La favolosa storia di Hermann il toporagno

Sorex_alpinusHermann viveva nella sua comunità di toporagni, una tra le specie che, allo scopo di procurarsi cibo – principalmente frutta e insetti – viveva all’aperto, arrampicandosi sugli alberi.

I toporagni sono creature molto paurose, possono morire di crepacuore in seguito ad uno spavento, ma Hermann era diverso, era un piccolo sognatore, uno di quelli che non si arrendono mai.
Avevano cercato di insegnargli a non esporsi mai troppo, a stare molto attento ogni volta che si lanciava da un albero all’altro. Sì, perché allo scopo di spostarsi in fretta, i componenti della comunità avevano imparato a saltare, prima tra rami di uno stesso albero, poi anche su quelli degli alberi vicini. Avevano via via sviluppato una sorta di membrana che li aiutava in questo, un po’ come gli scoiattoli volanti, e questo permetteva loro di estendere la lunghezza dei loro salti. Ciò era essenziale, non solo per procacciarsi cibo, ma anche per sfuggire ai predatori.

Hermann però saltava anche per piacere, era una sfida per lui. Cercava di compiere salti sempre più lunghi, di raggiungere alberi sempre più distanti.
Gli altri toporagni lo stavano a guardare, qualcuno con approvazione e un pizzico di invidia, altri scuotendo la testa. Ma sempre, quando riusciva in uno dei suoi incredibili salti, si levava un grido di ammirazione da tutti…

“Sì… ce la posso fare… non è distante! Non è distante! Non è…” e spiccava il salto!

Cercava di aiutarsi sbattendo vigorosamente le zampe, dotate di membrana che le univa tra loro; non sapeva perché, era l’istinto a dettarglielo, e poi i risultati gli davano ragione!

10 metri… 5 metri… 1 metro!

Anche stavolta ce l’aveva fatta! I suoi compagni, sui rami e a terra, non riuscirono a trattenere l’ennesimo “ooooh!”

Rientrato a casa, l’aspettavano i soliti complimenti ma… anche gli inviti a non dimenticare cosa era importante: la ricerca del cibo, mettere su famiglia, prendersi cura dei piccoli.

Anche la sua piccola compagna, Litsie, cercava di convincerlo ad andarci cauto: temeva potesse cadere pesantemente e farsi male. Lui lo sapeva e cercava di stare attento ma… qualcosa lo spingeva a continuare, ad andare sempre più in là…
In qualche modo Hermann si sentiva un predestinato, anche se non sapeva bene a cosa.

“Cavolo… Hermann… stavolta è troppo distante! Non ce la farai mai!”, pensò preoccupata Litsie..

Ma Hermann era già pronto per l’ennesimo salto, zampe posteriori contratte allo spasimo per darsi il massimo della spinta…

“Dai Hermann… Wow… quanto è distante però! Ma ce la farò! Sì, ce la farò!”

Stavolta quasi tutti i toporagni si erano voltati verso di lui, curiosi, increduli quasi del salto che stava per accingersi a tentare Hermann.
“Impossibile! Si schianterà!”, pensavano molti tra loro.

Ma Hermann anche questa volta saltò…

20 metri… Hermann, al massimo dello sforzo, sbatteva le zampe freneticamente, come mai aveva fatto…

15 metri…

10 metri! Hermann iniziò a percepire qualcosa di strano. Gli sembrava di non perdere quota, come ad un certo punto sempre accadeva nelle sue parabole; “forse mi sono lanciato più in verticale del solito!”, pensava.

7 metri…

4 metri!

1 metro!

Improvvisamente Hermann fece una cosa assurda: senza pensarci, agendo d’istinto, variò l’intensità del movimento delle zampe da un solo lato e… scartò l’albero! Hermann non perdeva quota! Hermann… stava volando!

I toporagni erano sgomenti, sguardo fisso a quel toporagno che aveva imparato a volare!

Ma forse ormai era tempo di cambiargli nome, Hermann non era più “Hermann il toporagno”: Hermann, adesso, era “Hermann il pipistrello”.

Il primo pipistrello della storia.

Golden_crowned_fruit_bat
Nota: la discendenza dei pipistrelli dai toporagni è realmente una delle teorie più accreditate sull’evoluzione dei pipistrelli.

