Il lupo e il cane

Stasera volevo scrivere un post nuovo, ne ho almeno un paio in mente, purtroppo notizie ferali da alcuni colleghi dell’azienda, notizie che parlano di lettere – o meglio di e-mail! – di licenziamento, mi hanno portato via gran parte della serata e non ho fatto in tempo. Spero che la situazione si risolva, soprattutto per loro, ovviamente, ma in prospettiva per tutti noi che lavoriamo in questa azienda che, evidentemente, è messa davvero male…

Comunque per stasera rimedio con uno dei miei vecchi racconti brevi, scritto a fine marzo 2008. Sapete, quasi manco li ricordo questi racconti, è un po’ come se fossero nuovi perfino per me 😀 Poi questo, visto che una “pastorina” è davvero arrivata, anche se più simil-australiana che tedesca, è… quasi una doppia sorpresa 😉 Sicuramente piacerebbe molto a Surya badare ad un gregge 😉


Il lupo e il cane

pastore tedescoVlak era un bell’esemplare femmina di pastore tedesco. Trascorreva le sue giornate conducendo e controllando il gregge assieme agli altri cani del proprietario della tenuta. Era felice, si divertiva un mondo a rincorrere su e giu’ per i prati le pecore che si allontanavano, oppure, una volta rientrati, giocando con il resto della muta con cui era molto affiatata.
Un giorno Vlak corse fino ai margini della foresta inoltrandocisi anche un poco. Tornata indietro, si accorse che la lettera “V” che le era stata da tempo appesa al collare, non c’era piu’. Vlak era molto attaccata a quel ciondolo che sentiva sbattere ritmicamente sul cuoio del collare ogni volta che correva. Disperata, torno’ ai margini della foresta cercandolo ovunque. Improvvisamente, mentre si stava ormai arrendendo all’idea di averlo perso, senti’ una strana tensione su di se’, come se percepisse che qualcosa stesse avvenendo attorno a lei. Alzo’ il muso e si accorse che un lupo la stava fissando a pochi metri di distanza, immobile. I due animali rimasero a fissarsi diversi secondi senza muovere un muscolo… dopodiche’ il lupo si avvicino’ con cautela e inizio’ a annusarla, prima da distante, poi sempre piu’ da vicino. La tensione si sciolse e i due animali iniziarono a rilassarsi.
Da quel giorno Vlak torno’ spesso ai limiti del bosco, dove sapeva che il lupo la stava aspettando. Nonostante il tempo che le era concesso per allontanarsi dal gregge fosse poco, ormai avevano preso confidenza: giocavano assieme, correvano assieme, saltavano l’uno di fronte all’altra simulando falsi movimenti di battaglia… A Vlak dispiaceva molto sapere che quella sorta di idillio era destinato a durare ogni volta solo pochi minuti.

Un giorno Vlak decise di fare un tentativo e, alla fine di quello che ormai era diventato il loro tempo, non si allontano’ correndo verso il gregge come le volte precedenti, ma lo fece lentamente, voltandosi spesso, sperando di convincere il lupo a seguirla… e cosi’ avvenne.

Passo’ del tempo. Il lupo era stato accettato anche dagli altri cani e perfino il loro proprietario, sebbene all’inizio molto diffidente, inizio’ ad accettare quello strano componente che si era aggiunto alla sua muta; in qualche modo ne era anzi inorgoglito.
Di giorno il lupo partecipava alle attivita’ dei suoi nuovi compagni, mentre la notte dormiva sulla paglia, in un angolo del fienile. Spesso era proprio Vlak a svegliarlo la mattina; era felicissima di essere riuscita ad aggiungerlo alla muta cosi’ da averlo sempre vicino a se’.
Ogni tanto pero’ notava qualcosa di strano… il lupo smetteva improvvisamente di fare cio’ che stava facendo, che fosse correre, giocare o controllare il gregge, e rimaneva a fissare la foresta, immobile. Vlak non dava pero’ troppo peso alla cosa, probabilmente pensava che stesse soltanto ricordando qualcosa che era rimasto la’, nel suo passato.

Una mattina Vlak corse come al solito nel fienile per svegliare il lupo… ma il suo posto abituale, ormai contrassegnato dalla paglia pressata, era vuoto… cosi’ come, in un attimo, divenne il suo cuore. Improvvisamente capi’ di avere sempre saputo che quell’evento ineluttabile presto o tardi sarebbe accaduto. Ancora immobile, con gli occhi lucidi, vide qualcosa luccicare nel letto di paglia del lupo. Si avvicino’… in mezzo ai fili gialli c’era il suo ciondolo a forma di “V”.

Erano passati mesi ormai dalla scomparsa del lupo e tutto sembrava essere tornato come prima. Vlak aveva ripreso a correre e giocare assieme al gregge ed ai suoi compagni. Ma, ogni tanto, si fermava all’improvviso e, immobile, iniziava a fissare la foresta. Non era piu’ felice come prima… aveva perso l’innocenza.

