Morte e Rinascita

Questo post è stato pubblicato originariamente il 27 settembre 2007, qui potete vederlo con tutti i commenti dell’epoca: http://logga.me/wolfghost/2007/09/27/morte-e-rinascita/

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CoastCapita talvolta, nella vita di ciascuno di noi, di sentire la spinta al cambiamento. Si sente che qualcosa non sta’ andando; ci si sente insoddisfatti, forse non si vede un futuro o, perlomeno, un futuro attraente. Ci si ritrova a dire a se’ stessi qualcosa di simile ad un “mmmm… qui si deve cambiare rotta”.

Forse si tratta solo di un aggiustamento, di un rinnovamento. Se la nostra vita, o meglio personalita’, fosse un palazzo, si potrebbe identificare tale rinnovamento come un restauro della sua “facciata” o come lavori all’interno dei vari appartamenti.

Talvolta pero’ si sente che il salto di qualita’ da fare e’ grande, immenso forse, eppure possibile e cosi’ potenzialmente “ricco” da sentire che non compierlo sarebbe un vero peccato. Un balzo su un crepaccio che divide un mondo antico e ormai vetusto, da uno nuovo, ricco di possibilita’. Si tratta di buttare giu’ tutto il palazzo, perche’ e’ necessario ricostruirlo fin dalle fondamenta.

Di un simile salto si ha spesso timore, perche’ non si riesce a compierlo “caricandosi troppo del passato”: bisogna essere il piu’ “leggeri possibili” per riuscire a farlo. Bisogna abbandonare sul lato vecchio del crepaccio tutto cio’ che ormai non ci serve piu’, che ci appesantisce, che ci condiziona. I maestri esoterici dicono che “per rinascere, bisogna prima morire”, intendendo proprio che bisogna liberarsi dello stabile – ma proprio per questo “bloccante” – edificio che ci si e’ creati nel corso degli anni, perche’ i mattoni di tale stabilita’ sono per lo piu’ credenze e motivazioni sbagliate, fondate sull’inerzia, sulla conservativita’, sulla paura; sono alberi che affondano le proprie radici nel cemento: stabilissimi, e’ vero, ma destinati a perdere la bellezza delle loro foglie, diretti al declino.

Perche’ nella stabilita’ del cemento non c’e’ nutrimento: l’albero e’ si stabile, ma avvizzito…

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Commento di Wolfghost: bé, commentare me stesso mi fa sorridere 🙂 Tuttavia, come scrivevo qualche post fa, spesso nel tempo cambiamo e non siamo più così d’accordo con quanto noi stessi avevamo scritto anni prima.

Ad una prima rilettura questo post oggi mi apparirebbe diretto soprattutto a persone giovani, che ancora non hanno trovato la loro strada nel mondo e continuano a sentire la spinta al cambiamento. In realtà avevo scritto bene: al di là dell’età, ci si può sempre trovare in uno stato di impasse, in una situazione bloccata che ci divora lentamente, così lentamente da impedirci perfino di capire cosa originariamente l’abbia provocata. A volte anzi la situazione di impasse viene a stabilirsi lentamente, non c’è una vera causa scatenante. Semplicemente un giorno ci si sveglia e ci si rende conto che è da tempo ormai che si percepisce la vita come pesante. Allora è meglio cercare di capire cosa cambiare o cosa aggiungere affinché la vita riacquisti sale. La ricerca delle cause alla fine non è così importante, è più importante riuscire a “darsi una mossa”.

A volte basta poco, un nuovo hobby, un impegno, un’attività da seguire. Anche se questo vuol dire sacrificare qualcosa. Penso ad esempio a chi dopo anni abbandona il proprio blog, inizialmente a malincuore, perché non gli da più nulla ed anzi sente che gli ruba tempo prezioso. Magari si è solo trovato qualcosa che lo coinvolge di più, qualcosa che, chissà, a sua volta verrà un giorno “ucciso” per lasciare il posto a qualcos’altro. Non importa. A volte alle cose importanti si arriva con una serie di cambiamenti apparentemente di poco peso.

Altre volte il salto da fare è grande e sfidante, e non lo si fa per paura di sbagliare o perché si pensa che non sia ha più l’energia o il tempo di farlo. A volte ci sente addosso lo sguardo della gente che giudica le azioni altrui. A quel punto è facile raccontarsi che in fondo non è così importante. Eppure proprio perché la vita si accorcia, ogni suo giorno è ancora più importante ed è un peccato trascinarsi in essa anziché godersela.

Questo non è un facile invito a “cambiare e via”. Dobbiamo entrare nella nostra testa e capire se abbiamo davvero bisogno di cambiare “all’esterno” di noi stessi. Può essere che l’unica cosa che dobbiamo cambiare… siamo noi stessi, capendo perché siamo insoddisfatti. Se la nostra insoddisfazione arriva dalla nostra anima che ci sta chiedendo un po’ di attenzioni, cambiare fuori da noi non ci servirà a granché, anzi ci permetterà di rimandare ancora di più il vero cambiamento. Forse a mai. E ci ritroveremo di nuovo al punto di partenza, forse più frustrati di prima.

Qui ho scritto di tutto e di più, e chi ha “bisogno” è probabilmente più confuso di prima. Ma la verità è che nella vita le facili soluzioni non esistono e soprattutto nessuno può dirvi cosa fare. Lo dovete capire da soli, e da soli dovete fare il primo passo.

La sfiducia verso la medicina ufficiale e la “contro-informazione”

Prima di tutto permettetemi di fare un saluto a un mito della mia adolescenza che ci ha lasciato ieri: il comico Andrea Brambilla, in arte Zuzzurro. Ha lottato molti mesi contro un tumore ai polmoni con grande forza e coraggio, al punto da essere citato come esempio da Umberto Veronesi. Purtroppo non ce l’ha fatta, ma personalmente ne ho ammirato – e molto – la forza d’animo.

