Un po’ di Wolf: Sabato, 2 Gennaio… 1993!

Da una pagina di un mio vecchio diario. Versione integrale: ho copiato esattamente… anche gli strafalcioni di grammatica e sintassi! 😛



Sabato, 2 Gennaio [1993, n.d.r.] (10:09)

Frammento di un sogno notturno:
Io sono a letto, probabilmente è mattina e mi sono appena svegliato. C’è mio padre nella stanza, sta controllando la dimensione del tumore alla zampa posteriore destra del nostro gatto [l’abbiamo scoperto da poco] che è adagiato sull’altro letto. Gli dice con tono affettuoso “Bé, non è cresciuto, è sempre uguale”. Poi si avvicina a me e parlando di un qualche argomento che non ricordo, controlla, ad una ad una, lo stato di pulizia delle unghia delle mie mani!



Il mio gatto, il distacco, l’emozione [Riflessioni] (22:00)

Due giorni fa, il 31 Dicembre 1992, come degna fine di un anno da dimenticare (ma ne ho poi almeno uno da ricordare?) siamo finiti io dal mio medico e il mio gatto [Kit, ho già parlato di lui: Un po’ di Wolf… Kit: incontro con la morte., n.d.r] dal veterinario. Io accusavo qualche disturbo gastro-intestinale che pensavo potesse essere dovuto ad una appendicite, invece era solo una colite, già quasi dimenticata. Il gatto invece non se l’è cavata altrettanto bene; sembra sicura infatti la presenza di un tumore in fase avanzata alla zampa posteriore destra con probabile necessità di amputazione totale dell’arto e ridotta longevità per il ripresentarsi della malattia nel giro di pochi mesi od anni. Kit, questo è il suo nome, è un maschio di undici anni, vissuti tutti con noi (tranne che per i primi mesi dello svezzamento). Essendo castrato non ha nemmeno la consolazione di avere una qualche prosecuzione in quelli che sarebbero stati i suoi successori [sic!!! n.d.r.]. Solo chi ha avuto un singolo animale da casa per molti anni può capire la preoccupazione che desti nei padroni la sua probabile futura morte. Solo chi ci ha giocato insieme, arrivando a farsi volontariamente graffiare nel corso delle ‘zuffe simulate’, chi ha pensato a nutrirlo per anni, chi veniva svegliato da lui affettuosamente al mattino, chi ne ‘sopportava’ la presenza ai piedi del letto e ne ascoltava incuriosito i mugolii notturni e il pronto e buffo ronfare ad ogni singola carezza, chi adesso, pur senza sentirlo lamentare (come è giusto, in quello strano coraggio che tutto arriva a sopportare tipico della mancanza di autocoscienza e cioè di autocompiacimento e paura, che hanno gli animali), chi vede come gli sia difficile e penoso il non riuscire a cambiare lato d’appoggio nemmeno durante il riposo, solo queste persone possono capire il dolore di certi padroni nel perdere un solo, piccolo, ‘inutile’ animale.
Eppure, quando ancora il veterinario non aveva presentato a me e a mio fratello l’ipotesi dell’amputazione ma solo quella dell’eutanasia non appena il dolore fosse stato troppo forte, eccomi di nuovo a quella inconcepibile scelta: distacco totale o emozione?
Non so se esista una via di mezzo, dato che il semplice controllo delle emozioni forse non è solo molto difficile ma piuttosto impossibile.
Ciò che so è che non è la prima volta che mi si presenta una simile scelta; anche al matrimonio di mio fratello, per esempio, ne ebbi chiara la percezione.
Ci si può lasciar coinvolgere, soffrire fisicamente, mentalmente, emozionalmente e forse anche spiritualmente oppure si può dire di no, distaccarsi, non provare nulla, sapere ciò che si deve fare e farlo ma senza penare. La scelta c’è, ne ho sentito chiara la presenza e chissà quante volte, inconsciamente, ho già scelto! Ma se sembra una scelta banale, non lo è.
Si conosce ciò che ci è sempre stato detto sulla ‘necessità’ del provare dolore non solo religiosamente (ci sono religioni che lo negano) ma anche e forse in maniera più forte socialmente. Sei un uomo o una donna! Devi provare partecipazione, soffrire, commuoverti o non sei più umano. Non lo senti più solo dagli altri, lo senti venire da dentro: ma che razza di uomo sei? Commuoviti! Soffri!
Ma non è solo questo, non esistono l’uno e l’opposto, e la verità non sta nel mezzo come tanti credono; l’uno e l’opposto coesistono sempre e il ‘mezzo’ lo si scambia spesso per tale coesistenza, anche in questo caso. Non ci si libera solo da dolore, sofferenza, oppressione e odio ma anche da piacere, gioia, libertà e amore giacché la paura di perdere i secondi contribuisce a formare i primi ed anzi ne fa già parte. Ecco perché esito, perché fino ad ora il distacco ha, alla fine, almeno consciamente, sempre perso: perché finché lo vedrò come esilio non potrà mai coesistere con la speranza, e la speranza, si sa, è l’ultima a morire.

diario

 

0 pensieri su “Un po’ di Wolf: Sabato, 2 Gennaio… 1993!

