Vita e morte sono nella mente – un pensiero di Sogyal Rinpoche

La scoperta più rivoluzionaria del Buddhismo è questa: vita e morte sono nella mente, e in nessun altro luogo. La mente è vista come la base universale di tutte le esperienze, il creatore della felicità e della sofferenza, il costruttore di ciò che chiamiamo vita e di ciò che chiamiamo morte.

da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal Rinpoche


Per il Buddhismo, la vita, come la percepiamo, è una sorta di Matrix, ovvero un’illusione della mente. L’illusione non sta in ciò che materialmente abbiamo attorno – un albero è vero, non è un’illusione – ma in come noi lo percepiamo. L’albero dell’esempio non è una entità separata, è un tutt’uno con ciò che lo circonda, non vi è una vera separazione. Ogni cosa, noi stessi, è una “precipitazione”, una “condensazione” dell’energia universale, qualcosa che la nostra mente separa dal resto, ma tale separazione, come un’onda dell’oceano che è parte dell’oceano stesso, è solo un inganno della percezione.

Al di là di questo, in pratica, la mente è davvero la creatrice di tutto ciò che percepiamo, soprattutto delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti. Una volta ebbi una delusione sentimentale. Ricordo che ero in palestra, in stato di frustrazione. Improvvisamente ebbi una sorta di illuminazione, mi guardai attorno e mi dissi “Dov’è la persona che ti sta facendo soffrire? Qua non c’è, perché allora soffri?” e improvvisamente la sofferenza passò. Anni dopo subì un grave lutto. Feci lo stesso esperimento… e funzionò, anche se dopo, poiché non lo trovavo giusto, preferì non continuare. Ma in realtà… cosa è giusto e cosa non lo è? Culturalmente sappiamo che dobbiamo piangere quando subiamo una perdita, che dobbiamo disperarci quando ci dicono che ci resta poco da vivere. Ma tutto ciò è vero o è frutto di condizionamento? Ad ogni modo, è sempre lei, la mente, a decidere quando dobbiamo soffire o dobbiamo disperarci. Giusto o sbagliato che sia. Questa è una delle dimostrazioni che ciò che percepiamo non è il “teritorio”, ma è solo una “mappa” mentale. Una mappa che non è immutabile, ma che anzi è un processo dinamico dovuto all’esperienza ad al condizionamento.

Quando il buddhismo dice che non c’è nascita e non c’è morte, significa che un “me”, separato dal resto, non esiste, è solo frutto della percezione della mente. Il “me” è un’onda dell’oceano, la cui nascita e la cui fine non possono esistere, perché il mare esisteva prima e continuerà ad esistere dopo. Assieme all’onda che, semplicemente, non sarà più un’apparazione manifesta, ma continuerà comunque ad esistere nell’oceano.

Jones e Junior

 

Finito il pasto, lava le stoviglie

Ci sono, ci sono! 😀 C’è ancora tanto da fare e domani torno al lavoro, ma il grosso è fatto! Non solo: per un errore di Telecom la mia linea ADSL invece di essere traslocata era stata distaccata! 😮 Quindi ho dovuto fare reclamo per riaverla, in questi giorni mi collegavo con la chiavetta… ma che fatica! 😐 Stasera invece ho scoperto che la nuova linea è stata attivata! 😉 Quindi da domani torno a commentare e pubblicare! Grazie per l’attesa! 🙂

Cari amici, siamo oggi  giunti al giorno del trasloco. Il trasporto è quasi finito ma come potrete immaginare, abbiamo tutto all’aria… compresa la mia povera schiena nonché un braccio (a causa di una botta data da sciocco! 😦 ). Domani o sabato tornerò a rispondere ai vostri commenti ed a visitare i vostri blog 🙂

Per il momento, un caro saluto! 🙂

E’ questo un celeberrimo aneddoto sul maestro Joshu.

 

“Maestro, te ne prego, insegnami la vera essenza del Buddhismo” lo implorò un giorno un discepolo.

Rispose Joshu: “Hai finito di mangiare?”

“Sì, Maestro, ho finito”

“Allora, va’ a lavare le stoviglie!”

 

da “la Tazza e il Bastone – Storie Zen”, narrate dal maestro Taisen Deshimaru

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Commento di Wolfghost: questo aneddoto è un koan. Nel buddhismo Zen, il koan, lo dico con parole mie, è una frase o una breve storia che ha il poter di far giungere all’illuminazione chi la ascolta o la legge. La sua caratteristica è che la si dovrebbe “cogliere” con immediatezza, tramite intuizione, non con la logica o la riflessione. Quindi i miei commenti sono inutili 😀 Tuttavia ogni tanto ve ne proporro qualcuno, assieme a qualche koan. Voi comunque provate a cogliere da soli l’essenza delle storielle, magari arriverete a risultati completamente diversi dai miei e più “giusti” per voi… e magari anche per me, chissà! Il potere dello scambio nella comunicazione è proprio quello di vedere attraverso l’altro qualcosa che a noi era sfuggito 🙂

Questo koan per me vuol dire che chi cerca razionalmente la verità, la liberazione, è già fuori strada, perché la liberazione è… vivere, essendo in ciò che si sta facendo. Il ragionamento di per sé è d’intralcio 🙂

il maestro buddhista Taisen Deshimaru (1914 – 1982)

Alla ricerca dell’anima

Alla ricerca dell’anima: questo era il titolo, o meglio il sottotitolo, che avevo dato al mio blog nell’ormai lontano – parlando in termini di WEB – settembre 2007, ben 5 anni fa 🙂 “Alla ricerca dell’anima” è incidentalmente il titolo di un libro di Larry Dossey pubblicato nel gennaio del 1991 e che ricordo come uno dei libri più belli dell’epoca, un periodo storico nel quale ero pienamente coinvolto in una personalissima ricerca spirituale che durò molti anni. Non è probabilmente un caso se a grande distanza scelsi questo sottotitolo per il mio blog.

