Questa che vado a pubblicare è una storia che mi giunse ormai diversi anni fa via posta elettronica. Non ho mai saputo chi fosse l’autore, ho anche provato a risalire a lui, ma senza successo.
Il – brevissimo – commento, a dopo…
C’era una volta un delfino di nome Ninin.
Amava vivere nel branco, farsi strada fra le code dei suoi amici e giocherellare con l’acqua, con repentini ed improvvisi scatti per dimostrare tutta la sua felicità nel vivere l’immensità dell’oceano, lanciandosi in sorprendenti tuffi e piroette nell’azzurro del cielo che si bagnava dentro all’immenso celeste del mare.
Quei suoi modi tanto giovali e gioiosi erano dettati dal suo cuore per provare ad innamorare Deda, una delfina che amava perdutamente, ma alla quale non era mia riuscito a dichiarare la sua passione, perché troppo timido e timoroso che a guardarla fissa negli occhi, non sarebbe riuscito più a parlare.
Continuò il suo corteggiamento silenzioso per anni, immaginandosi che Deda fosse sempre più attratta dal suo festoso modo di dimostrarsi, e che prima o poi sarebbe stata lei stessa ad avvicinarlo per chiedergli di amarla per tutta la vita, fin quando una notte non si accorse che la sua amata silenziosa era diventata la compagna di giochi un altro delfino.
La sua delusione fu così forte che, senza parlarne con nessuno, decise di lasciare il branco ed andare a morire da solo in riva alla spiaggia.
La solitudine, dentro alla quale si stava consumando, iniziò a fargli perdere le forze, fin quando un giorno, allo stremo dei suoi stenti, stava per arrendersi al movimento del mare e finire quella desolata vita sulla riva asciutta della spiaggia esanime.
Senti da lontano il richiamo di un delfino e voltandosi si accorse che era Deda. Lei si avvicinò, chiedendogli perché fosse andato via dal branco e lui, con una voce fioca e appesantita dalla stanchezza, confessò il motivo, riuscendo a dichiarargli anche l’amore che aveva sempre nutrito per lei.
Deda rimase per lungo tempo in silenzio, perché non riusciva a spiegarsi il motivo di quella sua paura, per poi avvicinarsi alla sua bocca e chiedergli il motivo di tanto silenzio.
“per paura che non mi avessi accettato. L’idea di non essere amato da te mi avrebbe fatto morire ed ho preferito farlo lo stesso, ma col dubbio che forse tu mi avresti amato se fossi stato più audace” Deda gli si avvicinò col corpo per provare ad aiutarlo a ritornare in alto mare, ma Ninin non aveva più forze e sentiva in se solo la voglia di abbandonarsi e morire.
“lasciami stare. Torna nel branco, non voglio che muori con me. La mia scelta non deve essere una punizione per te. Io voglio che continui a vivere. Portami nel tuo cuore un po’ del mio amore per te” disse Ninin, provando ad allontanarla.
“io non posso lasciarti da solo, non è giusto” rispose Deda
“non è giusto? La colpa è mia che non ti ho saputo amare in vita. Se mi ami ti prego di andare via da me e comprendere il mio gesto. Se mi ami rispettami e torna nel branco. Vai via da me” gli urlò contro, spingendola con forza lontano da lui.
Deda, sentendosi rifiutata si voltò senza aggiungere altro ed andò via, lasciandolo solo a combattere con la forza delle onde che lo spingevano sempre più verso la sabbia.
Ninin, con il cuore fermo dal dolore atroce per averla scacciata via da se in modo cosi cattivo, pianse disperatamente, pregando Dio che lo facesse morire presto.
Passò ancora tutta la notte da solo, con gli occhi che non riuscivano più ad aprirsi dal pianto e la stanchezza. Alla mattina successiva sentì avvicinarsi qualcuno. Si voltò e vide in lontananza Deda.
“perché sei tornata?” gli urlò contro.
Lei, senza rispondere, si fermò a poca distanza da lui, si girò per l’ultima volta in direzione dell’alto mare, dove c’erano i suoi compagni, e si sdraiò accanto a lui e gli disse: “non hai avuto il coraggio di amarmi in vita ma adesso lo faremo insieme e per sempre!” e chiusero gli occhi entrambi, fino a quando il buio perenne non calò la tela sui loro occhi e sulle loro bocche socchiuse, su cui era disegnato un ampio sorriso di felicità.”
