La dama bianca, seconda parte – racconto [foto mie]

“Si, ho ricevuto la sua foto, almeno credo, non ho ancora avuto modo di aprire la sua e-mail”, rispose il dottor Kupfner, noto studioso di fenomeni paranormali, fantasmi compresi.
“La esaminero’ non appena possibile, ma le dico gia’ da adesso che quasi sempre le strane macchie sono dovute a riflessi sull’obiettivo, giochi di luce o disegni casuali di mura e pareti”.
“Grazie dottore, e’ sicuramente cosi’, ma… be’, preferirei esserne sicura”.

Key decise di non parlarne con nessuno, un po’ temeva di esser presa per visionaria, un po’ sentiva esser giusto cosi’. Se l’era lasciato scappare solo con Vic quando aveva gli spedito tutte le foto della cartella, e ovviamente ne aveva ricevuto la prevedibile risposta ironica.

Passo’ qualche giorno. Key aveva iniziato a dare meno peso alla foto, ci pensava solo saltuariamente allorche’ controllava la casella di posta aspettandosi di trovare la risposta di Kupfner. Ma non c’era mai. Inizio’ a pensare che probabilmente Kupfner, dopo essersi fatto una sonora risata alle sua spalle per una foto normalissima, avesse cestinato il tutto. Ma alla fine la curiosita’ vinse e chiamo’ il dottore…

“… il dottor Kupfner e’… deceduto ieri notte”. Disse la voce femminile, probabilmente quella della segretaria.
“Cosa? Ma… com’e’ successo?”
“Non si sa di preciso. L’hanno trovato nel suo letto. Pare essergli mancato il respiro nel sonno. Se non fosse per…”
“Non fosse per… cosa???”
“Aveva un’espressione contrita sul volto… come se qualcosa l’avesse terrorizzato, eppure gli occhi erano chiusi…”.
Key avverti’ di nuovo quel gelo lungo la schiena.
“Mi dispiace molto… Non vorrei tediarla con cose stupide ma…. avevo mandato una foto al dottore qualche giorno fa, ne sa nulla?”
“Si, il dottore l’aveva trovata interessante, percio’, dopo averne fatto un ingrandimento, l’ha inoltrata ad altri esperti del settore. Appena ho un po’ di tempo gliela inoltro, cosi’ puo’ trovare l’indirizzo dei destinatari”
“Grazie, e’ molto gentile…”

Quella sera Jelly era, se possibile, ancora piu’ irrequieto del solito, correva qua e la come un matto lanciando miagolii striduli. Non che fosse un’assoluta novita’ per lui… Intanto Key cercava, senza successo, di mettersi in contatto con Vic.

“Ma dove sei finito Vic?! Non rispondi al telefono, non ti colleghi sulla chat…”

(continua)

ingrandimento

La dama bianca – racconto [foto mie]

le stregheEra ormai notte inoltrata. Finalmente Key aveva finito il suo lavoro e si stava concedendo, come spesso succedeva prima di andare a dormire, qualche minuto di conversazione su una chat online con Vic, il suo compagno che aveva appena cominciato a lavorare trovandosi al momento dall’altra parte dell’oceano.
“Io spengo, buona giornaplkmoiyugwa”
“Oh! Scusa, Jelly e’ di nuovo saltato sulla tastiera! 😐 ” – Jelly era il gatto di di Key, un irrequieto tigrato europeo sempre in movimento.
“ahahah non preoccuparti, l’avevo capito! 🙂 Ehi… prima di chiudere, hai poi ritrovato le foto che avevamo fatto nel nostro viaggio in Italia? Brad e Cecilia andranno in Riviera il mese prossimo e volevo mostrargliele. Ricordi che te le avevo chieste… all’incirca una settimana fa’? 😉 ”
“… hai ragione, scusami, e’ che in questo periodo il lavoro non mi da tregua! Credo di averle su questo PC, ci guardo subito!”
“Adesso e’ tardi, guardaci domani, con calma, ma… non dimenticarti!”

TrioraChiusero la conversazione. Ovviamente Key ando’ subito alla ricerca delle foto e in effetti trovo’ la cartella relativa al viaggio in Riviera. Gia’ che c’era diede un’occhiata alle foto, erano passati quasi 5 anni e alcune nemmeno ricordava di averle fatte… Si soffermo’ in particolare su quelle fatte a Triora, il “paese delle streghe” situato nell’entroterra ligure al confine con la Francia. Non era certo il posto piu’ bello tra quelli che aveva visitato durante quella vacanza, eppure qualcosa di quel posto l’aveva in qualche modo turbata… saranno state le leggende locali sulle streghe, le immagini e gli scritti inquietanti visti nel museo della stregoneria, oppure semplicemente il fascino del dedalo di viuzze, cunicoli e angoli nascosti disseminati ovunque nel piccolo paese arroccato sulle montagne…
Improvvisamente, mentre le scorreva, l’occhio le cadde su una foto in particolare… le parve di scorgere qualcosa, una figura quasi… eppure quella foto era li’ da quasi 5 anni e non ci aveva mai fatto caso… Senti’ un brivido freddo percorrerle la schiena…
(continua)

originale

Il leone e i cacciatori – racconto di Anneheche e Wolfghost

In realta’ di mio c’e’ poco, solo il pezzetto tra la chiusura del racconto e la citazione della leggenda indiana 😀 Il resto e’ di anneheche, che sicuramente conoscete gia’… altrimenti non potete perdervi i suoi racconti: anneheche blog 😉

