasciare nulla, bensì di viverlo senza attaccamento. L’attaccamento, dovuto principalmente all’ignoranza della vera natura delle cose, è ciò che scatena la nostra sofferenza. Senza attaccamento si può avere e godere di tutto. Con l’attaccamento… meglio sarebbe non avere nulla. Da qui le indicazioni del Buddha citate nel testo.


Tutto ciò che mi è caro e tutte le persone che amo sono soggetti per natura al cambiamento. Non c’è modo di evitare di essere separato/a da loro.

Questa è la quarta rimembranza: “Inspirando so che un giorno dovrò lasciar andare tutte le cose e le persone che amo. Espirando, non c’è modo di portarle con me”. Ogni cosa che oggi mi è cara dovrò lasciarla domani, che si tratti della mia casa, del mio conto in banca, dei miei figli o del mio bellissimo compagno o della mia bellissima compagna. Dovrò abbandonare tutto ciò che oggi conta per me: non potrò portarmi dietro nulla quando morirò. E una verità scientifica: ciò che ci è caro, ciò che oggi ci appartiene, domani non ci sarà più. Dovremo prendere commiato, non solo dai nostri oggetti più cari, ma anche dalle persone che amiamo.
Alla nostra morte non possiamo portare con noi nient’altro o nessun altro, eppure ogni giorno combattiamo per accumulare sempre più denaro, sapere, fama e così via. Anche quando raggiungiamo l’età di sessanta o settant’anni, continuiamo a cercare di appropriarci di più sapere denaro, fama e potere. Sappiamo che i ricordi e le cose che sono vicine al nostro cuore un giorno dovranno essere abbandonati. Ecco perché chi ha intrapreso la vita monastica impara a non accumulare nulla. Secondo il Buddha, i monaci dovevano possedere solo tre vesti, una ciotola da mendicante, un filtro per l’acqua e una stuoia per sedersi, e dovevano essere preparati a lasciare anche queste poche cose. Il Buddha diceva spesso non dovremmo essere attaccati nemmeno a quel posto ai piedi dell’albero dove amiamo metterci a sedere e a dormire. Dovremmo essere capaci di stare seduti e di dormire ai piedi di qualsiasi albero. La nostra felicità non deve dipendere dall’avere un posto particolare. Dobbiamo essere pronti a lasciare andare ogni cosa.
Se pratichiamo e impariamo a lasciare andare, possiamo essere liberi e felici adesso, oggi. Se non riusciamo a lasciare andare, soffriremo, non
solo il giorno in cui non potremo farne a meno, ma sin da oggi e ogni singolo giorno che verrà, perché la paura ci perseguiterà senza tregua.

Thich Nhat Hanh

 

 

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Il controllo della paura e delle emozioni – L’amigdala

Siamo arrivati ad Aprile, un po’ il mio mese, visto che conta il mio onomastico, il mio compleanno, una data per me molto importante, e il mese di nascita del mio amato Julius, scomparso ormai sei mesi fa. A marzo ho pubblicato un post solo, un vero record (negativo) del mio blog 🙂 Quindi vediamo di iniziare Aprile con un nuovo post. Che poi nuovo non è, visto che è la riproposizione di un post di Marzo 2008 (qui trovate quello originale: Il controllo della paura e delle emozioni – L’amigdala) che trovo ancora valido. Anzi, adesso che rispetto al 2008 ho avuto modo di conoscere anche il mondo dei cani, grazie a Tom, arrivato nel 2009 come “dote” di mia moglie 🙂 , posso aggiungere che quanto scritto è certamente vero anche nel mondo animale: c’è un solo istante per “richiamare all’ordine” un cane o un gatto che stanno per… “dare di testa”, ed è l’istante nel quale si “accendono”, per esempio vedendo un avversario. L’istante dopo è già troppo tardi, il “sangue gli è andato alla testa” e fermarlo diventa solo un’azione di forza 😉

Ed è vero, molto spesso, anche per noi 🙂


 

alligatoreL’amigdala è la parte più antica del nostro cervello. E’ una parte che abbiamo in comune perfino con i serpenti ed i rettili in generale.

Essa è una sorta di “memoria emotiva” la cui funzione principale è di memorizzare cio’ che è stato causa di dolore per poi eventualmente riconoscerlo e segnalarne la presenza affinché si possa reagire nel più breve tempo possibile allontanandosi dalla sua minaccia.

Cosa usa? La paura. Di fatto la paura è una reazione tutt’altro che dannosa. Anzi, guai se non ci fosse. E’ un campanello di allarme.

