Salvo una eccezione nella quale ufficialmente ritenuta non sufficientemente aggressiva per la parte di recupero crediti, Lady Wolf, trentaseienne, ha cambiato numerosi lavori, sempre per sua scelta e sempre raccogliendo complimenti per il suo lavoro e rimpianti per quando se ne andava. Lady Wolf di fatto è una gran lavoratrice, con forse i soli difetti di un esagerato senso del dovere e di non essere molto capace di far valere i propri diritti, ma questi sono difetti per il lavoratore non per il datore di lavoro. Eppure a fine gennaio Lady Wolf sarà senza lavoro e senza alcun paracadute economico, ovvero senza incentivo all’uscita o mobilità. Com’è possibile?
Lady Wolf, pur avendo in passato lavorato in ambiti diversi, da tre anni ha un impiego part time nell’ufficio di un commercialista.
Pur essendone stata inizialmente entusiasta, nel tempo le cose si sono guastate.
Come ogni commercialista o assistente commercialista sa, questo lavoro è parecchio pesante, soprattutto nell’imminenza delle scadenze rese ancora più confuse, in questi ultimi anni, dal continuo cambiamento di leggi e regolamenti. Ad una assistente vengono richiesti orari elastici, corse – puntualmente fuori orario – per le consegne di raccomandate e documenti, ferie e permessi in accordo con lo scadenzario, assoluta concentrazione sui propri e altrui calcoli e compilazioni, e molto altro ancora.
Il lavoro è pesante, ma questo Lady Wolf l’ha sempre saputo e non si è mai tirata indietro. Ma, perché un “ma” ci doveva essere, Lady Wolf, pur non chiedendo mai nulla, ha sempre preteso di essere riconosciuta e rispettata nel proprio lavoro. Invece si è ritrovata il classico atteggiamento da “C’è crisi, corri e stai zitta che un altro lavoro oggi non lo trovi” non espresso a voce ma nei fatti: niente riconoscimenti, né a parole né economici, promesse mai mantenute di cambio di fascia oraria lavorativa più favorevole, straordinari non pagati se non molto raramente e quasi a titolo di premio, richieste di attività che nulla c’entrano con l’impiego, stipendi slittati sempre più in avanti e tredicesima pagata in ritardo. Sottolineo che stiamo parlando di uno studio che certo ha visto tempi migliori, ma che sicuramente in crisi non è.
Alla fine, dopo tanti “rospi ingoiati”, Lady Wolf ha autonomamente deciso, con il mio pieno appoggio, di lasciare il lavoro, cosa che comporta l’impossibilità di accedere alla mobilità e agli incentivi e la retrocessione in fondo alle liste dei centri per l’impiego, cosa che tocca a chi non viene licenziato ma lascia il lavoro di propria volontà, indipendentemente dalle cause che hanno determinato tale scelta.
Non conosco personalmente il datore di lavoro in questione, ma da quanto mi è stato detto mi sono fatto l’idea che non sia del tutto consapevole di cosa è successo, sono convinto che creda di aver agito per il meglio nonostante l’evidenza oggettiva dei fatti. Credo che a modo suo sia esso stesso una vittima – anche se a pagare non sarà lui, se non per il disturbo della ricerca e la preparazione di una sostituta affidabile per il ruolo lasciato vacante – della credenza, che il perdurare della crisi insinua, di essere in diritto di chiedere qualunque cosa al lavoratore senza dare nulla in cambio se non il minimo sindacale, nemmeno un “grazie” o un complimento per il buon lavoro svolto. Di essere incapace insomma di capire che non tutto è “dovuto” e di riscoprire il valore della riconoscenza, non necessariamente in termini economici. A Lady Wolf questo sarebbe bastato.
Mi sento tanto Fantozzi quando sogno che un giorno questa crisi – ormai soprattutto italiana – finirà, il mercato del lavoro ripartirà e datori di lavoro del genere, incapaci della seppur minima buona gestione del personale, dovrà rivedere le proprie posizioni o adeguarsi ad avere lavoratori scadenti perché quelli bravi saranno andati altrove.
Ma, francamente, persino uno che esterofilo non lo è mai stato, come me, inizia a vedere agli altri paesi europei come componenti di un treno dal quale la vetusta carrozza italiana si è staccata ed è ormai troppo lontana per riuscire a riagganciarsi. L’Italia, come un pugile suonato, cerca ormai solo di limitare i danni, la risalita è un’altra cosa.