 

Buona lettura 🙂


cacciatoreIl leone e i cacciatori

Il leone era inquieto. Aveva fiutato l’usta di due uomini e stava valutando se attaccarli o tornare al suo rifugio. I cacciatori gli si erano avvicinati sottovento, ma il leone aveva compiuto un lungo giro portandosi alle loro spalle; da quella posizione era in grado di sentire il loro odore. Un misto di tabacco, cuoio e sudore che lo disgustava, e gli ricordava esperienze molto spiacevoli. Da sempre associava il pericolo a quel particolare afrore; in tempi recenti aveva perso la sua compagna ad opera di quegli irriducibili nemici.
Era un grosso felino di quasi duecentotrenta chili, ormai anziano: aveva perso molta della sua forza e della sua agilità, acquisendo in compenso esperienza e sagacia. Abbandonò il luogo dove si trovava per seguire il percorso degli uomini, continuando a rimanere sottovento. Sapeva che non avrebbero smesso di dargli la caccia, almeno fino a quando la luce del giorno fosse stata loro alleata. Se li avesse tenuti a distanza sino al tramonto, sarebbe riuscito a sopravvivere; durante la notte avrebbe cambiato zona, lasciando anche il rifugio che adesso non considerava più tanto sicuro. Era certo, infatti, che prima o poi sarebbero risaliti sin lì, conosceva troppo bene la loro ostinazione, che era seconda soltanto alla crudeltà innata. Il leone era stanco. Quella mattina aveva dato inutilmente la caccia a un’antilope, bruciando energie preziose; inoltre si sentiva debole dato che non mangiava da molto tempo. La soluzione migliore era decisamente quella di evitare la lotta e di aspettare le tenebre. Mentre procedeva, l’odore si fece più intenso, più vicino. Era una giornata caldissima, il sole batteva implacabile, non spirava un filo di vento e i cacciatori stavano sudando in abbondanza…o il cacciatore?
Improvvisamente uno stormo di uccelli si levò in volo. Il leone si appiattì, allarmato.
Si erano separati, e adesso uno dei due poteva essere sottovento. Guardò in quella direzione e gli parve di scorgere un’ombra che si faceva strada in mezzo a un gruppo di rocce. Doveva prendere una decisione immediata, altrimenti sarebbe rimasto intrappolato fra due fuochi. Sapeva di essere molto più veloce di loro, tuttavia non ignorava che disponevano di terribili strumenti di morte, gli stessi che avevano ucciso la sua compagna.
Sul profilo dell’orizzonte alcune giraffe si muovevano aggraziate, un branco di kudu brucava l’erba. Un babbuino fece risuonare il suo verso stridulo. Era un suono che il leone non sopportava; forse fu quello a deciderlo. Corse verso una boscaglia che distava circa mezzo miglio dal punto in cui si trovava.
Risuonò uno sparo. Il dolore fu inaspettato e lancinante.
Il felino tuttavia non cadde, scartò di lato evitando la seconda pallottola. Poi cercò di raggiungere comunque il riparo degli alberi. Il secondo cacciatore emerse da una sterpaglia, sbarrandogli la strada. Nel frattempo, l’altro uomo lo inseguiva da dietro. Non ci voleva molto a capire che quella era la sua fine, la fine di un vita lunga e avventurosa, a volte felice, in altri momenti rattristata dalla pervicacia con cui gli uomini avevano dato la caccia a lui e ai suoi simili. Era l’ultimo sopravvissuto di un branco che un tempo contava dodici leoni.
Questo perchè era il più forte, e il più astuto.
Fu raggiunto da un altro proiettile. Ruggì di dolore e di rabbia. Se era impossibile mettersi in salvo, poteva però vendicarsi; il ricordo della compagna agonizzante era ancora impresso nella sua memoria. Puntò sull’uomo davanti a lui, gli fu sopra con un grande balzo e gli sfondò il cranio con i canini. Abbandonò il cadavere per voltarsi a fronteggiare il secondo nemico. Comprese che ora aveva paura. Si lanciò nella sua direzione. L’uomo lasciò cadere a terra il fucile, raggiunse un albero e incominciò a salire agilmente, convinto di mettersi al sicuro. Evidentemente non era un professionista. Il leone si arrampicò a sua volta sull’albero.
C’era ancora tempo prima di morire.