Per fortuna, nella società moderna le cause concrete di pericolo, che dovrebbero stimolare l’insorgere della paura, sono molto inferiori rispetto ad un tempo: non ci sono belve feroci, le vipere non sono poi così comuni, e, in fondo, nemmeno chi cerca di farci la pelle è frequente come in tempo di guerra.

litigioPurtroppo pero’ l’uomo ha una sorta di “masochismo innato” che deve in qualche modo mantenere :-P, ha finito allora per aggiungere all’elenco di pericoli concreti altre voci sulle quali i nostri avi si sarebbero fatti grasse risate: le paure – spesso infondate – di tradimenti del partner, i timori di fare brutta figura, un esame da superare, un approccio da tentare, un litigio per cause futili, un colloquio con un superiore.
Concentratevi e ne troverete a dozzine da soli.
Non dico che queste non siano cose importanti, ma… non dovrebbero arrivare ad essere causa di “paura”.

Ma, una volta ricevuto l’input (a proposito… “iNput”! Non “iMput”,come vedo scritto spesso! ;-)) di apprendere che anche queste sono cause di paura, l’amigdala fa scattare il suo allarme ogni volta che esse si presentano.
omicidaCosì noi, sull’onda dello stato emotivo alterato, ci ritroviamo a compiere azioni che in situazione di calma non faremmo. Azioni magari sproporzionate – come quella della signorina qua a lato 😉 – delle quali spesso ci potremmo pentire!

Ma c’è un istante, l’istante tra cui l’amigdala entra in funzione e quello in cui trasmette l’allarme, nel quale è possibile consciamente fermare quell’impulso e valutare se è il caso o meno di dargli credito.

Se non lo facciamo, al momento successivo la reazione diviene pressoché automatica. Cioé incontrollabile.

Non è facile. Come al solito serve una buona consapevolezza, ma… in fondo, non è vero che tutti sentiamo quando stiamo per reagire emotivamente? Non è forse per questo che i nostri nonni avevano ideato ad esempio il famoso metodo del “contare fino a 10”? Evidentemente già loro, senza sapere cosa fosse l’amigdala, si erano accorti che controllare le reazioni emotive, quali paura, ira, rabbia, era possibile, purché si agisse immediatamente.

Soprattutto per chi è spesso sottoposto a situazioni che possono provocare scatti d’ira, gelosia o altre emozioni tendenzialmente nefaste, vale la pena allenarsi a riconoscere e sfruttare questo prezioso attimo che precede la tempesta.

gatto arrabbiato

La mente, meraviglia e nemica – un pensiero di Sogyal Rinpoche

Bene, il 2016 ormai è iniziato. Un saluto dai nostri animalotti (manca Sissi… lei non si schioda dal suo divano 😀 ).

Ogni anno buttiamo giù i nostri buoni propositi per l’anno nuovo di cui poi quasi sempre ci dimentichiamo. Se ci prendessimo la briga di andare a leggere quelli degli anni precedenti chissà cosa scopriremmo, non dico sui completati con successo, ma anche solo a riguardo di quelli che abbiamo almeno tentato di portare avanti, diciamo, per un paio di mesi 🙂

Il passo seguente ci ricorda come la mente possa essere il nostro paradiso o il nostro inferno, a seconda di come la usiamo. Ci sono persone che, purtroppo, versano in condizioni gravissime, eppure sono serene; altre che hanno piena salute e uno stato socio-economico invidiabile… eppure moralmente e psicologicamente sono distrutte. Ciò che fa la differenza è sempre la mente.

Da ciò si deduce l’importanza di controllarla. Ma come?

La mente è come un cane, il momento del “cambiamento” è essenziale nel suo controllo. Se il cane vede un nemico, dobbiamo essere immediati nel richiamarlo, un attimo di ritardo e, quando ormai “il sangue gli è andato al cervello”, ogni richiamo è inutile.

Chi li ha provati, sa che anche gli attacchi di panico, ma in generale gli stati emotivi, sono così. Se si riesce a “riportare la mente a casa” immediatamente, li si può evitare, altrimenti non si può che aspettare che facciano il loro doloroso percorso e passino. E poiché il successo genera fiducia nelle proprie possibilità, genera il successo futuro. Tuttavia prima che il controllo diventi un automatismo, ci vogliono innumerevoli successi, e qui sta il difficile: raramente “siamo presenti” a noi stessi, molto più spesso ci facciamo trascinare supinamente dai nostri stati emotivi e perdiamo il controllo.

Il buddhismo dice che non è pensabile riuscire ad affrontare i grandi cambiamenti senza prima aver imparato a gestire quelli piccoli, che nascono nella nostra mente, ed esorta perciò ad essere vigili sui cambiamenti di stato della propria mente, nel riconoscerli prontamente e gestirli finché è possibile.

Quando sarà diventata una sana abitudine, allora saremo pronti a gestire i cambiamenti, anche quelli dolorosi e drammatici che, altrimenti, ci devasterebbero.

Ecco, per quest’anno il mio unico proposito è questo: essere osservatore dei miei stati mentali, riconoscendone i cambiamenti agli albori e, se necessario, intervenendo prontamente per eliminare paura, angoscia, rabbia.