Raz il Guerriero – Racconto

“Dai Raz! Alzati!”
Raz era steso a terra. Lui, il più valoroso dei guerrieri, alla fine era caduto…
“Alzati! Alzati!! Non c’è tempo, Raz!! Stanno arrivando!!”, gridavano i compagni cercando di scuoterlo dal torpore, anche se ormai la bava biancastra che vedevano uscire dalla sua bocca non lasciava molte speranze…
“Raz! Ti prego, Raz! Non andartene adesso! Abbiamo bisogno di te!”
Raz non poteva più parlare, non ci riusciva. I suoi occhi neri, spalancati, non si muovevano praticamente più. Eppure lui c’era ancora, avrebbe voluto urlare “Andate! Andatevene via! Io ormai sono vecchio, ho fatto la mia vita, ho combattuto mille battaglie, vi ho insegnato tutto ciò che potevo. Sono sereno, ho fatto ciò che dovevo, ho vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo e… ho vissuto a lungo, di questi tempi cosa rara… Il mio tempo è giunto al termine, lo so, lo sento, e… va bene così. Sono troppo anziano, inizio a muovermi con difficoltà, presto me ne sarei andato comunque. Ma voi… siete giovani! Mettetevi in salvo e… riconquistate la libertà! Per voi, per le nostre famiglie e… anche per me! Fate che non sia vissuto e caduto invano!”… ma ormai non riusciva più a parlare, i muscoli del suo corpo avevano smesso di rispondere.
Ripercorse in un attimo tutta la storia, non solo la sua.
Nel passare dei millenni erano stati valorosi guerrieri, più spesso per necessità che per volontà. Erano stati lunghi secoli bui, di difficile sopravvivenza. Ogni volta che riuscivano a darsi una parvenza di civiltà e organizzazione – ed avevano l’intelligenza per farlo – erano stati attaccati da questo o quel nemico. Lotte cruente, a volte impari, ma ne erano sempre venuti brillantemente a capo… ed avevano ricominciato a costruire le loro comunità. Ad un certo punto avevano anche prosperato in maniera inaspettata, a milioni e milioni avevano colonizzato innumerevoli posti. Ma poi… il nemico più duro e ostile si era abbattuto su di loro. Un nemico scaltro, intelligente, estremamente violento, ostile, crudele oltre ogni ragione, che non si era accontentato di cacciarli dalla loro terra, ma aveva sistematicamente preso a decimarli usando espedienti sempre più potenti, armi di distruzione di massa sempre più pericolose.
Alla fine avevano imparato a sopravvivere nascosti, nelle viscere della terra, spesso al buio per lunghi periodi. Qualcuno aveva perfino dimenticato che un tempo i suoi avi avevano vissuto liberi, sulla terra aperta, alla luce del sole.
Raz era il migliore del suo gruppo. Aveva imparato ad una ad una tutte le tattiche del suo terribile avversario. Aveva scoperto i meccanismi delle sue trappole mortali. Imparato ad annusare le tracce dei gas, dai veleni, l’odore stesso del nemico. Ed aveva insegnato tutto ai giovani della compagnia che, via via, si alternavano.
Spesso molti di loro morivano, colti di sorpresa nella loro ingenuità, e per Raz, ogni volta, era un immenso dolore. A volte i mostri scoprivano i loro nascondigli e li sterminavano senza pietà. Era quasi un miracolo essere sopravvissuto fino a tarda età.
Raz era una leggenda nel suo mondo, in ogni parte si narravano le sue gesta, si insegnavano i suoi trucchi per sopravvivere. Era soddisfatto di essere riuscito a dare una speranza di sopravvivenza al suo popolo. Non importava se adesso il suo tempo stava finendo, Raz era in pace con sé stesso.
Certo… alla fine il nemico l’aveva abbattuto, l’aveva preso per fame, avvelenandolo con un potente veleno. Era una nuova esca: Raz sapeva che doveva evitare il cibo fresco, quasi sempre il nemico lo lasciava in giro appositamente, dopo averlo avvelenato. Ma questo cibo sembrava uno scarto, non aveva nemmeno uno degli odori conosciuti… Raz era perlomeno riuscito ad indicarlo ai suoi. Anche questo sarebbe stato insegnato…
“Raz!! Eccoli!!! Sono qua!!! Mi spiace Raz!!! Mi spiace!!!!!”, urlò uno dei suoi compagni mentre si dava ad una fuga precipitosa…
Raz, sguardo fisso, li vide apparire nel buio della notte… Erano creature orrende, non era mai riuscito ad abituarsi allo sgomento di quella vista: quella pelle biancastra, quasi completamente senza pelo! Che orrore! Loro stesso dovevano saperlo, visto che cercavano di nascondersi sotto ridicole pelli posticce. E quegli occhi! Bianchi, tranne che per una piccola porzione al centro! In quanti incubi erano apparsi quegli occhi bianchi! E… non era mai riuscito a capire come potessero stare in equilibrio, muovendosi solo su due zampe…
Gli occhi di Raz smisero di muoversi del tutto. Il guerriero di mille battaglie era infine spirato…

“Paolo! Eccone un altro! Tocca a te stavolta!”
“Bleah! Che schifo ‘sti topi! Guarda quanta bava che ha fatto!! Non ce la faccio più a fare ‘sto schifo di zona, chiederò di essere spostato!”

Il netturbino spinse il corpo senza vita di Raz sulla paletta e lo buttò nel sacco di raccolta.
Cielo stellato al chiaro della luna

La dama bianca, quinta e ultima parte – racconto

S. Giorgio che lotta col drago - 1505 - Raffaele SanzioKey ebbe il tempo di chiamare teneramente Jelly e di stringerlo a se’ per un attimo, prima di accorgersi della scritta che accampava sullo schermo del PC…

Sei sicuro di voler cancellare permanentemente il file DSC00051.JPG?

La domanda si riferiva proprio al file contenente la foto originale della presunta strega, o Antico, che dir si voglia. Jelly, passando sulla tastiera del PC, doveva aver premuto il tasto “cancella”.

