Il disagio esistenziale

Nel dicembre 2007 scrivevo il seguente post, qua potete trovare quello originale con tutti i commenti dell’epoca: Il disagio esistenziale

Come tutti, anche la mia vita ha avuto e avrà passaggi, alcuni facili e graditi, altri difficili e drammatici. La stabilità è un sogno, può esistere solo per periodi limitati di tempo, ma tutto cambia prima o poi e ciò che arriva non possiamo fare a meno di evitarlo, l’unica cosa che possiamo fare è decidere come affrontare questi cambiamenti, questi drammi. Ma ora vi lascio al post… 🙂

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Riporto come nuovo post un mio commento, dato che mi pare possa essere di interesse generale…

E. Munch - DisperazioneIl “disagio esistenziale” è una sensazione che purtroppo capita frequentemente nella vita di molte persone. Di solito è un “periodo”, un “passaggio” tra due fasi di vita, come quella che porta alla maturità attraverso la dolorosa presa di coscienza che certi sogni e desideri dell’adolescenza non sono stati realizzati, forse perché oggettivamente sproporzionati, forse per circostanze avverse. Non puo’ percio’ che essere un passaggio doloroso.

Il “disagio” non è affatto cosa semplice, soprattutto fino a quando non se ne comprendono le cause. Spesso lo si esprime con parole e frasi “più dense”, come “disperazione”, “angoscia”, “depressione”. Queste parole danno l’idea della profondità che quel disagio puo’ assumere.

Preferisco comunque usare la parola “disagio” perché essa è una parola più costruttiva, indicando uno stato nel quale non ci si trova a proprio agio, uno stato dal quale percio’ si vorrebbe uscire. Invece, molta gente – per quanto assurdo possa sembrare – sta’ bene nella sua disperazione perché, anche se fa’ male, la conosce bene, ne viene “confortata” dall’abitudinarietà al punto di rifiutare qualunque aiuto, seppure “fingendo”, talvolta, di richiederlo. Inoltre per molte persone essa è confortante perché fa’ sentire “importanti”, da’ diritto a potersi lamentare, seppure nella sofferenza che essa comporta.

E. Munch - LIl disagio di cui parlo è un disagio esistenziale che nasce dal fatto di non aver avere avuto quella vita soddisfacente che si pensava di meritare, se non altro come diritto acquisito per il fatto di essere vivi. L’aspirazione alla felicità, i propri sogni, hanno fatto i conti con una realtà che li ha frustrati, e cio’ ha determinato il disagio di vivere in una vita che non si sente “propria”. Questo, unito alla consapevolezza di avere solo la vita che sta’ scorrendo via, rende il passo verso la disperazione breve.

Vorrei che chi è in crisi, analizzasse la propria vita, dicendo poi se avverte un senso di “stagnazione”, di “inutilità”, di “incompiutezza”… Se è così, allora ho buone probabilità che cio’ che sostengo valga anche per lui. E, se è così, vorrei che riflettesse sul significato della parola “stagnazione”.

La stagnazione è assenza di movimento che genera mancanza di ricambio. La nostra anima, il nostro cuore, marciscono giorno dopo giorno, perché inermi, atrofizzati; la mente non li aiuta perché, lei per prima, non vede via di uscita essendosi fissata sul raggiungimento di un obiettivo ormai morto da tempo.

Il passo da fare è più semplice di quel che si crede: smettere di riflettere sulle cause di quella disperazione – tanto è evidente che si è entrati, coi pensieri, in un circolo chiuso, girando attorno sempre agli stessi concetti senza mai arrivare ad una via di uscita – e… vivere! Buttarsi a capofitto nella vita! Non importa nemmeno cosa si fa’ all’inizio, basta… “fare”. Poi si aggiusterà il tiro strada facendo, ma è necessario rompere quello schema mentale di chiusura che imprigiona.

Rompi quello schema, sorprenditi, non darti tempo di ragionare, fai qualcosa che forse hai sempre voluto fare ma non hai mai fatto, oppure tieni semplicemente gli occhi aperti e, il primo manifesto o volantino che ti capita sottomano e che pubblicizza una qualunque novità, attività o corso, non pensare subito “non mi interessa”, “non fa’ per me”: senti semplicemente se ti “piace”, e se è così… buttati! 😉

Decidi che entro una settimana farai qualcosa, qualunque cosa, e… falla! Non essere preoccupato dal pensiero che magari dopo un po’ non ti piacerà più; vuol dire che cambierai.