 

… quella notte il leone si risvegliò. Attorno a lui prati in fiore, alberi maestosi, un ruscello di acqua fresca che scorreva lì vicino. Si accorse, con sorpresa, di non sentire più dolore, le ferite erano incredibilmente scomparse. Si sentiva in forze come non gli accadeva da anni, come fosse ringiovanito.
Aveva ancora un’espressione stupita in quegli occhioni felini, quando alcuni ruggiti alle sue spalle richiamarono la sua attenzione. Si voltò… la sua leonessa e i suoi due piccoli cuccioli, morti di stenti a pochi mesi di vita in un’estate di carestia, stavano correndogli incontro…
Si rese conto allora di essere sul quel Ponte dell’Arcobaleno di cui tanto aveva sentito parlare…

 

“Dall’altra parte dell’arcobaleno esiste un posto chiamato Ponte dell’Arcobaleno.
Quando un animale che è stato particolarmente vicino a qualcuno muore, egli va al Ponte dell’Arcobaleno.
Lì ci sono prati e colline per tutti i nostri amici speciali, cosicché essi possono correre e giocare insieme.
C’è tanto cibo, acqua ed il sole splende e i nostri amici stanno bene e al caldo.
Tutti gli animali che erano malati o vecchi riprendono salute e vigore, così come quelli a cui è stato fatto del male o che si sono feriti si sono rimessi in sesto, proprio come noi ce li ricordiamo nei nostri sogni di tempi e giorni ormai passati.
Gli animali sono felici e contenti, eccetto che per una piccola cosa: tutti provano nostalgia verso qualcuno davvero speciale che hanno dovuto lasciarsi alle spalle.
Tutti corrono e giocano insieme ma viene il giorno in cui uno si ferma improvvisamente e guarda all’orizzonte. I suoi occhi scintillanti sono attenti, il suo agile corpo freme. All’improvviso comincia a correre fuori dal gruppo, volando sopra l’erba verde; le sue gambe lo spingono sempre più veloce.
Sei stato avvistato e quando tu ed il tuo amico speciale finalmente vi incontrate, tutto è gioia e non vi separerete mai più.
La pioggia di baci felici sul tuo viso, le tue mani che accarezzano nuovamente l’amata testolina, tu che puoi guardare ancora negli occhi sinceri del tuo animale che da tanto se ne era uscito dalla tua vita ma che mai era stato assente dal tuo cuore.
Ora attraversate insieme il Ponte dell’Arcobaleno …”
(Leggenda del Ponte dell’Arcobaleno, Autore Ignoto; si dice sia stata tramandata per secoli tra gli Indiani d’America)

leone con cucciolo

Calvin e Clara – miniracconto

tristezzasn8Calvin e Clara erano ormai al limite dell’esasperazione: la loro vita era un inferno.

Lui era stato licenziato e ridotto sul lastrico; invece di sostenerlo, la moglie aveva chiesto il divorzio. Fu costretto ad abbandonare la loro casa, conquistata con tanti sacrifici e sudore, e tornare dai genitori, scornato e senza il becco di un quattrino.

Lei aveva scoperto il tradimento del marito, divenuto per reazione pericolosamente violento. Scappata di casa portando con se la figlioletta, sostenuta da sua madre, si era vista sottrarre l’adorata piccola dai giudici, che l’avevano assegnata a lui sostenendo che lei non poteva essere una buona madre, dato un passato – ormai remoto – da alcolista.

Sembrava che niente potesse andare peggio. Invece i genitori di entrambi erano sul quel maledetto aereo della Columbia, schiantatosi orribilmente al suolo… nessuno era sopravvissuto.
Si erano conosciuti proprio in quel frangente, nel terribile momento del riconoscimento dei poveri resti.
 
Forse complice il momento, nel quale entrambi erano bisognosi di conforto, forse la voglia di tornare a vivere, si erano piaciuti subito e la vita era miracolosamente tornata a fluire.

Ma la scoperta della malattia di lui, senza scampo, li prostro’ definitivamente.

Non erano certo stati i primi ad avere un Destino terribile, e non sarebbero stati gli ultimi.
Ma il loro Destino, a differenza di quello di tanti altri, aveva un nome e un cognome… e loro erano intenzionati a fargliela pagare.

Nottetempo, Calvin e Clara scivolarono fuori dalle pagine della bozza del libro e, saliti sul letto dell’autore del testo, lo soffocarono con il cuscino.

Il giorno dopo il telegiornale lo dara’ come misteriosamente morto nel sonno.

