Il buddismo tibetano – conclusioni

Per chiudere un ciclo di post dove spesso ho parlato di questo argomento, volevo raccontare brevemente cosa mi ha persolmente colpito di questa particolare religione.
E’ indicativo che già scrivere “religione” per descrivere il buddismo tibetano, mi fa un po’ storcere il naso. In effetti questo buddismo è più un “metodo” per controllare la propria mente e liberarsi da tutte le sofferenze, piuttosto che una religione. Tant’e’ vero che i lama sparsi per il mondo non cercano di fare proselitismo, ma solo di insegnare tale metodo al puro scopo di portare sollievo a tutti gli “esseri senzienti”: ciascuno è comunque libero di restare fedele alla religione di appartenenza ed anzi a volte, per motivi culturali, è addirittura consigliato.
Ovviamente è tutt’altro che facile spiegare tale metodo. Esso si basa sulla credenza che ogni sofferenza derivi dall’identificazione con il proprio “io psicologico”. Secondo i lama tibetani, noi siamo ospiti nell’involucro che chiamiamo corpo, ma siamo molto di più, e quando il corpo muore continuamo ad esistere. Già di per sé questa credenza sarebbe di grande sollievo, ma non è tutto qua. Un aspetto curioso è infatti che la rinascita non è un fatto positivo per i buddisti: rinascere significa infatti tornare a soffrire, perché il corpo inevitabilmente è caduco e prima o poi si ammala e muore. Il loro massimo è arrivare a non rinascere di più, o, meglio (e qui il buddismo tibetano si discosta da altre forme di buddismo) rinascere – pur potendo evitarlo – per propria scelta, solo per tornare ad aiutare tutti gli esseri che ancora soffrono.
E oltre al discorso del corpo, c’è anche di più. Nel corso di questa e di altre vite, ci siamo identificati con una figura psicologica che ha caratteristiche ben precise e al quale abbiamo dato il nome “io”. Allora soffriamo quando tale “io” viene ferito, offeso, non ottiene ciò che desidera. Ma tale identificazione è errata. Noi non solo non siamo il nostro corpo, ma non siamo nemmeno l’io psicologico che abbiamo via via costruito, e quando lo smascheriamo smettiamo di soffrire.
Queste sono le credenze.
Il “metodo” passa attraverso il riconoscimento dell’illusorietà dell’identificazione con il corpo (ne siamo solo ospiti) e con quello che chiamo “io psicologico” (è solo una nostra costruzione). La meditazione è il metodo. Essa non è “sedersi e non fare nulla”, ma osservare attentamente come lavora la propria mente, arrivando a vedere che tale lavorio è fine a sé stesso, ovvero che dietro non c’è nulla di concreto: solo idee preconcette alle quali abbiamo finito per credere dopo anni e forse secoli.
Questo non vuol dire che “non siamo nulla”, ma che ciò che siamo non è ciò con cui ci siamo identificati.
La cosa se vogliamo più curiosa è che… la parte più difficile è trovare cosa siamo; infatti per i Lama tibetani (così come per il “Budda storico”) “cosa siamo” – già ora, ma anche nell’aldilà – è qualcosa che è inutile spiegare a parole (e forse impossibile): lo si “percepisce” naturalmente attraverso l’illuminazione a cui porta la meditazione. Quindi sarebbe inutile, ed anzi fuorviante, parlarne 🙂

“Per innumerevoli vite ho vagato
cercando invano il costruttore di questa casa.
Doloroso invero è continuare a rinascere.
Oh, costruttore!

Ora ti ho trovato.
Non costruirai più questa casa.

Tutte le tue assi sono rotte,
La trave di colmo è spezzata.
La mia mente ha raggiunto la libertà suprema
Estinto è ogni desiderio”.
(Buddha)

Coast

L’importanza della reazione

Questo post prende lo spunto dall’intervento di Sherwood (ilritornodelre) nel commento #12 al post precedente.
Sherwood, come immagino tante persone che hanno letto o leggeranno quel post (infatti nel momento in cui rileggo questo scritto prima di pubblicarlo gia’ altri hanno indicato aspetti simili), obietta che ci sono situazioni nelle quali “vedere il famoso bicchiere mezzo pieno” e’ oggettivamente difficile e porta un paio di esempi evidenti: il dramma di Haiti e chi perde il lavoro in una eta’ gia’ avanzata e dunque estremamente problematica per il re-impiego. A questi mi sento di aggiungere tutte le persone malate senza speranza e che soffrono molto.
Apparentemente sembra utopistico “vedere positivo” in situazioni come queste, anzi potrebbe addirittura suonare offensivo…