Key lavorava molto con le immagini: per il suo lavoro doveva visionarne innumerevoli e scartarne tante, cosi’ aveva configurato il PC in modo tale da non mandare quelle cancellate nel cestino bensi’ eliminarle subito, all’accettazione del comando di “cancella”. Lo ricordava bene… e cio’  la mando’ nel panico, facendole fare proprio l’unica cosa che non voleva fare: invece di premere “Esc” o la freccetta di selezione, premette “invia”: il file originale era perso per sempre.
Key era convinta che se c’era una soluzione, questa dovesse celarsi proprio nell’originale della foto. Cosi’, fuori di se’, si mise ad urlare…
“Jelly!!!! Maledetto!!!!!”.
Jelly, che era sempre stato trattato con amore dalla padroncina, spaventato scappo’ sotto la libreria.
Key, si mise a piangere disperata, e continuo’ a piangere e singhiozzare per lungo tempo con la testa tra le mani. L’ultima speranza era scomparsa con quella foto. O almeno cosi’ lei credeva…

Erano le 7:55, come ogni mattina, per abitudine, Key si sveglio’: esausta, si era addormentata al tavolo. Stordita, si riprese a poco a poco, realizzando cosa era successo la sera prima. Si sentiva svuotata, arresa, disarmata, poteva ormai capitare qualunque cosa: a lei non importava piu’ nulla.
Con un gesto automatico accese la TV, aspettandosi di vedere la diretta degli ormai quotidiani resoconti di disastri e vittime. Inaspettatamente c’era invece la fine di una pubblicita’ e subito dopo la sigla del telegiornale delle 8.
Key ne fu sorpresa, penso’ per un attimo che la gente si abitua proprio a tutto, forse nel tentativo di ritornare ad una impossibile normalita’. La sorpresa pero’ si tramuto’ in stupore quando vide che la prima notizia del telegiornale era dedicata alla finale del Superbowl americano, giocata la sera prima. Attonita, aspetto’ le notizie della “epidemia”, ma la seconda notizia riguardava i dati della borsa. Via via passarono altre notizie, inclusa quella di una capo di govero straniero forse coinvolto in uno scandalo con minorenni. Della “epidemia”, nessuna traccia. Key torno’ al PC e diede un’occhiata alle testate giornalistiche online: nulla di nulla.
“Ma sono tutti impazziti?” penso’ Key, poi capi’: l’originale della foto era la prima porta e, cancellandola, era stata chiusa per sempre. Key si alzo’ di scatto, ando’ a prendere Jelly, ancora rintanato sotto la libreria, e lo strinse a se’, roteando su se’ stessa e riempiendolo di baci. Poi… un dubbio, o meglio una speranza. Prese il telefono e compose il numero. Aspetto’ qualche istante prima di dare l’invio alla chiamata, temeva la risposta, o meglio la non-risposta che poteva ottenere. Ma alla fine si decise…
“tuuu… tuuu…. tuuu… Pronto?”
“Vic!!!!! Oh Vic!!!!!”
“Ehiiiii! Che bello sentire questa accoglienza!” rispose Vic ridendo. Poi, sentendo che Key stava piangendo, chiese allarmato “Ehi… ma che succede? Piccola… stai bene?”
“Si’, Vic… solo un brutto sogno…”
“Key… te lo dico sempre di mangiare poco la sera!” disse Vic tornando a ridere.
I due parlarono qualche minuto, poi Key, con un po’ di imbarazzo, chiese “Vic, tu… credi negli universi paralleli? Nelle altre dimensioni? Credi che diversi futuri e presenti possano esistere contemporaneamente?”
“… Key… mi sa che sei stata da sola troppo a lungo, prendo il primo aereo e torno da te!”
“Si, Vic…”

 



Castello di Tantallon, Edimburgo, Scozia. Visita notturna al castello.
“Papa’, papa’! Guarda!”
“Dai, fammi finire di ascoltare la guida!”
“Ma papa’! Guarda che strana foto ho fatto col cellulare!!! C’e’ qualcuno a questa finestra!!”

In quel momento Bliz, il beagle di famiglia, saltando urta la mano del bambino e il cellulare, cadendone, si perde tra le grate del castello…
“Bliz!!! Idiota di un cane! Ma cosa diavolo combini?!”
“Woff! Woff!! Auuuuum!”

A volte gli angeli, nella loro eterna lotta contro le forze del male e nel tentativo di proteggerci restando celati, assumono aspetti impensabili… eppure molto famigliari.
Ricordatevelo la prossima volta, prima di rimproverare il vostro animaletto pasticcione! 😉

cuccioli

La dama bianca, quarta parte – racconto

LKey si sveglio’ di soprassalto. Di nuovo le 4 in punto, di nuovo lo stesso sogno. Scappava, inseguita da una presenza immane che pero’ non vedeva mai, la sentiva solo vicina, maledettamente vicina, ne percepiva la malvagita’, la potenza. Sentiva che se l’avesse raggiunta, per lei sarebbe stata la fine.
La fuga iniziava dalla porta di casa, che era aperta, ma non sapeva perche’ lo fosse: il sogno iniziava con la porta gia’ spalancata. Si voltava, attraversava correndo la camera e uscendone ne chiudeva la porta alle spalle. Poi continuava a retrocedere ma voltandosi nel frattempo, per vedere se fosse riuscita a mettersi in salvo. La porta, pero’, resisteva solo pochi istanti, poi iniziava a deformarsi, ad emettere rumori sordi, come se pugni di violenza inaudita si stampassero contro di essa, e fumava, di un fumo nero, come se un calore infernale la stesse investendo dal lato opposto. Infine, puntualmente, andava in mille pezzi con un boato terribile. E la fuga riprendeva a ritmo vertiginoso, stanza dopo stanza, porta dopo porta….
Dopo un tempo che le pareva interminabile, si ritrovava misteriosamente davanti alla porta di casa, ancora aperta, la prima da cui il sogno era partito, come se avesse girato in circolo… La vedeva vicina e sentiva, in qualche modo sapeva, che se l’avesse attraversata e fosse riuscita a chiuderla, la presenza maligna, la strega alle sue spalle, non avrebbe potuto stavolta abbatterla…
Ma ce l’avrebbe fatta? Ormai sentiva l’oscura presenza maledettamente vicina…
Poi il risveglio, in uno stato d’animo angoscioso, spesso lanciando un urlo… con Jelly che si destava e la guardava con aria interrogativa.
Dopo essersi calmata, la solita domanda: perche’? Aveva un senso quel sogno? Cosa stava cercando di dirle?

