Pensiero positivo: l’inganno dei ‘non’

Cari (pochi) amici rimasti 🙂 Meno male che ho ancora tanti post da ripescare, perché ancora non vedo all’orizzonte un periodo nel quale potrò tornare a dedicare al blog lo stesso tempo che, ormai tanto tempo fa’ (col metro di misura di Internet), gli dedicavo 😦

Il lavoro è un disastro: tanto sforzo, tanto tempo… ma sensazione di agire tra mura di gomma. Ne sta andando anche della mia salute. Mi chiedo per cosa…

La salute, appunto… non va’ granché. Dovrò iniziare a fare visite approfondite per capire che c’è che non va’. E chi mi conosce sa che non le vivo con tranquillità.

Si salva la mia famigliola, ovvero Lady Wolf e i nostri simpaticissimi animalotti 🙂 Forse, se non ci fossero loro… avrei già “mollato”.

Il post che recupero questa sera è piuttosto “datato”, non solo come periodo (era sempre gennaio 2008), ma anche nella mia percezione. Che intendo dire? Che lo sento un po’ come “scontato”. Tuttavia, sebbene ci siano cose che in molti sappiamo… in pochi le applicchiamo veramente, me compreso. E allora fa bene rinfrescarsi la memoria ogni tanto 🙂 E questa storia de “l’inganno dei non”, è uno di questi concetti: molti di noi sanno che dovrebbero concentrarsi sulle cose belle, anche in momenti di difficoltà, sulle possibilità, sui “posso”, non sui “devo”… ma francamente, quanti di noi lo fanno davvero? Quanti di noi riescono a vedere davvero il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto, anche se sanno perfettamente che meglio sarebbe fare così?

Ecco qui il post, e al seguente link trovate quello originale con i commenti dell’epoca: Pensiero positivo: l’inganno dei ‘non’

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“Pensiero positivo” e’ ormai un concetto trito e ritrito. Innumerevoli sono i libri su di esso, alcuni dal tenore cosi’ ottimistico e superficiale da renderlo poco credibile e da finire per screditarne anche l’effettivo potere.
Il pensiero positivo non compie miracoli, non da’ certezza del risultato; esso e’ “solamente” un mezzo per mettersi nelle migliori condizioni possibili affinche’ cose buone possano capitare nella nostra vita. E non e’ poco.

Uno dei concetti cardine del pensiero positivo e’ quello di evitare di ragionare tramite parole negative, come i “non”.

NONFin da piccoli, siamo stati abituati ad un uso ampio e scriteriato dei “non”: “non devo fare questo”, “non devo dire cosi’”, “non devo essere in tal modo”, “non voglio che accada che…”, “non devo pensare a…” e cosi’ via. Il pensiero positivo suggerisce di sostituire questo modo di ragionare “al negativo” con pensieri rivolti al positivo: “voglio fare”, “posso dire”, “posso essere”, “posso agire in modo che accada”, “penso a…”.
Chiaramente l’oggetto della frase diviene l’opposto di quello della frase al negativo: “Non devo pensare a tizio” [con il quale ho appena rotto…] diventa “posso pensare alla prossima storia che avro’” [anche se il futuro partner non ha ancora un nome o un viso].

 

DEVOPOSSONotate un effetto collaterale: anche i “devo” (pesanti, poiche’ indicano uno stato di costrizione) vengono sostituiti con i “posso” (costruttivi, perche’ indicano uno stato di potere: posso farlo, non sono “obbligato”); cio’ rende immediatamente lo stato emotivo della persona che li esperisce molto piu’ leggero, diminuendone in tal modo l’ansia e la sofferenza. Ma soprattutto leva dallo stato di impantanamento nel quale si trova.

A questo punto, mi piace raccontare una storiella che cito spesso, quella di Goethe e del suo commercialista…

Goethe (Stieler 1828)Si narra che un giorno Goethe fu tradito dal suo commercialista che scappo’ con una grossa somma di denaro. Questo tizio era anche un suo grande amico, o almeno cosi’ il bravo Wolfgang credeva.
Per lui la sensazione di tradimento fu fortissima al punto di divenire una vera ossessione. Arrivo’ a tappezzare la sua casa di bigliettini con scritto “Non devo pensare a xxx”. Inutile dire che ogni volta che ne vedeva uno… pensava a lui e al suo tradimento.
E il suo malessere continuava percio’ inesorabilmente.
Goethe si libero’ della sua ossessione solo quando prese la saggia decisione di riposizionare tutti quei bigliettini… nella spazzatura 😉

La mente inconscia tende naturalmente a cio’ che la fa stare bene, ma va guidata con un po’ di razionalita’, infatti essa non distingue tra immediato e futuro. Se ad esempio il partner ci lascia, tendenzialmente la mente tendera’ ad andare al suo ricordo il piu’ possibile, perche’ cosi’ e’ abituata a fare, perche’ la mancanza di quella “immagine” (intesa in senso ampio, come “ricordo” generico, non solo la “figura visiva”) la fa soffrire. Arrivera’ al punto di elaborare strategie anche complicate per non staccarsi da esso. Compresi i famosi “non”: “non devo pensare a” permette ad essa di continuare a pensarci senza sentirsi colpa, “Non sono debole, non e’ che ci penso volutamente! Non vorrei pensarci, eppure…”.