La bozza del libro, cercata a lungo dall’editore, non venne mai ritrovata…

Libro

Progetto Paradise – Quarta e ultima parte: Diritto di Recesso

operatore19:40… il cielo si preparava al solito tramonto senza nubi, puntuale come un orologio svizzero. William era ormai in linea da quasi mezz’ora, l’orribile musica di attesa del Call Center ricominciava ossessivamente ogni 30 secondi.

“Agenzia Progetto Paradise, sono Anthony, come posso aiutarla?”
“Buona sera!” – Rispose William quasi sorpreso – “vorrei esercitare il mio diritto di recesso, sono ancora nel mese di prova, seppure per pochi minuti”.
“Capisco signore, ne è sicuro? Se è scontento della nostra agenzia può sporgere reclamo o provarne altre”
“No, ho visto come operano le altre, voi siete obiettivamente i migliori…”
“Sono felice di sentirlo, signore!” – rispose sollevato l’operatore – “comunque a termine di legge devo leggerle la parte di statuto relativo alle conseguenze della scelta che sta per compiere”
“Va bene…”
“In seguito alla richiesta di recesso senza passaggio ad altra agenzia, il microchip contenente le sue cellule cerebrali di coscienza, installato nel Server Dell serie D96-42-394, verrà disinstallato. In seguito al distacco dalla fonte di energia, in pochi minuti le sue cellule moriranno. Il processo è irreversivibile.
E’ sicuro, signore?”
“… sì… non insista la prego, ci ho già pensato abbastanza, non mi sento bene… può farlo subito per favore?”
“No signore, noi non siamo autorizzati! Devo passarla al sistema automatico, stia in linea, prego…”

“Sistema automatico di registrazione delle richieste di recesso.
Lei è il signor William Nacs, nato il 9 ottobre 1992 a Houston, clinicamente morto in data 15 settembre 2027 al St. Luke’s Roosevelt Hospital di New York, cellule di coscienza trasferite su microchip Dell il 7 dicembre 2027; è corretto?
Rispondere sempre sì oppure no”.
“Sì…”
“L’operatore l’ha informata delle conseguenze della sua decisione?”
“Sì…”
“Questa è la sua ultima possibilità di ripensarci, è sicuro di voler esercitare il suo diritto di recesso?”
“…”
“Risposta non pervenuta, deve rispondere Sì oppure No. E’ sicuro di voler esercitare il suo diritto di recesso?”
… William chiuse gli occhi mentre una lacrima scendeva lungo il suo viso, sospirò…
“Risposta non valida. Deve rispondere Sì oppure No. E’ sicuro di voler esercitare il suo diritto di recesso?”

“… Si!”

tunnel
“Will! Siamo qui Will! Segui la luce!”

Non era una voce, eppure percepiva distintamente quelle parole e sapeva intuitivamente chi le stava pronunciando.
Anche ciò verso cui si mosse non poteva essere definita “luce”, non la vedeva con gli occhi, forse era energia… sicuramente era amore, ce n’era tanto adesso attorno a lui.

“Eccomi mamma!”
“Sei a casa Will!”

paradiso

 

Progetto Paradise – Parte III: Paradiso o Inferno?

minotauroEra un po’ che non tornava al Beyond the third star, aveva provato altri posti, anche molto diversi e particolari, ma non li aveva trovati di suo gradimento, forse proprio per la loro particolarità.
“Forse sono io che proprio non riesco ad ambientarmi, a cogliere lo spirito con il quale vive la gente qua” si trovò a pensare per l’ennesima volta.