“E’ inutile dar da mangiare ad un lupo: continuera’ a guardare verso la foresta”. (anonimo)

Wolfghost


lupi

Pubblicità

In attesa della tempesta

Un tempo scrivevo anche brevi racconti, come forse qualcuno ricorda 🙂 Questo è esattamente di 9 anni fa: era il 25 marzo 2008. Qui trovate l’originale con i commenti dell’epoca: In attesa della tempesta

Molti dei racconti, in realtà molti dei post, scritti da me, sono stati uno specchio dei tempi che attraversavo, e questo non fu da meno. In effetti all’epoca di questo post ero in piena “rivoluzione personale” e la mia vita sarebbe cambiata da lì a poco, non senza incognite.

Quindi è facile capire il senso del racconto e… del lupo in esso protagonista 😉

P.S.: colgo l’occasione per salutare Paolo, grande amico di Lady Wolf, mancato pochi giorni fa in seguito ad una lunghissima malattia. Anche se non era suo coetaneo, aveva già superato i 70 da tempo, è stato una persona vitale fino quando ha potuto, un amico che non sarà dimenticato. Buon passaggio Paolo, se i buddhisti hanno ragione, non mancheremo di ritrovarci in una delle prossime vite 😉


occhi lupoIl lupo era immobile. Raffiche di vento gelido, a volte accompagnate da sferzate di pioggia, lo costringevano a stare ben piantato sulle quattro zampe ed a tenere socchiuse le palpebre dei suoi occhi. Pochi metri piu’ avanti, lo strapiombo dell’alta scogliera sul mare. Alle sue spalle il folto bosco i cui rami e foglie, sempre piu’ agitate, sembravano parlare concitatamente tra loro, come spaventate da cio’ che temevano potesse accadere.

Nonostante il calare della notte, il freddo e il folto pelo ormai zuppo d’acqua, gli occhi socchiusi del lupo puntavano dritti su quegli improvvisi lampi di luce che squarciavano lo spazio che divideva il cielo dal mare.
tempestaA volte quell’enorme massa scura che dal largo avanzava si illuminava qua e la’ con scariche elettriche improvvise e furibonde. Sembrava un mostro senza pelle, incapace di tenere nascosta la rabbia che lo divorava al suo interno e che si preparava a dirigere contro qualunque cosa gli si parasse davanti.

La tempesta avanzava, e nessun essere del bosco si sentiva al sicuro. Ogni animale era gia’ corso nella propria tana, anche la luna si era ritirata ormai da tempo dietro le nubi. Solo il potento fischio del vento, ormai un vero e proprio urlo, dava vita e suono a qualcosa che altrimenti sarebbe stato di un silenzio irreale.
Adesso anche il picchiettio dei goccioloni d’acqua stava aumentando di intensita’.

Il lupo osservava la massa nera che si avvicinava minacciosa, un senso misto di stupore e fascino per la potenza della natura, stava lasciando via via il posto al timore… eppure non indietreggiava di un passo, immobile come una scultura scolpita nella roccia. Se avesse avuto il dono della parola, avrebbe detto: “Ti aspetto qui. Ti temo, e’ vero, ma il senso della sfida per la sopravvivenza e’ piu’ forte. Ho paura, ma per vincere dovrai avere la forza di abbattermi. Sei pronta? Io si’, sono pronto…”.

Quelle parole non si udivano… ma si leggevano chiare nei suoi occhi, immobili verso quella tempesta da sfidare per rivedere l’alba serena di domani…

lupo osservatore

Ancora una volta – miniracconto

La riunione alla ARG Research & Development Company si stava accalorando.

Tom si era preparato per bene, aveva costruito una linea difensiva basata su principi di civiltà e rispetto per la vita, in ogni sua forma. Era convinto che sarebbe riuscito a convincere il management e le autorità convenute che l’esperimento doveva andare avanti inalterato o, al massimo, con la minor interferenza possibile. Adesso però si sentiva all’angolo, iniziava a temere che tutto ciò su cui lui e i suoi collaboratori avevano lavorato potesse essere spazzato via. Ancora una volta.

“Un lavoro del genere richiede tempi estremamente lunghi per essere valutato”, argomentò Tom, “siamo solo a metà del percorso, forse anche meno. Fare tabula rasa adesso vorrebbe dire perdere tutti i passi avanti compiuti finora. Vorrebbe dire ripartire da zero, senza alcuna garanzia di poter ottenere in futuro risultati migliori. E poi non è solo una questione di lavoro, finanziamenti e risultati. Stiamo parlando di esseri vivi, esseri che sentono, soffrono, che sono consapevoli, come noi. O forse non proprio come noi, ma a modo loro sì.”