Voglio raccontarvi una storia, anche se certamente molti di voi gia’ la conoscono. Alla fine degli anni ’40 (non importa la precisione di date, nomi, luoghi, non fatemi andare a scartabellare ;-)) i cinesi invasero il Tibet, il cui pacifico popolo non impugnava le armi ormai da tempo. Oltre alle devastazioni ed alle vittime dell’invasione (alcuni tibetani furono perfino costretti a uccidere i propri famigliari), ci fu, e c’e’ ancora, un tentativo di… “ricondizionamento” della popolazione locale attraverso metodi a dir poco cruenti, come vere e proprie deportazioni di massa. Il Dalai Lama e molti altri Lama, che non erano mai usciti da quella regione, furono costretti a fuggire.
Oggi i buddisti tibetani all’estero, oltre ad aver istituito un “governo in esilio” nel nord dell’India, si sono sparsi per il mondo portando ovunque la loro preziosa parola di pace e liberazione dalla sofferenza. Questo fatto e’ stato di incalcolabile importanza per il mondo che, in precedenza, aveva solo notizie frammentarie di questa plurimillenaria saggezza.
Lama Yesce (mi pare sia stato lui, se sbaglio spero di esser perdonato :-P) parlando dell’esilio imposto dai cinesi ebbe una volta a dire che “i cinesi ci hanno “invitato” a portare la nostra parola nel mondo” 😉

Non abbiamo il potere di cambiare certi drammatici avvenimenti, ma abbiamo almeno quello di scegliere come possiamo reagire ad essi, anche se forse, piu’ di “scelta del momento”, si tratta di una lunga preparazione, di uno “stile di vita appreso”.

Una delle mie piu’ grandi paure riguarda la morte. Non tanto pero’ la paura del decesso in se’, quanto quella del terrore nel quale probabilmente sprofonderei nel momento di avvicinarmi ad essa. E’ insomma… la paura della paura.
Lo so, lo so, per molti puo’ sembrare consolatorio lasciare questo mondo sereni anziche’ in preda alla disperazione profonda, ma chi ha visto il terrore negli occhi di una persona morente, per una qualunque causa, credo abbia la mia stessa percezione che cosi’ non sia.

Proprio oggi ricorre il giorno della memoria. Pensiamo sia forse inutile o puramente consolatoria la testimonianza di persone che riuscirono a mantenere la loro serenita’ perfino nei lager? Pensiamo che sia offensivo ricordarli o ispirarci a loro per quanto possibile perfino nel nostro “piccolo”, che a volte purtroppo tanto piccolo non e’?
Non credo. Anche se, e’ chiaro, aspirare a qualcosa non significa possederlo gia’ e forse nemmeno arrivarci mai.

araba fenice

Il frutto della stagione nuda – una poesia di piccolarondine

Riecco dopo lungo tempo un pezzo scritto da un altro (un’altra, in verita’) blogger: piccolarondine, sul suo omonimo blog piccolarondine 🙂


 

Il frutto della stagione nuda
By:
piccolarondine
Blog:
piccolarondine

Il mio sfiorire lento

è come l’albero

perde le sue foglie

ma scorre linfa dentro.

Anche dai rami spogli

il passero cinguetta.

E’ d’Essenza il frutto

della stagione nuda.

Rondine

 

 


Commento di Wolfghost: personalmente ho trovato questa poesia di grande impatto 🙂 Avevo appena commentato un post sul tempo che scorre inesorabile in un post di Azalearossa (azalearossa1958.splinder.com/post/21951928#comment), scrivendo come l’alternativa all’alternarsi delle stagioni della nostra vita, ovvero all’invecchiare perdendo la giovinezza, sia… ben peggiore dell’invecchiamento stesso: la morte prematura. Senza saperlo, come ricordatomi da Azalea, stavo citando Maurice Chevalier: “La vecchiaia non è così male, se considerate l’alternativa.” 🙂
Recentemente ho avuto a che fare, di nuovo dopo tempo, con persone anziane, intorno ai 90 anni, e… le ho trovate sveglie, simpatiche… letteralmente da pensare “Ci arrivassi io cosi’!” 😛 Certo, forse il ricordo dei miei genitori, l’identificazione con essi, ha aggiunto qualcosa in piu’, ma… non troppo 😉
Credo che quanto sto scrivendo sia un qualcosa frutto dell’eta’, delle esperienze, delle perdite subite, delle paure passate… Della, in buona sostanza, presa di coscienza che non vivremo per sempre. Una presa di coscienza vera, colta col cuore, con l’anima, non razionalmente appresa. C’e’ differenza, e molta. Credo che molti tra di voi capiscano… altri invece saranno convinti di capire, ma forse dovra’ passare ancora tempo (ed e’ bene per loro) prima che tale consapevolezza giunga nel loro cuore.
Credo che, per chi ha la fortuna di viverle tutte, ogni stagione della vita abbia un suo particolare fascino, fatto di caratteristiche diverse e che non possono essere anticipate o posticipate.
Chi e’ giovane pensa e fa cose che gli anziani non pensano e non fanno, non nella stessa maniera almeno; ma anche chi e’ anziano puo’ godersi cose della vita di cui i giovani, presi dalla loro frenetica quotidianita’ (e lo e’ sempre, se paragonata a quella di una persona anziana), non godono o non sanno ancora godere.
In mezzo, tutte le altre stagioni, tutte le sfumature e i passaggi.
C’e’ sempre da imparare da spontaneita’ e saggezza, indipendentemente dall’eta’ nostra e del nostro interlocutore… se sappiamo e vogliamo ascoltare. C’e’ un modo diverso, eppure ugualmente pieno, di guardare alla vita. C’e’ o ci puo’ essere almeno. Poi esiste il giovane che puo’ essere incapace di godere della propria gioventu’ e l’anziano troppo preso dal passato per riuscire a riscoprire e apprezzare del suo presente.
Ma questo non cambia la sostanza di “cio’ che puo’ e dovrebbe essere”.
Ecco, io credo che questo e molto di piu’, Rondine sia riuscita a dirlo in una poesia di poche righe 🙂