Si sedette al solito tavolino, “abitudinario perfino in questo… e pensare che prima mi davano dell’eclettico!” pensò.
Un James Dean si avvicinò al suo tavolo con fare caloroso, come se avesse riconosciuto un vecchio amico.
“William! Quanto tempo! Dov’eri sparito? Certo, certo… anche io sono stato molto in giro, con tutto quello che c’è da vedere!”, l’uomo, abbracciandolo, sorrise.
“Ehm… mi scusi, ma temo di non…”
“William! Ahahah non imparerai mai! Sono Petra! Be’… non adesso, certo!” disse ridendo e facendogli l’occhiolino.
“Cosa? …”, l’espressione di William era visibilmente esterrefatta.
james_dean_by_schatt“Ma certo! E’ normale qua! Puoi fare quello che vuoi, essere ciò che vuoi, perché porsi dei limiti? Sei stato all’Animal Heaven, vero? Avrai visto… Che magnifico locale! Sì, non piace a tutti, alcuni lo trovano per gente troppo sopra le righe, ma io trovo divertente poter passare una serata da scimmia, tigre, unicorno o minotauro… non trovi? Per non parlare di quello che si inventano gli artisti! Non saprei nemmeno come chiamarli!” concluse con una sonora risata che, questa sì, gli ricordava la donna con cui aveva passato diverse notti.
William si sentì improvvisamente ancora più solo. C’era un vuoto incolmabile tra lui e la persona che aveva davanti, non ne pensava male, sentiva solo una grande distanza… e con gli altri non andava meglio, trovava tutto così artificiale, così falso… Trasse un profondo sospiro…
“Devo andare, Pe… ehm… non so come chiamarti!”
“Ma come? Di già? E’ prestissimo! Stai ancora un po’, dai!”
William guardò nervosamente l’orologio…
“No, mi spiace, ma non posso proprio fermarmi”.
“Da quanto sei qua, William?”
“… un mese esatto… scade stasera…”.
Petra tirò indietro la testa, guardandolo fisso… aveva capito.
“William… è poco che sei qui, sei una persona molto colta e simpatica, un po’ demodé forse, ma che importa? Devi solo darti un po’ di tempo!”
William abbasso lo sguardo e rispose molto lentamente, come se stesse in realtà riflettendo anche per sé stesso
“Vedi… questo è un posto che sulla carta sognavo, c’è tutto, puoi essere tutto… tutto… forse troppo… e senza fare alcuna fatica, alcuno sforzo, per l’eternit
à. Non ci riesco…”
“William… se vuoi ti posso aiutare sai? Ti porterò con me in giro, ti farò conoscere gente e posti che…”
“Dan! Eccoti qua!” – lo interruppe un Chuck Norris rumorosamente – “Ma dove eri finito? Dai, stiamo per iniziare la partita a ‘Trasformati in Oggetto’! Non vorrai perdertela, vero? Mi devi la rivincita!”
“Cavolo! Mi stavo dimenticando! Ciao William, dai ripensaci! Mi trovi qua, ok?” disse ‘Petra’ mentre, tirato per il braccio dal suo compagno di sfida, si allontanava…
[continua]

scultura9wd

 

Progetto Paradise – Parte II: Beyond the third star

DonnaIl locale era pieno di gente, tanto da non sentirsi in imbarazzo. Ordino’ un black russian seduto all’unico tavolino libero che era riuscito a trovare e inizio’ a sorseggiarlo lentamente. Presto si rese conto che la promessa di rapida socializzazione descritta nella guida era fondata: al primo incrocio di sguardi, una giovane e avvenente donna lo raggiunse al tavolino.

“Sei nuovo di qui, vero?” domando’ lei sorridendo.
“Accidenti, si nota cosi’ tanto?” penso’ lui, adesso si’ imbarazzato.
“Si, sono appena arrivato. Da cosa lo hai capito?”
“L’aspetto. Tutti i nuovi tendono a mantenere quello che avevano prima”, continuo’ a sorridere, stavolta con un tono divertito per l’ingenuita’ manifestata dell’interlocutore.
“Non capisco… mi sembra di essere vestito in maniera consona per questo locale…”
“Non parlo di vestiti, guardati bene attorno…”
William fece una rapida carrellata sulle persone che affollavano il locale. Tutte persone perfette, belle e… molto somiglianti a personaggi famosi, soprattutto del cinema. C’erano diverse Sharon Stone, Demi Moore, Scarlett Johansson. Il numero di Marilyn Monroe era addirittura imbarazzante. Tra gli uomini andavano per la maggiore Cruise, Pitt e Clooney, ma non mancavano uomini politici famosi, come Kennedy e Obama.
“Ah… ho capito… E tu? Come mai… ?”
“Come mai non assomiglio a nessuna diva? ahahah vedo che funziona! Io stasera ho scelto un’attrice degli anni ’50 che pochi ricordano, mi piace essere un po’… originale”.
“Stasera? Cambi spesso?”
“No, non tanto spesso. Ho amiche che cambiano anche due o tre volte nel corso della stessa serata!”
“Ma… perche’?”
“Non lo so. Noia suppongo, o forse semplice curiosita’”.

“Posso portarle qualcos’altro?” chiese il cameriere con una faccia, lui si’, anonima.
“No grazie, andiamo via” rispose prontamente Petra, questo era il nome dell’interlocutrice di William.
“Che tipo inquietante… non e’ il primo che mi fa questa impressione a Paradise City” disse William seguendo con lo sguardo il cameriere che si allontanava e ripensando agli agenti dell’ospedale. “Parole e gesti sembrano normali ma… c’e’ qualcosa di meccanico in loro…”
Petra scoppio’ in una fragorosa risata. “Ma di chi parli William, del cameriere? Il personale di servizio non e’ come noi, nessuno qui accetterebbe di fare lavori simili! Loro sono… programmi, software! Non c’era scritto sul libretto? Ti ci abituerai, sono monotoni, ma non danno alcuna sorpresa.”, disse sorridendo e, un attimo prima del trasferimento a casa di lui, aggiunse “Che capacita’ percettiva ti hanno stimato, William?”
“Mi hanno detto il cento per cento. Dovrei percepire tutto come se… come prima, insomma.”
“Bene…”

Passarono la notte insieme, praticamente senza chiudere occhio. William si stupi’ delle doti di tenuta inesauribile che non avrebbe mai supposto di avere e riconobbe, dentro di se’, che qualcosa di buono quel posto l’aveva davvero…
[continua]

Amanti

 

Progetto Paradise – Parte I: l’arrivo.