La storia è triste, non si riesce a credere a quel “sorriso di felicità”… non è vero? Ma colpisce, proprio per quell’assurdo, estremo dramma, che poteva – e doveva – essere evitato.
Non sempre scopriamo a posteriori che “se solo avessimo osato…”, il più delle volte ci voltiamo, e la risposta che avremmo ottenuto viene sepolta per sempre in un passato che non abbiamo voluto scoprire.
Non sempre, quando tentiamo, otteniamo ciò che desideriamo. Spesso anzi prendiamo pali e testate. Ma almeno non avremo il rimpianto di non aver tentato, non dovremo vivere con quel “Se solo avessi…”.
Perché, come uno dei miei motti preferiti recita, “chi non tenta, ha già perso”.
Osare e sempre osare per non avere rimpianti
Chi non osa non può, poi, neppure lamentarsi di non avere avuto occasioni (cfr il tuo post precedente)
Buonanotte**
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Ciò che mi ha attirata e condotta fino al tuo blog è stato proprio il titolo… “Alla ricerca dell’anima”.
Davvero affascinante il tuo pensiero, i miei più sinceri complimenti.
Passa da me se ti và, ciao ^^
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103???
Leggo bene?
Non aggiungo altro!
(Molto velata come richiesta vero? Beh, io ci provo… così poi non ho rimpianti)
Bacioni.
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x Dora-Ilavi: eh già! Quante volte l’hai già scritto nel mio blog, in un post o nell’altro, vero? 🙂 Come avrai capito è un tema a me caro, o – se preferisci – un mio cavallo di battaglia 🙂
x DivaSinger: grazie, Diva 🙂 E benvenuta! 😉
x Sofia: ahahah ne ho… 4 in coda! ahahah non ce la faro’ mai! 😀
Bacioni… anche dal tuo piccolo preferito 😉
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Ma guardalo come se la dorme beato lui… e certo che è il mio preferito!!!
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Veramente è una foto d’archivio ahahah 😀 Stasera è scatenato: corre ininterrottamente da ore, dietro a palline, topini, ogni cosa. Da solo perfino. Ha addirittura assalito la povera Sissi tre volte! :)))))))
Ci credo che poi si schianta come nella foto! ;D
Però un segno ce l’ha: un graffio sul nasino… Sissi evidentemente qualche zampata la mette a segno! %-)
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Io immagino lui che si scatena attorno a lei, che fa il pazzo, salta corre… insomma tanto movimento a vuoto attorno a lei che resta immobile come una sfinge finchè… zac! un solo movimento, una sola zampata a buon fine!
Che buffi!
Vorrei davvero vederli.
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No… non è esattamente così! 😀 A volte è Sissi che “parte” di sua iniziativa 🙂 Davvero, mi è difficile capire se Julius ha iniziato ad attaccarla perché si è stufato della avversione nei suoi confronti, o se è piuttosto il contrario, se è lei ad essere così perché infastidita da quel terremoto… 🙂
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@Wolf:
gli aspetti che potremmo migliorare di noi stessi sono in relazione al disagio e alla sofferenza patiti … perchè se ci si sta bene nella nostra condizione, non ci sono motivi per migliorarla…anche se gli altri, la società, il mondo, la mamma, il prete, il professore, il guru ti dicono di cambiarla “per il tuo bene”…
Il proprio bene è una cosa di estrema soggettività… ed è per questo che l’ascolto di sè stessi è fondamentale…
E’ solo il disagio, appunto…quella sottile inadeguatezza al vivere, quella insoddisfazione o se vuoi, quella imperiosa e mal celata inquietudine che ti spinge a cercare se per te ci sia qualcosa di meglio, qualcosa che ponga fine al tuo errare, alla tua sete… ecco, è questo che ti dà il motivo e la spinta al cambiamento…
Gli occhi esterni su una qualsiasi situazione di vita, anche a a fin di bene, giudicano.