ScimpanzeAnni fa’ lessi un esperimento condotto su alcune scimmie: ad esse era stato insegnato che, se premevano con un dito un certo tasto, un cibo prelibato compariva. Gli scienziati notarono che quelle scimmie continuavano ad usare prevalentemente quel dito anche quando ormai il cibo non veniva piu’ fornito loro e scoprirono che la rete neuronale che collegava il cervello a quel dito era piu’ spessa delle corrispondenti reti dirette verso le altra dita: il cervello aveva costruito una sorta di autostrada preferenziale nella quale incanalare i pensieri.
Lo stesso facciamo quando adottiamo una certa “abitudine” a lungo: la mente crea dei collegamenti preferenziali verso quella immagine. Ecco perche’, perfino con i “non”, tendiamo sempre all’oggetto della nostra “ossessione”. Disfarsene significa ridurre a poco a poco quell’autostrada mentale, atrofizzandola. E l’unico modo e’ imparare, sforzarsi, a non utilizzarla. Usarla salendo sulla macchina deiautostrada “non”, e’ un inganno: non servira’ assolutamente a nulla se non a perpetrare, ad ispessire ancora di piu’, quell’autostrada. Di fatto, gia’ in passato ho notato che esistono tanti legami tenuti in vita proprio dalla sofferenza: la sofferenza “lega” moltissimo all’oggetto che la crea. Addirittura rapporti ai quali non si teneva granche’, diventano trappole dalle quali non ci si riesce piu’ ad allontanare non appena fa capolino la sofferenza dell’abbandono.

L’unico modo di uscirne e’ pensare ad altro costruttivamente, sostituendo quell’immagine con altre che non la ricordino. Se sono stato mollato, ad esempio, avro’ molti piu’ risultati sognando il prossimo rapporto con una persona splendida, anche se di questa non conosco ancora ne’ il nome ne’ il viso, piuttosto che continuare a pensare a chi mi ha lasciato, seppure in termini negativi. Ma posso anche pensare a tutt’altro, non importa, basta non utilizzare la famosa autostrada.

La mente, sempre per il principio di tendere naturalmente verso cio’ che la fa star bene, appena si accorgera’ che non pensando piu’ all’oggetto della sua ossessione sta’ meglio, ci aiutera’ a proseguire su quella nuova strada, atrofizzando – a questo punto rapidamente – l’autostrada che era stata creata.

“Questo e’ il mio dono. Lascio che la negativita’ scivoli via da me come l’acqua dal dorso di un’anatra. Se non e’ positivo, non lo ascolto nemmeno. Se puoi superare questo, i combattimenti sono facili” – George Foreman

“Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è cio’ che diventi.” – Eraclito

river

Superare la Paura della morte – dal libro di Lucio Della Seta

Bene, finalmente sono pronto a pubblicare l’annunciato estratto dal libro “Debellare l’ansia e il panico” di Lucio Della Seta. Pensate che mi sono portato il libro in ufficio per una settimana con l’idea di scriverlo durante una delle pause pranzo ma, ovviamente, non ho avuto tempo 😛 Comunque, anche se in ritardo, eccolo qua 🙂

Superare la Paura della morte

La nostra vita ha una caratteristica indecente: finisce sempre male con tutti che piangono.

Di conseguenza, per capire le nostra difficoltà esistenziali ci dobbiamo ricordare che solo qualche decina di migliaia di anni fa i nostri antenati non sapevano di esistere. Né sapevano di morire. Secondo me, quando la funzione cosciente si è sufficientemente sviluppata da permettere loro di capire che si muore per sempre, sono andati fuori di testa.

Nel tempo hanno cominciato a portare del cibo ai morti, a inventare cerimonie, riti, religioni, superstizioni, sperando così di evitare la catastrofe.

D’altra parte, a meno di non essere seguaci della dottrina indiana della Maya, in cui la realtà non esiste e tutto è illusione, quello che sappiamo è che passiamo un certo periodo di tempo su una palla di terra, acqua, fuoco, che gira attorno al Sole.

Non sappiamo altro. Allora inventiamo. Deliriamo.

La definizione di “delirio” da parte della psichiatria è: “”una convinzione che non corrisponde né alla ragione né all’esperienza”.

Ma la psichiatria si limite a considerare deliranti solo quei comportamenti e quelle idee che appartengono a piccolo minoranze, e non considera deliranti una grande quantità di comportamenti solo perché troppe persone vi sono coinvolte.

Credersi Napoleone è delirio, mentre chi è convinto della pericolosità dei gatti neri non delira.

Insomma, se idee o concetti chiaramente deliranti sono comuni a molti, a una maggioranza, non sono più deliri.

Nelle nostre condizioni, avere dei pensieri deliranti e teorie inventate che cercano di capire e di conoscere la realtà è normale.

Ci possiamo illudere di sapere qualcosa ma non è vero: quindi è fisiologico delirare, anche se questi deliri sono poi fonti di sofferenza.

Tutte le superstizioni sono forme di delirio e la loro eliminazione è condizione indispensabile per il benessere mentale. Superstitio viene dal concetto di essere superstiti, di sopravvivere.

Chi ha l’ansia non deve conservarne neppure una. Faccia questa guerra e ne avrà enormi vantaggi perché ogni superstizione alimenta, direttamente o indirettamente, la Paura di morire.

Ho visto che nel Taoismo c’è una pratica particolare e molto saggia, si chiama Wu Wei e consiste nel “non fare”.

E’ un non fare attivo, un astenersi.

Applicare il concetto di Wu Wei al fatto che si muore è un intelligente rimedio all’irrisolvibile.

Più si tenta di risolvere il problema della morte e più se ne rimane invischiati.