  1. Sei stato chiarissimo, come sempre. Ed io posso anche “comprendere”.
    Però: anche se la persona o l’animale che hai perso non è lì e non fa più parte dell’ “adesso”, la memoria di lui in te rimane, come il dolore per il distacco da quel qualcuno che amavi così tanto, e soprattutto è “reale” il tuo dolore nella “consapevolezza” che lui ha sofferto prima di morire!
    In altre parole, come è possibile non soffrire soltanto perchè l’oggetto del nostro amore non è qui in questo momento?
    Scusami, per me questa cosa risulta così difficile da capire! Mi sento così distante… forse la mia mente davvero non è elastica come quella di una persona giovanissima.
    Un caro saluto 🙂 Lisa

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  2. x Emma: grazie, una buonanotte di sicuro, anche se un po’ tenebroso, effetto 🙂

    x Anna: grazie cara, una buonanotte anche a te! 🙂

    x missgirasole: comprendo benissimo, e condivido, le tue splendide parole. Come dico in questi casi, tutti dobbiamo andarcene, ma la tua cagnolina ha avuto 14 anni di sicuro amore…

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  3. x morellina: vedo che anche tu hai ben compreso… anche se mi dispiace che ciò sia avvenuto grazie ad un fatto doloroso…
    Abbraccione, cara 🙂

    x azalea: eheheh grazie cara 🙂 Buon fine settimana anche a te! 🙂

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  4. x Lisa: vedi… in un certo modo, proprio come dicevo nel 1993 😀 , tu appari… legata proprio da una considerazione di compartecipazione, umana certo, ma non inevitabile.
    E’ come se te pensassi che non sarebbe umano “cancellare” dei ricordi di un essere caro che ha fatto parte della nostra vita passata. Non lo trovi… giusto 🙂 ed è proprio questo che ti impedisce di farlo.
    Ma… vedi, noi non cancelliamo mai veramente, tutto rimane lì, dentro noi, non è possibile “cancellare”. Non cancellerai mai i tuoi ricordi, non cancellerai, tantomeno, i tuoi cari, che siano animali o persone. Semplicemente… non li tieni “a mente”, eviti di portare su di loro il tuo pensiero cosciente.
    Io molto spesso sogno i miei genitori. Loro entrano in quasi tutti i sogni che ricordo, il che dimostra che sono ben presenti in me. Ma evito di pensarci volutamente o di coltivarne il ricordo che spunta dal subconscio cogliendo l’occasione per pensarci su’, poiché quei ricordi sarebbero dolorosi e… fondamentalmente inutili. Pensiamo davvero che i nostri cari sarebbero contenti di pensare che tormentano le nostre giornate buttandoci nel dolore e nello sconforto? … io non credo.

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  5. é molto tenero… quello di permettere di leggere pagine del tuo diario… grazie…
    Quello che mi ha colpito è che tu avverti la possibilità di scegliere tra emozione e distacco…
    Io non ho mai vissuto questo istante… mi son sempre trovata nell’emozione… anzi travolta dall’emozione… senza nessuna arma di difesa… neppure un ‘ombrello….
    un abbraccio grande…
    Fly

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  6. x Fly: bé… allora devi senz’altro leggere lo scambio di commenti che ho avuto con Lisa (utente anonimo): #33, #35, #42, #46, #52, #55 (ma non è detto sia finita qua…).
    Un abbraccione cara 🙂

    x morellina: allora tra poco arrivo…

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  7. Ciao, Wolf, bello leggere un po’ di te in modo più approfondito che nei post. A quando l’intervista a me? Fammi consultare l’agenda, uhm…no, ora dice “vacanze”…e già, sto per partire…ma tornerò tra 15 gg in tiro! Un abbraccio al mio lupacchio preferito.