BrokerErano passati diversi mesi ormai da quando l’incidente aveva cambiato la vita di William. Fino a quel momento era stato un brillante broker, uno che in borsa non sbagliava mai una previsione suscitando ammirazione e invidia nei colleghi. Poi, dopo qualche bicchiere di troppo, la corsa con la sua Porsche, una stupida sfida con un amico al volante di una Maserati, lo schianto… un buco incolmabile nei ricordi.
Il risveglio al Paradise Hospital…

“Sono… morto, dottore… vero?”
“Le sembra di essere morto?”
William guardo’ il dottore a fianco del suo letto, con quel camice senza una piega, le infermiere, belle e vestite di una divisa esageratamente corta, due tizi in perfetto abito scuro, esattamente come si era sempre immaginato dover vestire un agente dell’agenzia. Puoi si guardo’ le mani, mosse le dita ad una ad una, si drizzo’ meglio sul letto, stiro’ le gambe, respiro’ profondamente…
“No… non mi sembra…”
“Benvenuto, William. Spero si trovera’ bene…”
Il dottore e le infermiere lasciarono la stanza.

“Deve firmare qui” disse uno dei due agenti porgendogli un foglio, “poi sara’ libero di andare”.
“Nel libretto trovera’ tutto, il suo indirizzo, la descrizione del posto, i numeri da contattare in caso di necessita’, per supporto psicologico o domande tecniche.” aggiunse l’altro.
William firmo’.
L’agente sorrise. “Benvenuto, signor William. Siamo certi che si trovera’ bene qui. Noi non lasciamo niente al caso”.
Si… conosceva bene quello slogan.
Mentre gli agenti uscivano, William guardo’ la finestra. Un bellissimo panorama, il sole alto, verdi prati, bellissimi fiori bianchi, uccellini che svolazzavano leggiadri qua e la’ cinguettando.
“mmm… si, sembra un bel posto…”

Trascorse il pomeriggio senza allontanarsi dal parco dell’ospedale, voleva essere sicuro di aver capito bene tutte indicazioni e le regole del libretto prima di tuffarsi a Paradise City. Decise che avrebbe prima fatto un salto nella sua nuova casa, anche se sapeva bene cosa avrebbe trovato, aveva scelto con cura tutto cio’ che la riguardava: il posto, in mezzo al verde con un ampio giardino, l’arredamento, gli accessori. Sapeva che tipo di vicini di casa avrebbe avuto, o almeno sperava che l’agenzia avesse seguito le sue indicazioni. Non voleva gente chiassosa, voleva vicini discreti… stavolta. Certo, avrebbe altrimenti sporto reclamo ma, anche in caso di successo, prima che la richiesta venisse analizzata e la possibile soluzione studiata, sarebbe passato troppo tempo. Una rottura per uno come lui che aveva ottenuto sempre tutto e subito. Ma quel posto… chissa’ se anche li’ avrebbe avuto lo stesso successo…. Per la serata scelse invece il “Beyond the third star”, un locale notturno che secondo la guida contenuta nel libretto prometteva una rapida socializzazione.
Guardo’ l’orologio, erano le 19:58, il sole stava scendendo dietro l’orizzonte… un tramonto mozzafiato, neanche una nuvoletta… D’altronde non era passata una nuvola in tutta la giornata. Ma William non lo trovo’ strano.
Dopo pochi minuti, fu la luna a splendere alta.
[continua]

BLUEMOON

 

Vita di una rosa

vita di una rosa“Un’altra settimana è andata!” pensò M. rientrando in casa dalla spesa del sabato mattina, la mente ancora alla settimana lavorativa appena conclusa. Era una donna molto stimata in paese, la chiamavano tutti “dottoressa”, d’altronde era davvero l’unica laureata di quel piccolo paese.
Rimasta presto orfana, era riuscita con forza e determinazione a costruirsi una vita di tutto rispetto. Entrata in una grande azienda della vicina città, aveva fatto tutta la gavetta e, dopo molto lavoro e sacrificio, era adesso nel consiglio di amministrazione in un ruolo mai ricoperto prima da una donna. “Che bello se i miei potessero vedermi adesso…”, pensò con un sorriso appena abbozzato e un pizzico di rammarico.