“Andiamo Tom!”, replicò il responsabile dei rapporti con l’Autorità, “Smettiamola con queste sciocchezze animaliste non degne di uno scienziato come lei! Qui si sta parlando di fare il futuro, avendo la possibilità al contempo di capire il passato, il nostro passato. Si tratta di avere materiale genetico di grande importanza per preservare sì una specie, ma la nostra! E se per questo dobbiamo ripartire da zero, allora questa è la strada che dobbiamo seguire! Queste creature sono di quanto più dissimile e inutile potevamo ottenere, è ormai evidente che continuando ad insistere su di loro perderemo solo tempo e denaro! Quando si capisce che si è imboccato un vicolo cieco, bisogna avere il coraggio di tornare indietro!”

“Idiota!”, pensò Tom, “Questo imbecille è solo preoccupato di perdere i finanziamenti pubblici! Non capisce che sta combinando!”

“Signori, vi prego di non dimenticare i passi avanti che abbiamo ottenuto con queste creature e che sono evidenti. Già la volta precedente avevamo ottenuto discreti risultati. Alcune specie cacciavano in branchi, dimostrando una buona intelligenza di gruppo. Risolvevano problemi di vario genere, anche se di relativa semplicità. Dimostravano una discreta socialità e buona emotività, difendendo i propri simili, in special modo i nuovi nati. Sono convinto che già in quel caso ci siamo arresi troppo presto. Abbiamo cancellato innumerevoli miliardi di esseri che già presentavano un certo grado di evoluzione. Non posso dimenticarlo, e non voglio ripetere lo stesso abominio in nome di una scienza senz’anima. E poi, come ho detto, è passato troppo poco tempo per una valutazione sensata.”

“Tom”, intervenne il presidente dell’Autorità in persona, “da quanto tempo ci conosciamo? Come sai, ho sempre rispettato il tuo buon cuore, il modo con cui ti battevi per difendere i più indifesi, ma… non stiamo parlando di nostri simili e nemmeno di entità a noi vicine. E’ vero, questa specie sembra più evoluta di quelle precedenti, te ne rendo atto e merito. Ma… non vedi come si azzuffano per ogni cosa? Come sono distruttivi ed autodistruttivi? Alcune tra le specie precedenti se non altro rispettavano i loro simili. Anche se apparentemente erano meno evolute, la loro socialità, il loro rispetto erano maggiori. Se proprio lo devo dire… mi erano anche più simpatici. Questa nuova specie si è evoluta molto in fretta da un punto di vista della logica e delle capacità intellettuali, il loro progresso tecnologico, seppure rozzo e primitivo, è stato sbalorditivo per i tempi in cui è stato messo in atto, ma… è evidente che come socialità e capacità di interazione non ci siamo, Tom, lo devi ammettere. A volte penso che se non ci pensiamo noi, ci penseranno da soli ad autodistruggersi.”

Tom comprese di avere perso. In fondo sapeva che il Presidente aveva ragione. Ma lui aveva imparato ad amare quelle creature che avevano creato. Le amava proprio per la loro varietà, per la loro imprevedibilità. Anche se a volte non ne capiva la crudeltà, non solo verso le altre specie, ma perfino verso i loro stessi simili. Era chiaro che non stavano mettendo in pericolo solo loro stessi, ma l’intero pianeta che abitavano, una tale insensatezza era difficilmente difendibile. Questo aspetto non era previsto. Non era scritto nel DNA, o, se lo era, doveva essergli sfuggito.

“Capisco…”, il tono della sua voce, il suo sguardo basso, davano ad intendere che si era arreso. “Forse possiamo fare di meglio. Datemi solo un po’ di tempo per capire dove abbiamo sbagliato, in modo da poter ricominciare, speriamo, per l’ultima volta.”

“Bene, sono contento che abbia capito, Tom. Le diamo ancora un po’ di tempo per preparare il nuovo materiale genetico”, concluse il Presidente, “poi il pianeta sarà colpito per provocare la distruzione controllata della specie dominante esistente, come abbiamo fatto l’altra volta. Ho visto a lungo l’evoluzione di questa specie, onestamente ad un certo punto mi ero anche illuso che l’esito stavolta sarebbe stato diverso. Sono scaltri e già con una certa evoluzione tecnologica… suppongo che l’impatto dovrà essere un po’ più forte di quello che servì per l’eliminazione dei dinosauri. L’umanità cercherà di sopravvivere fino alla fine.”