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  8. Caro Wolf, è vero che io non trovo giusto dimenticare i miei cari…ma è anche vero che nel mio caso i ricordi affiorano in me in maniera così “prepotente”, sono così impetuosi e coinvolgenti che non riesco a non soffrire, anche a distanza di anni! Temo che questa cosa faccia parte del mio carattere e me la dovrò tenere. Però le tue parole, come sempre, hanno fatto breccia. Non so dirti il perchè, ma la sensazione che tu abbia ragione è netta. Quindi cercherò perlomeno di soffrire il meno possibile, allontanando il ricordo di chi ho amato così tanto (vedi, già aver scritto quest’ultima frase mi fa sentire in colpa).
    Grazie Wolf. 🙂 Lisa
    p.s. E ora vado a leggermi l’intervista al Lupo!

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  9. x harielle: eheheh grazie cara 😀 Chi lo sa… una bella intervista si può organizzare! 🙂

    x Lisa: eheheh io credo di intravvedere che tu sappia già qual è la giusta strada… 😉

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  10. E’ duro qualunque cosa, raggiungere la consapevolezza o più semplicemente far restare accesa la fiamma della speranza.
    Com’é facile accendere il lumino dell’aspettativa.

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  11. Già 🙂 Aggiungerei che è duro anche accettare di spegnere la fiamma della speranza quando essa non ha più senso di esistere. Anzi, forse è la cosa più difficile… ma è giusto così 🙂

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  12. Non so se esista la possibilità di "scegliere" tra dolore e distacco, questo in generale nella vita. Sono sicura però che evitare il dolore sia spesso più doloroso del dolore stesso, ed allora forse conviene portarsi dietro il nostro fardello di umanità  e viverla per quel che è.
    L’attaccamento a un animale e il dolore della perdita li conosco. Pensa che in un periodo particolare, nell’attesa di un figlio che tardava ad arrivare, ho (purtroppo) straziato psicologicamente un gatto trattandolo quasi come un figlio, poveretto; non ti dico quando fu investito e lo persi: fu molto doloroso. Quindi comprendo perfettamente l’investimento affettivo e il legame che si crea con gli animali, ma sbagliamo se sopravvalutiamo un po’ il loro ruolo nella nostra vita, o finiamo addirittura per vivere le loro "diversità" rispetto a noi come un’inadeguatezza. Loro, gli animali, sono ovviamente più primitivi rispetto alla vita, alla malattia e alla morte.
    Ciao
    S.

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  13. Bé, affronti una questione invero molto delicata. Una volta litigai con una persona che, di fronte ad un’altra, distrutta per la perdita del suo cane, se ne uscì con una frase del tipo "ecco cosa succede a non avere figli, si esce di testa per un animale"
    Adesso, con questa persona litigai per il fatto che, al di là di ciò che si pensa, un’uscita del genere verso una persona sofferente la trovo davvero di cattivo gusto e denotante grande mancanza di tatto.
    Al di là di questo, personalmente – pur rispettando l’idea di chiunque – credo che chi senta l’importanza della vita e dell’amore, non può che amarli visceralmente in ogni sua forma. Pertanto capisco chi è distrutto dalla morte anche "solo" di un animale domestico.
    Con questo non sminuisco il valore di un figlio, né lo metto sullo stesso piano, ma mi oppongo alla dicotomia che vede l’amore legato esclusivamente alle persone, mentre ad un animale si può al massimo "volere bene", esserci affezionati.
    E poi… parli con uno che notoriamente pensa che l’uomo sia una creatura arrogante nella sua supponenza di volersi credere al di sopra del regno animale. Nel mondo esiste il regno minerale, quello vegetale e quello animale. Il "regno umano" ce lo siamo inventati noi perché vogliamo crederci superiori a ogni altra cosa ed a ogni altro essere. Poi… basta un virus di minuscole dimensioni per ricordarci che anche noi siamo animali.
    Però è vero: amare un animale significa capire e accettare che è diverso da noi e rispettarlo come tale.

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  14. Assolutamente condivido: l’amore non è esclusivo appannaggio dell’uomo per il suo simile. Quello su cui rifletto è sulla modalità di esprimere questo amore che, secondo me, a volte risente del nostro umano egoismo anche a scapito della natura dell’animale che, certamente, non può comprendere le ragioni intrinseche dei nostri atteggiamenti nei suoi confronti, finendo, a volte, per subirli. Parlo di quando proviamo ad umanizzarli, con sistemi e modalità non sempre rispettose delle loro specificità. Non è per superiorità di razza o di genere che dico questo: neanche al bambino si può chiedere ciò che sappiamo non sia ancora in grado di comprendere o compiere; è semplicemente questione di rispetto delle diversità, e questo è un principio valido  per ogni aspetto della vita.
    ciao..
    S.

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  15. Su questo concordo pienamente Mi aveva un po’ portato fuori strada la frase "ma sbagliamo se sopravvalutiamo un po’ il loro ruolo nella nostra vita". Ma anche questa capisco in quale contesto lo dici 

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