Il Wu Wei può servire a governare questa Paura decidendo di non occuparsene. Si deve imparare a non occuparsene, perché non è vero che si tratta di un problema risolvibile.

Tra i significati del Wu Wei, qui, il “non fare” equivale a resistere alla tentazione di far seguito pensieri, considerazioni, idee, azioni alla Paura della morte. A 360 gradi.

E’ inutile illudersi di risolvere il problema della morte con invenzioni e pratiche che non possono funzionare mai fino in fondo.

Occuparsene è, semplicemente, una trappola infernale.

Non è impossibile imparare a essere attivi nel “non fare”.

Ci si deve abituare a non occuparsi mai del fatto che si muore. Quando viene in mente che c’è la morte, si deve imparare a ignorare questa istanza. Allora essa si estingue, smette di presentarsi e tormentarci.

Quando viene il pensiero della morte si deve imparare a restare fermi con la mente, vuoti, fino a quando il pensiero scompare. Non è facile, ma funziona.

Il beneficio per gli ansiosi è evidente, visto che l’Ansia, lo ricordo, è in ultima analisi Paura della morte.

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Commento di Wolfghost: può sembrare che questa visione sia estremamente materialista e distante dal mio modo di vedere le cose, ma non lo è veramente, non troppo almeno. In fondo ricordiamoci che il Buddha storico non rispondeva mai alle domande sulla vita dopo la morte ritenendo la faccenda superflua. Quello che interessava era la libertà dalla sofferenza, qui e adesso. La vera meditazione, in fondo, è assenza di pensiero e può perciò essere usata anche per eliminare il pensiero della morte, senza “risolverne” il problema. Lo si rimuove semplicemente. Una specie di “lontan dagli occhi, lontan dal cuore”.

Se il metodo può essere applicato a questa visione, il “progetto” finale è diamentramente opposto nel caso dei buddhisti tibetani odierni: i buddhisti infatti cercano di accettare la morte, non di evitarne il pensiero. Questa, per me, sarebbe la soluzione ideale poiché evita di ritrovarsi un giorno impreparati di fronte alla morte, sempre che essa non arrivi di colpo, senza darci il tempo di pensare.

Tuttavia è molto difficile.

E’ più facile imporsi di non pensare alla morte che cercare di accettarla fino in fondo, di convivere con la consapevolezza che c’è. Questo lo so per esperienza. Forse è per questo che Della Seta ritiene la morte un problema “irrisolvibile”.

Non so se sia veramente così, sono anzi certo che ci sono molte persone che la morte l’hanno accettata veramente, la loro come quella dei loro cari. E il cui pensiero non li disturba più.

Probabilmente l’approccio corretto è personale e la scelta individuale insindacabile.

Insomma… fate la vostra scelta, io qui non posso esservi di aiuto 🙂

Debellare l’ansia e il panico – un libro di Lucio Della Seta

Ho letto recentemente il libro “Debellare l’ansia e il panico”, scritto dallo psicologo Lucio Della Seta. Avevo comprato questo libro durante una “scorribanda” in una libreria in centro dopo una lunga indecisione, dato che ne avevo già presi altri due ed ero indeciso con un terzo che trattava più o meno dello stesso argomento. Ciò che mi ha convinto ad acquistare il libro è stato lo stesso motivo per cui stavo per scartarlo, ovvero una teoria un po’ diversa dal solito e che in prima battuta mi aveva fatto un po’ arricciare il naso… ma poi incuriosito 😉

Sostanzialmente la teoria dello psicologo romano è che la paura nasce dalla reazione fisiologica del nostro corpo di fronte ad una situazione di pericolo o di supposto pericolo, piuttosto che l’opposto (ovvero che la reazione fisiologica segua – e non preceda – la paura) ma che, sostanzialmente, non serva a nulla e sia anzi solo dannosa. Il concetto è  che – per usare il suo stesso esempio – non ci viene la tachicardia perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché ci accorgiamo di avere la tachicardia 😉 E la tachicardia, così come altre reazioni del nostro corpo di fronte ad un pericolo, ha un ben preciso compito che nulla ha a che fare con la paura, ovvero quello di preparare il nostro corpo ad una pronta reazione, tipicamente quella della fuga. La paura perciò non avrebbe alcuna utilità. L’autore anzi si chiede se troverà mai qualche esperto in grado di spiegargli l’utilità della paura.

La mia idea a tal proposito è che l’unica utilità della paura sia quella di non far abbassare le difese a chi non ha ancora reagito di fronte al pericolo. Ad esempio, se una persona si accorge di avere un sintomo fisico che non aveva mai avuto, la sua reazione tipica è, o dovrebbe essere, quella di verificare che il sintomo non sia determinato da una causa seria, dunque di solito si prepara ad agire di conseguenza, poniamo a chiamare il medico, ma… non tutti lo fanno effettivamente: per un motivo o per un altro tendono a rimandare ogni azione, magari sperando che il sintomo si risolva da solo. L’utilità della paura in questo caso consiste proprio nel fatto che non permette alla persona che la prova di “dimenticare” il suo sintomo (che può anche non essere “fisico”), e la preoccupazione continua, l’ansia, che ne deriva lo può finalmente portare a decidere di muoversi, cosa che altrimenti potrebbe non fare, con conseguenze anche gravi.

Una volta che la persona si è mossa… bé, allora divento d’accordo con l’autore: la paura non serve a nulla ed anzi è “un ostacolo alla mia difesa: mi toglie la lucidità necessaria per combattere o sfuggire il pericolo”.

Chi è razionale e determinato al punto di non sottovalutare il pericolo non ha alcun bisogno della paura.

