La quotidianità ci porta solitamente a pensare alla nostra vita come a qualcosa di consolidato, di normale, perfino di scontato a volte. Eppure, ripensando al passato, ad ogni singola decisione che abbiamo preso, è facile rendersi conto di come ogni cosa potrebbe essere diversa.
Pensiamo alle coppie che si sono incontrate casualmente in un luogo di villeggiatura, ad esempio. Sarebbe bastata la decisione di andare altrove, o perfino di trascorrere quella determinata giornata in modo diverso, per cambiare tutto.
Ma non sono solo i fatti contingenti a determinare le nostre vite, sono anche le più piccole decisioni di un passato lontano. Un bambino che perde il pullmino della scuola, non lo sa, ma sta determinando l’intera sua vita successiva. Così come lo sta facendo una persona che al supermercato decide di comprare un prodotto invece di un altro. Una e-mail inviata o meno, Una parola detta o non detta. Tutto è stato determinante per essere qua, in questo momento, a fare ciò che stiamo facendo, ad essere lì dove siamo.
La nostra storia è un interminabile intreccio di cause ed effetto, di “sliding doors”, per citare un famoso film, delle quali, per la stragrande maggioranza, non siamo nemmeno consapevoli.
Cambiamo una sola virgola del nostro passato e cambierà tutto il nostro presente, in maniera impredicibile.
Domani si rinizia. Domattina suonerà la sveglia. Mi alzerò, penserò ai gatti e a Tom, preparerò la colazione per me e Lady Wolf (leggi: scalderò le solite brioche e verserò due succhi di frutta in altrettanti bicchieri, nulla di impagnativo :-)), dopodiché inizierò a prepararmi per uscire e andare al lavoro. Rinizierà la corsa con il tempo dei giorni feriali, così pieni e ripetitivi da diventare abitudine e non farci nemmeno più caso. Sarà un altro anno impegnativo, dovrò anche decidermi a fare certi esami che continuo, colpevolmente, a rinviare.
Tornando da Merano, la scorsa settimana, ed ascoltando in auto la canzone che trovate sotto (l’avevo già pubblicata, ormai cinque anni fa’), assieme ad altre, ho avuto quello che chiamo scherzosamente un “trip”, ovvero una specie di viaggio in me stesso, mettendo il silenziatore a tutti i pensieri logici che normalmente mi impediscono, ci impediscono, di ascoltarci ed ascoltare. Siamo perennemente di corsa, se non praticamente almeno nella nostra testa. L’ho notato anche oggi, mentre pranzavo. Oggi qua piove, è davvero una giornatina di quelle da passarsi in casa con calma, con il massimo del relax. Poi ho notato che i soliti pensieri stavano già prendendo il sopravvento: “devo fare”, “vorrei”, “potrei”. L’inazione, quella mentale più di quella fisica, è qualcosa che molto raramente riesco a concedermi. Eppure solo così riusciamo davvero a vedere dentro e fuori di noi. A lasciarci andare.
In quel viaggio di ritorno, alla fine del “trip”, il pensiero, più per immagini che per parole, mi diceva che siamo figli dell’illuminismo, vediamo e vogliamo solo concretezza e prove, non c’è spazio per la magia, per il mistero. Abbiamo perso la magia della vita e nella vita. Può anche darsi che, “scientificamente parlando”, sia giusto così, eppure il nostro passaggio qua, sulla terra, è diventato molto più povero e triste. E pieno di paure. Vogliamo mettere con gli indiani d’america, per esempio, che vedevano ed ascoltavano il Grande Spirito nello stormire degli alberi, nei voli degli uccelli, nello scorrere dei ruscelli? Il loro presente era enormemente più ricco del nostro, la loro anima più felice, le loro paure più piccole. Non importa se avevano poco, materialmente parlando. Lo stesso potremmo dire di tante altre civiltà e popoli ormai quasi totalmente scomparsi.