Indubbiamente la medicina ha fatto grandi progressi e molte malattie che un tempo erano incurabili oggi non sono più tali. Leggevo l’altro giorno che, ad esempio, sulle leucemie i progressi sono stati addirittura sbalorditivi, superiori al previsto: molte forme di leucemia sono oggi guaribili nell’80% e più dei casi; altre vengono “cronicizzate” e, anche se non si guarisce, si possono tenere sotto controllo per lungo tempo con aspettative di vita del tutto simili alle persone sane. Purtroppo su altri lati il miglioramento non è esattamente lo stesso. Qualche settimana fa mi è capitato un articolo nel quale si dava grande enfasi, trattandolo come un successo, il passaggio dell’aspettativa di vita di una forma tumorale (non voglio scendere nei dettagli) da 6 mesi a… un anno! Un altro articolo, proprio negli scorsi giorni, faceva la stessa cosa per un’altra forma tumorale, con la medesima sottolineatura dell’arrivo imminente di nuove categorie di farmaci che, “miracolosamente”, promettevano non già di guarire il paziente, ma di passargli l’aspettativa di vita da 4 mesi a 9. Vero che ci sono nuove medicine, ma l’impressione è che il miglioramento decisivo delle statiche sulla mortalità di determinate malattie sia stato dovuto più alle campagne di prevenzione e screening che alle cure stesse. Sia chiaro che sto parlando di impressioni da “uomo della strada”, non sono un esperto ma credo che in molti abbiamo la mia stessa percezione.

Ricordo l’articolo di un giornalista, credo del Corriere, che a breve avrebbe incontrato e intervistato Umberto Veronesi. Questo giornalista, e mi scuso per non ricordarne il nome, aveva da poco perso la moglie per la stessa malattia che gli uccise, diversi decenni prima, la madre. La sua intenzione era di esprimere chiaramente a Veronesi tutta la sua delusione per la lentezza dei progressi della medicina che – almeno per determinate malattie – è stata irrisoria portando, a fronte di grandi campagne e promesse, solo “una manciata di mesi in più” (espressione da lui usata).

Certo, sappiamo il tipo di mondo nel quale viviamo. Sappiamo che i ricercatori per poter vedere i loro lavori ancora finanziati hanno necessità di promettere grandi risultati, di sbandierare i loro successi forse oltre misura, questo però ha portato i comuni mortali a credere per decenni, forse già da 50 anni (ricordo i TG degli anni ’70), che entro breve molte malattie sarebbero state finalmente debellate. Ovvio poi restare delusi.

La sfiducia così portata ha avuto risultati evidenti sulla cosiddetta “contro-informazione”. Solo pochi giorni fa ho letto un “articolo” su un social network (che normalmente evito come la peste ma che mi era stato segnalato da Lady Wolf) che francamente ho trovato davvero di cattivo gusto e pericoloso. Questo articolo sbandierava statistiche sull’inutilità, ed anzi dannosità, delle cure ufficiali citando articoli e ricerche datate anni ’70 e evitando accuratamente di spingersi oltre a quel periodo. Articoli come questi rischiano di spingere persone già sfortunate a compiere scelte sbagliate a danno della cosa più preziosa che hanno: la loro salute. Sono il primo, e questo credo si sia  capito, ad essere piuttosto deluso dai progressi della medicina, ma certe scelte si devono fare sulla base di dati reali e attuali, non leggendo su ciò che stato proposto lesivamente, con dati di un periodo nel quale diagnosi di cancro erano praticamente condanne a morte. Poi ognuno è ovviamente libero di compiere le proprie scelte, ma chi pubblica certi articoli solo per avere un po’ di notorietà farebbe bene a farsi un esame di coscienza pensando che sta giocando con la vita delle persone.

Detto questo, sia chiaro che chi ha materiale di reale interesse, chi ha anche solo dubbi che però potrebbero essere legittimi, fa benissimo a proporli, ma dovrebbero sempre essere chiari i limiti e la provenienza di ciò che scrive, soprattutto quando si parla di argomenti che parlano di vita e di morte.

Cinque minuti per Napoleone

Mentre cerco di andare faticosamente avanti con la seconda parte della mia autobiografia, vado a ripescare un vecchio post, pubblicato il 25 settembre 2009. Si tratta di uno scritto di Gerald Harrisbar. Al seguente link potete anche vedere il post originale e i commenti che aveva ricevuto: logga.me/wolfghost/?p=1721

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Cinque minuti per Napoleone

Tante e tante volte si e’ letto della battaglia di Waterloo. Fiumi di inchiostro, poesie e canzoni composte per dettagliare ogni piu’ recondito aspetto della stessa. Gli Inglesi la vedono in un modo e i Francesi la vedono in un altro, leggermente differente.

La storia e la leggenda ci hanno consegnato un’immagine dell’esercito di Napoleone sconfitto e una del Duca di Wellington alla testa di un’armata vittoriosa. Napoleone portato via e imprigionato. Un giorno un gruppo di giornalisti si reco’ a visitarlo. Avevano ottenuto il permesso di fare un’intervista al famoso generale francese Napoleone Bonaparte.

Anche se Napoleone era prigioniero, si comportava con dignita’ e guardo’ con occhi attenti il gruppo di giornalisti riuniti davanti a lui. Furono poste delle domande e furono date delle risposte. I giornalisti si annotarono ogni singola parola. Sarebbe stato un bel resoconto. Avrebbero raccontato ai loro figli e ai loro nipoti del momento in cui stavano di fronte al grande generale in quel giorno ormai distante.

Improvvisamente, dal fondo della stanza, una voce, in un certo modo piu’ gentile delle altre, fu udita pronunciare qualcosa: “Mon General,” chiese il giornalista, “Ci dica perche’ gli Inglesi hanno vinto a Waterloo. Avevano un esercito superiore?”

“No!” risposte Napoleone.