Il frutto della stagione nuda

Nelle mani del destino – Il potere della convinzione – la morte.

– Nelle mani del destino –

 

Testa o croceUn grande guerriero giapponese che si chiamava Nobunaga decise di attaccare il nemico sebbene il suo esercito fosse numericamente soltanto un decimo di quello avversario. Lui sapeva che avrebbe vinto, ma i suoi soldati erano dubbiosi.
Durante la marcia si fermò a fin tempio shintoista e disse ai suoi uomini: “Dopo aver visitato il tempio butterò una moneta. Se viene testa vinceremo, se viene croce perderemo. Siamo nelle mani del destino”.
Nobunaga entrò nel tempio e pregò in silenzio. Uscì e gettò una moneta. Venne testa. I suoi soldati erano così impazienti di battersi che vinsero la battaglia senza difficoltà.
“Nessuno può cambiare il destino” disse a Nobunaga il suo aiutante dopo la battaglia.
“No davvero” disse Nobunaga, mostrandogli una moneta che aveva testa su tutt’e due le facce.

Non possiamo cambiare certi aspetti del destino, ma, per quanto riguarda le nostre scelte e il nostro impegno, tutto dipende da noi. È vero che i condizionamenti ci sono stati per lo più instillati dagli altri, ma è anche vero che, da un certo punto in avanti, da quando cioé ne diventiamo consapevoli, saremo noi a decidere come affrontarli, se accettarli o liberarcene. In meditazione si fa affidamento sulla propria forza interiore (jiriki). È ad essa che si fa appello per risolvere i problemi.



Commento di Wolfghost: volevo continuare il tema trattato negli ultimi post. Una osservazione che mi viene spesso posta (stavolta da Capehorn), è che non sempre possiamo costruire il nostro futuro come vorremmo che fosse: a volte le circostanze si frappongono – anche pesantemente – tra noi e l’obiettivo, apparentemente portandoci ineluttabilmente a mancarlo.

Nella storia raccontata, l’esercito di Nobunaga avrebbe anche potuto perdere la battaglia ma certamente, grazie al potere della convinzione nelle proprie possibilità che Nobunaga – in questo caso grazie ad un artificio che ricorda la famosa favola del sasso magico che ci raccontavano da bambini – diede loro, esso attinse al massimo della propria forza e con ciò si diede il massimo delle probabilità di riuscire a vincere. E non è cosa da poco, pur se la certezza non è di questo mondo (su questo argomento tra l’altro scrissi anche uno dei primi post su Splinder, eccolo qua: Il potere della convinzione).

Di più: anche se avessero perso, la qualità della risposta alla sconfitta avrebbe determinato l’esito delle sorti dell’intera guerra o, almeno, l’attitudine mentale ad accettare la sconfitta serenamente, anziché macerarsi sull’esito della stessa, cosa che avrebbe avuto ripercussioni sulla loro vita futura, immediata o lontana che fosse.

Qual è la differenza tra una squadra che vince un campionato ed una che arriva seconda? Spesso non risiede nel fatto di non perdere mai, cosa che capita molto raramente, ma piuttosto in quello di recuperare fiducia il prima possibile dopo la sconfitta stessa. La squadra che riesce, torna presto al successo; quella che non lo fa, ci mette più tempo e il divario di punti potrebbe divenire incolmabile.