Nel prossimo post riporterò un interessante estratto del libro 🙂

Cleo

“Cleo” è un interessante libro di Helen Brown, giornalista, scrittrice e conduttrice neozelandese. E’ in pratica l’autobiografia della scrittrice e della sua famiglia, Cleo inclusa, durante i quasi 24 anni in cui questa gatta ne ha fatto parte. Cleo ha la parte principale, è vero, ma il libro non è, come ci si aspetterebbe, costruito solo su di lei, anzi in alcuni capitoli le sue apparizioni sono piuttosto marginali. Cio’ è in linea con l’idea dell’autrice che non vuole limitarsi a scrivere un libro divertente su un gatto, ma intende dimostrarne l’importanza in una famiglia segnata da un evento drammatico come la morte di un bambino, uno dei due figli dell’autrice. Cleo viene accettata in famiglia proprio perché quel bambino l’aveva scelta poco tempo prima di morire in un incidente.

Il punto di forza del libro è, a mio avviso, la grande scorrevolezza della scrittura di Helen Brown e la sua capacità di umanizzare in maniera molto divertente i comportamenti di Cleo. Ma la Brown non si ferma a questo, intercalando qua e là degli interessanti spunti di riflessione. Ve ne offro qualcuno 🙂

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“Ecco perché rimasi sconvolta quando in un soleggiato pomeriggio ne trovai una [mantide religiosa] tra le grinfie di Cleo. La gattina stava giocando con quella povera creatura, lasciandole credere di essere riuscita a fuggire per poi balzarle di nuovo addosso. Il mio primo istinto fu di correre in aiuto dell’insetto. Ma aveva già perso una zampa. Non c’era più speranza.

Per la prima volta provai un lieve moto di repulsione nei confronti di Cleo. D’altro canto, se avessi cercato di impedirle di cacciare e occasionalmente di uccidere un’altra creatura, le avrei negato una componente essenziale del suo essere gatto. Da qualche parte, in fondo alla mia mente, riuscivo a sentire mia madre che diceva: <<Non si può interferire con la Natura>>. Non che la sua educazione da autentica pioniera rispecchiasse questo sentimento. I nostri antenati non avevano avuto nessuno scrupolo a ridurre in cenere immense porzioni di territorio.”

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“Nonostante ciò, sobbalzavo ogni volta che il telefono squillava. Ma non era mai lui. Perché avrebbe dovuto? Quando avevamo rotto avevamo messo le cose più che in chiaro. Aveva detto che non era pronto, qualunque cosa significasse. Se la gente aspettasse fino a quando è tutto pronto, allora non accadrebbe mai niente. La vita non è un menu, non si possono ordinare i piatti quando si è pronti per mangiarli. Io non ero stata pronta a perdere Sam [il figlio dell’autrice]. E non mi sentivo pronta a dire addio a Philip [il nuovo compagno].”

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“Uno dei molti modi in cui i gatti sono superiori agli esseri umani è il controllo che hanno sul tempo. Evitando di sezionare gli anni in mesi, i giorni in ore e i minuti in secondi, i gatti si risparmiamo un sacco di ansie. Liberi dalla schiavitù di misurare ogni singolo istante, di angosciarsi se sono in anticipo o in ritardo, giovani o vecchi, o se mancano solo sei settimane a Natale, i felini apprezzano il presente in tutto il suo sfaccettato splendore. Non si preoccupano mai dell’inizio o della fine. Dal loro paradossale punto di vista, una fine spesso rappresenta un inizio. La gioia di crogiolarsi sul davanzale di una finestra può sembrare eterna anche se misurata con il tempo umano si restringe a diciotto miseri minuti.

Se gli uomini riuscissero a programmarsi per dimenticare il tempo, potrebbero apprezzare una successione ininterrotta di piaceri e possibilità. I rimpianti per il passato si dissolverebbero insieme alle ansie sul futuro. Noteremmo il colore del cielo e saremmo liberi di fare nostra la meraviglia di essere vivi in questo preciso momento. Se fossimo capaci di assomigliare di più ai gatti, le nostre vite ci sembrerebbero eterne.”

[continua]

 

Liberi dall’ansia: costanza nella pratica

Qualche giorno fa ho ricevuto una e-mail da una persona che chiedeva suggerimenti per calmare gli stati ansiosi dei quali e’ spesso vittima, soprattutto a riguardo del futuro.
Siccome l’argomento e’ interessante e credo che tocchi molti di noi, voglio riproporre la mia risposta anche qua, solo un poco rielaborata. Ringrazio S. per la fiducia dimostratami e per avermi dato l’occasione di riflettere ancora una volta sull’argomento.

scaredOggigiorno per affrontare ansia e paure esistono molti possibili metodi alternativi e/o complementari. Si puo’ cercare aiuto in persone esterne, come psicologi, consuelor, terapeuti di diverse discipline, sia singolarmente che in gruppo, cercando magari sostegno anche dagli altri partecipanti.
Si puo’ scegliere una strada piu’ autodidatta, c’è ormai facile accessibilita’ a tanta informazione senza necessità di spendere una fortuna: libri, siti internet, CD e DVD. Sull’argomento ho letto molto in passato, libri come “Libertà dalla Paura”, che hanno fatto epoca nel loro tempo. Oggi ce ne sono tanti altri, altrettanto validi. Basta andare in una libreria e farsi “guidare dall’istinto”.
Attualmente
, come penso si sara’ accorto chi segue il mio blog da tempo, tendo ad essere affascinato dalla filosofia e dalle pratiche del buddhismo tibetano. Scorrendo il blog si possono trovare le “recensioni” di diversi testi che ho letto ed apprezzato.