Il cambiamento, spesso, è il sale della vita più dell’ottimismo 😉

Movimento = fine della stagnazione. Ma è necessario agire!

 

“Per cambiare la propria vita:

1. Iniziare immediatamente.

2. Farlo vistosamente.

3. Nessun cedimento.”

 

William James (1842-1910) – psicologo e filosofo americano

volo

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Passaggio nell’oscurità

Bene, anche il Natale 2013 è andato 🙂 Nel rinnovarvi l’augurio per il nuovo anno, ormai alle porte, vi ripropongo questo scritto pubblicato originariamente il 14 ottobre 2007 (qui trovate il post originale: Passaggio nell’oscurità).

Un caro saluto a tutti 🙂

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passaggio nellAnche per la giornata più bella, radiosa e piena di luce, arriva il tramonto, e con esso, l’oscurità.

Di quella notte si puo’ avere paura, perché non si sà quanto durerà, si puo’ perfino arrivare a temere che non terminerà mai. Più piena di luce è stata la giornata precedente, più buia e lunga apparirà la notte.

In quella notte qualcuno puo’ offrirci un piccolo lume, un filo di luce, una speranza, un ricordo di possibilità. Dobbiamo essere grati a queste persone che forse nemmeno si rendono conto del grande potere che ha avuto quel loro piccolo gesto durante la nostra crisi.

Quella notte puo’ in realtà celare un grande potere, puo’ permetterci di riflettere avvolti nella coperta della nostra anima, di ritrovare una consapevolezza che avevamo perso abbagliati dalla luce di quelle giornate. Talvolta solo l’oscurità ha il potere di costringerci a guardare in faccia i nostri fantasmi, di rivalutare le nostre credenze, di reindirizzare i nostri sogni e intenzioni.

Dei passaggi oscuri sarebbe sempre meglio fare a meno, lo so. Eppure, se sappiamo usarli costruttivamente, essi possono essere la chiave per costruire un domani nel quale essere in grado di godere appieno delle giornate di luce ed imparando, nel contempo, ad usare l’illuminazione della consapevolezza affinché eventuali notti future non siano mai più così buie.

Passeggiata di Nervi“Se mi cerchi, la mia casa non è più qui. E’ sui campi e la sabbia, al punto di partenza, dove quelli che sbagliano hanno il coraggio di pagare, e quelli che non hanno nulla da dare sono almeno onesti. Lo sai, la mia casa non è più qui. Adesso vivo dove quelli che sono veri non sono chiamati pazzi, dove non si beve per dimenticare, dove semplicemente se ti fermi, riparti. Se mi cerchi nella mia vecchia casa, dove stavo lentamente morendo, pagando per errori che non erano miei, tra mura dipinte con finzione, chiedendo ad occhi che mai guardavano dentro i miei per paura di scoprire se avevo ragione oppure torto, se mi cerchi nella casa dei miei vecchi affetti e valori, dove venivo ricattato con scuse e niente più, dove colpa e disgusto mangiavano nel mio cuore e nella mia mente… dovresti sapere che non mi ci troverai, perché adesso appartengo al vento ed all’estate, ad un posto dove cos’è stato è stato, dove non c’è niente da vendere, da comprare o da rubare. Se mi cerchi, la mia casa non è più lì. Sono in viaggio verso il maestrale.”
(Libera traduzione del testo di un anonimo inglese tratto da “La Quarta Via”)

foto mie: passaggio tra caruggi a Triora e panorama dalla passeggiata Garibaldi a Nervi (Genova)