Ma prendiamo l’esempio più estremo: la vicinanza della morte. Apparentemente tutto è perso, non c’è più futuro, salvo quello più immediato. Eppure la qualità degli ultimi tempi è molto importante: ho visto persone spegnersi serenamente, altre essere tormentate dall’angoscia, e non vi nascondo che l’impatto su di me è stato profondo in entrambi i casi. Ricordo il resoconto di psicologi che aiutano persone ormai in fase terminale ad affrontare quello che chiamiamo “ultimo viaggio”. Essi dicevano che alcune di queste persone riuscivano a trovare una serenità tale da… imparare perfino in quell’ultimo periodo della loro vita e insegnarlo – di conseguenza – a chi era loro vicino.
So che potrebbe apparire una magra consolazione, ma ricordiamoci che la morte è l’unica cosa (assieme alla nascita, altrimenti non saremmo qua a discuterne) che prima o poi tocca tutti e della quale presto o tardi dovremo prendere coscienza e non potremo più fingere che non ci riguardi.
Le grandi religioni del mondo, ma anche ogni corrente spirituale che si rispetti, hanno tradizioni e studi che accompagnano la persona che sta morendo all’atto finale. Certo, molte lo fanno, almeno in apparenza, con la promessa di ottenere in questo modo il passaggio verso una dimensione più elevata, ma in ogni caso la serenità con la quale chi si affida ad esse affronta la morte è qualcosa di assolutamente impagabile, e oserei dire, una delle lezioni più importanti della vita stessa. Forse perfino la più importante, altro che “magra consolazione”. Quello che fanno quegli psicologi è una sorta di “spiritualità agnostica”, o perfino atea, non importa, perché il loro aiuto è indipendente dall’esistenza dell’aldilà.

Ecco perché sono sempre più convinto che la nostra risposta agli eventi che il caso pone lungo il nostro cammino, fa sempre la differenza, perfino quando tutto sembra perso.

mano luce

L’invincibile – Racconto

ArmandoLa serata si stava per concludere. Armando era soddisfatto: aveva riscosso il solito successo con le ragazze e visto il rispetto negli occhi dei ragazzi. D’altronde era molto conosciuto, non solo in quella discoteca, ma in tutti i locali che frequentava e nel quartiere dove abitava. Certamente per aspetto atletico e per modi di fare, era uno che non passava inosservato: era brillante, e sapeva di esserlo. Poco importava se qualcuno ne parlasse come del classico bullo di quartiere, era sicuramente solo invidia.
Quella sera però era successo qualcosa di diverso. Chiara, una ragazza bella e semplice, l’aveva colpito profondamente. Strano per un tipo abituato a valutare solo la “carrozzeria” di chi aveva davanti. Ma quegli occhi l’avevano ammaliato e quella timidezza aveva forse fatto presa su un istinto di protezione fino a quel momento sconosciuto. Ne era turbato, come se sentisse che grazie a quell’incontro, tutta la sua vita sarebbe cambiata in breve tempo…

Chiara non stava più nella pelle. Tornando verso casa in auto, le amiche l’avevano presa bonariamente in giro tutto il tempo, con un pizzico di invidia forse, ma anche con sincera contentezza per una persona che sapevano essere bella e brava, ma davvero troppo timida, una timidezza che le aveva sempre portato poca fortuna in amore… fino a quel momento.
Lei di contro, arrossendo, si schermiva cercando di cambiare discorso o di sminuire la cosa…
“Ma dai! Sarò solo una delle tante! Domani non si ricorderà nemmeno più chi sono!”
“Smettila! Ma non hai visto come ti guardava?”

Quella notte Chiara non chiuse occhio, sognando, sì… ma ad occhi aperti. Proprio lei, che si era sempre sentita una Cenerentola…

Armando, ormai sbronzo dopo il terzo Negroni, si diresse verso la Mercedes del padre.
“Dai Arma’, ti accompagno io, e’ meglio!” – disse Lorenzo, il suo amico
più vicino.
“Ma va’… che quella con il toppino bianco ti ha messo gli occhi addosso! Non fartela scappare!” replicò lui appoggiandosi con la schiena all’auto, l’aspetto poco lucido.
“Armando… guarda che stai barcollando, sei sicuro? Per me non è un problema eh! Quella viene sempre qua, l’ho già vista altre volte…”
“Senti… non rompere, ok? Per chi mi hai preso? Non sono brillo, ci vuole altro!".

Chiara si era alzata da poco. Era molto stanca per la notte insonne… ma era stato così bello sognare!
Aveva appena finito di fare colazione e si stava cambiando per andare all’università, quando il cellulare squillò. Era la sua amica del cuore, quella che conosceva Lorenzo e che in pratica aveva permesso l’incontro con Armando, la voce era greve…
“Chiara… Armando è in ospedale… un incidente…”

Chiara non ebbe nemmeno il coraggio di chiedere le sue condizioni, chiese solo dove fosse ricoverato e corse a trovarlo.
Non le fu facile entrare, solo i parenti potevano, ma Lorenzo convinse la madre di Armando e il dottore a lasciarla passare, argomentando che a lui avrebbe certamente fatto piacere.