Ma giudicano con un filtro mentale che è del tutto personale, confondendo il sentimento di empatia e violando il diritto al libero arbitrio… Quante volte mi è successo di giudicare il dolore di mia madre e di spronarla al cambiamento! Ma le cose non stanno mai come pensiamo, proprio perchè le pensiamo noi e in linea di massima sono per noi soli… Donna di grande intelligenza, testarda, molto… forse troppo umana, sincera ed onesta, al limite del masochismo. Molti anni sono passati e delle sue grandi sofferenze ho capito una cosa: che erano per lei, per lei sola. Solo ed unicamente quel percorso fatto di rinunce, di dolori, di attese, si è rivelato in grado di incrinare la granitica corazza delle convinzioni, del carattere, della personalità… Solo quel percorso ha scavato un solco dai margini equilibrati, senza falle o sgretolamenti, che le ha permesso di arrivare oggi, costretta in una sedia a rotelle, ad esaminare sotto ogni aspetto la vita che ha fatto ed accettato. E ancora ti dico che non è finita, molti suoi vuoti cercano ancora risposte…
La sua esperienza ha inevitabilmente influenzato la mia visione della perfezione, ossia, di come dovrebbero andare le cose…
Le cose vanno come devono,per ognuno di noi, e cesellano in moto lento e perpetuo l’anima… Gutta cavat lapidem…
L’unico vero lavoro che possiamo fare è su noi stessi. Gli altri possono seguire, se lo desiderano, se lo vogliono, e ancora non è detto che la nostra strada vada bene, non c’è una strada perfetta …
La scommessa sta nel bilanciare tutti i fattori della nostra vita…ed è solo questo che dà un pò di ristoro…
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Appunto, e’ piu’ o meno quello che ho scritto, seppure con parole diverse (“Qual è la sua vera natura? Noi non possiamo saperlo. Ma… può saperlo la persona, ascoltando la sua sofferenza. Perché se, come il delfino, soffriamo perché “non andiamo”… allora dobbiamo andare. Quell’anelito, quella aspirazione, sono la ribellione del nostro cuore che vuole che lasciamo il nostro territorio sicuro ma angusto, per solcare gli oceani dell’avventura. Qualunque ne sia il risultato.
Se davvero una persona sta bene nelle sue acque stagnanti… non ne soffre come Ninin. E’ davvero contento di essere così.”)
Tuttavia, se e’ vero che solo la persona puo’ davvero decidere di se’ stessa, e’ anche vero – e l’avrai certamente notato innumerevoli volte – che spesso la nostra visione e’ limitata dalla nostra esperienza, dal nostro passato, dalle nostre paure. Spesso, presi come siamo dalle nostre angosce, non siamo letteralmente capaci di scorgere strade diverse da quella che stiamo percorrendo, nemmeno se con evidenza fossero molto migliori. A questo servono la condivisione e i consigli, essi non devono essere seguiti pedissequamente, la responsabilita’ ultima deve sempre essere solo nostra, ma rifiutare il confronto a priori, non consigliare a priori nemmeno quando ci sembra evidente che l’altro sta andando verso il baratro, vuol dire perdere una possibile uscita di sicurezza che potrebbe salvarlo.
Tu racconti di tua madre, anche io ho parlato della mia (Un po’ di Wolf… 2006: mia madre), anche io ho rispettato le sue scelte, il suo coraggio e determinazione. Ma… continuo a pensare che il suo sacrificio non solo non fosse necessario, ma sia stato addirittura controproducente.
Poi… col senno del poi troviamo del buono e del giusto in tutte le vite, ci mancherebbe, ogni vita e’ comunque affascinante e unica, ma questo non vuol dire che non avremmo potuto viverla meglio. O almeno tentare di farlo qualora ne avessimo avuto la possibilita’.
Non sono fatalista, anzi il fatalismo e’ una cosa che odio visceralmente. Troppe volte ho visto persone, che avrebbero potuto trarsi di impaccio, usarlo come scusa per rimanere nelle proprie acque stagnanti. “Le cose stanno cosi'”, “Cosi’ e’ la vita, che ci vuoi fare?”, “Evidentemente e’ cosi’ che deve andare”, “Ma io sono cosi’, lo sai!”… valanghe e valanghe di scuse per giustificare la propria inerzia, la propria mancanza di coraggio nel non affrontare le situazioni e le difficolta’.
Ci sono tempeste nelle quali davvero non possiamo fare nulla e non ci resta che sederci ed aspettare che passino; ma la maggioranza delle volte cosa facciamo o come reagiamo, e’ nostra precisa responsabilita’.
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Julius è un cucciolo e credo che il suo “attaccare” in fondo sia solo un gioco. Sissi abituata alla vostra calma sarà un po’ frastornata e infastidita, ma tutto sommato reagisce bene… dai, dai… sono sicura che li vedrai dormire insieme. Non perdiamo la speranza in quest’amicizia!!!
