Mia madre nacque in un paesino al confine con la Francia nel 1928 (prime due foto).
Era una bella donna, intraprendente anche 🙂
Da ragazzina fu corteggiata da un calciatore spagnolo del Genoa, ma sua madre, conoscendo la fama di Don Giovanni che ne circondava il nome, la tenne in pratica “sotto chiave” 😛 finche’ lui non cambio’ maglia. Venni a conoscenza di questa storia quando un giorno, lasciandomi esterrefatto, inizio’ come nulla fosse a parlarmi in spagnolo – lingua che credevo non conoscesse per nulla 😮
Per un certo periodo intraprese la carriera di cantante. Citava spesso i suoi viaggi, in particolare in Persia (a quei tempi non si chiamava ancora Iran), paese di cui decantava la bellezza. Cesso’ la carriera perche’, gia’ a quei tempi, per andare avanti, avrebbe dovuto sottostare a “certe regole”… che rifiuto’.
Al contrario di mio padre, legatissimo alla sua famiglia di origine, mia madre seppe separarsi senza traumi dalla sua. Viveva distante da essa e non vedeva frequentemente ne’ i genitori ne’ i fratelli. Sua madre mori’ pochi mesi dopo la mia nascita; suo padre – ne ricordo l’amore per il “Pastis”, un forte liquore a base di anice 🙂 – molto piu’ tardi. Era ricoverato in un centro per anziani (non pensate a parole brutte come “ospizio”, era davvero un bel posto), nei pressi del suo paese natio. La notizia della sua morte, datagli per telefono, la colpi’ profondamente perche’ non era riuscita ad andare a trovarlo nonostante gliel’avesse promesso. L’infermiera che lo seguiva, le riporto’ che ogni volta che la porta della sua camera si apriva, lui guardava con ansia, sperando di vederla entrare…
Quello che più mi piace ricordare di mia madre e’ la sua umanita’, il suo essere rimasta fino alla fine a fianco di mio padre che, burbero come si conveniva agli uomini della generazione della guerra, era uno di quelli che pensava bastasse assicurare i beni materiali alla famiglia per dimostrare il suo amore verso di essa. Mia madre ha subito per lunghi anni, sopportando, per quieto vivere, il suo carattere litigioso. Quando avevo 18 anni la accompagnai dall’avvocato perche’, giunta al limite della sopportazione, voleva separarsi. Ma poi, resasi conto che mio padre da solo sarebbe stato “perso”, rinuncio’.
Sbaglio’? Fece bene? Chi puo’ dirlo?
So solo che questa fu la sua decisione, una decisione dettata dal cuore, che – al di la’ di cosa ne pensassi io – ho sempre rispettato per il grande coraggio e determinazione che dimostro’ nel portarla fino in fondo. Certamente, se si fosse separata, la sua vita sarebbe stata ben diversa…
Come ho scritto nel post su mio padre (Era mio padre), la notte in cui lui mori’, nel 2003, la chiamo’, le chiese di non chiamarmi, di non avvisare neanche l’ospedale. Era stanco di ricoveri, voleva andarsene in casa sua. Si sedettero’ insieme sul letto e si presero’ per mano… finché lui non se ne ando’.
Niente mi toglie dalla testa che mia madre inizio’ ad ammalarsi quel giorno, perché – non essendoci piu’ lui – non aveva piu’ una ragione per vivere.
Scoprimmo la sua malattia nell’aprile del 2005 in seguito ad una frattura spontanea dell’omero. Fu l’inizio di uno dei periodi piu’ devastanti della mia vita. Nel giro di pochi giorni, la paura, prima ancora della malattia, si impossesso’ di mia madre togliendole la lucidita’ mentale. La persona che era stata fino ad allora, non l’avrei mai piu’ rivista.
Mia madre, a cui furono dati pochi mesi di vita, visse ancora quasi un anno e mezzo, stupendo tutti per la sua capacita’ di ripresa. Ma non me. Quando anche i parenti e gli amici piu’ stretti mi dicevano di lasciarla morire in pace, io protestavo, perche’ sapevo che era soprattutto la paura che la stava uccidendo, e che, se l’avesse superata, avrebbe potuto vivere ancora a lungo; “tecnicamente” infatti, il suo era – a quell’eta’ – un male lento, avrebbe potuto essere tenuto sotto controllo con cure non invasive per anni. Venni a sapere che, in occasione della riabilitazione per una seconda frattura spontanea, stavolta del femore, il medico che la seguiva in casa disse alla fisioterapista “tanto lo sai che questa donna non si rialzera’ piu’”. E invece, ancora una volta, si rialzo’. Prima col girello, poi col bastone, poi senza aiuto alcuno.
Solo un ictus se la porto’ via in poche settimane. Ricordo con strazio il suo “ho tanto mal di testa”.
Mori’, come voleva, in casa sua, con i suoi figli attorno. Ormai in coma da giorni, sembrava resistere ad oltranza, come se si preoccupasse per noi. In un momento in cui rimasi da solo nella sua camera, mi avvicinai a lei e le sussurai dolcemente “Vai mamma, vai… tuo marito ti sta aspettando, non preoccuparti per noi…”.
Poche decine di minuti dopo, mia madre se ne ando’, ed io venni pervaso da una sorta di sensazione di pace, come se cio’ che doveva essere, fosse stato compiuto…
A parte il devastante potere della paura, l’insegnamento principale che mia madre mi ha lasciato è stato che il corpo, la mente, i beni di ogni genere, scompaiono tutti, spesso molto prima della vera fine.
L’ultima cosa che rimane, e’ anche la più importante: l’amore e l’affetto che hai dato, e quello di chi hai ancora intorno a te.
La notte della Befana 2007, sfogliando a caso un’agendina di quand’ero militare, almeno 17 anni prima, trovai con sorpresa una dedica di mia madre che diceva pressapoco “Al mio bellissimo figlio, a cui voglio tanto bene. Tornero’ presto a trovarti. E’ una promessa.” La dedica era scritta con mano molto tremante, come da una persona malata di Parkinson. Mia madre aveva il Parkinson, e’ vero, ma non certo all’epoca in cui quella dedica avrebbe dovuto essere stata scritta. Misteri… Quando il giorno dopo lo raccontai ad una cara amica, molto credente, non mostro’ affatto segni di sorpresa; mi disse tranquillamente: “E’ normale: la notte della Befana e’ la notte dei bambini, e te, per tua mamma, sei ancora il suo bambino…”