Key era ormai esausta, disperata, al limite della resa. Guardava la foto per ore, come ipnotizzata. Ne studiava ogni dettaglio, cercava in essa ogni possibile indicazione, qualche particolare che forse le era sfuggito. A lungo aveva creduto, ricordando le parole di Strauss, che nella foto si celasse la soluzione, la salvezza. Ma ormai la speranza stava lasciando spazio alla rassegnazione.
Ogni giorno, alle 7 e 55 in punto, Key si svegliava per accendere la TV e vederne l’edizione principale del telegiornale. Era quella un’abitudine che seguiva da anni e che anche adesso proseguiva, perfino se in pratica tutta la trasmissione non era ormai che una diretta del disastro planetario: il numero dei decessi, le immagini racappriccianti… ogni giorno peggio.
Key non aveva piu’ avuto notizie di Vic, ne’ dei suoi genitori. A dire il vero non sentiva piu’ nessuno. Sola. Jerry non era piu’ sufficiente…

Key aveva preparato tutto con cura: i barbiturici erano stati aperti e la polverina raccolta in una tazzina da caffe’ che troneggiava vicino al PC portatile, ormai perennemente in funzione sul tavolo. Ce n’era una quantita’ sufficiente ad uccidere un cavallo.
Quella sera, stremata dall’ennesimo tentativo infruttuoso di “leggere” nella foto, prese la sua decisione: aggiunse l’acqua nella tazzina e mescolo’. Faceva le cose meccanicamente, come se avesse inserito il pilota automatico. Come se la sua anima fosse gia’ morta.
Improvvisamente un piccolo tonfo sul tavolo e un “ron ron” che ben conosceva: Jelly era li’, era saltato sul tavolo e si era messo a fare le fusa, dando anche qualche tenera testata alla padrona.
Gli occhi di Key si riempirono di lacrime, la tazzina ancora in mano, piena…

 

(continua)

Il gatto e la luna

La dama bianca, terza parte – racconto

Non si deve pensare che l’uomo sia stato il primo o l’ultimo padrone della Terra.
Gli Antichi erano, gli Antichi sono, gli Antichi saranno.
Oggi non sono negli spazi che conosciamo, ma tra gli spazi.
Sereni e primevi Essi avanzano, senza dimensioni e inavvertibili…

Camminano invisibili e abominevoli in luoghi solitari dove le Parole sono state pronunziate e i Riti urlati nei loro tempi…
(Abdul Alhazred, Necronomicom)

Poche settimane dopo erano morti tutti: tutti coloro che avevano ricevuto la foto, nello stesso modo di Kupfner. Molti dei loro collaboratori non erano sfuggiti alla stessa sorte.
La notizia era ormai pubblica, i giornalisti di carta stampata e TV non se l’erano lasciata scappare e, nonostante tutti gli avvertimenti dei pur scettici studiosi, alcuni di loro, venuti in possesso dell’immagine, non avevano esitato a pubblicarla o a mostrarla in TV… con risultati disastrosi: come fosse un virus a rapida e letale diffusione, il numero di decessi aveva iniziato a assumere proporzioni gigantesche.
In breve tempo la psicosi di massa porto’ al caos molte grandi citta’. La gente fuggiva o si barricava in casa, con le serrande chiuse, le TV spente, i computer scollegati. Molti di coloro che si avventuravano per le strade, magari solo per comprare da mangiare, camminavano coprendosi gli occhi per timore di “vedere” l’immagine in qualche locandina o giornale, magari lasciato per terra. Spesso venivano travolti da guidatori impazziti, anch’essi in fuga dalle citta’.
Gli appelli alla calma dei governi cadevano ormai nel vuoto.

La casa di Key era stata letteralmente presa d’assalto da giornalisti, curiosi, gente furiosa che dava a lei la colpa dell’accaduto. Molti la chiamavano “la Strega” ed esortavano a catturarla e metterla al rogo. Ma lei era fuggita da tempo, assieme a Jelly, in una vecchia casa in mezzo ai monti di cui solo i suoi famigliari erano a conoscenza.