Goffredo – Racconto

Goffredo si stava godendo un bel tramonto, con una fresca brezza che finalmente portava un po' di refrigerio dopo una giornata afosa. La sua finestra dava sulla tranquilla stradina privata del cortile della palazzina a fianco alla casa dove viveva, a breve distanza pero' si stagliavano gli alberi del bosco del vicino parco, solo in piccola parte coperti dalle costruzioni urbane. Dall'altra parte del suo palazzo c'era il mare, e anche se l'abitazione non aveva finestre su quel lato, questo conferiva più suggestione al paesaggio, soprattutto per la presenza dei numerosi gabbiani che non mancavano di far sentire le loro grida.
Goffredo non vedeva e non poteva muoversi, eppure "sentiva" tutto e per anni era riuscito ad essere felice di quella posizione. Maria, la padrona di casa, l'aveva accolto di cuore nella sua casa, lui che veniva da un paese molto lontano. Si erano incontrati alcuni anni prima in un paesotto del basso Piemonte, fuori da una chiesa alla fine di una messa di Natale. Maria lo aveva preso subito con sé. Lo curava, gli parlava, ed era sicura che lui potesse ascoltare e che, a suo modo, lui gli rispondesse. Era certa che fosse contento di essere arrivato lì. E aveva ragione: Goffredo era felice di essere lì, sentiva l'amore di Maria e questo gli dava grande forza. Per anni avevano vissuto entrambi felici e sereni.
Mentre ricordava Maria, Goffredo soffriva. Maria se n'era andata a causa di una malattia che in breve l'aveva portata alla morte, fino alla fine pero' lei si era presa cura di lui.
Per fortuna almeno il sole era adesso tramontato e il luogo era un po' più fresco, ma la sete lo tormentava sempre più. Quando Maria era mancata, Goffredo aveva pensato che sicuramente qualcuno dei suoi parenti si sarebbe preso cura di lui, invece li aveva sentiti aggirarsi per casa, arraffare gli oggetti che avevano un minimo di valore, ma nessuno lo aveva avvicinato. Com'era possibile? Poi la porta si era chiusa un'ultima volta, e da allora nessuno era più entrato.
Goffredo era via via deperito, e adesso era agli sgoccioli, sapeva che non sarebbe sopravvissuto per più di un paio di giorni ancora. Nonostante fosse deluso da quelle persone che si erano dimostrate avide, egoiste e insensibili, non solo nei suoi confronti ma anche in quelli verso Maria, che certamente avrebbe immaginato per lui un trattamento ben diverso, Goffredo era grato alla vita ed a Maria per tutti quegli anni felici che gli erano stati concessi.
Mentre perdeva le ultime foglie, ormai rinsecchite, Goffredo ricordava quando era stato scelto da Maria, in mezzo a tutte le altre piantine della bancarella all'uscita della chiesa, in quella gelida notte di quel Natale.
Chissà se presto l'avrebbe rivista, magari altrove…


Nota al racconto: La scienza ha dimostrato che anche le piante "sentono" e soffrono, seppure a loro modo. Questo racconto è dedicato a tutte le piante che vengono comprate per appartamenti o uffici e che poi vengono abbandonate quando la gente che li occupa si sposta per qualche motivo, o che vengono gettate solo perché iniziano a perdere qualche foglia e divengono "brutte". E' per me strano pensare come qualcuno che ci ha fatto compagnia per anni, seppure in maniera silenziosa, venga poi lasciato a morte certa per motivi così futili o per semplice superficialità. E la dedica va anche a tutti gli alberi e la vegetazione mediterranea che ogni anno vengono distrutti negli incendi estivi, quasi sempre di origine dolosa.
P.S.: Goffredo è esistito realmente 🙂 Era una piantina grassa che comprai molti anni fa (almeno 20) in un paesino del basso Piemonte la notte di Natale. Il nome gli arrivo' proprio pensando al freddo pungente di quella notte e a come lo dovesse sentire una piantina che certamente arrivava da un paese caldo ("go-freddo"! :-D). Restò con me qualche anno, e poi morì, ma vi assicuro che la innaffiai fino alla fine! 😛

Coast

Nascerà, e avrà la passione per il volo – Racconto (3a e ultima parte)

Era sera ormai. Le forze di Grab erano ridotte al lumicino, sentiva che la morte stava arrivando. Gli uffici si erano svuotati, i negozi chiusi, passanti e auto erano adesso rari. Le luci dei lampioni si stavano lentamente illuminando affiancandosi a quella del cartello luminoso di un negozio che indicava temperatura e data: il 13 di Luglio.
Gli occhi lucidi di Grab puntarono all’altro capo della strada: c’era un marciapiede, e poi, oltre una ringhiera, il dirupo che dava sul mare.
Provò a muoversi. Era così stanco che non sentiva nemmeno più il dolore. Con una fatica immensa ed una lentezza esasperante si trascinò per il marciapiede e poi giù in strada. Vide arrivare un auto. Sapeva che non avrebbe potuto evitarla, quindi restò immobile, in attesa… ma l’auto gli passò solo vicino, poté sentirne lo spostamento d’aria che, in quella giornata ancora afosa, gli fece perfino piacere dandogli un pizzico di energia in più. Ricominciò a trascinarsi verso il marciapiede opposto, conscio che forse non sarebbe riuscito a salirci sopra. Forse sarebbe morto lì, accanto a quel marciapiede.
Poi udì un verso alle sua spalle. Trasalì: aveva imparato a riconoscere quel verso, era quello di un gatto che aveva puntato la preda. Ormai doveva giocarsi il tutto per tutto. Con uno sforzo terribile e l’azione congiunta di zampe, ala buona e perfino del muso, riuscì a salire sul marciapiede. Il gatto stava arrivando di corsa ma nella mente di Grab esisteva adesso solo il cielo oltre la ringhiera.