Ovviamente non mi aspetto di riuscirci, non sempre, anzi all’inizio sarà solo una volta ogni tanto, ma è la ripetizione, il non arrendersi, il riprendere il tentativo più e più volte senza lasciarsi abbattere dagli insuccessi, a portare alla riuscita. Soprattutto bisogna sapere che è possibile, eliminando il dubbio che non sia alla nostra portata.

La mente è malleabile, come scritto solo pochi post or sono, ma per cambiarne il funzionamento occorre innumerevole ripetizione.


 

La mente può essere meravigliosa, ma allo stesso tempo anche il nostro peggior nemico. Ci crea un’infinità di problemi. A volte vorrei che fosse come una dentiera, che si può togliere e lasciare tutta la notte sul comodino. Almeno, potremmo avere un po’ di tregua dalle sue noiose e spossanti divagazioni. Siamo così in balia delle mente che perfino quando sentiamo che gli insegnamenti spirituali fanno risuonare una corda dentro di noi, e ci toccano più di ogni altra esperienza, continuamo ugualmente ad esitare, per una sorta di radicata ed inspiegabile diffidenza. Prima o poi, però, dobbiamo smetterla di diffidare; dobbiamo lasciar andare i dubbi e i sospetti, che in teoria dovrebbero proteggerci ma non lo fanno mai, e finiscono col danneggiarci anche più di ciò da cui dovrebbero difenderci.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche

Il coraggio di bussare

Bene, come suggerisce l’amica Alessandra, è davvero tempo di mettere un nuovo post ma poiché siamo dai parenti meranesi di Lady Wolf, lei è febbricitante da ieri (apparentementemente ha iniziato a sentirsi male durante il viaggio… che non abbia più l’età? :-D) e io ho il solito mal di testa che ormai mi trascino da un po’ (sarà l’età? :-P), direi che non posso dilungarmi 🙂 Ripesco allora un breve post di fine ottobre 2007 la cui pubblicazione originale con i commenti dell’epoca potete trovare qua: il coraggio di bussare

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(foto mia: Palazzo Te, Mantova)
porta palazzo te - MantovaLA PORTA DELLA LEGGE
Kafka racconta la storia di un uomo che cerca la giustizia e arriva al Palazzo della Legge. Davanti alla porta del Palazzo, c’è un soldato di guardia. Visto che la sentinella non gli rivolge una sola parola, l’uomo decide di aspettare. Aspetta un giorno, ma la guardia continua a restare in silenzio.
“Se rimango qui, capirà che voglio entrare,” pensa l’uomo. E rimane lì fermo. Passano giorni, settimane, anni interi. L’uomo è sempre lì davanti alla porta, e la sentinella continua a montare la guardia. Passano decenni, l’uomo invecchia, e non riesce più a muoversi.
Finalmente, quando sente che la morte si sta avvicinando, raccoglie le sue ultime forze e domanda alla guardia: “Sono venuto fin qui in cerca della giustizia. Perché non mi hai fatto entrare?”.
“Io non ti ho fatto entrare? – risponde sorpresa la sentinella – Tu non mi hai mai detto che cosa stavi facendo lì. La porta era aperta, bastava spingerla. Perché non sei entrato?”.

Commento di Wolfghost: Quante occasioni si perdono nella vita perche’ si ha paura che bussando non ci sara’ aperto? Nessun rimpianto per un passato che ormai non si puo’ recuperare, piuttosto un invito ad avere il coraggio, in futuro, di chiedere, e non di aspettare che gli altri capiscano da soli e ci vengano incontro.
Il mondo e’ pieno di uova di Colombo che aspettano solo di essere colte.

Ispirazione

Il seguente post è stato pubblicato da me la prima volta il 27 ottobre 2007, trovate il link originale con le risposte date allora qua: Ispirazione

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“Qcorpiuando sei ispirato da alcuni grandi propositi, da qualche progetto straordinario, tutti i tuoi pensieri rompono le loro catene. La tua mente trascende le limitazioni, la tua consapevolezza si espande in ogni direzione, e scopri te stesso in un nuovo, grande e magnifico mondo. Forze sopite, facolta’ e talenti prendono vita, e scopri te stesso essere una persona di gran lunga piu’ grande di quanto tu abbia mai sognato essere.” – Patanjali, Filosofo indiano – Yoga-Sutras

Chi non ha mai provato, almeno una volta nel corso della sua vita, l’esaltante stato d’animo descritto da Patanjali? Solitamente e’ stato un evento, un incontro, qualcosa che si e’ parato fortuitamente sul nostro cammino a donarcelo. O almeno cosi’ pensiamo. Di solito ci danniamo per qualcosa che non abbiamo o che che abbiamo perso. Qualcosa che abbiamo desiderato cosi’ tanto da pensare che senza di esso la nostra vita non e’, o non sarebbe piu’ stata, degna di essere vissuta.