Cucinò qualcosa in fretta, mangiò davanti alla televisione che guardava sempre un po’ distrattamente, con la testa già rivolta agli impegni del lunedì successivo. Presto però tornò a percepire quella sensazione che da un po’ disturbava i suoi pensieri, altrimenti sempre lineari e precisi, diretti all’obiettivo di carriera. Aveva cercato di capire da cosa dipendesse quel malessere, come una… sensazione di vuoto, come se una parte di lei si ribellasse ad una vita fatta solo di lavoro, anche se di successo. Un sentimento di incompiutezza che si faceva sempre più forte, giorno dopo giorno.
Si guardò allo specchio. Sapeva di essere una bella donna, notava facilmente le occhiate di ammirazione di colleghi e paesani maschi e quelle di invidia della parte femminile. Le facevano piacere, certo, ma non sapeva bene cosa farsene, anzi accrescevano in lei la sua frustrazione per una parte che non era giunta a termine, come un cioccolato prelibato destinato ad una vita di vetrina.
Bussarono alla porta, tre volte. “Sabato pomeriggio… che strano”… Guardò dallo spioncino, un uomo dall’aria giovanile ma i capelli già quasi bianchi e una vistosa giacca rossa.
“Buongiorno… mi scusi se la disturbo…”. Le sembrava un viso già visto…
“Ero al supermercato, ricorda? Mi ha urtato con il carrello…” disse sorridendo…
“Ah… sì, mi ricordo adesso!”. Affascinante quel sorriso, si scopri a pensare.
“Non sarà venuto a chiedermi i danni, vero?” disse con una breve risata della quale si stupì per prima.
“No… è che… bé, so che mi troverà strano, ma io sono una di quelle persone che crede che nulla accade per caso; non dovevo essere qua oggi, eppure una serie di circostanze mi ha spinto in quel supermercato, non dovevo nemmeno comprare nulla… Poi ho visto lei… e certi incontri non si ripetono…”. Mentre parlava non staccava gli occhi dai suoi. Lei era imbarazzata, ma si sentiva come rapita, come se il suo cervello avesse improvvisamente smesso di essere razionale come sempre.
Lo fece entrare, non senza chiedersi tra sé e sé “ma che stai facendo? Non sai nemmeno chi è!”. Fu come se si fosse stancata di essere sempre così misurata e accorta.
Passarono un’ora buona a dialogare sempre più cordialmente, con lei che non credeva quasi a cosa stesse succedendo.
“E’ una bellissima giornata primaverile fuori, non ti andrebbe di fare due passi? Avete tanto verde qua attorno! Per me che sono un cittadino è un vero spettacolo! Sarebbe così un peccato perdermelo…”.
Accettò e lo portò in quel sentiero lungo il fiume che amava particolarmente, tra i suoni meravigliosi dell’acqua che scorre impetuosa e del bosco che lo costeggia. Lo aveva fatto centinaia di volte, era il suo rifugio segreto, il percorso un po’ mistico che la aiutava a ritemprarsi in fretta quando era sotto pressione.
Arrivarono al campo di fiordalisi dove di solito si fermava a riposare. Ormai parlavano come se si conoscessero da anni. Improvvisamente lui si fermò e smise di parlare. Lo guardò un po’ impaurita, chiedendosi se avesse detto qualcosa di sbagliato. Lui le prese il viso tra le mani e la baciò, prima delicatamente, poi con crescente passione, le labbra, le guance, gli occhi, i capelli…
La sera li sorprese ancora abbracciati, stesi sull’erba. Lui la teneva per i fianchi, quasi temesse di vederla volare via… Lei sorrise come se qualcosa di divertente le fosse venuto in mente…
“Cosa c’è?” chiese lui sorridendo di rimando.
“Oh… niente, niente… un giorno ti racconterò…”
Stava pensando ai pensieri bui della mattina, a quel senso di vuoto che la accompagnava da anni e che adesso non c’era più, scomparso in poche ore nel nulla. “Se morissi oggi” – pensò – “morirei contenta. Mi rendo conto che è questo il giorno che ho aspettato tutta la vita… Non scorderò mai questi fiori, queste stelle, questo vento… questi fremiti…”.

Si incamminarono per rientrare, lasciandosi presto: c’era una scorciatoia che avrebbe portato lui dritto al piazzale del supermercato dove aveva lasciato l’auto.
“Sei sicura che non vuoi che ti dia un passaggio fino a casa?”
“Ti ringrazio ma… voglio godere ancora un attimo di questa bellissima serata… voglio che divenga indelebile nella mia mente. Allora domani vieni per le undici, finalmente potrò cucinare per qualcun altro oltre che per me stessa!” disse sorridendo.
“Certo… ricorda: busserò alla tua porta tre volte! Non vorrei che domani non mi riconoscessi!” rispose lui ridendo.