Un attimo prima che il gatto fosse su di lui, Grab scavalcò il metallo, e si lascio cadere nel vuoto.
Allargò le ali come poteva, non ascoltando il dolore di quella rotta e ritraendo un po’ quella buona per evitare di iniziare a roteare su sé stesso…

… stava volando!! Non importava se era l’ultima, volava, ancora una volta!

Era il 28 Luglio. Susan Brennan aveva coronato il sogno di una vita: mettere al mondo un bambino! Per anni lei e suo marito ci avevano provato ma sembrava non ci fossero speranze. Poi, quando ormai si erano arresi, lei si era scoperta incinta. Sapeva che sarebbe stata una maternità a rischio ma non le importava e decise che per nulla al mondo avrebbe rinunciato. Il marito, al suo fianco, l’aveva appoggiata con amore, seppure conscio del serio rischio che avrebbe corso non solo il piccolo, ma anche lei stessa.
L’infermiera entrò nella stanza e le mostrò il bimbo. Susan si mise a piangere dalla felicità.
Poi entrò il dottore.
“Susan, purtroppo c’è stato un inconveniente che non siamo stati in grado di prevedere ne’ di evitare… Suo figlio ha una lesione alla spalla sinistra, probabilmente non avrà l’uso completo del braccio.”
Susan non sembrò troppo colpita dalla notizia, in fondo era stata decisa a rischiare ben di più pur di far nascere il suo bambino.
Chiese solo “Ma… sarà in grado di pilotare un velivolo?”
Medico e infermiera si squadrarono, evidentemente spiazzati dalla strana domanda.
“Ah… certo… Certo! Non è una lesione grave, con ogni probabilità sarà solo impossibilitato ad alzare completamente il braccio sopra la testa… tutto qua!” rispose il dottore con un sorriso.
“Sa, quando ero incinta e mi avvisarono che avrei potuto perdere il bambino, mi rivolsi ad una maga e lei mi disse << Nascerà. E avrà la passione per il volo … >>”.

Nascerà, e avrà la passione per il volo – Racconto (II / III)

L’ala rotta doleva terribilmente, non solo non poteva riprendere il volo ma, dovendola trascinare sull’asfalto, faceva anche fatica a spostarsi sulle zampe.
Improvvisamente ebbe un sussulto: aveva riconosciuto il suono delle voci di quei ragazzi che inspiegabilmente ce l’avevano con lui…
“Eccolo! Ve l’ho detto che l’avevo beccato!”
Grab cerco’ per un attimo di allontanarsi ma si rese subito conto che le sue condizioni non gli avrebbero permesso di fare più di qualche metro: non ce l’avrebbe mai fatta, in luogo aperto si sarebbe anzi ritrovato alla mercé dei suoi aguzzini…
Si schiaccio’ ancora di più nel suo angolino e, per proteggerla, volse la testolina verso il basso. Qualcosa lo colpì violentemente all’ala già ferita, Grab sobbalzò, sopraffatto dal dolore.
“Sei nostro adesso! Non ci scappi più!” gridavano i ragazzi raccogliendo altri sassi.
“Giovanni!! Ancora con quel piccione? Quante volte ti ho detto che devi lasciarli perdere!”, la madre di uno dei ragazzi era intervenuta e, tirandolo per un braccio, lo stava portando via. Anche gli altri ragazzi si erano allontanati.
Grab tirò un sospiro di sollievo e sentì una profonda riconoscenza verso quella donna: anche se non capiva cosa stesse dicendo, aveva certamente un’anima benevola…
“Che schifo! Ti ho detto mille volte che devi stare lontano da queste bestie! Non lo sai portano le malattie? Ma perché non li sterminano tutti una buona volta!”.

Grab divenne in breve il più coraggioso dei piccioni del quartiere. Quanto adorava volare! Ma non era solo per il piacere del volo, gli piaceva quella possibilità di muoversi liberamente, di andare là dove la curiosità lo spingeva. Ad esempio amava planare nel parco, dove trovava sempre qualche briciola che una amabile signora lanciava a lui e ad altri piccioni. Certo, doveva mangiare in fretta, c’erano sempre i gatti pronti a cercare l’assalto, ma ormai – nutriti anche loro abbondantemente – erano troppo grassi e lenti per riuscire ad essere realmente pericolosi. Non ce l’aveva con loro, anzi capiva che agivano per un istinto nato dal bisogno di sopravvivere, dalla necessità… e meno male che portavano loro il cibo, altrimenti quegli sciocchi avrebbero potuto morir di fame tanto goffi erano diventati! In fondo quasi si divertiva a sfidarli e sospettava che anche loro si divertissero alle sue gesta.
Una volta vide la signora piangere su una panchina lì vicino. Accanto a lei ce n’era un’altra che la stava ascoltando e confortando. Grab, senza rendersene conto, si era avvicinato a passetti piccoli piccoli. Si era affezionato a quella signora così buona e gli dispiaceva vederla così anche se non capiva perché stesse piangendo…
Lei si accorse del piccione, e un flebile sorriso le rischiarò il volto.
“Guarda… sembra che capisca…”
“Ma va’! Dai, non essere sciocca. Vorrà solo qualche altra briciola.” Aveva sentenziato l’altra.
Quella fu l’ultima volta che Grab vide la sua amica umana. Tornò lì incessantemente ogni mattina sperando di rivederla, anche quando ormai tutti gli altri piccioni avevano cambiato zona in cerca di altre fonti di cibo. A poco a poco la sensazione che qualcosa di brutto le fosse accaduto si fece spazio in lui, ma non voleva arrendersi. Aveva compreso che in fondo anche quelle creature così strane e a volte pericolose, erano deboli e vulnerabili come lui, gli altri piccioni e i gatti.
Che la loro apparente cattiveria nascesse proprio dalla sofferenza che anche essi provavano?