Una cosa e’ certa: la libertà dalla paura è un percorso lungo, un percorso forse senza fine, ma che, per chi è ansioso, vale la pena di intraprendere con serietà e determinazione, soprattutto quando paure ed ansie finiscono per minare la serenita’ della vita. La vita e’ fragile e caduca, lo sappiamo tutti, prima o poi arrivera’ il momento in cui ognuno di noi dovra’ affrontare qualcosa che non avrebbe mai voluto affrontare… ma non riuscire a godersi i giorni che passano, le persone e tutte le cose belle che abbiamo intorno a noi perche’ anche quando stiamo bene siamo preoccupati dal futuro, e’ un vero peccato. Un collega una volta mi disse: “io so solo che alla morte ci si arriva vivi” (nel senso che e’ bene arrivarci avendo vissuto davvero, apprezzando cio’ che abbiamo avuto la fortuna di poter esperire).

Il problema a mio avviso non e’ essere ansiosi, dire “e’ cosi’, non so come ci sono arrivato ma e’ chiaro che sono una persona ansiosa e non posso farci nulla” e’ una brutta autolimitazione di cui bisogna disfarsi. Il passato e’ passato, cambiare si puo’, ma… occorre mettersi in testa che esistono si’ tante ricette, ma nessuna, se e’ seria, e’ facile: puo’ essere semplice da essere spiegata, ma deve necessariamente ricevere grande applicazione. E’ troppo facile entusiasmarsi per un libro, una seduta, la direttiva di un esperto, bisogna assolutamente dargli seguito. La strada puo’ essere indicata ma poi ognuno deve percorrerla con le proprie gambe. Ci vuole tempo, applicazione, pazienza. Non bisogna lasciarsi abbattere da eventuali inciampi, e’ fondamentale insistere.
Guardate, io mi sono imbattuto in tante e tante strade… la cosa curiosa è che adesso ho imparato che paradossalmente piu’ della strada conta la costanza nel seguirla.
Bisogna portarla nella vita di tutti i giorni, altrimenti non serve a nulla.

Siamo troppo pigri, vogliamo soluzioni facili, la pappa pronta. Questo e’ il vero problema. Partiamo con le migliori intenzioni, per poi perderci per un niente.

gatto spaventato

Essere consapevoli per lasciare andare

atlanteAnsie e preoccupazioni ci stanno aggrappate, e vorremmo lasciarle andare. Come? Fate dei passi calmi, fermi. Passi coraggiosi. Siate attenti e determinati: attenti al carico delle ansie e delle preoccupazioni, determinati a volerlo deporre. Chiedetevi: “ Perché continuo a caricarmi questo peso sulle spalle?”.
Rendetevi conto che state davvero portando il carico estenuante di tutte le vostre ansie e preoccupazioni, e generate compassione per voi stessi. Solo se abbiamo compassione per noi, avremo compassione per gli altri. Questa comprensione sorge scoprendovi imprigionati nella gabbia dell’ansia e della preoccupazione. Capirete che ansia e preoccupazione non servono per risolvere i problemi, ma che, al contrario, impediscono la pace e la gioia.
Con questa consapevolezza, lasciatele cadere giù. Se volete potete farlo. E’ come togliersi l’impermeabile e scuotere via le gocce di pioggia che sono rimaste.

In un centro Zen, all’ingresso del sentiero per la meditazione camminata, c’era un masso. Sul masso erano incise queste parole: “Bo bo thanh phong khoi”, che significano: “Ogni passo fa nascere una brezza”. Che frase stupenda! La brezza rinfrescante è l’esperienza della pace e della liberazione che soffiano via l’opprimente afa delle preoccupazioni dal vostro ciclo di nascita e morte, portando gioia e libertà nelle nostre vite.
Amico caro, perché non provi a camminare anche tu in questo modo? Fallo per il nostro mondo.

Thich Nhat Hanh


Commento di Wolfghost: la meditazione camminata è una pratica centrale negli insegnamenti di Thich Nhat Hanh. Sostanzialmente si tratta di una lenta passeggiata dove tutta la nostra attenzione è sui passi, sul respiro, sul sorriso che dobbiamo far sorgere con amore. Lo scopo è ottenere una concentrazione che col tempo diviene spontanea, senza sforzo, uno stato di consapevolezza che ci permetterà di vedere con chiarezza aspetti della nostra mente e della nostra vita che al momento sono confusi. Ansia e preoccupazioni sono tra questi aspetti. Certo, ognuno ha problemi, e in certe fasi della vita tali problemi divengono gravi e rilevanti. Tuttavia è davvero inutile preoccuparsene tutto il tempo: non serve, e, creandoci ansia, è controproducente.
Ovviamente suona facile scriverlo a parole, difficile applicarlo. Ma… è se fosse come dice il buon Thich? Se davvero bastasse provare con un poco di determinazione per scoprire che davvero possiamo allentare i morsi di ansie e preoccupazioni?
Si puo’ fare, se vogliamo davvero.

Questo è il penultimo post sugli insegnamenti di Thich Nhat Hanh contenuti nel libro “Essere Pace”. Nel prossimo metterò la parte forse di più difficile comprensione ma anche quella secondo me più importante.

arcobaleno

Chiedi al cavallo!