“Buonasera signorina Key. Sapevo che mi avrebbe contattato”. La persona all’altro capo del telefono parlava molto lentamente.
“Buonasera Dottor Strauss…”
“Non sono dottore, studio solo antichi testi, tutto qui”.
“Non importa… lei e’ l’unica altra persona ad aver visto la foto e…”
“… essere ancora vivo? Si’, e’ cosi’. Mi sono protetto prima di aprire il file. Sa… cerchio per terra, pentacoli… altre sciocchezze del genere, cara… signorina?”
“No… vedova… almeno credo. Ormai non ho piu’ notizie da quando questa storia e’ iniziata. Ma lui l’aveva vista… sono stata io ad indicargliela…”
“Mi spiace. Non poteva sapere. Non e’ colpa sua”
Key soffoco’ le lacrime e il groppo in gola e, dopo qualche secondo, riprese a parlare…
“Chi e’?”
“Difficile dirlo. Ce n’erano tanti, una volta.”
“Tanti… chi?”
“Antichi. Cosi’ li chiamavano. Erano creature molto potenti e molto diverse da noi, sulla terra da tempo immensamente piu’ lungo di quanto ci sia l’uomo. Non si sa come, i nostri avi riuscirono a relegarli in una… altra dimensione, credo che adesso e’ cosi’ che si usi dire, non e’ vero?” Si percepi’ per telefono che Strauss aveva sorriso ironicamente.
“Perche’ io? Come ha fatto questa creatura a tornare? Cosa vuole? Come…”
“Calma, calma! Non so tutto. E non sono nemmeno sicuro, le mie sono solo supposizioni. Credo che abbia usato la foto come uno specchio per saltare dalla sua dimensione a questa. Ma lei… non credo c’entri nulla. Avrebbe potuto essere chiunque a scattare quella foto. E’ stato… un caso. E… cos’altro mi chiedeva? Ah, si’! Cosa vuole… mmm… distruggerci, suppongo.”
“Ma perche’? Perche’ l’abbiamo relegata in un altro posto? Perche’ forse volevamo distruggerla noi per primi?”
“Non faccia l’errore di pensare che queste creature ragionino come noi. Non lo fanno. Sono semplicemente fatte cosi’. Distruggono perche’ questo e’ il loro istinto.”
“… quando si fermera’?”
“Quando non ci sara’ rimasto nessuno da distruggere.”

(continua)

pentacolo protezione

La dama bianca, seconda parte – racconto [foto mie]

“Si, ho ricevuto la sua foto, almeno credo, non ho ancora avuto modo di aprire la sua e-mail”, rispose il dottor Kupfner, noto studioso di fenomeni paranormali, fantasmi compresi.
“La esaminero’ non appena possibile, ma le dico gia’ da adesso che quasi sempre le strane macchie sono dovute a riflessi sull’obiettivo, giochi di luce o disegni casuali di mura e pareti”.
“Grazie dottore, e’ sicuramente cosi’, ma… be’, preferirei esserne sicura”.

Key decise di non parlarne con nessuno, un po’ temeva di esser presa per visionaria, un po’ sentiva esser giusto cosi’. Se l’era lasciato scappare solo con Vic quando aveva gli spedito tutte le foto della cartella, e ovviamente ne aveva ricevuto la prevedibile risposta ironica.

Passo’ qualche giorno. Key aveva iniziato a dare meno peso alla foto, ci pensava solo saltuariamente allorche’ controllava la casella di posta aspettandosi di trovare la risposta di Kupfner. Ma non c’era mai. Inizio’ a pensare che probabilmente Kupfner, dopo essersi fatto una sonora risata alle sua spalle per una foto normalissima, avesse cestinato il tutto. Ma alla fine la curiosita’ vinse e chiamo’ il dottore…

“… il dottor Kupfner e’… deceduto ieri notte”. Disse la voce femminile, probabilmente quella della segretaria.
“Cosa? Ma… com’e’ successo?”
“Non si sa di preciso. L’hanno trovato nel suo letto. Pare essergli mancato il respiro nel sonno. Se non fosse per…”
“Non fosse per… cosa???”
“Aveva un’espressione contrita sul volto… come se qualcosa l’avesse terrorizzato, eppure gli occhi erano chiusi…”.
Key avverti’ di nuovo quel gelo lungo la schiena.
“Mi dispiace molto… Non vorrei tediarla con cose stupide ma…. avevo mandato una foto al dottore qualche giorno fa, ne sa nulla?”
“Si, il dottore l’aveva trovata interessante, percio’, dopo averne fatto un ingrandimento, l’ha inoltrata ad altri esperti del settore. Appena ho un po’ di tempo gliela inoltro, cosi’ puo’ trovare l’indirizzo dei destinatari”
“Grazie, e’ molto gentile…”

Quella sera Jelly era, se possibile, ancora piu’ irrequieto del solito, correva qua e la come un matto lanciando miagolii striduli. Non che fosse un’assoluta novita’ per lui… Intanto Key cercava, senza successo, di mettersi in contatto con Vic.

“Ma dove sei finito Vic?! Non rispondi al telefono, non ti colleghi sulla chat…”

(continua)

ingrandimento

La dama bianca – racconto [foto mie]

le stregheEra ormai notte inoltrata. Finalmente Key aveva finito il suo lavoro e si stava concedendo, come spesso succedeva prima di andare a dormire, qualche minuto di conversazione su una chat online con Vic, il suo compagno che aveva appena cominciato a lavorare trovandosi al momento dall’altra parte dell’oceano.
“Io spengo, buona giornaplkmoiyugwa”
“Oh! Scusa, Jelly e’ di nuovo saltato sulla tastiera! 😐 ” – Jelly era il gatto di di Key, un irrequieto tigrato europeo sempre in movimento.
“ahahah non preoccuparti, l’avevo capito! 🙂 Ehi… prima di chiudere, hai poi ritrovato le foto che avevamo fatto nel nostro viaggio in Italia? Brad e Cecilia andranno in Riviera il mese prossimo e volevo mostrargliele. Ricordi che te le avevo chieste… all’incirca una settimana fa’? 😉 ”
“… hai ragione, scusami, e’ che in questo periodo il lavoro non mi da tregua! Credo di averle su questo PC, ci guardo subito!”
“Adesso e’ tardi, guardaci domani, con calma, ma… non dimenticarti!”