Eppure, se ci riflettiamo, la magia accade nella nostra mente. E’ la nostra mente. Perfino quando quel qualcosa che funge da ispirazione non e’ attorno a noi, o non e’ stata raggiunta, la nostra mente la ricrea dentro di noi; puo’ essere immagine, suono, sensazione… Il gatto e la lunapuo’ essere qualcosa che non si riesce a definire, ma quel qualcosa e’ come se fosse sempre li’, presente, a spronarci. Siamo noi, nel momento in cui abbiamo deciso di farci coinvolgere da quel sogno, da quella musa ispiratrice, chiunque o qualunque cosa essa fosse, che abbiamo acceso la forza incontenibile della ispirazione. Noi in quel momento abbiamo visto qualcosa che di solito non notiamo e raccogliamo. Noi non ne siamo di solito coscienti, ma il nostro stato d’animo, la nostra determinazione, la nostra voglia di sognare, il coraggio di affrontare le nostre paure, lo spirito di reazione nelle avversita’ e nel rompere gli schemi negativi che ci affliggono, contribuiscono enormemente al fatto che quel qualcosa di straordinario avvenga.

Ogni sogno che tramuta in realta’, parte sempre da noi e dalla nostra mente. Ogni ispirazione nasce prima di tutto dall’anima che la esperisce.

Coltivate i vostri sogni, lottate contro la vostra inerzia, i vostri blocchi, la paura di risultare forse ridicoli. Agite perche’ quei sogni possano divenire realta’. Forse non avverra’, e rimarranno solo bellissimi sogni, ma se non lo fate, la possibilita’ che si realizzino sara’ davvero minima.

Voi siete la vostra prima ispirazione…

Warming Up for the Night“Aspettiamo tutti questi anni per trovare qualcuno che ci comprenda, pensai tra me, qualcuno che ci accetti come siamo, qualcuno con un potere magico che sappia trasformare le pietre in luce solare, che ci porti felicità nonostante le controversie, che possa far fronte ai nostri draghi notturni, che ci possa mutare nelle anime che scegliamo di essere.
Soltanto ieri ho scoperto che quel magico Qualcuno è la faccia che vediamo nello specchio: siamo noi, e le nostre maschere casalinghe.
Dopo tutti questi anni, c’incontriamo finalmente…
Pensate un po’.”
Richard Bach, “Via dal Nido.”

Il Coraggio (di William Penn Patrick)

Continua la pubblicazione di alcuni post del passato che trovo ancora d’interesse 🙂 Questo, che ho pubblicato la prima volta il 10 ottobre del 2007 (qui trovate il post originale con i commenti dell’epoca: Il Coraggio (di William Penn Patrick)), è una vera e propria lode al coraggio. Il punto che oggi mi fa più riflettere è questo: “Gli uomini forti creano le circostanze che tornano utili ai loro bisogni e desideri”. In realtà credo che gli uomini forti TENTANO di creare le circostanze a loro utili, non sempre ci riescono. Tuttavia almeno ci provano, casa che molti di noi non fanno o non fanno più. Su tutto il resto concordo: il coraggio – che, è bene ribadirlo, non è esistente di per sé ma solo come risposta alla paura – è davvero una delle qualità che può cambiare il corso della vita di una persona. E concordo anche sul fatto che possa essere “allenato”, non è cioé una dote intrinseca: può essere acquisita e rafforzata. Anche su questo dovremmo riflettere attentamente…
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tigre
Perchè la vita della maggior parte degli uomini viene controllata da circostanze insignificanti e banali?
Mi sento rattristato quando osservo persone perdere le buone e grandi cose che sono a loro portata di mano e che potrebbero loro appartenere con “un solo piccolo atto di coraggio”!
L’uomo mediocre, ossia l’ “Uomo Medio”, è colui al quale mi riferisco.
E’ quello che ha così poca stima di se stesso da non potersi fidare delle proprie idee e dei propri giudizi, ma in sostanza deve contare su fonti d’appoggio esterne per le proprie decisioni.
Questo è l’uomo che viene guidato dalla massa.
Questo è l’uomo che accetta come verità tutto ciò che legge.
Questo è l’uomo che infine diventa uno tra la folla.
Questo è l’uomo che ottiene un certo successo solo quando viene trasportato sulla cresta dell’onda, generata da quei pochi individui che hanno spirito d’iniziativa eccezionale.
Questo è l’uomo che mantiene un atteggiamento positivo fintanto che si trova alla presenza d’individui positivi, ma se viene lasciato a se stesso si “sgonfia”.
Questo è l’uomo che vende la sua primogenitura (il diritto alle proprie idee) per paura di ciò che egli ritiene il suo vicinato potrà pensare.
Questo è l’uomo che si sente potente se è spalleggiato dall’azione della massa, ma che ha paura della propria ombra.
Questo è l’uomo gregario, che paventa la propria iniziativa. Leonessa, regina della giungla
Questo è l’uomo che nasconde le proprie azioni sotto ad un manto di nobiltà, dato che la sua disonestà gli impedisce di affrontare la verità e la realtà.
Questo è l’uomo che si sentirà tradito se la fortuna non si curerà di lui.
Questo è l’uomo che viene guidato dalle circostanze.
Gli uomini forti creano le circostanze che tornano utili ai loro bisogni e desideri.
Se tu sei un uomo che si lascia cogliere dalle circostanze, la miglior cura per questo male è il coraggio.
Il coraggio è la più bella fra tutte le espressioni umane.
Il coraggio, come lo immagino io, è un ‘atto di sfida alla paura’.
Noi abbiamo bisogno di coraggio solamente se abbiamo paura, il chè significa che dobbiamo essere coraggiosi quasi sempre, poichè abbiamo costantemente paura di qualche cosa.
Io ho scoperto che la paura recede quando si trova di fronte anche ad un benchè minimo atto di coraggio; non solo, ma – come avviene per un muscolo – il coraggio si rafforzerà se continueremo ad esercitarlo.
Il consiglio che do a me stesso è: “pratica le cose che temi e continua di questo passo fino a che non ti faranno più paura, solo allora sarai diventato padrone del tuo destino”.
Io ho esaminato le azioni sia di uomini grandi che piccoli, eppoi ho studiato questi stessi uomini.
Da questa indagine sono emerse parecchie differenze.
Tutte queste differenze che contano hanno alla loro base un unico fattore: il coraggio.
Il coraggio è quell’unico elemento che separa il debole dal forte, l’uomo di successo dall’uomo fallito, il grande dal mediocre.
Tutte le cose che desideri nella vita hanno un’unica impugnatura per afferrarle, che è forgiata per la mano dell’uomo di coraggio.
Avere paura significa essere vivi.
Combattere la paura significa essere uomini.
Un giorno qualcuno disse: “Preferirei morire in piedi che vivere in ginocchio”.
William Penn Patrick
Un timido leone