“Avevano allora delle armi migliori?” chiese un altro giornalista.

“No!” fu di nuovo la risposta.

Allora il giornalista di prima chiese di nuovo, “Perche’, allora, Signor Generale, gli Inglesi hanno vinto?”

Gli occhi di Napoleone vagarono per la stanza. Il silenzio era cosi’ profondo che era quasi surreale. Si sarebbe potuto udire cadere la proverbiale foglia. Poi, lentamente, rispose: “Gli Inglesi hanno combattuto cinque minuti piu’ a lungo.”

Dalla bocca del grande generale stesso venne la risposta, “Gli Inglesi hanno combattuto cinque minuti piu’ a lungo.” Molte volte, cinque minuti piu’ a lungo e’ tutto cio’ che basta. Sono cambiati i tempi dai giorni dell’Imperatore Napoleone. Ma molte cose restano ancor oggi uguali.A volte la vittoria e’ a soli cinque minuti di distanza. Si, lo so, tutti attraversiamo momenti difficili. Nel mondo moderno molti di noi affrontano crisi dopo crisi. Per molti, non ci sono mai abbastanza soldi, niente lavoro, scarse relazioni sociali, una cattiva salute; e la lista potrebbe continuare all’infinito. Naturalmente ci sono anche momenti lieti, ma i momenti difficili bloccano solitamente la nostra visione dei momenti lieti.

Quando le cose si mettono davvero male, ci giriamo e cerchiamo un qualche aiuto od almeno una qualche speranza per continuare a procedere. Qualunque cosa puo’ servire – una parola gentile di un amico, un paragrafo di un buon libro, un brano vagante di musica dalla radio, anche un film di Hollywood.

Alcune persone sono li per noi, altri si gireranno e si allontaneranno, preoccupati solo del proprio benessere. Tuttavia altri potranno gettarci qualche briciola di cibo o di denaro sperando che noi non si chieda di piu’. Dobbiamo essere grati. Loro fanno quello che ritengono sia opportuno fare in quel momento. Il nostro lavoro e’ di continuare ad andare avanti.Quando siamo nell’arena e la polvere inaridisce le nostre gole e possiamo udire il boato della folla, ricordiamoci che “Gli Inglesi hanno combattuto cinque minuti piu’ a lungo.” A volte va cosi’ male che una giornata alla volta e’ fin troppo. Allora andiamo avanti un’ora alla volta. E se e’ ancora troppo, cosa ne dite di cinque minuti alla volta? Il successo e’ spesso distante solo pochi chilometri o pochi minuti. Ci sono volte in cui gli ultimi metri possono sembrare dei chilometri e gli ultimi pochi minuti possono sembrare ore. Ma se continuiamo a continuare, se non lasciamo morire la speranza, se abbiamo fede nella bonta’ dell’universo e nella nostra forza, alla fine trionferemo.

Perche’ Napoleone ha perso con gli inglesi nella battaglia di Waterloo?

Perche’ gli Inglesi hanno semplicemente combattuto cinque minuti piu’ a lungo.

Gerald Harrisbar

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Commento di Wolfghost: la prima volta che pubblicai questo scritto mi convinse completamente. Adesso non sono più convinto dell’ultimissima parte. Nella vita non è possibile vincere sempre, non è possibile aggiustare tutto ciò che si rompe, e quando questo succede la speranza non è più un’alleata, diventa una nemica, diviene accanimento terapeutico. Tuttavia lo scritto resta, almeno per me, molto bello e costruttivo. Credo che l’importante nella vita sia dare battaglia, per ciò che conta, finché si può ed ha senso farlo, anche se le possibilità di riuscita sono molto poche… ma esistono. Troppo spesso le persone si arrendono o non tentano nemmeno perché è stato loro inculcato il messaggio che non possono farcela. Si è portati a credere che “tanto andrà male”, e a volte non siamo nemmeno consci del fatto che questo modo di pensare non è obbiettivo, che poggia su credenze fallaci che ci sono state impartite per comodità di altri, forse allo scopo di essere più facilmente controllati, forse perché a loro volta, chi ha trasmesso tali credenze, ha avuto insuccesso e pensa perciò che così debba essere anche per gli altri. Il mondo è pieno di sovvertimenti di pronostici, di cose che oggi sono possibili mentre ieri non lo erano, ed è così perché qualcuno si è rifiutato di arrendersi così come aveva fatto chi l’aveva preceduto. E’ vero che presto o tardi c’è il tempo della resa, ma fino ad allora… è tempo di combattere.

Wolfghost (il blog) andrebbe alle elementari…

Mi sono ricordato proprio in questi giorni che il mio blog “Wolfghost” il mese scorso ha compiuto sei anni, dunque sarebbe pronto, se fosse un bambino, per iniziare le elementari 😀

Il primo post, la piattaforma era Splinder, è datato 7 settembre 2007 e, con grande sforzo di fantasia, si chiama “Eccomi qua…”. Siccome è breve, vediamo che diceva…

“Dopo anni di peregrinazione su siti vari e, soprattutto, forum, Wolfghost prova l’avventura del blog.

Il desiderio di esprimere cio’ che e’ dentro di me in una cornice mia, senza gli spazi angusti di un forum, forse senza la sua visibilita’, ma nemmeno la sensazione di disordine e, spesso, mancanza assoluta di controllo, e’ la molla che mi spinge in questa mia esperienza di blogger.

Sono stato per lunghi anni, da quando ne avevo 18 fino ai 37, un “ricercatore dell’anima”, incuriosito tanto dall’esoterismo quanto dalla psicologia del profondo, affascinato in particolar modo quando scoprivo in essi percorsi paralleli, ma sempre con un nocciolo scettico che mi impediva di cadere preda di facili entusiasmi.

In seguito a disavventure sentimentali, lutti e momenti difficili, ho avuto la mia pausa, durata quasi 4 anni.