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Triste, queste sono storie che mi commuovono molto, anche se sono solo storie!
Tu hai ragione, sono d’accordo con te, chi non tenta ha già perso! Quante volte nella mia vita mi sono detta quel “se solo avessi …” e conoscendomi quante volte lo dirò ancora!!
Ciao, un bacio 🙂
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@Wolf:
La discussione avanza su due binari…ti riporto anch’io quello che ti ho risposto di là :))))
Tu dici:
Troppe volte ho visto persone, che avrebbero potuto trarsi di impaccio, usarlo come scusa per rimanere nelle proprie acque stagnanti. “Le cose stanno cosi'”, “Cosi’ e’ la vita, che ci vuoi fare?”, “Evidentemente e’ cosi’ che deve andare”, “Ma io sono cosi’, lo sai!”… valanghe e valanghe di scuse per giustificare la propria inerzia, la propria mancanza di coraggio nel non affrontare le situazioni e le difficolta’.
Ma certo, concordo con te :))) Il lassismo, il fatalismo altro non fanno che rimestare le acque di uno stesso acquitrinoso stagno, senza mai vederne il fondo… Nella mia vita mi sono sempre mossa, ho preso decisioni, ho tentato il tutto per tutto ribaltando schemi e convinzioni, ho rischiato sia nel lavoro che nella vita sentimentale, c’è una sorta di meccanismo di sopravvivenza che ad un certo punto mi dice: Alt…devi vivere. E così sostenuta da un sano istinto di ribellione metto in atto quel che posso, per stare meglio. Ma… c’è un ma. A volte diventa un vizio, una fuga, una incapacità di pazientare, di osservare, di rispettare i giusti tempi. Comunque è sempre meglio provare, osare che starsene lì ad aspettare che le cose cambino. Per capire quando muoversi e quando starsene fermi qualcuno dovrebbe fare un corso d’addestramento, mica è tanto facile 😉
Dico solo che il lavoro, se ce n’è da fare, posso unicamente farlo su di me, seguendo le mie sensazioni, le mie necessità e con gli strumenti che cammin facendo mi ritrovo nella bisaccia…
Convincere qualcun altro a fare, a reagire in una qualsiasi direzione che non sia la sua, lo trovo controproducente. Posso casomai stimolarne la curiosità, accompagnarlo nella maturazione di una decisione, ma resto per la piena libertà di scelta. Ripeto, se ho un lavoro da fare, è su di me. Forse perchè sono ben consapevole che attuando questo, mi restano ben poche energie per tentare di convincere altri. Ma comunque ho visto che chi mi sta intorno, quando inizio a darmi attenzione in questo senso, mi osserva , mi aiuta e mi segue oppure non mi intralcia. Ed è già una buona cosa 🙂
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x Sofia: ahahah sei decisamente più ottimista di me… Ma guarda, anche se semplicemente si sopportano… sono deliziosi lo stesso 😉 Sono proprio contento di averli 🙂 Anche se… in Svezia mi mancheranno!! :(((
🙂 Un abbraccione…
x Dupont: non è vero! 🙂 Non partire con “e conoscendomi quante volte lo dirò ancora!”, non è “scritto” che debba essere così! 🙂 Fai in modo che non succeda 😉
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x Cristina: chissà perché, ero sicuro che ci sarebbe stato un “ma” 😀
Tu usi una parola che io non uso: “convincere”. Io non convinco mai nessuno. Io espongo la mia opinione. Sono però assolutamente pronto ad accettare la decisione altrui, proprio perché mi rendo conto che non solo è solo ciascuno di noi a poter davvero decidere di sé stesso, ma è un dovere che sia lui a farlo, perché la responsabilità della propria vita non può e non deve essere lasciata ad altri. Nessuno deve e può essere delegato a decidere in vece nostra.
A meno che, certo, non si parli di persone con problemi di salute psichica, va da se.
Alla fine… mi pare che siamo arrivati ad un accordo, anzi… abbiamo scoperto che più o meno volevamo dire la medesima cosa, seppure con parole diverse. Probabilmente… si parte sempre un po’ estremizzando la propria posizione al fine di renderla evidente. Ma poi, approfondendo e parlando, condividendo, si scopre spesso che le posizioni non sono poi così distanti.
Certo… chi si arrocca nelle sue posizioni mai ascoltando davvero gli altri… perde questa grande possibilità che è, appunto, la condivisione 🙂
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