C.G. Jung e la spiritualità necessaria

Dopo 15-20 anni dalla prima lettura, ho da un po’ finito la rilettura del libro di Carl Gustav Jung “Ricordi, sogni, riflessioni” . E’ un bellissimo libro, una autobiografia più emozionale e psicologica che storica del grande psichiatra svizzero. Avevo deciso di soprassedere, ovvero di non pubblicare un post su questo libro poiché tratta di così tanti argomenti che sarebbe improponibile farne un riassunto in un post. Tuttavia vi posso scrivere dell’aspetto che, più di ogni altro, mi ha colpito in questa rilettura e che, molto probabilmente, non è affatto il medesimo di quelli che fecero lo stesso vent’anni fa’. D’altronde nella vita si cambia, non c’è dubbio, e sarebbe molto strano se in un libro del genere un giovane di venticinque anni trovasse interesse nelle stesse cose che colpiscono un uomo di quarantesette. Ho deciso di scriverne anche perché mi è già capitato di citare questo aspetto commentando post in diversi blog amici; credo dunque che potrebbe essere interesse di molte persone. L’avviso che voglio dare è che è già passato qualche tempo dal termine di tale rilettura e non citerò dunque Jung, non mi ricorderei le sue parole, di nuovo sarebbe impossibile ricordarsene dopo un libro del genere; il mio sarà piuttosto un mio personalissimo riassunto o, ancora più esattamente, il riassunto di cosa di esso è diventato “mio”, proprio dopo lunga riflessione.

Jung fu un discepolo, per così dire, di Sigmund Freud. Freud fu suo amico e mentore, ma il rapporto andò via via deteriorandosi a causa della divergenza di visioni che i due avevano della vita, della sessualità, della spiritualità. In estrema sintesi, Jung, pur riconoscendone la genialità, arrivò a non sopportare più la chiusura mentale di Freud che metteva al centro delle problematiche della psicologia umana la sessualità facendo derivare da essa, o per meglio dire da problematiche ad essa legate, tutto, anche la spiritualità, di fatto negandola. Jung invece sentiva che nell’animo umano c’era qualcosa che inevitabilmente verso la spitiualità lo spingeva, qualcosa di innato, di archetipo, che non poteva essere zittito per sempre senza causare quel senso di non-appartenenza, di vuoto interiore, che molti di noi conoscono e che solitamente attribuiscono, cercando di darsene spiegazione razionale, ad altre cause. Via via poi che queste altre cause vengono risolte – se vengono risolte – un’altra causa, un altro capro espiatorio, viene trovato. E così via, senza risolvere mai definitivamente nulla e con anzi un crescente senso di frustrazione che aumenta sempre più l’angoscia del vivere.

Secondo Jung, la spiritualità è una componente indissolubile dell’uomo ed è proprio la sua negazione a gettarlo nello sconforto, nella disperazione. Addirittura pare di capire che per lui poco importava se l’oggetto della spiritualità fosse reale o meno, vero o falso: non seguirlo voleva comunque dire condannarsi ad una vita infelice.