Adesso, a poco a poco, quella sete di conoscenza, quella voglia di chiudere il cerchio, si stanno di nuovo facendo strada…

Spero di non perdere gli amici che, via via, mi sono fatto da altre parti e che, almeno alcuni tra loro, siano pronti ad accompagnarmi, magari assieme a nuovi, in questa avventura.

Wolfghost”

Purtroppo gli amici ai quali mi riferivo si sono via via persi, tutti tranne uno che, anche se ha cambiato nickname, ha ancora un suo blog. Tuttavia sei anni su Internet sono un’eternità, il ricambio è quasi scontato, fisiologico direi. Alcuni blogger che ho conosciuto in questi anni sono anche scomparsi… è terribile pensarci, anche se è vero che fa parte della vita ed anzi, e anche questo è incredibile da pensare, se i nostri blog vivranno abbastanza a lungo, a poco a poco i sopravvissuti inizieranno a piangere quelli che via via scompariranno, fino a restare pochi pochi. Avete mai provato a pensarci? 😐 Per parafrasare le parole del buddhismo tibetano sul principio dell’impermanenza: “Vedete tutti questi blogger? Tra cento anni non ce ne sarà più neanche uno” 😦

Per quanto riguarda la “sete di conoscenza”, ho certamente fatto più esperienza e appreso nuove nozioni, o almeno ho rielaborato nozioni che già sapevo. Tuttavia… non sono arrivato a nulla, questa è la verità, anche se è da stabilire se davvero qualcosa da raggiungere c’è o se tutta la vita è solo un processo in divenire, senza una fine, senza un traguardo. “La strada è la ricompensa” direbbe lo Zen.

A dirla tutta… a volte mi accorgo ancora di brancolare nel buio. Ad esempio, ora come allora, non ho la minima certezza sul fatto che la vita continui o meno dopo la morte fisica. Un giorno propendo più da un lato, quello dopo più dall’altro. E lo stesso dicasi di tanti altri argomenti. Tuttavia mi diverte, mi incuriosisce, vedere il cambiamento di pensiero che in questi anni ho fatto e, se ne aggiungo qualcuno in più, includendo solo pochi anni prima del 2007, il divario diventa ancora maggiore. Alcuni post che avevo scritto, ad esempio, erano per me la “bibbia”, ci credevo ciecamente. Rileggendoli adesso… molti mi sembrano aria fritta. Non “falsi” o “errati”, ma valevoli solo in un certo periodo della vita, dopodiché… diventano inutili. A volte mi suonano perfino sciocchi.

Credo che così sia la vita: fatta a fasi. E’ chiaro che un giovane non può, non deve, pensarla come un uomo di mezza età, e immagino che un uomo di mezza età non può, non deve, pensarla come una persona ormai vecchia. Le cose cambiano e ciò che aveva valore e senso una volta, poi smette di averne, o comunque ne ha molto meno.

Bé… comunque mi accorgo che anche la platea di Wolfghost è estremamente cambiata, sul blog e ancora di più rispetto ai forum su cui scrivevo in precedenza. L’età si è alzata, e ovviamente con essa anche gli interessi che i miei lettori e io abbiamo. Però alcuni vecchi post sono ancora validi, almeno per me, quindi ho deciso che quelli che “sento ancora” li ripubblicherò saltuariamente, perché se è vero che li potete comunque trovare tutti tramite la colonna laterale, è anche vero che la grande maggioranza dei blogger raramente va indietro nei post di un blog, mi piace perciò pensare di condividere alcuni di essi con chi – oggi – è lettore del mio blog.

Un caro saluto a tutti 🙂

Un piccolo sondaggio sulla qualità del blog :-D

Visto che siamo tormentati dai sondaggi – chi non ha mai ricevuto almeno una richiesta a risponderne uno? – e che a volte l’andamento dei commenti ai miei post è piuttosto sospetto, oltre alcune esplicite “denunce” di malfunzionamenti momentanei, ho pensato di proporvi un piccolissimo sondaggio sulla qualità del blog “Wolfghost” (qualità tecnica, più che di contenuti… poiché so che a una domanda su questi ultimi in pochissimi risponderebbero sinceramente :-D). Ciò che voglio capire è se e quali difficoltà riscontrate, in modo poi da indirizzare i vostri commenti ai gentilissimi e solerti manutentori di questa giovane piattaforma per vedere se, eventualmente, riescono a porvi rimedio. Sono tra l’altro certo che anche loro apprezzeranno poiché servirà a, eventualmente, migliorare la piattaforma (sempre che non sia io a sbagliare qualcosa nelle impostazioni…).

E’ essenziale, ovviamente, che rispondiate sinceramente, altrimenti non serve a nulla e non mi aiutate! 😉

 

Ecco le, poche, domande:

1) avete difficoltà di caricamento della pagina? Per una risposta oggettiva confrontate il tempo del caricamento della pagina con altri blog simili;

2) dovete ogni volta ricaricare la pagina per essere sicuri che sia aggiornata? Credo di sì, poiché perfino io lo devo fare… ad ogni modo lascio a voi la risposta;

3) vedete comparire messaggi di richiesta di scaricamento file o qualunque altra cosa che non c’entri con il blog?

4) riuscite a commentare facilmente? Altrimenti, che difficoltà riscontrate?

5) con che frequenza il blog è fuori servizio?

6) con che frequenza è talmente lento da disincentivarvi nel commentare?

7) c’è qualche altra segnalazione che volete aggiungere?

