La mia vita, come quella della maggior parte di noi, ha avuto alti e bassi. Anzi in questi ultimi anni non posso lamentarmi, grazie in particolare ad una importante decisione che ebbi il coraggio di prendere ed all’incontro con quella che oggi e’ la mia amatissima moglie 🙂 Tuttavia la percezione della caducita’ della vita, di noi tutti, di ogni cosa che c’e’ al mondo, e’ sempre piu’ presente in me.
Impermanenza la chiamano i buddisti.
E’ una percezione che piu’ o meno ho avuto da sempre, fin da bambino, ma certo quando fai un po’ di strada e inizi a imbatterti nei tuoi lutti – alcuni forse inaspettati e imprevedibili, e per questo ancora piu’ dolorosi – o quando fai caso a quante persone sono cadute e stanno cadendo attorno a te anche in eta’ nelle quali si dovrebbe solo essere spensierati… diventa piu’ difficile eludere.
C’e’ chi riesce – almeno apparentemente – a non pensarci, rifuggendo da ogni discorso sull’argomento, arroccandosi nella propria torre fatta di voluta inconsapevolezza… E se funziona, be’… ben venga per loro, e non lo dico con ironia. Personalmente pero’ e’ una strada che non riesco piu’ a seguire, sempre che l’abbia mai fatto. Al massimo riesco ad avere brevi periodi di “ingenuo ottimismo”, dove mi capita di pensare ad una lunga e serena vita per me, i miei cari, i miei animalotti tutti; poi basta una nuova notizia (e come sfuggire alle notizie nell’era della comunicazione?), un nuovo malanno proprio o altrui, perche’ spettri fin troppo reali tornino a manifestarsi in tutta la loro concretezza.
Non siamo indistruttibili, non esiste cosa o persona al mondo che non ce lo ricordi. Ed allora l’unica strada appare quella di una accettazione il piu’ serena possibile. Non una accettazione di facciata, ma reale, fatta di sana consapevolezza del proprio ineluttabile destino. Per questo, in particolare in questi ultimi anni, come ben sapete voi (ormai pochi :-P) lettori del mio blog, mi sono avvicinato al buddhismo tibetano: per trovare in esso conforto ma, soprattutto, la forza per operare il miracolo (perche’ lo e’ di fatto) della serena accettazione.
A dirla tutta, non sono affatto convinto della storia della reincarnazione, del Nirvana e cosi’ via, anche se forse sono un poco piu’ possibilista, ma ho una piccola apertura, una sensazione, che per arrivare alla serena accettazione la credenza in esse non sia indispensabile. Lo stesso Dalai Lama una volta disse, a proposito della necessita’ di non fuggire dalla realta’, che se un domani la scienza dimostrasse scientificamente che la reincarnazione non esiste, non avrebbe senso rimanere arroccati su posizioni che sarebbero a quel punto anacronistiche, eppure cio’ non decreterebbe la fine del Buddhismo, essendo il suo fine la liberazione dalla sofferenza, piu’ che la rinascita in un supposto eden.
Al momento una cosa mi pare ragionevolmente verosimile: ogni dolore, ogni sofferenza, e’ enormemente acuita dalla sua componente psichica. Mentre per i dolori fisici la scienza ha fatto grandi progressi, per preoccupazione, paura e angoscia, poco ha potuto e puo’ fare. Per molte persone sapere di dover morire significa morire due volte. Tuttavia, a chi ha avuto modo di sondare i propri stati d’animo osservandoli attentamente, appare indubbio che essi siano di natura esclusivamente mentale e, dunque, potenzialmente controllabili.
Dopo aver avuto un approccio – ancora troppo superficiale, sia chiaro – con il buddhismo e le tecniche di meditazione, e’ mia sensazione che tutti questi disagi psichici possano essere eliminati. Anzi piu’ che una sensazione la mia e’ una convinzione. Certamente non e’ affatto facile. Certamente non e’ una cosa che si possa inventare sul momento, anche se la reazione a eventi inaspettati e devastanti e’ sempre individuale e a volte sorprendente, permettendo di trovare una forza e una tranquillita’ che non si immaginava di possedere. Per questo i buddhisti dicono che bene sarebbe prendere confidenza per tempo con i metodi di controllo della propria mente, metodi che passano con la presa di coscienza di come essa funziona. Perche’ altrimenti certi passaggi potranno difficilmente essere tenuti sotto controllo. E se morire si deve tutti, morire due volte sarebbe un peccato.
Come chiusura del post ho scelto una vecchia canzone di tal Robert Tepper, “No easy way out” (non e’ facile uscirne fuori), che in uno dei film della saga di “Rocky” cantava appunto “Non siamo indistruttibili, e’ bene che lo capisci bene; penso sia incredibile come si lasci tutto nelle mani del caso”. Incidentalmente, le immagini sono una dedica a Sylvester Stallone, mito degli anni ’80, ma anche quelle in fondo servono perche’ segno del tempo e della condizione umana che inesorabilmente passa: oggi anche uno che, a chi e’ cresciuto con i suoi film, sembrava allora intramontabile, fa un po’ di tenerezza…
Un altro monito in fondo della caducita’ della vita e di ogni cosa.













Potremmo scrivere mesi sull’argomento “dio”, anni anzi. D’altronde lo fanno da millenni senza arrivare ad una conclusione univoca, perche’ dovremmo arrivarci noi?
Dio oggi per me e’ l’Universo, la Natura, l’Energia che tutto pervade e tutto forma. Da li’ veniamo, di essa siamo costituiti, ad essa torneremo. In fondo non vedo una grossa spaccatura con le varie antiche scritture sparse in ogni parte del mondo, ne’ con l’idea alla quale la scienza, a poco a poco, si sta avvicinando.
Qual e’ allora l’errore dell’uomo, un errore che si perpetua da migliaia di anni? Semplice: credere di essere la creatura per cui l’universo tutto e’ stato creato. Una visione spropositatamente egocentrica, di una ingenuita’ che definire infantile dovrebbe far sorridere di tenerezza 🙂
Gli Antichi, di qualunque parte del mondo fossero, non facevano l’errore dell’uomo “moderno”: essi temevano la Natura, essi non pensavano di essere superiori alle altre creature, ma di essere semplicemente parte di loro.
George Ivanovich Gurdjieff nacque nel 1869 ad Alexandropol (Armenia russa) ed è uno dei pochi riconosciuti grandi maestri occidentali vissuti nel secolo scorso.