Oggi viviamo in un periodo storico illuminista-materialista dove la spiritualità viene vista come superstizione dai più. Eppure proprio la scienza ci dice ed ammette che per moltissimi aspetti, dal microcosmo al macrocosmo, sappiamo di non sapere. Scoperte del secolo scorso, come la meccanica quantistica, ci dicono che nulla è come noi la vediamo, ma abbiamo preferito relegare queste ed altre scoperte in un ambito puramente scientifico, astratto dalla nostra vita che è rimasta materialista. Ci è stato insegnato qualcosa che ogni volta che tentiamo di credere ci dice “No, non è possibile, ti stai mentendo” per cui molti di noi non riescono più a ricollegarsi alla loro parte spirituale.

Eppure, a pensarci bene, Jung aveva ragione: che sia vera o falsa, quella corrente spirituale ci farebbe vivere meglio. Ci darebbe senso, eliminerebbe paure altrimenti inaffrontabili. Ci renderebbe più agevole affrontare i problemi e i drammi. Cosa cambia, in fondo, “dopo”?

Credo che la spiritualità sia effettivamente un archetipo, qualcosa che è in noi. Qualcosa che, dopo centinaia di migliaia di anni di riti e miti, non si può eliminare con un colpo di spugna come la scienza materialista vorrebbe. Che questo archetipo porti in sé una verità o sia solo il frutto di una favola raccontata da millenni, esso ci chiama e non vuole restare inascoltato. Per questo il non seguirlo, per Jung, ci crea un tormento inestinguibile.

Anche nella nostra testa possiamo perderci

Ho iniziato la stagione autunnale (anche se a rigore ha ancora da iniziare) nel migliore dei modi: mega-influenza che prima mi ha steso la gola (il peggior mal di gola che ricordi :-D) e poi è passato a bronchi e testa. Ovviamente sono andato al lavoro lo stesso, al punto da beccarmi qualche epiteto (peraltro giusto) da “appestato” o “untore” 😀 Spero mi passi presto poiché sabato prossimo è il terzo anniversario di matrimonio e Lady Wolf ha prenotato per il weekend in un hotel di Garda (sul Garda, ovviamente ;-)).

Il titolo del post prende spunto da un’altra riflessione fatta nel famoso viaggio da Merano già citato nel post precedente. Riflettevo sulla vicenda di Julius, disperso per tre giorni e due notti. Lo immaginavo terrorizzato, spaesato, incapace di agire morso com’era dallo spavento. Ne è nata una correlazione spontanea su quando andiamo in tilt nella nostra testa, solitamente a causa di paure e preoccupazioni. Il meccanismo è identico, anche se nel caso di Julius più immediato poiché lui si era perso fisicamente. Ma anche noi ci perdiamo, forse non fisicamente, ma ci perdiamo. Perdiamo la direzione, la “bussola”, finendo per girare in eterno sulla stessa faccenda. Un pensiero ricorrente, a ragione o torto, è insorto a spaventarci e preoccuparci, ma invece di reagire iniziamo a cercare di risolverlo solo cerebralmente finendo per tornare sempre al punto di partenza, allo stesso pensiero, poiché nulla si può risolvere solo con la mente. Ci siamo persi e stiamo girando a vuoto.

A volte, come nel caso di Julius, siamo fortunati e qualcuno ci viene a recuperare, a darci uno scossone, a dirci che “la campana non è ancora suonata”. A volte però non succede oppure non basta: allora solo noi possiamo interrompere questo nefasto circolo vizioso, questo schema mentale ripetitivo. Dobbiamo agire, o se la logica ci dice che ancora non è il momento, distrarci, riuscire a pensare o fare dell’altro. Poi quel pensiero tornerà, ma per allora, forse, saremo pronti per agire.

Quando scoprite che state pensando per l’ennesima volta la stessa cosa, allora vi siete persi nella vostra testa e dovete forzarvi a cambiare strada: se potete, agite, se ancora non è logicamente il momento di agire, allora pensate ad altro, ritornare mille volte sullo stesso punto non è costruttivo e fa perdere solo tempo ed energie.

Forse, se vi accorgete che questo comportamento lo ripercorrete spesso, allora sarà maeglio cambiare… modo di vivere, di pensare, di reagire alle avversità. A volte basta un pizzico di follia. La follia, intesa in senso buono, arricchisce di ironia ed autoironia, stempera la paura, permette di affrontare le sfide con più serenità.

Personalmente sposo la follia, e spero di farlo sempre di più.