Ho terminato ieri la lettura di uno dei tanti libri di Thich Nhat Hanh: Essere Pace. Thich Nath Hanh, nato in Vietnam nel 1926 (dunque ha 85 anni), è monaco buddhista dall’età di 16 anni. Il suo buddhismo è piuttosto raro in quanto il Vietnam è l’unico posto dove le due forme tradizionali del buddhismo, il Mahayana e il Theravada, sono cresciute in pacifica integrazione. Inoltre grande parte ha ovviamente avuto l’esperienza diretta della guerra, con i suoi orrori e le sue sofferenze. Thich Nhat Hanh si è in seguito trasferito in Francia dove ha aperto una piccola comunità, ma diversi centri sono diffusi in tutto il mondo occidentale, Italia compresa (http://www.esserepace.org/sangha.html).
Il successo del suo insegnamento è stato quello di adattarsi alla differente mentalità occidentale, poiché, come d’altronde sostiene anche il Dalai Lama, tramandare semplicemente un “buddhismo ortodosso”, poco adatto all’occidente, non avrebbe avuto “presa”. Questo non deve suonare come un tentativo di “evangelizzazione” – il Dalai Lama stesso dice che è giusto che ognuno resti nella propria religione, culturalmente più appropriata – ma piuttosto come il desiderio di rendere cio’ che si ritiene un insegnamento utile e pratico – apportatore di pace e serenità attraverso il controllo dei proprio pensieri – facilmente trasmissibile anche laddove la cultura e la mentalità siano molto diverse. Si tratta percio’, secondo il Dalai Lama, di un “metodo” da affiancare alla propria religione, piuttosto che sostituirla.

Una storiella zen racconta di un uomo su un cavallo: il cavallo galoppa veloce, e pare che l’uomo debba andare in qualche posto importante. Un tale, lungo la strada, gli grida: “Dove stai andando?” e il cavaliere risponde: “Non so! Chiedi al cavallo!”.

Questa storiella, che già conoscevo ma che ho ritrovato anche nel libro, paragona i nostri pensieri al cavallo: noi, che siamo il cavaliere, dovremmo condurlo, ma più spesso è lui a portarci dove vuole, frequentemente in lande di angoscia e preoccupazioni, senza che ce ne rendiamo davvero conto. Iniziamo con un pensiero, poi da questo ne nasce un altro, e poi un altro, producendo una valanga che diviene sempre più incontrollabile finendo per travolgerci. A un determinato momento ci ritroviamo in stato di agitazione ed ansia, senza sapere come ci siamo arrivati. Il buddhismo non è “assenza di pensiero” – il primo pensiero puo’ infatti essere sensato, non sarebbe giusto (ne possibile) impedirgli di nascere – ma è “consapevolezza del flusso di pensieri”, in modo da imparare a usarli piuttosto che farci usare da essi.

Ho selezionato qualche altro pensiero interessante dal libro di Thich Nhat Hanh, nei prossimi post ne mettero’ qualcuno 😉

cavallo e cavaliere

La paura di scegliere

Questo e’ uno dei post che giace nella mia mente da tempo, in attesa del momento per scriverlo. Ora, grazie ad un intervento di Happysummer nel post precedente, con mia conseguente risposta, ho deciso che e’ arrivato il momento di scriverlo e pubblicarlo. Non prima pero’ di avervi fatto notare che la testa del blog e’ di nuovo cambiata: ora titolo e immagine sono a colori… che ne dite? 🙂

Wolf 5


topastroLa paura di scegliere
di Paulo Coelho

Una vecchia storiella per bambini racconta di Donna Scarafaggina che, spazzando la casa, trovò una moneta. Dopo essere stata per lungo tempo alla finestra, per scegliere il pretendente adatto alle sue paure e ai suoi desideri, finì per sposare Giovanni Topastro. Come tutti sappiamo, Giovanni Topastro cadde nella pentola dei fagioli.
Molte volte, nella vita, troviamo una moneta che ci è data dal destino e pensiamo che questo sia l’unico tesoro della nostra vita. Finiamo per attribuirgli tanto valore che il destino – lo stesso che ci ha consegnato la moneta – s’incarica di riprendersela.
Chi ha molta paura di scegliere compie sempre la scelta sbagliata.


Commento di Wolfghost: premesso che non conosco la storia citata da Coelho (forse e’ si’ una storia per bambini, ma magari in Brasile…) e che mi piacerebbe che chi eventualmente la conoscesse o riconoscesse la raccontasse (e’ una curiosita’ che mi porto dietro da anni! ), devo prima di tutto sottolineare che Coelho parla di “molta paura”, quindi non e’ un invito a buttarsi allo sbaraglio: un po’ di timore nel compiere una scelta, soprattutto se importante, e’ normalissimo. Qui si parla di quando, allo scopo di evitare anche il benche’ minimo margine di errore, si finisce per entrare nelle sabbie mobili del, da me odiatissimo, immobilismo.
Un’aforisma da me citato sul blog ormai ben piu’ di un anno fa, diceva:

“Il procrastinare è una delle malattie
più comuni e più mortali
e il suo effetto nefasto sul successo
e sulla felicità è molto grande.”
Wayne W.Dyer

Ripeto, per anticipare la consueta critica: certamente c’e’ un tempo per ogni cosa, quando non si ha ben presente il quadro della situazione, quando si ha ancora necessita’ di tempo per chiarirsi, e’ bene fermarsi e riflettere, ma c’e’ un limite che non va superato, pro’ e contro esisteranno sempre, e’ impossibile che una scelta comporti solo “pro'”, e’ molto difficile che non ci sia il minimo rischio, ma…

L’unico vero rischio nella vita
è non voler correre alcun rischio.”
Sergio Bambaren

Arriva un momento nel quale ci si accorge che i pensieri si sono chiusi su se stessi: vengono in mente gli stessi “ma”, i medesimi “forse”, nessun altro elemento utile alla nostra decisione puo’ ormai essere aggiunto. L’ansia e l’angoscia crescono, ci si sente bloccati, impotenti, inermi. Non si riesce nemmeno piu’ ad ascoltare davvero chi cerca di consigliarci. A questo punto e’ diventato tutto piu’ difficile, meglio sarebbe stato non arrivare ad un simile stato di blocco, perche’ adesso i pro’ e i contro sembrano tutti avere lo stesso peso: abbiamo perso la capacita’ di discernimento e potremmo davvero compiere la scelta sbagliata.