Armando giaceva immobile sul letto, intubato. In pratica solo il viso spuntava da una specie di scatola protettiva con cui era stato coperto per evitare il contatto del corpo con indumenti o lenzuola. Il suo bel viso era adesso una maschera di sangue, filo da sutura e bruciature.
Chiara non riuscì a reprimere un sussulto e il gesto di portarsi le mani in viso… Si voltò verso Lorenzo, con lo sguardo spaventato e interrogativo.
Lorenzo abbassò gli occhi… e Chiara capì.

L’unico gesto vitale di Armando concessole al posto di un sogno che avrebbe potuto durare una vita, e durò solo una notte, furono i suoi occhi. Occhi che dicevano “Perdonami. Mi dispiace…”.



Questo mio racconto fa’ seguito all’invito di moser56 a richiamare l’attenzione sul problema della guida in stato di ebbrezza (e non solo). Nel suo post catena (lettera aperta), moser56 invita chiunque abbia un blog a dedicare un post su tale argomento, ognuno a proprio modo.
Questo racconto è il mio contributo.

No alcool

Eternity – Racconto

L’annuncio era stato dato con grande e comprensibile clamore: l’elisir di lunga vita, quello che tutti avevano sempre sognato, sembrava funzionare. I pazienti miglioravano e guarivano, anche quelli con malattie in fase terminale; l’età si arrestava e, nelle persone anziane, sembrava anzi andare a ritroso riportando allo splendore degli anni migliori. Non parevano esserci controindicazioni, anche i più scettici sembravano non avere appigli stavolta. Il dottor Lincoln Gold, prima emerito sconosciuto, era ormai diventato il Salvatore, il Genio, colui che aveva cambiato per sempre il corso della storia cancellando la morte.
Presto anche i più reticenti si convinsero che forse per una volta sarebbe stato meglio non appellarsi al rispetto delle leggi della natura, in fondo sull’altro piatto della bilancia c’era qualcosa che pesava enormemente di più: l’eternità.

Nel giro di pochi anni tutto cambiò.
Ci si rese conto che la procreazione non era più un lusso sostenibile, bisognava arrestare la crescita demografica e, essendo i decessi ridotti al lumicino, alle sole morti violente, non restava che la sterilizzazione di massa che, per democrazia, venne applicata a tutti, senza risparmiare re, santi, presidenti.
Peccato… niente più bambini, ma per l’eternità non era questo un piccolo prezzo da pagare?

Aumentò in breve tempo il tasso dei suicidi, come se, in fondo, precedentemente la morte avesse ricoperto anche un ruolo consolatorio, dando la sotterranea idea, a chi era in difficoltà, che in ogni caso una fine ci sarebbe stata, a tutto, anche ai drammi ed ai dolori dell’anima. Cosa questa che adesso non succedeva più. Non in maniera naturale almeno. E molti impazzivano, al pensiero di restare prigionieri in eterno in una vita dalla quale non riuscivano ad emendarsi.

Ma i più semplicemente non ci pensavano, continuavano come sempre, o forse peggio, con in più l’idea che “ci sarà sempre tempo per…”.
Non avevano più lo stesso peso le sconfitte o i soprusi, prima o poi la ruota sarebbe necessariamente girata. Caspita… nell’eternità tutto deve succedere, prima o poi…

Un giorno, molti decenni più tardi, una notizia fece il giro del mondo: c’era un morto, e non era qualcuno deceduto in maniera violenta. Non era stato ucciso. Non c’era stato alcun incidente. Semplicemente il suo cuore sembrava essersi spento.
Ma in pochi diedero peso alla notizia. Faceva più scalpore il decimillesimo goal festeggiato da Del Piero nel corso della sua partita numero 12.453.
Ma pochi mesi dopo, un altro morto. Identiche circostanze. E poi un altro ancora. E un altro, stavolta a pochi giorni di distanza. E le domande e le preoccupazioni si fecero serie…

Correva il 168° giorno dell’anno numero 223 dopo la grande invenzione del dottor Gold. L’ultimo uomo stava ormai per morire, e con esso l’umanità.
Carl, così si chiamava, non era nemmeno disperato, sapevo ormai da molto tempo che sarebbe venuto anche il suo momento. Certo, pensare ad un mondo senza esseri umani, pensare di essere l’ultimo, rendeva quei momenti ancora più strani, indefinibili…
Ad un certo punto, Carl si rese conto che qualcuno lo stava osservando ed alzò gli occhi…