 

Grazie a chi vorrà rispondere 🙂 Per agevolarvi… copiate la numerazione qua sotto in un commento e poi aggiungete le risposte 😉

1)

2)

3)

4)

5)

6)

7)

Anche nella nostra testa possiamo perderci

Ho iniziato la stagione autunnale (anche se a rigore ha ancora da iniziare) nel migliore dei modi: mega-influenza che prima mi ha steso la gola (il peggior mal di gola che ricordi :-D) e poi è passato a bronchi e testa. Ovviamente sono andato al lavoro lo stesso, al punto da beccarmi qualche epiteto (peraltro giusto) da “appestato” o “untore” 😀 Spero mi passi presto poiché sabato prossimo è il terzo anniversario di matrimonio e Lady Wolf ha prenotato per il weekend in un hotel di Garda (sul Garda, ovviamente ;-)).

Il titolo del post prende spunto da un’altra riflessione fatta nel famoso viaggio da Merano già citato nel post precedente. Riflettevo sulla vicenda di Julius, disperso per tre giorni e due notti. Lo immaginavo terrorizzato, spaesato, incapace di agire morso com’era dallo spavento. Ne è nata una correlazione spontanea su quando andiamo in tilt nella nostra testa, solitamente a causa di paure e preoccupazioni. Il meccanismo è identico, anche se nel caso di Julius più immediato poiché lui si era perso fisicamente. Ma anche noi ci perdiamo, forse non fisicamente, ma ci perdiamo. Perdiamo la direzione, la “bussola”, finendo per girare in eterno sulla stessa faccenda. Un pensiero ricorrente, a ragione o torto, è insorto a spaventarci e preoccuparci, ma invece di reagire iniziamo a cercare di risolverlo solo cerebralmente finendo per tornare sempre al punto di partenza, allo stesso pensiero, poiché nulla si può risolvere solo con la mente. Ci siamo persi e stiamo girando a vuoto.

A volte, come nel caso di Julius, siamo fortunati e qualcuno ci viene a recuperare, a darci uno scossone, a dirci che “la campana non è ancora suonata”. A volte però non succede oppure non basta: allora solo noi possiamo interrompere questo nefasto circolo vizioso, questo schema mentale ripetitivo. Dobbiamo agire, o se la logica ci dice che ancora non è il momento, distrarci, riuscire a pensare o fare dell’altro. Poi quel pensiero tornerà, ma per allora, forse, saremo pronti per agire.

Quando scoprite che state pensando per l’ennesima volta la stessa cosa, allora vi siete persi nella vostra testa e dovete forzarvi a cambiare strada: se potete, agite, se ancora non è logicamente il momento di agire, allora pensate ad altro, ritornare mille volte sullo stesso punto non è costruttivo e fa perdere solo tempo ed energie.

Forse, se vi accorgete che questo comportamento lo ripercorrete spesso, allora sarà maeglio cambiare… modo di vivere, di pensare, di reagire alle avversità. A volte basta un pizzico di follia. La follia, intesa in senso buono, arricchisce di ironia ed autoironia, stempera la paura, permette di affrontare le sfide con più serenità.

Personalmente sposo la follia, e spero di farlo sempre di più.

Abbiamo perso la magia della vita

Domani si rinizia. Domattina suonerà la sveglia. Mi alzerò, penserò ai gatti e a Tom, preparerò la colazione per me e Lady Wolf (leggi: scalderò le solite brioche e verserò due succhi di frutta in altrettanti bicchieri, nulla di impagnativo :-)), dopodiché inizierò a prepararmi per uscire e andare al lavoro. Rinizierà la corsa con il tempo dei giorni feriali, così pieni e ripetitivi da diventare abitudine e non farci nemmeno più caso. Sarà un altro anno impegnativo, dovrò anche decidermi a fare certi esami che continuo, colpevolmente, a rinviare.

Tornando da Merano, la scorsa settimana, ed ascoltando in auto la canzone che trovate sotto (l’avevo già pubblicata, ormai cinque anni fa’), assieme ad altre, ho avuto quello che chiamo scherzosamente un “trip”, ovvero una specie di viaggio in me stesso, mettendo il silenziatore a tutti i pensieri logici che normalmente mi impediscono, ci impediscono, di ascoltarci ed ascoltare. Siamo perennemente di corsa, se non praticamente almeno nella nostra testa. L’ho notato anche oggi, mentre pranzavo. Oggi qua piove, è davvero una giornatina di quelle da passarsi in casa con calma, con il massimo del relax. Poi ho notato che i soliti pensieri stavano già prendendo il sopravvento: “devo fare”, “vorrei”, “potrei”. L’inazione, quella mentale più di quella fisica, è qualcosa che molto raramente riesco a concedermi. Eppure solo così riusciamo davvero a vedere dentro e fuori di noi. A lasciarci andare.

In quel viaggio di ritorno, alla fine del “trip”, il pensiero, più per immagini che per parole, mi diceva che siamo figli dell’illuminismo, vediamo e vogliamo solo concretezza e prove, non c’è spazio per la magia, per il mistero. Abbiamo perso la magia della vita e nella vita. Può anche darsi che, “scientificamente parlando”, sia giusto così, eppure il nostro passaggio qua, sulla terra, è diventato molto più povero e triste. E pieno di paure. Vogliamo mettere con gli indiani d’america, per esempio, che vedevano ed ascoltavano il Grande Spirito nello stormire degli alberi, nei voli degli uccelli, nello scorrere dei ruscelli? Il loro presente era enormemente più ricco del nostro, la loro anima più felice, le loro paure più piccole. Non importa se avevano poco, materialmente parlando. Lo stesso potremmo dire di tante altre civiltà e popoli ormai quasi totalmente scomparsi.

Per questo oggi ogni cosa ci spaventa. L’ignoto, ciò che non conosciamo, lo ignoriamo e respingiamo come irreale. Perfino quello che sappiamo che evitabile non è, non per sempre. E quando i nodi arrivano al pettine, quando ci troviamo di fronte ad eventi che ci fanno capire quanto illusoria, inconsistente, impermanente, sia la nostra vita ordinaria che con tanto ardore difendiamo come a volerla preservare per sempre, cosa che sappiamo impossibile, ci troviamo ancora più persi e spiazzati di quanto dovremmo essere. Non siamo capaci di sopravvivere senza sentire il terreno sotto i piedi, senza l’illusoria e consolatoria presenza della quotidiana abitudinarietà.