Si rincammino lungo il fiume. Era così felice che non guardava nemmeno il sentiero. Era come se tutta la sua vita fosse stata concentrata in quel giorno.

Era così felice che non si accorse che il lato del sentiero a valle del fiume era franato…


Nelle notti stellate di Primavera, c’è chi ancora oggi – a decine di anni dall’accaduto – sostiene di udire distintamente bussare a quella porta… 

(omaggio a Fabrizio De André)

 

Messaggi – Un racconto di AttimiDiStella

Questo racconto di Attimi di Stella mi era parso subito la logica continuazione della splendida recensione di Rigirandola che avevo letto immediatamente prima. Sono due scritti diversi, naturalmente, ma c’è un filo che li unisce…

 



Messaggi
By AttimiDiStella
Blog: Attimi di Stella

sms“Un bacio senza fine, che ti dia il senso della voglia di Te… Mai cessata. Ti bacio… ti voglio…”

Come sempre, nella loro storia, lui aveva la capacità di sentire quando lei si allontanava… e puntualmente arrivava per riportarla indietro.
Questa volta con un messaggio al cellulare; anzi, una lunga sequenza di messaggi che sarebbe durata per ore.
Altre modalità di comunicazione le aveva scartate: si sarebbe esposto troppo. Non avrebbe sopportato l’umiliazione di uno sguardo indifferente, di una voce distaccata. Prima c’erano umori da percepire, distanze da colmare.

“Ti adoro amore mio”
“Ho voglia di Te tesoro… Mai persa… Mai”

I messaggi si susseguivano a ritmo incalzante, ogni cinque, dieci minuti, senza attendere risposta.
Mentiva, ma non lo sapeva. Aveva questa capacità di convincersi di ciò che diceva e la verità perdeva i contorni, si trasformava: non era più ciò che era, ma ciò che lui voleva.
Un giorno aveva preso altre strade e aveva smesso di farla sentire amata. L’aveva estromessa dalla sua vita pur continuando ad amarla a suo modo. E anche lei aveva continuato ad amarlo, ma sempre meno. Una pianta senza acqua e senza luce pian piano muore.

C’era sempre stato uno strano canale tra loro. Lei sentiva, chiari, i suoi pensieri. Sapeva che lui ora la percepiva lontana e aveva bisogno di sapere che non l’aveva persa. Non c’era parola che non avrebbe detto per legarla ancora a sè. Era una necessità che, come sempre, non gli faceva distinguere il reale e l’eccesso, il vero e il desiderio.
Si vuole sempre con maggior forza ciò che ci sfugge.

Rispose… “Sei e sarai un dolce ricordo, sempre”

La verità può far male quanto la menzogna. Ed era certo per uno strano scherzo di un dio distratto e malevolo che si ritrovavano in quella storia lui a mentire senza saperlo, lei a ferire senza volerlo.
Non c’era desiderio di vendetta in lei. Il rancore è una forma d’amore in fondo. E lei non ne aveva più.

“Non è un ricordo ma una Necessità… viva… non c’è desiderio più grande, devo sommergerti di baci… ora… sempre”
“Ricorda che sei Unica e speciale… da sempre. E che ti adoro Splendida Donna Meravigliosa”

Rispose… “Un bacio”

Nel loro codice quella chiusura aveva un senso preciso: lei sapeva… e ora anche lui sapeva, che quello… era un bacio che mai più sarebbe stato dato.

donna



Commento di Wolfghost al post originale: Eh si! La categoria “racconti verosimili” e’ perfetta per questo racconto. L’amore terreno e’ fatto da una serie di componenti, alcuni dei quali hanno poco a che fare con… l’amore del cuore, per cosi’ dire. C’e’ l’attrazione sessuale, che ci puo’ far credere per un breve periodo di essere “presi” di qualcuno, c’e’ la dipendenza affettiva, che ci fa credere di non poter fare piu’ a meno di quella persona anche quando di amore vero ce n’e’ o ce n’e’ rimasto ben poco, c’e’ la possessivita’, la gelosia… Cosi’ spesso succede che ci accorgiamo di quanto amiamo una persona solo quando la stiamo perdendo. Ma sara’ davvero cosi’? Sara’ come dice Jeanette Winterson, ovvero che “la misura dell’Amore è la perdita”?
Io non credo… credo che quella misura della quale parla Jeanette Winterson non sia amore, ma sia la misura della nostra debolezza, sia qualcosa che ci dice di quanto incapaci siamo a reggerci sulle nostre gambe allorche’ qualcosa che non era amore (non da parte di entrambi perlomeno) ci viene a mancare.
Tu hai perfettamente centrato il punto quando hai scritto “Una pianta senza acqua e senza luce pian piano muore”: e’ il tuo corrispettivo del mio “un amore sano non sta li’ a farsi prendere a calci in faccia”. Se lo fa… allora non e’ un amore sano.