Per questo oggi ogni cosa ci spaventa. L’ignoto, ciò che non conosciamo, lo ignoriamo e respingiamo come irreale. Perfino quello che sappiamo che evitabile non è, non per sempre. E quando i nodi arrivano al pettine, quando ci troviamo di fronte ad eventi che ci fanno capire quanto illusoria, inconsistente, impermanente, sia la nostra vita ordinaria che con tanto ardore difendiamo come a volerla preservare per sempre, cosa che sappiamo impossibile, ci troviamo ancora più persi e spiazzati di quanto dovremmo essere. Non siamo capaci di sopravvivere senza sentire il terreno sotto i piedi, senza l’illusoria e consolatoria presenza della quotidiana abitudinarietà.
Ricordo un libro che diceva che finché non riusciremo a rinunciare alla illusoria speranza di preservare per sempre il nostro mondo concreto, non riusciremo mai a liberarci della paura. Perché la paura e la speranza sono due facce della stessa medaglia. Paradossalmente, solo riconoscendo la fragilità di quanto abbiamo, possiamo goderne veramente, liberi dalla paura. Non importa quanto a lungo: sarà sempre più a lungo che non farlo.
Per chi non conosce l’Inglese, allego testo e traduzione (mia).
I feel you Ti sento
I feel you Ti sento
In every stone In ogni pietra
In every leaf of every tree In ciascuna foglia di ogni albero
That you ever might have grown Che tu abbia mai potuto crescere
I feel you Ti sento
In everything In ogni cosa
In every river that might flow In ogni fiume che possa scorrere
In every seed you might have sown In ogni seme che tu possa aver seminato
I feel you x5 Ti sento (x5)
I feel you Ti sento
In every vein In ogni vena
In every beating of my heart In ogni battito del mio cuore
Each breath i take. Ogni respiro che faccio.
I feel you, Ti sento,
Anyway, In ogni modo,
In every tear that I might shed In ogni lacrima che possa aver pianto
In every word i`ve never said In ogni parola che possa aver mai detto
I feel you 5X Ti sento (x5)
In every vein In ogni vena
In every beating of my heart In ogni battito del mio cuore
In every breath I ever take In ogni respiro che abbia mai fatto
I feel you Ti sento
Any way In ogni modo
In ever tear that i might shed In ogni lacrima che possa aver pianto
In every word i`ve never said In ogni parola che abbia mai detto
Il rabbino Elimelekh aveva compiuto una bella predicazione, e ora stava per fare ritorno nella sua terra natale. Per rendergli omaggio e dimostrargli la gratitudine, i fedeli decisero di seguire la carrozza di Elimelekh fino all’uscita dalla città.
A un certo momento, il rabbino fermò la carrozza, chiese al cocchiere di proseguire senza di lui e si affiancò al popolo.
“Un bell’esempio di umiltà”, disse uno degli uomini accanto a lui.
“Non c’è nessuna umiltà nel mio gesto, ma un po’ di intelligenza – rispose Elimelekh -. Voi, qua fuori, state facendo esercizio, cantando, bevendo vino, fraternizzando gli uni con gli altri, incontrando nuovi amici, e tutto a causa di un vecchio rabbino che è venuto a parlarvi dell’arte di vivere. Lasciamo, allora, che le teorie proseguano su quella carrozza, perché io voglio partecipare all’azione”.
Commento di Wolfghost: intorno ai 18 anni iniziai un percorso psico-spirituale, chiamiamolo così, fatto principalmente di libri e teorie. Fu in quel periodo che scoprì e praticai lo yoga e la meditazione e diventai vegetariano, ma soprattutto divoravo una grande quantità di libri che andavano dalla psicologia ai testi esoterici, passando per l’allora neonata New Age.
Certo, riguardando oggi la mia libreria mi accorgo che alcuni di quei testi rimangono preziose perle, mentre altri – soprattutto quelli New Age – mi appaiono adesso banali e scontati… ma ogni cosa ha il suo tempo, perfino i libri che si leggono: è l’accoppiata “livello del lettore – libro” ad essere importante, e non il libro in sé.
In ogni caso, diversi anni più avanti iniziai a percepire nuovamente il profondo senso di insoddisfazione che mi aveva da principio spinto verso quella ricerca.