Ricordo un libro che diceva che finché non riusciremo a rinunciare alla illusoria speranza di preservare per sempre il nostro mondo concreto, non riusciremo mai a liberarci della paura. Perché la paura e la speranza sono due facce della stessa medaglia. Paradossalmente, solo riconoscendo la fragilità di quanto abbiamo, possiamo goderne veramente, liberi dalla paura. Non importa quanto a lungo: sarà sempre più a lungo che non farlo.

 
Per chi non conosce l’Inglese, allego testo e traduzione (mia).

I feel you
Ti sento

I feel you
Ti sento

In every stone
In ogni pietra

In every leaf of every tree
In ciascuna foglia di ogni albero

That you ever might have grown
Che tu abbia mai potuto crescere

I feel you
Ti sento

In everything
In ogni cosa

In every river that might flow
In ogni fiume che possa scorrere

In every seed you might have sown
In ogni seme che tu possa aver seminato

I feel you x5
Ti sento (x5)

I feel you
Ti sento

In every vein
In ogni vena

In every beating of my heart
In ogni battito del mio cuore

Each breath i take.
Ogni respiro che faccio.

I feel you,
Ti sento,

Anyway,
In ogni modo,

In every tear that I might shed
In ogni lacrima che possa aver pianto

In every word i`ve never said
In ogni parola che possa aver mai detto

I feel you 5X
Ti sento (x5)

In every vein
In ogni vena

In every beating of my heart
In ogni battito del mio cuore

In every breath I ever take
In ogni respiro che abbia mai fatto

I feel you
Ti sento

Any way
In ogni modo

In ever tear that i might shed
In ogni lacrima che possa aver pianto

In every word i`ve never said
In ogni parola che abbia mai detto

I feel you x5
Ti sento (x5)

I feel you
Ti sento

sunset2

Eccolooooooooooooooo!

Aggiornamento: ed ecco il figliol prodigo ieri, attorno a mezzanotte! Si è accasciato nel bel mezzo del letto ed è sprofondato in un sonno profondo pieno di sogni… o incubi, chissà! Nel sonno si muoveva tutto: orecchie, palpebre, zampe… chissà cosa sognava. E vicino il fido Tom, che pare quasi vegliarlo preoccupato… Era stanchissimo anche lui, eh! Ci siamo fatti tutti e tre non so quanti chilometri anche sotto il sole rovente per trovare il disperato!

Eccoloooooooooooooo!!!!!! E’ stata durissima! Il ritrovamento è stato tutto merito di mia moglie che ha voluto fortemente guardare anche all’interno di una casa/cantiere – una casa in costruzione che però è ferma da molti mesi. Abbiamo iniziato a cercarlo con le torce e chiamarlo finché Lady Wolf ha sentito un miagolio, il suo inconfondibile; sono arrivato anche io dov’era e chiamandolo ha “risposto”. Era in un sottoscala di legno. Nonostante tutto è scappato e non riuscivamo di nuovo a trovarlo. Stavolta è servita la mia logica, sono tornato indietro ed ho ragionato: non poteva che essere in una intercapedine tra un muro e una lamiera, apparentemente troppo stretta (anche il foro nel muro) così che ad una prima occhiata l’avevamo scartata. Ci ho infilato la testa e… l’ho visto in fondo, schiacciato tra le pareti e il fondo! Abbiamo mandato via tutti, mi sono fatto portare anche l’umido e ho continuato a chiamarlo dolcemente. Mi ero attrezzato per passare lì la notte, se fosse stato necessario, facendo casomai a turni con Lady Wolf. Ma non è servito: dopo solo una mezz’oretta in totale ha iniziato a rinculare (non poteva girarsi) e quando è stato a tiro ed ho visto il primo segno di dubbio, l’ho afferrato e messo nel trasportino. Ed ora, eccolo qua! 😀
Domani Leroy Merlin per comprare reti e quanto serve per “murare” la nostra loggia e le finestre, pazienza se saranno 30 metri quadrati! 😉

Addio, piccolo Julius

Cari lettori, al momento sono molto stanco e il dolore per quanto successo, l’amarezza, il senso di colpa per cosa ho provocato con una mia scelta mi stanno divorando.

Ho deciso di sospendere il blog. Non so fino a quando, ma adesso aggiungerei solo dolore a dolore continuando a parlare ed a rispolverare ricordi che mi tormentano e fanno male. Ne ho già troppi di miei.

Ringrazio tutti per la comprensione. E se proprio volete dire una preghiera… ditela per Julius, affinché soffra il meno possibile. Nella mia testa gli ho già chiesto un milione di volte di perdonarmi, ma so che non serve: a Julius, se è ancora vivo, mancherò da morire; non c’è spazio negli animali per sentimenti come odio o risentimento, perciò non ha bisogno di perdornarmi. Anche se io vorrei che, piuttosto che ancora desiderare di ritrovarmi, adesso mi stesse odiando con tutto sé stesso.

Julius, mi dispiace, meritavi di meglio.

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Questo è l’annuncio che non avrei mai voluto mettere. Oggi è scomparso Julius, il gatto che ho preso quando aveva aveva appena pochi mesi, che è cresciuto con me, che ogni sera mi saltava sul letto, faceva il pane sul mio braccio e poi si addormentava al mio fianco. Veniva dal basso Piemonte, da Novi Ligure. La persona che me lo portò non conosceva Genova così me lo portò all’aeroporto, l’unico posto dove sapeva arrivare. Scherzando dicevo che ero andato a prenderlo all’aeroporto, come se arrivasse da lontano 🙂 Me lo ricordo ancora quando lo vidi in quella gabbietta: mi fissò e si mise a miagolare a tutta forza. Andammo dritti dritti dal veterinario che, siccome gli riscontrò febbre alta, mi suggerì di restituirlo al mittente, ma io rifiutai: sentivo fin da prima di vederlo che lui era il mio gatto.