“Io… la conosco… ho già visto il suo volto… Sì! Lei è Gold! Il dottor Gold! Ed è vivo! Ma che è successo dottore? Perché stiamo morendo tutti?”
“Gold… che buffo nome…” disse il dottore parlando con calma, con voce profonda.
“Sai perché scelsi di chiamarmi così: Gold (Oro)? Te lo spiegherò, se avrai la cortesia di resistere ancora 5 minuti, prima di… morire”.
Carl guardava incredulo, forse non afferrando nemmeno pienamente le parole di Gold.
“Da quando siete arrivati sulla terra, pochi milioni di anni fa’, siete sempre stati una spina nel mio fianco. Vi mietevo a migliaia, a milioni, ma non vi estinguevate mai. Ho eliminato animali molto più forti, come i dinosauri, ma voi… no! Con la vostra arroganza, con il credervi protetti dal vostro ridicolo Dio, siete sempre sopravvissuti! A nulla sono servite la peggiori carestie, le epidemie più virulente… Tante specie ho fatto estinguere, a volte curiosamente con il vostro aiuto. Mi sono anche ritrovato a sperare che faceste da soli, osservando le vostre bellissime guerre! Ahahah Ma… niente, non c’era niente da fare! Incredibile… Non ci riuscivate nemmeno da voi! Non sapevo più cosa inventarmi! Ma ormai era diventata una questione di principio, una sfida tra il vostro Dio e me… la Morte. Capisci?”
Pronunciando queste parole, la Morte si tolse la perfetta maschera che ne ricopriva la testa scoprendo il suo vero volto, ovvero un bianco teschio ormai levigato da milioni di anni…
“Ho capito che potevo farcela solo quando ho notato i risibili tentativi di spodestare il vostro Creatore, volendo divenire Dio voi stessi, comandando la Natura, le stagioni, il corso della vita… Volevate l’Eternità, la Pietra Filosofale, l’Oro alchemico… ahahah Ed eccomi! Gold! Ahahah Che facile che è stato! Bastava cavalcare il vostro desiderio di onnipotenza! Se solo l’avessi capito prima… ci saremmo risparmiati migliaia e migliaia d’anni di ridicola presunzione!
Ma, per fortuna, non è mai troppo tardi…”

La Morte tirò fuori dal mantello la sua falce e si accinse all’ultimo fendente…

morte

 

Come una splendida giornata…

Correva l’anno l’anno 1982 (avevo 16 anni! :-P): l’Italia vinceva il suo terzo campionato del mondo grazie ai goal di Paolo Rossi, mentre un altro Rossi, Vasco, cantava “Una splendida giornata” (lui di anni ne aveva 30! :-D). Quella canzone mi piacque quasi da subito ma iniziai ad apprezzarla davvero con il passare degli anni e delle esperienze. Ancora oggi quella canzone ha un significato particolare e amo rispolverarla nei momenti in cui “qualcosa di bello” (forse qualunque cosa) termina 🙂

 

Cosa importa se è finita
E cosa importa se ho la gola bruciata, o no
Ciò che conta è che sia stata
Come una splendida giornata

 

Già, ogni giornata, per quanto bella sia, deve infine lasciare il posto alla notte, non è possibile evitarlo; ciò che conta è come la si è vissuta. Questo vale anche se si parla di una esperienza che ci ha dato tanto ma che si sta esaurendo.
Quando muore un nostro adorato animaletto casalingo (no, non è successo nulla a Sissi e Julius, tranquilli ;-)) cerco di consolare il padroncino dicendogli che, anche se comprensibilmente dolorosa, quella morte prima o poi doveva arrivare, ma lui, l’animaletto, ha senz’altro vissuto, grazie al suo padroncino, una splendida vita, migliore di tanti animali randagi. Ed è questo ciò che importa.
E’ questo ciò che possiamo donare e donarci.
Direi lo stesso perfino quando dobbiamo distaccarci, in qualche modo, da una persona a noi cara (tranquilli, non ho “perso” nessuno recentemente :-P), e dentro di me lo faccio, sia che riguardi qualcuno che era a me vicino, sia qualcuno che era vicino a chi ho di fronte… ma ovviamente nell’ultimo caso tengo questo pensiero per me, giacché poche persone, in quel momento, sarebbero in grado di capire, ed anzi potrebbero sentirsi prese in giro.

 

Ma che importa se è finita,
Che cosa importa se era la mia vita, o no
Ciò che conta è che sia stata
Una fantastica giornata


Già, tante cose hanno un termine, anche la vita passa e finisce, non è possibile evitarlo.
Ciò che possiamo fare è cercare di renderla il più possibile simile ad una fantastica giornata 😉

 

Questa vita, cosi’ ciclica, cosi’ unica…

The show must go on, canterebbero i Queen, perche’ la vita, intesa come "mondo", non si ferma.
 
Passerotto0Nella sequenza fotografica riportata in questo post, si vede il dramma di una rondine che si accorge della morte del compagno e lo "piange" disperata (almeno e’ questa l’interpretazione piu’ immediata che siamo tentati di dare alla scena).