Vivere e morire – Il libro tibetano del vivere e del morire

il libro tibetano del vivere e del morire Eccomi finalmente qua a parlare de “Il libro tibetano del vivere e del morire” di Sogyal Rinpoche. Anche se è un periodo in cui ho davvero poco tempo, ci tenevo a parlarne, prima che la freschezza del ricordo della lettura svanisse troppo 🙂
Questo libro finirà fisicamente in mezzo agli altri della libreria, con romanzi (pochi in verità), altri saggi e manuali, ma in realtà dovrebbe avere un posto tutto suo per l’importanza che riveste. Sogyal Rinpoche, un lama tibetano che vive ormai da decenni a cavallo tra Europa e America, ha impiegato anni a scriverlo ed è stato supportato da numerose altre autorità nel campo, come lo stesso Dalai Lama. Anche la stesura, la correzione e le traduzioni nelle varie lingue sono state preparate con grande cura e attenzione. Lo scopo di Sogyal Rinpoche era quello di arrivare a spiegare in una forma e un linguaggio comprensibili a noi occidentali, la teoria e la pratica (fondamentalmente contenute nel famoso “il libro tibetano dei morti”) che ognuno dovrebbe seguire al momento del trapasso e nella fase successiva; pratica e teoria che pero’ imprescindibilmente devono iniziare nella vita stessa, il prima possibile. Ecco perché il libro non parla solo del “morire” ma anche del “vivere”, perché le due cose sono indissolubilmente legate: nascosto nel vivere vi è già la strada per un buon morire (e per una buona rinascita), basta saperla riconoscere.
La morte per il Buddhismo è solo un passaggio, uno dei tanti a cui ciascuno è sottoposto. Questi passaggi sono chiamati “bardo”: ogni passaggio è un bardo. Caratteristica fondamentale dei bardo è che, seppure con “intensità” diversa, hanno fondamentalmente la medesima natura: in essi si puo’ intravvedere la vera natura della mente, immateriale e immortale. E i bardo sono in ogni nostro tempo: il più intenso è al momento della morte e nelle fasi immediatamente successive, ma un bardo si puo’ sperimentare attraverso la meditazione o la preghiera, ed anche spontaneamente, nel passaggio dallo stato di veglia a quello di sonno – uno stato del quale quasi mai siamo consapevoli – o addirittura nell’istante prima di ogni nostra parola o ogni nostro pensiero. E’ in ognuno di questi momenti che si puo’ percepire, grazie al silenzio del “chiacchiericcio mentale”, lo stato primordiale della nostra mente, in grado di rivelarci la nostra vera natura immortale.
Perché, direte voi, è così importante cogliere questi momenti? La morte tanto arriva comunque. E’ solo (si fa per dire) per evitare la paura della morte?
In realtà nel bardo del trapasso, che coinvolge anche i giorni successivi alla morte clinica, noi determineremo la nostra prossima rinascita o perfino l’assenza di una eventuale rinascita. Determineremo, sostanzialmente, se saremo in paradiso, all’inferno, o in uno stato intermedio, come un’altra vita terrena, anche se non necessariamente in forma umana. Grazie alla caratteristica comune dei bardo di rivelare la vera natura della mente, l’averne già fatto esperienza in precedenza ci aiuterà a superare brillantemente il bardo della morte, anche se superiore per intensità.
Sogyal Rinpoche narra di come, arrivando in occidente, fu sorpreso di notare che al progresso materiale non avesse trovato un corrispondente sviluppo della spiritualità e della compassione, che anzi erano quasi assenti. Tutto in occidente era mirato allo “star bene quando si sta bene”, mentre i malati e soprattutto i morenti erano lasciati a loro stessi: pochi di loro avevano la fortuna di avere sostegno morale e spirituale, medici, infermieri e parenti si limitavano per lo più ad un sostegno pratico, rivolto ad alleviare al massimo il dolore fisico. Il risultato è che i morenti si spegnevano nell’angoscia, nel tormento, determinando tra l’altro il fallimento di una buona rinascita.
Come non ammettere che in occidente si tende, finché è possibile, a rimuovere il pensiero della morte? Si cerca semplicemente di non pensarci. Il risultato pero’ è, secondo Sogyal Rinpoche, di arrivare assolutamente impreparati all’ultimo passaggio, nonostante Sogyal ammetta che anche le religioni occidentali, cristianesimo per primo, forniscano in teoria i mezzi per fare il medesimo percorso di preparazione del Buddhismo.
Di fatto Sogyal cerca, con questo libro, di fornire una metodologia di avvicinamento alla morte che passa attraverso un buon vivere, con indicazioni di sostegno per sé stessi, per i propri cari che si è chiamati ad assistere, per tutti. Una metodologia che puo’ e dovrebbe partire oggi, adesso, senza aspettare che sia troppo tardi.
Chi ha visto la paura, lo sgomento, negli occhi dei propri cari o di chiunque si sia avvicinato alla morte vivendola con terrore, sa che già solo la libertà dalla paura della morte ha un valore incalcolabile, che nessuna ricchezza al mondo puo’ valere. Il libro di Sogyal Rinpoche cerca di colmare la lacuna dell’insegnamento di come evitare il più possibile tale paura, cercando serenità e pace perfino in quei terribili ultimi momenti. Ma, fatto questo, va anche oltre, cercando di indicare la strada per una buona rinascita.