TrioraChiusero la conversazione. Ovviamente Key ando’ subito alla ricerca delle foto e in effetti trovo’ la cartella relativa al viaggio in Riviera. Gia’ che c’era diede un’occhiata alle foto, erano passati quasi 5 anni e alcune nemmeno ricordava di averle fatte… Si soffermo’ in particolare su quelle fatte a Triora, il “paese delle streghe” situato nell’entroterra ligure al confine con la Francia. Non era certo il posto piu’ bello tra quelli che aveva visitato durante quella vacanza, eppure qualcosa di quel posto l’aveva in qualche modo turbata… saranno state le leggende locali sulle streghe, le immagini e gli scritti inquietanti visti nel museo della stregoneria, oppure semplicemente il fascino del dedalo di viuzze, cunicoli e angoli nascosti disseminati ovunque nel piccolo paese arroccato sulle montagne…
Improvvisamente, mentre le scorreva, l’occhio le cadde su una foto in particolare… le parve di scorgere qualcosa, una figura quasi… eppure quella foto era li’ da quasi 5 anni e non ci aveva mai fatto caso… Senti’ un brivido freddo percorrerle la schiena…
(continua)

originale

Il leone e i cacciatori – racconto di Anneheche e Wolfghost

In realta’ di mio c’e’ poco, solo il pezzetto tra la chiusura del racconto e la citazione della leggenda indiana 😀 Il resto e’ di anneheche, che sicuramente conoscete gia’… altrimenti non potete perdervi i suoi racconti: anneheche blog 😉

 

Buona lettura 🙂


cacciatoreIl leone e i cacciatori

Il leone era inquieto. Aveva fiutato l’usta di due uomini e stava valutando se attaccarli o tornare al suo rifugio. I cacciatori gli si erano avvicinati sottovento, ma il leone aveva compiuto un lungo giro portandosi alle loro spalle; da quella posizione era in grado di sentire il loro odore. Un misto di tabacco, cuoio e sudore che lo disgustava, e gli ricordava esperienze molto spiacevoli. Da sempre associava il pericolo a quel particolare afrore; in tempi recenti aveva perso la sua compagna ad opera di quegli irriducibili nemici.
Era un grosso felino di quasi duecentotrenta chili, ormai anziano: aveva perso molta della sua forza e della sua agilità, acquisendo in compenso esperienza e sagacia. Abbandonò il luogo dove si trovava per seguire il percorso degli uomini, continuando a rimanere sottovento. Sapeva che non avrebbero smesso di dargli la caccia, almeno fino a quando la luce del giorno fosse stata loro alleata. Se li avesse tenuti a distanza sino al tramonto, sarebbe riuscito a sopravvivere; durante la notte avrebbe cambiato zona, lasciando anche il rifugio che adesso non considerava più tanto sicuro. Era certo, infatti, che prima o poi sarebbero risaliti sin lì, conosceva troppo bene la loro ostinazione, che era seconda soltanto alla crudeltà innata. Il leone era stanco. Quella mattina aveva dato inutilmente la caccia a un’antilope, bruciando energie preziose; inoltre si sentiva debole dato che non mangiava da molto tempo. La soluzione migliore era decisamente quella di evitare la lotta e di aspettare le tenebre. Mentre procedeva, l’odore si fece più intenso, più vicino. Era una giornata caldissima, il sole batteva implacabile, non spirava un filo di vento e i cacciatori stavano sudando in abbondanza…o il cacciatore?
Improvvisamente uno stormo di uccelli si levò in volo. Il leone si appiattì, allarmato.
Si erano separati, e adesso uno dei due poteva essere sottovento. Guardò in quella direzione e gli parve di scorgere un’ombra che si faceva strada in mezzo a un gruppo di rocce. Doveva prendere una decisione immediata, altrimenti sarebbe rimasto intrappolato fra due fuochi. Sapeva di essere molto più veloce di loro, tuttavia non ignorava che disponevano di terribili strumenti di morte, gli stessi che avevano ucciso la sua compagna.
Sul profilo dell’orizzonte alcune giraffe si muovevano aggraziate, un branco di kudu brucava l’erba. Un babbuino fece risuonare il suo verso stridulo. Era un suono che il leone non sopportava; forse fu quello a deciderlo. Corse verso una boscaglia che distava circa mezzo miglio dal punto in cui si trovava.
Risuonò uno sparo. Il dolore fu inaspettato e lancinante.
Il felino tuttavia non cadde, scartò di lato evitando la seconda pallottola. Poi cercò di raggiungere comunque il riparo degli alberi. Il secondo cacciatore emerse da una sterpaglia, sbarrandogli la strada. Nel frattempo, l’altro uomo lo inseguiva da dietro. Non ci voleva molto a capire che quella era la sua fine, la fine di un vita lunga e avventurosa, a volte felice, in altri momenti rattristata dalla pervicacia con cui gli uomini avevano dato la caccia a lui e ai suoi simili. Era l’ultimo sopravvissuto di un branco che un tempo contava dodici leoni.
Questo perchè era il più forte, e il più astuto.
Fu raggiunto da un altro proiettile. Ruggì di dolore e di rabbia. Se era impossibile mettersi in salvo, poteva però vendicarsi; il ricordo della compagna agonizzante era ancora impresso nella sua memoria. Puntò sull’uomo davanti a lui, gli fu sopra con un grande balzo e gli sfondò il cranio con i canini. Abbandonò il cadavere per voltarsi a fronteggiare il secondo nemico. Comprese che ora aveva paura. Si lanciò nella sua direzione. L’uomo lasciò cadere a terra il fucile, raggiunse un albero e incominciò a salire agilmente, convinto di mettersi al sicuro. Evidentemente non era un professionista. Il leone si arrampicò a sua volta sull’albero.
C’era ancora tempo prima di morire.