Altre volte mi sono, ci siamo allontanati, ma stavolta abbiamo fatto uno “scambio di casa” con dei parenti di mia moglie con cagnolina appresso, per tre notti. Purtroppo, proprio stamattina, l’ultima, ci hanno telefonato dicendoci che non lo trovavano più. Siamo partiti e tornati il prima possibile, ma purtroppo solo per constatare che era sparito. Probabilmente è caduto o si è buttato dal balcone.

Non sarebbe mai successo se ci fossi stato io. Non sarebbe mai successo se semplicemente fossimo andati via senza fare “scambio casa”. Sapevo che era un rischio, come può reagire un gatto che non ha mai avuto altra gente per casa, per cinque anni? Eppure ho dato il “via”. L’unico che ha la responsabilità di quanto successo sono io, è perfino ovvio alla mia mente.

Ho tradito l’essere al quale, dopo mia moglie, tenevo di più al mondo. L’ho fatto sentire abbandonato. Ancora una volta (era già successo con Kit, il mio primo gatto, molti anni fa’: http://www.wolfghost.com/2008/07/24/un-po-di-wolf-kit-incontro-con-la-morte/).

Nonostante abbia tappezzato il paesino dove viviamo di appelli, al punto che immagino mi beccherò una multa, in cuor mio so che non lo rivedrò più. Non usciva mai di casa e nella zona ci sono molti cani, si sarà spaventato ed allontanato. Non sa come tornare, se non l’abbiamo trovato subito le speranze sono oggettivamente al lumicino.

Ieri notte, quando ancora non sapevo nulla, facendo yoga nella stanza dove dormivo (ero solo), ho sentito qualcosa accarezzarmi distintamente la gamba destra. Ho pensato fosse Tom, il cane, così mi sono voltato… ma la porta era chiusa, non poteva essere lui. Credo che Julius abbia voluto, nonostante tutto, darmi un ultimo saluto, farmi un’ultima carezza, a me che ero il suo – indegno – “papà”.

Non ci saranno più le sue richieste di crocchette. Non verrà più ad accogliermi al mio rientro dall’ufficio. Non ci sarà più il suo “pane” sul mio braccio, né la nanna coricato al mio fianco la notte. Non ci saranno nemmeno i terribili morsi d’affetto che mi rifilava al naso quando lo coccolavo.

Se non è già morto, morirà di fame e sete perché so che un gatto così, che ha sempre vissuto in casa, non può cavarsela.

L’immagine che vedete sotto l’avevo usata 5 anni fa, per aprire il blog Adotta un cucciolo. Quel blog, e forse anche questo, morirà con lui, per rispetto nei suoi confronti e perché… non potrei più vederlo.

Mi dispiace mio piccolo. Una sola notte in meno e saresti ancora qua, con noi. Avresti mangiato da poco la busta serale e saresti coricato sul tappetino della palestra, in attesa di raggiungerci sul letto.

Ti ho tradito per l’ultima volta, proprio te che hai sempre confidato in me. Sappi solo che assieme a te, se n’è andata anche una parte di me e che mai potrò perdonarmerlo.

Disquisizioni sulla sopravvivenza della coscienza dopo la morte

Ogni tanto ricevo e-mail o commenti da persone che non sono abituali lettori (o perlomeno commentatori) del mio blog e capita che, probabilmente proprio per questo, mi danno modo di fare il punto, il riassunto, su quanto scritto nel corso di post precedenti aventi il medesimo argomento o argomenti simili. E’ il caso di “TED BRAUN” (che ringrazio) che ha commentato il post dello scorso aprile “La sopravvivenza della coscienza di sé dopo la morte“. Segue il suo commento e la mia lunga risposta (leggetela quando andate a dormire, potrà servirvi da sonnifero :-D).

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TED BRAUN:

La coscienza è la consapevolezza di essere e di esistere. A questa consapevolezza si aggiungano la stratificazione delle esperienze vissute e i ricordi ad essa legati. Siamo, oltre che organismi viventi, un miscuglio di razionalità e istintività atavica, legata probabilmente a ciò che eravamo migliaia di anni fa, ovvero molto più simili agli animali: poca razionalità, molta istintività. Detto questo, cosa succede agli animali in generale dopo l’esistenza terrena? Continueranno ad essere ciò che erano in vita? Un gatto continuerà a giocare con il gomitolo o con il topo? Il cane continuerà a rincorrere una palla o un bastone per riportarlo al padrone morto prima di lui? Insomma qual è lo scopo della sopravvivenza della coscienza? Non potrebbe essere il nostro desiderio inconscio di perpetuare la memoria di noi stessi? Sappiamo di persone risvegliatesi da lunghissimi intervalli di coma. Non ricordavano nulla se non l’ultimo evento vissuto, ammesso che al risveglio non vi siano stati riscontrati danni cerebrali. Dove era la loro coscienza in quel momento durante i mesi o gli anni vissuti in coma? Perché non hanno ricordi? La coscienza può prendersi pause, andare in letargo? E per quanto riguarda le persone nate cerebrolese o con gravissime malformazioni che non consentono loro di rendersi conto del loro stato di esistenza? Mi domando che tipo di sopravvivenza avrebbe la loro coscienza post morte. Che tipo di esperienza si porterebbero attraverso il tunnel? Come molti sono attratto da questi quesiti, gli stessi che l’uomo, non appena ha preso coscienza della propria esistenza, ha attribuito la propria sopravvivenza post morte al sole, al fulmine, agli dei e infine a Dio. La vera domanda è: perché vogliamo disperatamente sopravvivere alla morte fisica?