Dopo lunghe – e piuttosto travagliate 😀 – riflessioni, mi accorsi che, preso dalla teoria, mi ero letteralmente dimenticato di vivere 😛
Buttai allora momentaneamente a mare (in senso metaforico naturalmente) libri & C. e mi immersi nella vita. Al di là che certe lezioni si possono apprendere solo attraverso la pratica, è solo vivendo nella quotidianità che si ha davvero modo di mettere in pratica ciò che si è appreso dai libri e dalla ricerca interiore, sebbene a volte possiamo non essere coscienti di stare utilizzando qualcosa che avevamo imparato in precedenza.
Ci si accorge insomma che la non-applicazione dello studio, attraverso la sua utilizzazione nella vita reale, rende lo studio stesso inutile. Anche se la conoscenza ha, va da sé, anche un proprio valore e piacere intrinseco.
“Una grande intensità: evocazione di qualcosa proveniente dal nulla. È vero che gli strumenti sono quelli, la tecnica, le abitudini, ma un’incognita permane: gli anni di pratica non vi possono proteggere, non vi devono proteggere. Bisogna gettarsi in uno spazio vuoto, uscire dalla memoria. Tutti vi stanno guardando; in questo momento della vostra vita, smettete con i luoghi comuni e inventate.” Tim Hodgkinson – compositore autodidatta inglese
Questo aforisma mi fu donato anni fa da un amico che ha un profilo e un blog anche su Splinder (rabesto) anche se purtroppo lo ha chiuso proprio recentemente. Chissà se se ne ricorda 🙂
Allora non mi colpì particolarmente, lasciandomi anzi abbastanza indifferente.
Recentemente, grazie al lavoro con la compagnia teatrale che frequento (www.waltersteiner.it), l’ho riscoperto, capendone il significato, soprattutto vedendo (e ascoltando) il lavoro dei registi e degli attori della compagnia stessa. Certamente è un aforisma che si adatta particolarmente alle arti, di qualunque genere esse siano. Certo, in tutte le arti ci sono delle regole, c’è sempre un intenso lavoro, indicazioni, lezioni… ma davvero, più che da altre parti, non ci si può fossilizzare: chi si ferma è perduto, se non agli occhi degli altri, almeno verso quelli propri, perché l’artista sa perfettamente quanto sta dando e quanto può dare, e senz’altro non può accettare, da sé stesso, nulla di meno.
Ma poiché sono convinto che non esista settore che sia completamente autonomo, che non sia in qualche modo lo specchio della vita, questo aforisma non fa eccezione e trova “maledettamente” riscontro anche nella nostra quotidianità.
Pensateci… pensate a quante occasioni da cogliere o per crescere perdiamo a causa delle nostre abitudini, dell’identificazione delle nostre azioni abitudinarie con la nostra stessa vita. E’ come se noi non esistessimo al di fuori della nostra quotidianità, perfino quando di essa ci lamentiamo.
Ad esempio, camminiamo per strada – facendo per la decimillesima volta il percorso che abbiamo sempre fatto – senza prestare davvero attenzione alle cose che ci accadono attorno, proiettati già a quella che sarà la nostra giornata una volta arrivati in ufficio o in qualunque altro luogo ove ci stiamo recando. Chissà quante cose, che magari potrebbero cambiare la nostra vita – un volantino, un manifesto, una persona – non notiamo, persi come siamo nei nostri pensieri.
Molti di noi dichiarano di voler cambiare la propria vita, ma – a parte parlarne – non fanno nulla per farlo, anzi, perfino parlarne diviene un’abitudine, al pari delle altre.
Certo, può esserci timore di sbagliare, di rendersi ridicoli, di buttare via tempo ed energie per qualcosa che forse non funzionerà, senza rendersi conto che il tempo e le energie se ne stanno già andando per i fatti loro da un pezzo!
C’è qualcosa che vorreste fare, provare, tentare? Qualcosa che se funzionasse migliorerebbe voi e la vostra vita, e che non tentate per paura di fallire? Fatelo! Se non lo fate… avete già fallito.
Un mio vecchio mito, un notissimo motivazionista americano, Anthony Robbins, vi chiederebbe: che cosa fareste, se sapeste di non poter fallire?