 

… quella notte il leone si risvegliò. Attorno a lui prati in fiore, alberi maestosi, un ruscello di acqua fresca che scorreva lì vicino. Si accorse, con sorpresa, di non sentire più dolore, le ferite erano incredibilmente scomparse. Si sentiva in forze come non gli accadeva da anni, come fosse ringiovanito.
Aveva ancora un’espressione stupita in quegli occhioni felini, quando alcuni ruggiti alle sue spalle richiamarono la sua attenzione. Si voltò… la sua leonessa e i suoi due piccoli cuccioli, morti di stenti a pochi mesi di vita in un’estate di carestia, stavano correndogli incontro…
Si rese conto allora di essere sul quel Ponte dell’Arcobaleno di cui tanto aveva sentito parlare…

 

“Dall’altra parte dell’arcobaleno esiste un posto chiamato Ponte dell’Arcobaleno.
Quando un animale che è stato particolarmente vicino a qualcuno muore, egli va al Ponte dell’Arcobaleno.
Lì ci sono prati e colline per tutti i nostri amici speciali, cosicché essi possono correre e giocare insieme.
C’è tanto cibo, acqua ed il sole splende e i nostri amici stanno bene e al caldo.
Tutti gli animali che erano malati o vecchi riprendono salute e vigore, così come quelli a cui è stato fatto del male o che si sono feriti si sono rimessi in sesto, proprio come noi ce li ricordiamo nei nostri sogni di tempi e giorni ormai passati.
Gli animali sono felici e contenti, eccetto che per una piccola cosa: tutti provano nostalgia verso qualcuno davvero speciale che hanno dovuto lasciarsi alle spalle.
Tutti corrono e giocano insieme ma viene il giorno in cui uno si ferma improvvisamente e guarda all’orizzonte. I suoi occhi scintillanti sono attenti, il suo agile corpo freme. All’improvviso comincia a correre fuori dal gruppo, volando sopra l’erba verde; le sue gambe lo spingono sempre più veloce.
Sei stato avvistato e quando tu ed il tuo amico speciale finalmente vi incontrate, tutto è gioia e non vi separerete mai più.
La pioggia di baci felici sul tuo viso, le tue mani che accarezzano nuovamente l’amata testolina, tu che puoi guardare ancora negli occhi sinceri del tuo animale che da tanto se ne era uscito dalla tua vita ma che mai era stato assente dal tuo cuore.
Ora attraversate insieme il Ponte dell’Arcobaleno …”
(Leggenda del Ponte dell’Arcobaleno, Autore Ignoto; si dice sia stata tramandata per secoli tra gli Indiani d’America)

leone con cucciolo

Calvin e Clara – miniracconto

tristezzasn8Calvin e Clara erano ormai al limite dell’esasperazione: la loro vita era un inferno.

Lui era stato licenziato e ridotto sul lastrico; invece di sostenerlo, la moglie aveva chiesto il divorzio. Fu costretto ad abbandonare la loro casa, conquistata con tanti sacrifici e sudore, e tornare dai genitori, scornato e senza il becco di un quattrino.

Lei aveva scoperto il tradimento del marito, divenuto per reazione pericolosamente violento. Scappata di casa portando con se la figlioletta, sostenuta da sua madre, si era vista sottrarre l’adorata piccola dai giudici, che l’avevano assegnata a lui sostenendo che lei non poteva essere una buona madre, dato un passato – ormai remoto – da alcolista.

Sembrava che niente potesse andare peggio. Invece i genitori di entrambi erano sul quel maledetto aereo della Columbia, schiantatosi orribilmente al suolo… nessuno era sopravvissuto.
Si erano conosciuti proprio in quel frangente, nel terribile momento del riconoscimento dei poveri resti.
 
Forse complice il momento, nel quale entrambi erano bisognosi di conforto, forse la voglia di tornare a vivere, si erano piaciuti subito e la vita era miracolosamente tornata a fluire.

Ma la scoperta della malattia di lui, senza scampo, li prostro’ definitivamente.

Non erano certo stati i primi ad avere un Destino terribile, e non sarebbero stati gli ultimi.
Ma il loro Destino, a differenza di quello di tanti altri, aveva un nome e un cognome… e loro erano intenzionati a fargliela pagare.

Nottetempo, Calvin e Clara scivolarono fuori dalle pagine della bozza del libro e, saliti sul letto dell’autore del testo, lo soffocarono con il cuscino.

Il giorno dopo il telegiornale lo dara’ come misteriosamente morto nel sonno.