Oltre a commuovermi, questa sequenza ha fatto passerotto1nascere in me una ridda di pensieri; alcuni sono ovvi, come il fatto che ancora oggi molte persone, in preda a delirio di superiorita’ della specie, affermino che solo gli esseri umani sono capaci di sentimenti e affetti reali, mentre quelli delle altre specie animali sarebbero solo riflessi istintivi (ma non e’ che sara’ cosi’ anche per noi, piuttosto? 😉 cos’e’ un affetto? E cosa un riflesso istintivo?); altri pensieri forse sono meno scontati, come la ciclicita’ della vita "nel suo complesso" che pure rimane unica e irripetibile per il singolo.

passerotto2Come scrivevo qualche post fa’, la Natura, per fare il suo percorso evolutivo, necessita del ciclo di nascita e morte delle creature, perche’ altrimenti le specie non potrebbero evolversi. Questo, a ben vedere, vale davvero per tutto e per tutti, nel piccolo come nel grande, in una sorta di universale democrazia.
I buddisti sottolineano questo concetto ricordando che tutto e’ caduco, tutto: gli esseri viventi, le piante, gli oggetti, i pensieri…

Come quella rondine, chissa’ quante altre creature hanno dovuto piangere i loro morti, chissa’ quante lo dovranno fare ancora. Un ciclo senza fine, dunque apparentemente inutile e senza senso.

passerotto3Eppure, a parte il senso nel quadro complessivo dell’evoluzione, per ognuna delle creature la vita non si ripete: e’ unica, come la nascita, la morte e ogni singola azione e avvenimento che accade nel mezzo.
La rondine non si chiede cosa c’e’ stato prima, non si chiede cosa ci sara’ dopo, per lei eternita’ e infinito sono parole senza senso. Il tempo della sua vita e’ l’eternita’. Lo spazio che conosce e’ l’infinito. Dopo la sua morte niente esistera’: tutto e’ iniziato con lei, tutto finira’ con lei. Miliardi di rondini nasceranno e moriranno, eppure non ci sara’ mai una rondine uguale a questa, e nemmeno "una vita di rondine" uguale alla sua.

La vita: universalmente ciclica, individualmente unica e irripetibile.
passero4

Sempre come canterebbero i Queen… chi vuol vivere per sempre, se perfino l’amore deve morire?
 

Dio

Mi piace riportare qua, come nuovo post, un commento che ho lasciato sul blog capehorn.splinder.com/, dell’omologo proprietario, in occasione di un suo accorato e molto profondo post sul tragico evento dell’ultimo terremoto. Vi invito tutti a leggere anche tale post.

occhio-DioPotremmo scrivere mesi sull’argomento “dio”, anni anzi. D’altronde lo fanno da millenni senza arrivare ad una conclusione univoca, perche’ dovremmo arrivarci noi?

Io posso solo dire quale e’ il mio personale concetto di Dio oggi, senza nessuna pretesa che tale visione sia condivisa da altri, e in che cosa sbaglia chi si chiede “dov’e’ Lui'” quando capita qualche tragedia personale o collettiva. D’altronde perfino io ho scritto “oggi” perche’ ho cambiato gia’ idea diverse volte lungo il mio percorso e, spero, ancora la cambiero’ in futuro. Perche’ in fondo… mi piacerebbe credere in un Dio che sia piu’… umano e benevolo, una sorta di papa’ o di mamma, insomma 🙂

Parco nel verde della foschia mattutinaDio oggi per me e’ l’Universo, la Natura, l’Energia che tutto pervade e tutto forma. Da li’ veniamo, di essa siamo costituiti, ad essa torneremo. In fondo non vedo una grossa spaccatura con le varie antiche scritture sparse in ogni parte del mondo, ne’ con l’idea alla quale la scienza, a poco a poco, si sta avvicinando.

In questa visione Dio non e’ “personale”, non e’ “umano”, non e’ nemmeno benevolo o malevolo.

Dio e’, e basta. A lui, la Natura, interessa solo una cosa: l’evoluzione di se’ stesso, ovvero dell’universo e di cio’ che lo compone. In quest’ottica, i singoli componenti sono “sacrificabili” in nome dell’evoluzione dei sistemi piu’ grandi.

L’ho scritto molte volte: se non esistesse la morte… come potremmo esistere noi? Come avrebbe potuto, e come potrebbe, svilupparsi l’evoluzione? Le prime cellule sarebbero durate per sempre, sarebbe rimaste sempre uguali. Solo attraverso la loro riproduzione e morte, le nuove cellule, un pochino migliori, avrebbero potuto prenderne il posto.

Se non fossero esistiti i terremoti, il pianeta non solo non avrebbe la forma che ha, ma probabilmente nemmeno esisterebbe. La terra non e’ sempre stata cosi’, all’inizio era ben diversa, una palla di fuoco in cui la vita non avrebbe mai potuto esistere. Essa si e’ evoluta, e anche i terremoti hanno fatto parte della sua evoluzione… a discapito di chi la abitava.

cappella_sistinaQual e’ allora l’errore dell’uomo, un errore che si perpetua da migliaia di anni? Semplice: credere di essere la creatura per cui l’universo tutto e’ stato creato. Una visione spropositatamente egocentrica, di una ingenuita’ che definire infantile dovrebbe far sorridere di tenerezza 🙂

Eppure ce la propinano ancora oggi, continuamente.