Decidendo per tempo, quando ci si accorge che si sta per cadere in un simile blocco – e di solito lo si percepisce – si puo’ ancora interrompere quello schema mentale distruttivo nel quale si sta precipitando.
E se si sbagliera’… amen, a parte il fatto che non si puo’ sapere come sarebbe andata prendendo un’altra decisione, perlomeno saremo usciti dal nostro stato di empasse, avremo dimostrato a noi stessi di poter scegliere e la prossima volta riusciremo a farlo con piu’ facilita’.

Non comprare un vaso per paura di romperlo non vi puo’ portare ad avere quel vaso in casa. Pare ovvio, non e’ vero? Eppure molti di noi passano la maggior parte della vita nell’angoscia della non-decisione.

“Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita.”
Rita Levi Montalcini

arcobaleno

Raccoglieremo ciò che piantiamo

RACCOGLIEREMO CIO’ CHE PIANTIAMO
di Paulo Coelho

 

seminaIl pessimismo contagia. Il vittimismo contagia. La disperazione contagia. Coloro che hanno la sensibilità sufficiente per scorgere le auree (vibrazioni energetiche che avvolgono gli esseri viventi) capiscono che, prima che la malattia fisica penetri nel corpo, parte dell’energia vitale viene drenata dal cervello afflitto e preoccupato.
Tutto ciò che investiremo nell’oggi, in qualche maniera ci sarà restituito in un ciclo molto simile a quello che osserviamo in natura. “Ciò che piantiamo, raccoglieremo”, dicevano i nostri antenati. Essi non udirono mai parole come ecologia. Ma in questa semplice frase – “ciò che piantiamo, raccoglieremo” – risiede parte della saggezza che l’Universo ci insegna.
Ogni momento della nostra realtà è direttamente influenzato da come noi riteniamo che una “realtà” debba essere.

 

 


Commento di Wolfghost: la chiave sta nella parolina “influenzato”: ogni nostro momento è influenzato da come noi siamo portati a pensare esso debba essere. Quando arriva un lavoro importante ci si può ritrovare a pensare frasi come “Sarà un bagno di sangue”, “Di qua non ne usciamo”, e altre cosette del genere. Oppure si può vedere quel lavoro come una nuova sfida, una nuova opportunità di crescita e di prova di sé stessi. Di divertimento perfino. E chi credete che lavorerà meglio, più tranquillo, e con maggiori risultati? 😉

Guardatevi attorno, è facile trovare altri esempi: la fidanzata ansiosa pensa, dopo 5 minuti di ritardo, che il fidanzato “sarà con un’altra!” o che “ecco, non gliene importa nulla!”; un’altra ne approfitterà per farsi una chiacchierata con un’amica, magari sul telefonino, o per finire qualcosa che stava facendo. Poi magari scoprirà che… c’era semplicemente traffico 🙂 Questa persona renderà il rapporto leggero, divertente, pieno di sorrisi; la prima, al contrario, pianterà il seme del dissidio, del dubbio, del rancore, del sospetto… e il rapporto non potrà che declinare per davvero 😮
Certo, essere “influenzato”, non significa essere completamente “determinato”: una persona “sportiva” potrà mettere le corna sia all’una che all’altra delle due sopra descritte, ma… almeno fino al momento della scoperta si sarà vissuti sereni, senza essere preda dell’ansia e del disfattismo 🙂
… e soprattutto senza avere il dubbio di essere stati artefici delle proprie corna! 😛

 

p.s.: e ora non iniziate a chiedermi “ma perché parli così? Forse qualcuna… ?” ahahah 😀 No, al momento sono felicemente single, ma il testo è assolutamente generale 🙂

Sissi e Julius sulle scaleNelle foto: Sissi che cerca di non far rientrare Julius in casa quando lui, al mio arrivo, si va a fare la sua passeggiata per le scale! 😀 Lei ad esempio ha seminato male: lo ha trattato male fin dall’inizio, e ora che lui è cresciuto… sono dolori! eheheh 😛 Non fatevi ingannare da queste foto: Julius non è tipetto da farsi mettere sotto! 😉

 

Pensiero positivo: l’inganno dei ‘non’

“Pensiero positivo” e’ ormai un concetto trito e ritrito. Innumerevoli sono i libri su di esso, alcuni dal tenore cosi’ ottimistico e superficiale da renderlo poco credibile e da finire per screditarne anche l’effettivo potere.
Il pensiero positivo non compie miracoli, non da’ certezza del risultato; esso e’ “solamente” un mezzo per mettersi nelle migliori condizioni possibili affinche’ cose buone possano capitare nella nostra vita. E non e’ poco.

Uno dei concetti cardine del pensiero positivo e’ quello di evitare di ragionare tramite parole negative, come i “non”.