Poi, un pomeriggio di una calda estate, proprio mentre stava tornando in volo dal parco, triste per non aver ritrovato la sua amica nemmeno quel giorno, quel dolore lancinante e improvviso all’ala, la caduta rovinosa sul duro asfalto di un marciapiede e il ricovero d’emergenza sulla porta del negozio…

Continua…

Nascerà, e avrà la passione per il volo – Racconto (I / III)

piccioneGrab si guardava attorno visibilmente spaventato. Era evidente che l’uscio del negozio – per fortuna chiuso – nel quale si era con fatica rifugiato non gli sarebbe stato di protezione a lungo. Il posto era di gran passaggio ed ogni volta che provava ad allungare il collo per vedere se era il momento di moversi, vedeva qualcuna di quelle grandi e temibili creature passare con rapida falcata mostrando indifferenza o, addirittura, un evidente fastidio e repulsione di cui lui non capiva il motivo… E’ vero, aveva l’ala sinistra spezzata, ma davvero era così brutto a vedersi?

Così, d’istinto, si schiacciava contro la saracinesca cercando di farsi il più piccolo possibile. Nessuno lo aiutava, ma almeno lo lasciavano in pace. Pero’ iniziava ad avere fame… quanto avrebbe resistito?

Grab era stato l’ultimo ad uscire dal guscio, il fratellino era stato molto più rapido, tuttavia lui si era dimostrato subito più curioso e, non appena in grado di zampettare, aveva iniziato a perlustrare i dintorni del nido, trovandoli presto troppo angusti e noiosi.
I piccioni crescono in fretta, dopo un solo mese sono già pronti a spiccare il volo. Grab pero’ bruciava le tappe e dopo solo venti giorni già faceva i primi tentativi. Ispirato da quanto vedeva fare a mamma e papà non vedeva l’ora di poter librarsi in volo sopra il mondo e vederlo così tutto dall’alto!

Era un mondo rumoroso quello in cui era nato, pieno di strani suoni e di voci che a volte gli trasmettevano serenità ma più spesso, assomigliando a lamenti disperati o grida rabbiose, gli incutivano timore. Sua mamma gli aveva spiegato che provenivano da esseri viventi chiamati uomini, e che era meglio stare alla larga da loro perché solo da pochi venivano accettati e ricevevano qualche briciola di cibo, mentre gli altri erano cattivi e presuntuosi e vedevano i piccioni come sgradevoli esseri da allontanare.
Ma a lui non sembrava possibile che potesse davvero essere così: c’è sempre un motivo per cui qualcuno si comporta male con qualcun altro, ci deve essere!
Quelle creature anzi lo affascinavano e incuriosivano. Dai racconti che sentiva su di essi si era fatta l’idea di una sorta di creature mitologiche, semi-dei che potevano fare cose mirabolanti… eppure che erano sempre inquieti; capaci, ma sempre insoddisfatti e tristi. Non vedeva l’ora di conoscere anche loro e capire il perché di quella apparente contraddizione.

Continua…

La gestione della crisi

scalataRiprendiamo il normale percorso “post-Natale” parlando di qualcosa che prima o poi ci tocca tutti: le crisi e la loro gestione.
Credo che saper gestire le crisi sia uno degli aspetti più importanti e cruciali della nostra esistenza, in qualche caso può addirittura fare la differenza tra la vita e la morte.
Per quanto si stia accorti nell’evitare intoppi e problemi, prima o poi gli eventi negativi arrivano ed è necessario affrontarli. Non bastano le precauzioni: bisogna essere pronti a fronteggiare le crisi. Puo’ sembrare una cosa difficile, puo’ spaventarci, ma in realtà ho visto che molte persone scoprono di avere risorse inaspettate quando si trovano ad affrontare quelle che, almeno per loro, sono autentiche calamità.
La prima e più importante cosa è non darsi per spacciati:
la paura può essere inevitabile, ma bisogna evitare di farsi prendere dal panico. Non accettare di credere che ciò che accade sia senza soluzione, non percepire ciò che è apparso come una montagna impervia, impossibile da scalare, ma piuttosto come un labirinto con il quale bisogna sì armarsi di santa pazienza, attenzione, determinazione e prontezza di spirito, ma dal quale un’uscita c’è… e va trovata.
Bisogna affrontare la difficoltà a testa alta, come fosse una sfida. Nascondere la testa sotto la sabbia o limitarsi a battere i pugni sul tavolo non servirà a granché.
Anche se personalmente non credo nel Destino, mi piace ricordare una frase che pressapoco diceva: “Non possiamo sceglierci il Destino, ma possiamo scegliere come affrontarlo”.
Voglio chiudere rispolverando un vecchio racconto (se così si può chiamare) scritto un paio di anni fa in previsione di una… tempesta 😉