La bozza del libro, cercata a lungo dall’editore, non venne mai ritrovata…

Libro

La stella di Albert – racconto

crisi finanziariaEra notte inoltrata ormai, ma Albert ancora non riusciva a prendere sonno. Quasi ogni notte la sua mente rivisitava ossessivamente la sua vita, soprattutto l’ultimo periodo.
Ricordava quando, mentre cenava nella sua bella casa, assieme alla sua adorata famiglia, sentì per la prima volta la TV dare notizia della crisi americana dovuta ai mutui immobiliari subprimes. Non gli diede peso. Anzi pensò che come sempre gli americani erano stati un po’ pazzi nell’assumere rischi così grossi negli investimenti; certo, a volte quella politica aveva pagato, ma adesso i nodi stavano venendo al pettine. Sentì addirittura un pizzico di orgoglio nel pensare che evidentemente i sistemi europei, che tanto sembravano dover imparare da quello oltre oceano, adesso dimostravano la loro forza e solidità, in barba ai “soliti sbruffoni”.
Ma via via la situazione peggiorò e ciò che era sembrato distante iniziò ad apparire sempre più pericolosamente vicino. Anche la preoccupazione in famiglia cominciò a serpeggiare sempre più forte: malumori sorgevano sempre piu’ forti tra lui e sua moglie, e le due figliolette, che fino ad allora erano cresciute in un clima idilliaco, incominciarono a capire cosa erano urla e litigi.
Era così affranto nel ricordare il crollo del suo sogno… come poter prendere sonno? Ormai perfino la delusione se n’era andata, c’era solo sconforto.
Albert si rigirò sull’altro fianco cercando di coprirsi il più possibile con quella sola coperta e quel cartone, ormai diventato suo scomodo materasso. Almeno non c’era molto via vai di gente quella notte lungo il tunnel della stazione.
Vuoto e rattristato si arrese all’ennesima notte insonne e si mise a sedere. In quel momento stava passando una ragazza, anche in lei riconobbe la consueta reazione: l’occhiata di curiosità si trasformo in imbarazzo e paura, forse perfino in disgusto, distogliendosi in fretta con malcelata indifferenza.
Albert abbassò lo sguardo e dopo qualche secondo si alzò e si diresse all’aperto incurante del freddo pungente, lasciando lì quelle poche e povere cose che però erano tutto ciò che gli era rimasto.
Si diresse sul ponte e si affacciò, guardando il fiume che scorreva sotto di lui. L’aveva già fatto, ma quella sera l’acqua sembrava chiamarlo con voce suadente… ne era quasi ipnotizzato. Sembrava la soluzione a tutto quel vuoto che ormai imperava dentro di lui.
Alzò lo sguardo al cielo, cercando la sua stella, quella che fin da bambino gli fu’ indicata da sua madre, “vedi? Quella è la tua stella, non ti lascerà mai, ti sarà sempre vicina, ogni volta che sarai in difficoltà. Anche quando io non ci sarò più”. Quante volte in passato l’aveva cercata quella stella! L’aveva pregata con le sue richieste! E… ogni volta sembrava davvero che lo ascoltasse e l’esaudisse. Ma la crisi sembrava aver corrotto anche lei.
Aguzzò la vista, ma non riusci’ a vederla! Incredibile… eppure doveva essere lì, in mezzo alle altre due… Non c’erano neanche nuvole! Albert lo percepì come un segno, una conferma: perfino la sua stella l’aveva abbandonato come, al culmine della tensione, aveva fatto sua moglie, portandosi dietro le bambine. Non aveva nemmeno cercato di fermarli, lo trovava giusto, non era più in grado di provvedere economicamente a loro. Che padre poteva ormai essere? Trovava inevitabile quanto stava succedendo.
Tornò a fissare l’acqua con il cuore in gola e le lacrime che gli velavano la vista. Posò le mani sul parapetto e si preparò a scavalcare, quando si sentì chiamare…
“Giovanotto, mi scusi, sto cercando l’albergo Do Bonfim…”
Era una bionda signora anziana, molto ben vestita, uno stile antico… Sembrava uscita dal secolo scorso…
“Ah… ehm… sì, dunque…”
Albert si ricompose, quasi contento di poter esserle utile.
“Vede quel campanile che spunta dietro quelle case? L’albergo e’ proprio lì, a fianco della chiesa…”
“Grazie! Sono arrivata in stazione due ore fa’, sa? Ho i piedi che mi dolgono e le gambe che quasi non mi reggono più, nessuno sapeva aiutarmi. E dire che era così vicino, vero?”, disse sorridendo. Doveva essere stata una bella donna da giovane, pensò Albert. Trovava in lei qualcosa di familiare. La donna proseguì: “Sicuramente ho continuato a muovermi in circolo, mi avevano dato delle istruzioni sbagliate e io, convinta che dovevano essere giuste, mi sono intestardita a rifare sempre lo stesso percorso. Che stupidi che siamo a volte, vero giovanotto? Pensiamo che quella che ci è stata indicata sia l’unica strada possibile, perfino quando dimostra di non portarci dove vogliamo; quella “deve” essere la strada, solo perché così ci è stato detto! E la soluzione invece è là, dietro l’angolo, là che aspetta solo che non ci arrendiamo alle parole degli altri e decidiamo di tentare una strada nuova, usando la nostra testa e un po’ di coraggio…”
Albert non la stava più guardando, si era voltato verso l’acqua nella quale, solo pochi minuti prima, voleva lasciarsi cadere. Adesso la voce del fiume non era più dolce come era sembrata prima; era la voce ingannevole di tutti coloro che l’avevano spinto fin là, dentro quel tunnel, tra quel cartone e quella coperta. Alzò lo sguardo verso il cielo, con la fierezza dei bei tempi che ormai pensava di aver perso. “Domani è un nuovo giorno, busserò ad ogni porta, troverò un nuovo lavoro, non importa quale… e presto tornerò dalle mie bambine!”. Volse lo sguardo con tono di sfida verso la sua stella, rea di averlo abbandonato, ma… la stella adesso c’era, bella e brillante come sempre.
Si girò di scatto verso la signora per ringraziarla… ma non c’era nessuno dietro di lui.