L’ultimo rifugio e’ dentro di noi

Perche’ cerchi la gloria, l’applauso, il consenso, l’amore degli altri, la sicurezza emotiva, la distinzione? Perche’ ti condanni ad elemosinare un sorriso, un’amicizia, il sesso e la compiacenza di qualcuno, quando esiste una condizione di Essere come quella del sole che vive del proprio splendore? Perche’ ti concedi a prodotti volgari quando l’Oro purissimo splende nel fondo della tua caverna?

Raphael, “La Via del Fuoco”

Volevo oggi pubblicare un post dal titolo “L’ultimo rifugio e’ dentro di noi”, un post che avrebbe parlato di un luogo ove c’e’ sempre silenzio, quiete, pace, nonostante tutto il rumore, il caos, la paura, il dolore e l’angoscia che sono intorno. Non sono particolarmente in forma pero’, percio’ ho lasciato introdurre l’argomento al buon Raphael.

Dico subito che la sentenza di Raphael e’ da interpretare: non intende dire che le cose descritte vanno respinte, bensi’ che non vanno “elemosinate”, cercate ad ogni costo. Se arrivano, bene, altrimenti non bisogna farsene un problema, perche’ il valore di ogni cosa, di tutto, siamo noi a stabilirlo, che ne siamo consapevoli oppure no. Queste cose possono per noi essere tutto, ma possono anche non essere niente.

E’ un po’ lo stesso concetto induista (e buddista) di “maya“, ovvero di illusione che avvolge tutte le cose: non e’ che le cose non esistano, che siano false, esistono eccome ma ognuno di noi le esperisce a modo proprio ed e’ quel personalissimo modo di percepirle, legato allo “Io”, che non esiste, che e’ illusorio. Ogni cosa, di per se’, non ha alcuna connotazione negativa o positiva. Perfino la morte.

Abbiamo casi facili da vedere ed altri che lo sono meno. Ci sono persone che impazziscono perche’ non riescono a vincere una partita, mettiamo, ad un gioco alla Playstation. Arrivano a starci male fisicamente. Non hanno presente quale valore abbia nel computo di una vita la vittoria a quel videogioco, sentono solo che per loro e’ fondamentale, non possono vivere senza. E perche’? Perche’ la loro mente e’ rimasta incastrata nel desiderio, divenuto folle, di vincere quella partita. Se riuscissero solo per un attimo a fermare la loro mente, si renderebbero subito conto di quale follia stanno perseguendo. Ma la mente vive di vita propria e non vuole morire, percio’ elabora una serie di trabocchetti per non lasciarli andare.

E’ meno facile da capire, ma e’ cosi’ per tutto, anche per le cose che comunemente sono ritenute essenziali.

La mente e’ il nostro “Io”, e’ la costruzione mentale che abbiamo fatto e subito nel corso della nostra vita. E’ illusione, non concreta, ma e’ un chiacchiericcio interminabile che impedisce di connettersi alla percezione di pace che e’ in noi. Ecco perche’ molte filosofie esoteriche parlano di “morire a se stessi”. Non siamo noi a dover morire, ma e’ quell’Io che ci imprigiona nell’ignoranza, nella confusione, nella paura.

La realta’ esiste, il nostro corpo esiste, ma la costruzione mentale che abbiamo di essi, che abbiamo di noi stessi, e’ falsa, e’ come un film proiettato su uno schermo bianco: potete trasmettere qualunque genere di film e identificarvi in esso, ma lo schermo resta in ogni caso bianco.

Non sempre riesco a rientrare in quel nucleo di pace e silenzio che e’ dentro di me, ci sono riuscito solo a volte. Momenti in cui stavo molto male fisicamente, moralmente o psicologicamente. E posso testimoniare che quel luogo esiste e non dipende dalla fede, dal credo. Si puo’ anche essere atei: esiste comunque.

Vorrei estendere il tempo nel quale riesco a stare in esso, magari prolungarlo indefinitamente. Forse e’ un sogno, forse avrei dovuto perseguirlo con impegno e costanza molto tempo fa per riuscire a farcela. Ma puo’ anche darsi che anche questi dubbi siano un trucco dell’Io per evitarsi di morire.

Superare la Paura della morte – dal libro di Lucio Della Seta

Bene, finalmente sono pronto a pubblicare l’annunciato estratto dal libro “Debellare l’ansia e il panico” di Lucio Della Seta. Pensate che mi sono portato il libro in ufficio per una settimana con l’idea di scriverlo durante una delle pause pranzo ma, ovviamente, non ho avuto tempo 😛 Comunque, anche se in ritardo, eccolo qua 🙂

Superare la Paura della morte

La nostra vita ha una caratteristica indecente: finisce sempre male con tutti che piangono.

Di conseguenza, per capire le nostra difficoltà esistenziali ci dobbiamo ricordare che solo qualche decina di migliaia di anni fa i nostri antenati non sapevano di esistere. Né sapevano di morire. Secondo me, quando la funzione cosciente si è sufficientemente sviluppata da permettere loro di capire che si muore per sempre, sono andati fuori di testa.