In attesa della tempesta (link al post originale: In attesa della tempesta)

occhi lupoIl lupo era immobile. Raffiche di vento gelido, a volte accompagnate da sferzate di pioggia, lo costringevano a stare ben piantato sulle quattro zampe ed a tenere socchiuse le palpebre dei suoi occhi. Pochi metri piu’ avanti, lo strapiombo dell’alta scogliera sul mare. Alle sue spalle il folto bosco i cui rami e foglie, sempre piu’ agitate, sembravano parlare concitatamente tra loro, come spaventate da cio’ che temevano potesse accadere.

Nonostante il calare della notte, il freddo e il folto pelo ormai zuppo d’acqua, gli occhi socchiusi del lupo puntavano dritti su quegli improvvisi lampi di luce che squarciavano lo spazio che divideva il cielo dal mare.
tempestaA volte quell’enorme massa scura che dal largo avanzava si illuminava qua e la’ con scariche elettriche improvvise e furibonde. Sembrava un mostro senza pelle, incapace di tenere nascosta la rabbia che lo divorava al suo interno e che si preparava a dirigere contro qualunque cosa gli si parasse davanti.

La tempesta avanzava, e nessun essere del bosco si sentiva al sicuro. Ogni animale era gia’ corso nella propria tana, anche la luna si era ritirata ormai da tempo dietro le nubi. Solo il potento fischio del vento, ormai un vero e proprio urlo, dava vita e suono a qualcosa che altrimenti sarebbe stato di un silenzio irreale.
Adesso anche il picchiettio dei goccioloni d’acqua stava aumentando di intensita’.

Il lupo osservava la massa nera che si avvicinava minacciosa, un senso misto di stupore e fascino per la potenza della natura, stava lasciando via via il posto al timore… eppure non indietreggiava di un passo, immobile come una scultura scolpita nella roccia. Se avesse avuto il dono della parola, avrebbe detto: “Ti aspetto qui. Ti temo, e’ vero, ma il senso della sfida per la sopravvivenza e’ piu’ forte. Ho paura, ma per vincere dovrai avere la forza di abbattermi. Sei pronta? Io si’, sono pronto…”.

Quelle parole non si udivano… ma si leggevano chiare nei suoi occhi, immobili verso quella tempesta da sfidare per rivedere l’alba serena di domani…

lupo osservatore

L’ultima sfida – sesta (e ultima) parte

manoscritto“Se leggi queste parole, William, il mio momento è arrivato. So di essere stato quello che comunemente viene chiamato un “uomo di successo”, ma personalmente non mi è mai importato più di tanto. Il mio obiettivo eravate voi, erano le persone, era poter lasciare un mondo migliore di quando sono arrivato. E se oggi c’è anche solo una persona in più contenta di essere al mondo… bé, allora ci sono riuscito.
Devi sapere che la mia vita non è stata sempre così: molti anni fa, quand’ero solo un ragazzo, vivevo di stenti e poco, davvero poco, ci mancò che mi lasciassi andare.
Come sai, i miei genitori se ne sono andati presto, non avevano soldi ed io non avevo lo straccio di un lavoro. Abitavo in un tugurio di pochi metri quadrati e per lavarmi dovevo usare un lavandino. Mi strafogavo così tanto di cibo come forma di compensazione da aver superato abbondantemente i cento chili e la mia salute ne risentiva sempre più. Difficile crederci per chi mi ha conosciuto dopo, vero?
Per questo voglio che tu abbia le seguenti parole, sono quelle che cambiarono il corso della mia vita…