Ovviamente consigliato a tutti 🙂

Il disagio esistenziale

Riporto come nuovo post un mio commento, dato che mi pare possa essere di interesse generale…

E. Munch - DisperazioneIl “disagio esistenziale” è una sensazione che purtroppo capita frequentemente nella vita di molte persone. Di solito è un “periodo”, un “passaggio” tra due fasi di vita, come quella che porta alla maturità attraverso la dolorosa presa di coscienza che certi sogni e desideri dell’adolescenza non sono stati realizzati, forse perché oggettivamente sproporzionati, forse per circostanze avverse. Non puo’ percio’ che essere un passaggio doloroso.

Il “disagio” non è affatto cosa semplice, soprattutto fino a quando non se ne comprendono le cause. Spesso lo si esprime con parole e frasi “più dense”, come “disperazione”, “angoscia”, “depressione”. Queste parole danno l’idea della profondità che quel disagio puo’ assumere.

Preferisco comunque usare la parola “disagio” perché essa è una parola più costruttiva, indicando uno stato nel quale non ci si trova a proprio agio, uno stato dal quale percio’ si vorrebbe uscire. Invece, molta gente – per quanto assurdo possa sembrare – sta’ bene nella sua disperazione perché, anche se fa’ male, la conosce bene, ne viene “confortata” dall’abitudinarietà al punto di rifiutare qualunque aiuto, seppure “fingendo”, talvolta, di richiederlo. Inoltre per molte persone essa è confortante perché fa’ sentire “importanti”, da’ diritto a potersi lamentare, seppure nella sofferenza che essa comporta.

E. Munch - LIl disagio di cui parlo è un disagio esistenziale che nasce dal fatto di non aver avere avuto quella vita soddisfacente che si pensava di meritare, se non altro come diritto acquisito per il fatto di essere vivi. L’aspirazione alla felicità, i propri sogni, hanno fatto i conti con una realtà che li ha frustrati, e cio’ ha determinato il disagio di vivere in una vita che non si sente “propria”. Questo, unito alla consapevolezza di avere solo la vita che sta’ scorrendo via, rende il passo verso la disperazione breve.

Vorrei che chi è in crisi, analizzasse la propria vita, dicendo poi se avverte un senso di “stagnazione”, di “inutilità”, di “incompiutezza”… Se è così, allora ho buone probabilità che cio’ che sostengo valga anche per lui. E, se è così, vorrei che riflettesse sul significato della parola “stagnazione”.

La stagnazione è assenza di movimento che genera mancanza di ricambio. La nostra anima, il nostro cuore, marciscono giorno dopo giorno, perché inermi, atrofizzati; la mente non li aiuta perché, lei per prima, non vede via di uscita essendosi fissata sul raggiungimento di un obiettivo ormai morto da tempo.

Il passo da fare è più semplice di quel che si crede: smettere di riflettere sulle cause di quella disperazione – tanto è evidente che si è entrati, coi pensieri, in un circolo chiuso, girando attorno sempre agli stessi concetti senza mai arrivare ad una via di uscita – e… vivere! Buttarsi a capofitto nella vita! Non importa nemmeno cosa si fa’ all’inizio, basta… “fare”. Poi si aggiusterà il tiro strada facendo, ma è necessario rompere quello schema mentale di chiusura che imprigiona.