Certo che l’uomo puo’ prendersela con Dio allora: e’ reo di averlo creato e poi abbandonato.

Ma se mettiamo l’uomo nella posizione che gli spetta… tutto torna: un essere semplicemente sacrificabile. Come tutto il resto che c’e’ al mondo.

Ma almeno un vantaggio l’uomo ce l’ha: ha la consapevolezza di se’ stesso, di cosa sta attorno a lui. L’uomo puo’ capire le leggi che regolano l’universo, o meglio, che l’universo stesso ha creato lungo la sua evoluzione.

Cosi’ facendo, forse, puo’ arrivare molto, molto lontano.

indiano_pellerossaGli Antichi, di qualunque parte del mondo fossero, non facevano l’errore dell’uomo “moderno”: essi temevano la Natura, essi non pensavano di essere superiori alle altre creature, ma di essere semplicemente parte di loro.

L’Antico aveva rispetto per la Madre Terra, timore di cio’ che vedeva accadere attorno a lui, si sentiva – giustamente – piccolo e insignificante. Ma tale visione lo rendeva piu’ grande degli egocentrici uomini moderni. Perche’ comportava umilta’, non superbia. Perche’ lo portava ad essere CON la Natura, non a volerla sfruttare e dominare in un delirio di onnipotenza.

Quando vedo certe alte figure religiose e ascolto le loro parole… be’, mi viene in mente Qualcuno che disse “perdonali, perche’ non sanno quello che fanno.”

Paradossale, eh? Loro che dovrebbero esserne i rappresentanti 😉

Si narra che per il mondo vaghi ancora oggi qualche antico alchimista che, scoperta la “pietra filosofale”, divenne immortale. Be’… se cosi’ fosse, non ci sarebbe riuscito perche’ “fu miracolato”, ma perche’ capi’ “come funziona Dio”.

E in fondo e’ cio’ che anche la scienza e le genuine correnti spirituali si propongono di fare.

 

Ed ora scusatemi: vado orgogliosamente a ritirare la mia scomunica al Vaticano! 😛

 

Vaticano

La forza dentro di noi – Non è facile morire

tunnelQuesto post nasce da una riflessione nata in un commento al post precedente in risposta al commento di una di voi (Daphnee); questo per sottolineare, se ancora ce ne fosse bisogno, il potere che una reale condivisione può avere nelle nostre riflessioni 🙂

Ricordo che anni fa’ (molti anni fa’ invero :-P), lessi un manuale di sopravvivenza; inutile indicarvi il titolo: certamente non è più in commercio. Sopra c’era di tutto: da come sopravvivere ad un’aggressione a come ripararsi in caso di attacco atomico  😀 Un po’ pacchiano se vogliamo, ma qualche consiglio – ad esempio su cosa fare in caso ci si perda su monti poco conosciuti e in condizioni climatiche avverse, cosa che mi successe effettivamente – non era male; soprattutto pero’ mi colpi’ la conclusione dell’autore che sosteneva che, in fondo, non è facile morire.
Certo, ognuno di noi è colpito quando muore una persona, in particolar modo se giovane (senza parlare delle persone care, ovvio), ma questo non è in fondo anche perché sono tristissime eccezioni che però confermano la regola? Se morissimo come funghi (fate le corna! ;-)) queste notizie non susciterebbero lo scalpore che invece hanno.

Il mio non è un invito ad abbassare la guardia e la cautela, niente affatto, è solo un modo di ricordare che quando attraversiamo momenti difficili, dove ci sentiamo davvero messi a dura prova e pensiamo di non farcela, dovremmo sempre ricordarci che… non è facile morire, a meno di non essere noi stessi ad arrenderci.

Se poi vogliamo intendere la “morte” in senso lato, possiamo dire che effettivamente ci sono momenti tragici nella vita, come la perdita (fisica o morale) di una persona amata oppure un licenziamento, una malattia debilitante che ci costringe a ridimensionare la nostra vita o, ancora, pressioni di vario genere che ci arrivano dall’esterno e alle quali non riusciamo ad opporci. Ecco… in questi momenti, nei periodi davvero di crisi “acuta”, nei quali si può far poco o nulla di concreto, si può, anzi si deve… resistere, aspettando il momento buono per iniziare a rialzarsi.

E’ in quei momenti che è necessario ricordare a sé stessi che… in fondo, non è facile morire.

AlbaColomba e libertà


 

Colgo l’occasione per dire che per me questo è un periodo particolare: nel giro di pochi giorni sto facendo onomastico (non è che ci tenga particolarmente), compleanno e, soprattutto, il primo anniversario di un avvenimento per me estremamente importante e che mi portò, era il 4 aprile 2008, a scrivere questo post:FUORI DALL’INCUBO!!!! 😉