Nel tempo hanno cominciato a portare del cibo ai morti, a inventare cerimonie, riti, religioni, superstizioni, sperando così di evitare la catastrofe.

D’altra parte, a meno di non essere seguaci della dottrina indiana della Maya, in cui la realtà non esiste e tutto è illusione, quello che sappiamo è che passiamo un certo periodo di tempo su una palla di terra, acqua, fuoco, che gira attorno al Sole.

Non sappiamo altro. Allora inventiamo. Deliriamo.

La definizione di “delirio” da parte della psichiatria è: “”una convinzione che non corrisponde né alla ragione né all’esperienza”.

Ma la psichiatria si limite a considerare deliranti solo quei comportamenti e quelle idee che appartengono a piccolo minoranze, e non considera deliranti una grande quantità di comportamenti solo perché troppe persone vi sono coinvolte.

Credersi Napoleone è delirio, mentre chi è convinto della pericolosità dei gatti neri non delira.

Insomma, se idee o concetti chiaramente deliranti sono comuni a molti, a una maggioranza, non sono più deliri.

Nelle nostre condizioni, avere dei pensieri deliranti e teorie inventate che cercano di capire e di conoscere la realtà è normale.

Ci possiamo illudere di sapere qualcosa ma non è vero: quindi è fisiologico delirare, anche se questi deliri sono poi fonti di sofferenza.

Tutte le superstizioni sono forme di delirio e la loro eliminazione è condizione indispensabile per il benessere mentale. Superstitio viene dal concetto di essere superstiti, di sopravvivere.

Chi ha l’ansia non deve conservarne neppure una. Faccia questa guerra e ne avrà enormi vantaggi perché ogni superstizione alimenta, direttamente o indirettamente, la Paura di morire.

Ho visto che nel Taoismo c’è una pratica particolare e molto saggia, si chiama Wu Wei e consiste nel “non fare”.

E’ un non fare attivo, un astenersi.

Applicare il concetto di Wu Wei al fatto che si muore è un intelligente rimedio all’irrisolvibile.

Più si tenta di risolvere il problema della morte e più se ne rimane invischiati.

Il Wu Wei può servire a governare questa Paura decidendo di non occuparsene. Si deve imparare a non occuparsene, perché non è vero che si tratta di un problema risolvibile.

Tra i significati del Wu Wei, qui, il “non fare” equivale a resistere alla tentazione di far seguito pensieri, considerazioni, idee, azioni alla Paura della morte. A 360 gradi.

E’ inutile illudersi di risolvere il problema della morte con invenzioni e pratiche che non possono funzionare mai fino in fondo.

Occuparsene è, semplicemente, una trappola infernale.

Non è impossibile imparare a essere attivi nel “non fare”.

Ci si deve abituare a non occuparsi mai del fatto che si muore. Quando viene in mente che c’è la morte, si deve imparare a ignorare questa istanza. Allora essa si estingue, smette di presentarsi e tormentarci.

Quando viene il pensiero della morte si deve imparare a restare fermi con la mente, vuoti, fino a quando il pensiero scompare. Non è facile, ma funziona.

Il beneficio per gli ansiosi è evidente, visto che l’Ansia, lo ricordo, è in ultima analisi Paura della morte.

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Commento di Wolfghost: può sembrare che questa visione sia estremamente materialista e distante dal mio modo di vedere le cose, ma non lo è veramente, non troppo almeno. In fondo ricordiamoci che il Buddha storico non rispondeva mai alle domande sulla vita dopo la morte ritenendo la faccenda superflua. Quello che interessava era la libertà dalla sofferenza, qui e adesso. La vera meditazione, in fondo, è assenza di pensiero e può perciò essere usata anche per eliminare il pensiero della morte, senza “risolverne” il problema. Lo si rimuove semplicemente. Una specie di “lontan dagli occhi, lontan dal cuore”.

Se il metodo può essere applicato a questa visione, il “progetto” finale è diamentramente opposto nel caso dei buddhisti tibetani odierni: i buddhisti infatti cercano di accettare la morte, non di evitarne il pensiero. Questa, per me, sarebbe la soluzione ideale poiché evita di ritrovarsi un giorno impreparati di fronte alla morte, sempre che essa non arrivi di colpo, senza darci il tempo di pensare.

Tuttavia è molto difficile.

E’ più facile imporsi di non pensare alla morte che cercare di accettarla fino in fondo, di convivere con la consapevolezza che c’è. Questo lo so per esperienza. Forse è per questo che Della Seta ritiene la morte un problema “irrisolvibile”.

Non so se sia veramente così, sono anzi certo che ci sono molte persone che la morte l’hanno accettata veramente, la loro come quella dei loro cari. E il cui pensiero non li disturba più.

Probabilmente l’approccio corretto è personale e la scelta individuale insindacabile.

Insomma… fate la vostra scelta, io qui non posso esservi di aiuto 🙂