NONFin da piccoli, siamo stati abituati ad un uso ampio e scriteriato dei “non”: “non devo fare questo”, “non devo dire cosi’”, “non devo essere in tal modo”, “non voglio che accada che…”, “non devo pensare a…” e cosi’ via. Il pensiero positivo suggerisce di sostituire questo modo di ragionare “al negativo” con pensieri rivolti al positivo: “voglio fare”, “posso dire”, “posso essere”, “posso agire in modo che accada”, “penso a…”.
Chiaramente l’oggetto della frase diviene l’opposto di quello della frase al negativo: “Non devo pensare a tizio” [con il quale ho appena rotto…] diventa “posso pensare alla prossima storia che avro’” [anche se il futuro partner non ha ancora un nome o un viso].

DEVOPOSSONotate un effetto collaterale: anche i “devo” (pesanti, poiche’ indicano uno stato di costrizione) vengono sostituiti con i “posso” (costruttivi, perche’ indicano uno stato di potere: posso farlo, non sono “obbligato”); cio’ rende immediatamente lo stato emotivo della persona che li esperisce molto piu’ leggero, diminuendone in tal modo l’ansia e la sofferenza. Ma soprattutto leva dallo stato di impantanamento nel quale si trova.

A questo punto, mi piace raccontare una storiella che cito spesso, quella di Goethe e del suo commercialista…

Goethe (Stieler 1828)Si narra che un giorno Goethe fu tradito dal suo commercialista che scappo’ con una grossa somma di denaro. Questo tizio era anche un suo grande amico, o almeno cosi’ il bravo Wolfgang credeva.
Per lui la sensazione di tradimento fu fortissima al punto di divenire una vera ossessione. Arrivo’ a tappezzare la sua casa di bigliettini con scritto “Non devo pensare a xxx”. Inutile dire che ogni volta che ne vedeva uno… pensava a lui e al suo tradimento.
E il suo malessere continuava percio’ inesorabilmente.
Goethe si libero’ della sua ossessione solo quando prese la saggia decisione di riposizionare tutti quei bigliettini… nella spazzatura 😉

La mente inconscia tende naturalmente a cio’ che la fa stare bene, ma va guidata con un po’ di razionalita’, infatti essa non distingue tra immediato e futuro. Se ad esempio il partner ci lascia, tendenzialmente la mente tendera’ ad andare al suo ricordo il piu’ possibile, perche’ cosi’ e’ abituata a fare, perche’ la mancanza di quella “immagine” (intesa in senso ampio, come “ricordo” generico, non solo la “figura visiva”) la fa soffrire. Arrivera’ al punto di elaborare strategie anche complicate per non staccarsi da esso. Compresi i famosi “non”: “non devo pensare a” permette ad essa di continuare a pensarci senza sentirsi colpa, “Non sono debole, non e’ che ci penso volutamente! Non vorrei pensarci, eppure…”.

ScimpanzeAnni fa’ lessi un esperimento condotto su alcune scimmie: ad esse era stato insegnato che, se premevano con un dito un certo tasto, un cibo prelibato compariva. Gli scienziati notarono che quelle scimmie continuavano ad usare prevalentemente quel dito anche quando ormai il cibo non veniva piu’ fornito loro e scoprirono che la rete neuronale che collegava il cervello a quel dito era piu’ spessa delle corrispondenti reti dirette verso le altra dita: il cervello aveva costruito una sorta di autostrada preferenziale nella quale incanalare i pensieri.
Lo stesso facciamo quando adottiamo una certa “abitudine” a lungo: la mente crea dei collegamenti preferenziali verso quella immagine. Ecco perche’, perfino con i “non”, tendiamo sempre all’oggetto della nostra “ossessione”. Disfarsene significa ridurre a poco a poco quell’autostrada mentale, atrofizzandola. E l’unico modo e’ imparare, sforzarsi, a non utilizzarla. Usarla salendo sulla macchina deiautostrada “non”, e’ un inganno: non servira’ assolutamente a nulla se non a perpetrare, ad ispessire ancora di piu’, quell’autostrada. Di fatto, gia’ in passato ho notato che esistono tanti legami tenuti in vita proprio dalla sofferenza: la sofferenza “lega” moltissimo all’oggetto che la crea. Addirittura rapporti ai quali non si teneva granche’, diventano trappole dalle quali non ci si riesce piu’ ad allontanare non appena fa capolino la sofferenza dell’abbandono.

L’unico modo di uscirne e’ pensare ad altro costruttivamente, sostituendo quell’immagine con altre che non la ricordino. Se sono stato mollato, ad esempio, avro’ molti piu’ risultati sognando il prossimo rapporto con una persona splendida, anche se di questa non conosco ancora ne’ il nome ne’ il viso, piuttosto che continuare a pensare a chi mi ha lasciato, seppure in termini negativi. Ma posso anche pensare a tutt’altro, non importa, basta non utilizzare la famosa autostrada.

La mente, sempre per il principio di tendere naturalmente verso cio’ che la fa star bene, appena si accorgera’ che non pensando piu’ all’oggetto della sua ossessione sta’ meglio, ci aiutera’ a proseguire su quella nuova strada, atrofizzando – a questo punto rapidamente – l’autostrada che era stata creata.

“Questo e’ il mio dono. Lascio che la negativita’ scivoli via da me come l’acqua dal dorso di un’anatra. Se non e’ positivo, non lo ascolto nemmeno. Se puoi superare questo, i combattimenti sono facili” – George Foreman

“Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è cio’ che diventi.” – Eraclito

river