“Qualunque difficoltà voi possiate incontrare, figli miei, ricordate che è vero che finché c’è vita c’è speranza. Finché c’è vita le cose possono cambiare. Noi possiamo cambiare, noi stessi e le cose che ci stanno attorno.
Ognuno di noi è come un lume: potrebbe essere di guida per sé stessi e per gli altri, ma se è spento, nessuno lo nota. Un lume spento non è di alcuna utilità, anzi è un’occasione sprecata, un vero peccato. Se invece è acceso, nonostante le difficoltà, anzi a dispetto delle difficoltà poiché una luce è più evidente quanto più sono forti le tenebre, ogni cosa attorno ad esso si illumina e gli altri potranno vederlo e desiderare di accendere il proprio lume a loro volta. Una luce, anche se fioca,
nel buio può essere scorta a distanze notevoli. Può essere la differenza tra trovarsi e perdersi, tra felicità e disperazione, tra vivere e morire.
Non è importante che ognuno di noi si trasformi in un faro capace di illuminare il mare per centinaia di chilometri, basta che tenga accesa la propria umile candela: qualcuno ne trarrà luce e calore e, forse, a sua volta tenterà di fare altrettanto per qualcun altro. E così via.
Questo è sufficiente. Non importa se talvolta può apparire che non si stia riuscendo a cambiare le cose e che la propria vita sembri non avere riuscita, bisogna avere fiducia nel fatto che ciò che si esprime, che siano fatti o solo idee, non va perso. E i fatti e le idee buone sono come quei lumi di cui parlavo prima: può sembrare che uno solo non serva a granché, ma tanti divengono un faro capace di cacciare le tenebre della disperazione.”

Da quando lessi queste parole, caro figlio, non ho più smesso di tenere accesa la candela della mia speranza e del mio desiderio di cambiare le cose e la mia vita. Questo, solo questo, è stato il mio segreto. Tali parole, William, appartengono ad un manoscritto vecchio di secoli che mi fu regalato da una zingara in cambio di una povera elemosina, il massimo che potevo donare in quel periodo. Sono di un autore ignoto di cui nemmeno conosco il nome ma al quale io, e tutti quelli che attraverso di me hanno tratto vantaggio, dobbiamo il massimo della riconoscenza. Chissà che persona fantastica deve essere stata.
Ora le dono a te, con l’augurio di lasciare alla tua morte qualche sorriso in più e qualche lacrima in meno tra le persone che incroceranno il tuo cammino.
Questa è la mia ultima sfida, ed è anche l’ultima sfida che l’anonimo autore tramanda da secoli.
Una sfida che ora lasciamo a te ed a tutti coloro nel mondo che, in qualche modo, hanno ricevuto o riceveranno questo stesso messaggio.
Papà.”

candela

L’ultima sfida – quinta (e penultima) parte

“Come passa in fretta il tempo, vero papà? Sembra ieri che portavi me e Gertrude a giocare in riva al torrente al di là del bosco…”. Così William si rivolgeva a Sade, ormai sul letto di morte. Lo rattristava vedere suo padre in quelle condizioni dopo una vita già difficile, ricca di “domani andrà meglio” che non erano mai arrivati.
Zoe se n’era andata da tempo, alla fine aveva ceduto alla corte di un ricco dignitario locale, lasciandoli dalla sera alla mattina. Ma perfino in quel caso Sade se n’era fatto una ragione: “Vostra madre non è mai stata per una vita semplice, ora sarà in un ambiente che certamente gli darà la prosperità che cercava”. In fondo anche loro erano stanchi di una madre poco presente e dei continui litigi che provocava.
William e Gertrude avevano trovato un lavoro dignitoso, non si arricchivano, certo, ma a loro in fondo quella vita semplice non dispiaceva. Gertrude si era anche sposata, ma sfortunatamente il marito era morto in una delle tante battaglie che insanguinavano quel periodo storico. Però aveva un figlio che adorava, che aveva dato lei una ragione di vita.
William era un bel giovane, ma la sua introversione lo aveva portato ad un certo isolamento. Aveva avuto storie anche importanti, ma poi il richiamo alla propria interiorità l’aveva sempre fatto scappare. E a lui, in fondo, stava bene così. Gli dispiaceva molto che Gertrude non potesse essere lì, sfortunatamente le condizioni del padre si erano aggravate improvvisamente mentre lei era in viaggio, difficilmente sarebbe rientrata in tempo.
“Figliolo, mi sei sempre stato vicino, anche quando tua madre e gli altri mi consideravano un poco di buono, un rifiuto della società, tu e tua sorella siete stati coloro che hanno dato un senso alla mia vita… Prima di andarmene vorrei lasciare un messaggio a te ed a tua sorella, vuoi scriverlo per me?”


Alla cerimonia funebre di Victor partecipò un numero enorme di persone, tutti gli volevano bene, aveva costruito un mondo nuovo, una società dove le parole emarginazione e povertà non esistevano più. Era diventato una sorta di profeta dell’ultimo millennio e adesso la sua morte, seppure annunciata, aveva lasciato molti in uno stato di profonda prostrazione. Ma così è la vita, e Victor lo sapeva bene.
Quando suonarono alla porta, Erik, il figlio maggiore di Victor, si aspettò l’ennesimo telegramma di condoglianza. Invece, a sorpresa, si ritrovò di fronte l’avvocato del padre.
“Caro Erik, è difficile essere qui oggi, ma c’è un plico che tuo padre voleva ti fosse consegnato il giorno stesso che lui non ci fosse stato più…”.
Erik prese il plico e ringraziò l’avvocato. Poi, più tardi, quando tutti si ritirarono nelle loro stanze, aprì il plico riconoscendo immediatamente e con profonda commozione la calligrafia del padre…

[continua]

mani