 

wolfghost:

Buongiorno Ted, grazie per il tuo (ottimo) commento. In effetti le tue domande me le sono poste anche io in passato, credo che chiunque si sia seriamente interrogato su questo argomento se le sia poste. Pare che nel corso degli anni l’uomo identifichi tutto l’universo con il suo Io, così da rendergli incomprensibile, e terrifico, il fatto che un giorno… l’universo continuerà tranquillamente ad esistere anche senza di lui 🙂 Questo per rispondere alla tua ultima domanda. Riguardo alle altre, in millenni di disquisizioni e ricerche, sia esteriori che interiori, ovviamente si è già postulato ogni possibilità che potesse essere postulata. Ognuno ha espresso le sue convinzioni, e ognuno ha trovato il modo di annullare quelle degli altri.
Così, per venire alle tue parole, e guarda che rispondo così come dimostrazione di quanto scritto sopra, più che come personale credo, in molti – e tra loro anche ricercatori illustri, come Rupert Sheldrake – sostengono che il cervello in realtà non è la sede della coscienza ma piuttosto un recettore di essa, una specie di apparato radioricevente che permette la connessione tra materia e coscienza. Sarebbero addiritture state individuate le cellule che, nel cervello, avrebbero questa specifica funzione.
Questa ipotesi, se verificata, risponderebbe a tutte le tue domande e dubbi. Il cervello, essendo limitato, riuscirebbe a “trasdurre” solo una piccola quantità di informazione dalla coscienza e a memorizzarla. Il cervello di ognuno ha capacità diverse. Così un animale avrebbe meno capacità di “ricezione” di un essere umano. Lo stesso per le persone nate cerebrolese. Ciò non vuol dire che la coscienza per loro sia diversa o inferiore, ma solo che il loro cervello riesce ad “importarne” e memorizzarne meno. Quando un cane muore smette di essere un cane, così come quando un uomo muore smette di essere un uomo. Entrambi sono coscienza, così come in realtà erano già prima, solo che non ne avevano consapevolezza.
Il cervello delle persone in stato di coma, potrebbe non essere in grado di funzionare come organo recettore; per questo al risveglio non ci sono informazioni nuove. Il cervello di chi invece è “ripescato” in stato di premorte, è ancora vigile, anzi addirittura ultimamente pare che degli anestesisti americani abbiano dimostrato che il cervello ha un’attività cosciente ancora per almeno trenta secondi dopo che il cuore ha smesso di battere, questo per molti ha significato spiegare le “visioni di premorte”, in realtà non ha dimostrato un bel niente, così come gli esperimenti di Sam Parnia dell’articolo di questo post. Ecco perché le persone in stato di premorte potrebbero aver “visto” qualcosa che chi è in stato di coma non ha visto. Senza contare che c’è comunque una separazione tra ciò che il nostro subconscio vede e ciò che viene riportato dalla mente cosciente. Pensa al semplice stato di sogno. Non è forse vero che solitamente ricordiamo pochissimi sogni o addirittura nessuno? Eppure sappiamo che sognamo in continuazione durante il sonno, ce lo dicono gli esperti.
Persino nelle religioni più antiche non pare non esserci uniformità di interpretazione. Per l’induismo Vedanta infatti, una coscienza individuale non esiste, esiste solo una unica Coscienza di cui tutto è fatto, anche la materia. L’errore è identificarci con la coscienza individuale (il nostro Io) che però è illusoria, una accozzaglia di ricordi che cerchiamo di mettere in linea per definire un Io. Per loro perciò chiedersi se sopravvive l’Io, la coscienza individuale, alla morte, è inutile: se l’Io non esiste, cos’è che dovrebbe sopravvivere? 😉
Il buddhismo tibetano invece perla chiaramente di sopravvivenza di una coscienza individuale, così tanto da aver scritto addirittura dei trattati, come il libro tibetano dei morti, con le indicazioni su come affrontare il “passaggio” nel migliore dei modi.
Entrambe comunque sembrano più vicine alle scoperte della scienza moderna (l’energia forma tutto, materia inclusa, ed è una sola anche se si “condensa” in manifestazioni individualizzate – cioé corpi e oggetti) di quanto lo sia il nostro Cristianesimo. Almeno quello odierno, presumibilmente molto diverso da quello di duemila anni fa.
Allo stesso modo, ti garantisco, anche ognuna delle ipotesi pro-esistenza dopo la morte, viene smontata dagli “illuministi” con spiegazioni scientifiche o pseudo-scientifiche (a volte più improbabili delle ipotesi metafisiche, a dire il vero).
Insomma, l’idea di cercare qualcosa che ci convinca che non tutta finisce con la morte, per paura di scomparire nel nulla, così da far nascere correnti spirituali e religioni, è la prima che ovviamente viene in mente attraverso la logica. Ma non sempre la prima spiegazione logica è anche quella giusta. La storia lo ha insegnato tante volte.
In conclusione, non ho la risposta.
Ti lascio con un aneddoto. Una volta andai nel centro di buddhismo tibetano più grande d’Italia e uno dei più grandi in Europa, a Pomaia, provincia di Pisa. Sperando di avere una risposta definitiva, chiesi ad uno dei lama residenti di… darmi una prova dell’esistenza della sopravvivenza della coscienza dopo la morte. La sua risposta allora non mi convinse, anzi mi deluse, e credo non potesse essere altrimenti, in quegli anni ero il classico esempio di “illuminista occidentale” pure io. Dopo molti anni però capì che era l’unica risposta sensata che egli potesse darmi. Quella risposta fu “medita, sentirai, saprai, che è così”.
Al momento nessuno può dirci se c’è davvero qualcosa che comprenda la sopravvivenza della nostra coscienza “dopo” o se tutto per noi finirà, possiamo solo seguire le parole del lama e… percepire qual è la verità, qualunque essa sia, senza aver paura del responso. Qualunque essa sia. Troveremo così la nostra verità, una verità che non potrà essere scalfita da parole esterne.