Rompi quello schema, sorprenditi, non darti tempo di ragionare, fai qualcosa che forse hai sempre voluto fare ma non hai mai fatto, oppure tieni semplicemente gli occhi aperti e, il primo manifesto o volantino che ti capita sottomano e che pubblicizza una qualunque novità, attività o corso, non pensare subito “non mi interessa”, “non fa’ per me”: senti semplicemente se ti “piace”, e se è così… buttati! 😉

Decidi che entro una settimana farai qualcosa, qualunque cosa, e… falla! Non essere preoccupato dal pensiero che magari dopo un po’ non ti piacerà più; vuol dire che cambierai.

Il cambiamento, spesso, è il sale della vita più dell’ottimismo 😉

Movimento = fine della stagnazione. Ma è necessario agire!

“Per cambiare la propria vita:

1. Iniziare immediatamente.

2. Farlo vistosamente.

3. Nessun cedimento.”

William James (1842-1910) – psicologo e filosofo americano

volo

Passaggio nell’oscurità


passaggio nellAnche per la giornata più bella, radiosa e piena di luce, arriva il tramonto, e con esso, l’oscurità.

Di quella notte si puo’ avere paura, perché non si sà quanto durerà, si puo’ perfino arrivare a temere che non terminerà mai. Più piena di luce è stata la giornata precedente, più buia e lunga apparirà la notte.

In quella notte qualcuno puo’ offrirci un piccolo lume, un filo di luce, una speranza, un ricordo di possibilità. Dobbiamo essere grati a queste persone che forse nemmeno si rendono conto del grande potere che ha avuto quel loro piccolo gesto durante la nostra crisi.

 

Quella notte puo’ in realtà celare un grande potere, puo’ permetterci di riflettere avvolti nella coperta della nostra anima, di ritrovare una consapevolezza che avevamo perso abbagliati dalla luce di quelle giornate. Talvolta solo l’oscurità ha il potere di costringerci a guardare in faccia i nostri fantasmi, di rivalutare le nostre credenze, di reindirizzare i nostri sogni e intenzioni.

Dei passaggi oscuri sarebbe sempre meglio fare a meno, lo so. Eppure, se sappiamo usarli costruttivamente, essi possono essere la chiave per costruire un domani nel quale essere in grado di godere appieno delle giornate di luce ed imparando, nel contempo, ad usare l’illuminazione della consapevolezza affinché eventuali notti future non siano mai più così buie.

Passeggiata di Nervi“Se mi cerchi, la mia casa non è più qui. E’ sui campi e la sabbia, al punto di partenza, dove quelli che sbagliano hanno il coraggio di pagare, e quelli che non hanno nulla da dare sono almeno onesti. Lo sai, la mia casa non è più qui. Adesso vivo dove quelli che sono veri non sono chiamati pazzi, dove non si beve per dimenticare, dove semplicemente se ti fermi, riparti. Se mi cerchi nella mia vecchia casa, dove stavo lentamente morendo, pagando per errori che non erano miei, tra mura dipinte con finzione, chiedendo ad occhi che mai guardavano dentro i miei per paura di scoprire se avevo ragione oppure torto, se mi cerchi nella casa dei miei vecchi affetti e valori, dove venivo ricattato con scuse e niente più, dove colpa e disgusto mangiavano nel mio cuore e nella mia mente… dovresti sapere che non mi ci troverai, perché adesso appartengo al vento ed all’estate, ad un posto dove cos’è stato è stato, dove non c’è niente da vendere, da comprare o da rubare. Se mi cerchi, la mia casa non è più lì. Sono in viaggio verso il maestrale.”
(Libera traduzione del testo di un anonimo inglese tratto da “La Quarta Via”)

Aggiungo, oggi, giovedi’ 18, questo bellissimo verso di Rosalba Sgroia ( http://rosalbasgroia.splinder.com/ ) che trovo perfetto per concludere questo mio scritto:

Il nero si colora e si assapora.
E rosso si tramuta in aurora.
Di luce abbaglia e rincuora.


foto mie: passaggio tra caruggi a Triora e panorama dalla passeggiata Garibaldi a Nervi (Genova)