L’anima… Per me trovare l’anima è sempre stato un obiettivo di particolare importanza, probabilmente anche per dare un senso ad una vita non sempre felice (soprattutto in quel periodo storico) e per mitigare una paura della morte che ho sempre avuto presente, perfino da bambino. Trovare l’anima, dimostrarla a me stesso, avrebbe infatto significato dimostrare che la morte non esiste, non in senso assoluto.

Non l’ho mai trovata l’anima 🙂 Anzi, purtroppo sono meno convinto della sua esistenza adesso di quanto lo fossi vent’anni fa. La mia storia e le mie convinzioni tuttavia cambiano anche profondamente nel tempo. So com’ero e come la pensavo vent’anni fa, come sono e come la penso adesso, ma non ho sinceramente idea di come sarò tra vent’anni. Naturalmente ammesso, e assolutamente non concesso, di esserci ancora 🙂

Ogni tanto ho anche avuto qualche “illuminazione”, sapete? 🙂 Di solito improvvise e non aspettate, non “preparate”. E che, purtroppo, non hanno lasciato il segno che potevano lasciare. Non hanno cambiato la storia, non con evidenza almeno: ogni esperienza ci cambia la vita in realtà, anche se forse non ne siamo del tutto consapevoli, e come siamo adesso e saremo domani dipende e dipenderà in gran parte dal nostro passato e dal nostro presente.

Il punto è che le illuminazioni sono come semi che cadono nel campo della nostra coscienza: se li curiamo con cura possono crescere e cambiare davvero il nostro giardino, altrimenti moriranno o, più probabilmente, restaranno lì, in attesa e nella speranza che ce ne ricordiamo e iniziamo ad inaffiarli con la nostra attenzione.

Io questo non l’ho mai fatto veramente 🙂

L’ultima di queste illuminazioni l’ho avuta verso la fine della scorsa estate. E’ stata un’illuminazione, una intuizione, che mi portò a coniugare ateismo e spiritualità, ovvero a comprendere come si possa essere spirituali non credendo in un vero o proprio Dio e, soprattutto, non credendo nella “salvezza”, cioé in qualcosa che, arrivando dall’interno o dall’esterno, ci conceda la “vita eterna”.

Facciamo parte di una energia universale, da essa siamo formata – lo dice ormai da cent’anni anche la scienza, siamo “energia condensata”, fatta materia, ma ancora energia – e ad essa ritorneremo. O meglio, saremo sempre, perché non abbiamo mai smesso di esserlo.

Sappiamo che tra cento anni nessuno di noi esisterà più e molto probabilmente nessuno si ricorderà veramente di noi. Perfino i più famosi saranno ricordati come un nome ed un cognome, al più per qualche gesta e tratto caratteristico, ma non certo per come erano veramente. Questo probabilmente ci spaventa perché non siamo abituati ad un mondo che gira senza di noi. Ciò che di solito dimentichiamo di pensare è che anche cento anni fa non esisteva nessuno di noi, non c’eravamo, semplicemente. Eppure il mondo esisteva.

Siamo parentesi trascurabili nell’eternità e nell’infinito. O meglio è la nostra coscienza ad esserlo, perché ciò di cui siamo fatti è esistito da sempre e sempre esisterà.

Questo in fondo mi diede conforto e pace. Se non c’ero cento anni fa e non ci sarò tra cento anni… perché preoccuparsi? Non cambia nulla in fondo. Non cambia nemmeno quanto si campa in fondo. Credete che quando non ci sarete più vi dispiacerà se sarete campati 100 anni o 50? No. Forse lo penserete prima. Irragionevolmente penserete “che peccato, potevo vivere cent’anni!”, ma un attimo dopo semplicemente non sarete lì a dispiacervene.

A volte è il pensiero per chi resta a tormentare. Ci si preoccupa perché chi ha vissuto con noi dovrà vivere senza di noi e con il ricordo di qualcuno che non c’è più. E’ vero. Eppure a rigore sappiamo tutti che questa è la vita. Sappiamo che a quella o quelle persone, perfino a quegli animali, la Natura richiede di superare il trauma e continuare a vivere. E’ la vita. Certamente non è colpa nostra e non dovremmo essere tormentati per questo.

In fondo anche per chi la pensa così esiste una “entità superiore” che risponde al nome di Energia o Universo. Una Unità alla quale tutti apparteniamo da sempre e non lasceremo mai. Anche chi la pensa così potrebbe dargli il nome “Dio”. Un Dio che è sempre presente, in quanto è ovunque e in ogni cosa, e attraverso il quale si possono fare chissà quali cose, solo conoscendone regole e leggi ed applicandole.

Forse è proprio questo che cercavano gli antichi alchimisti, forse è questo lo “oro alchemico”: le leggi della natura e dell’universo. Si narra che qualcuno l’abbia anche trovato e che, con spoglie sempre diverse, vaghi per questa o per altre “terre” da centinaia di anni.

Ma queste sono solo leggende… o no?

 

Equilibrio, la via di mezzo

Secondo la tradizione, il Buddha storico (Sakyamuni) cerco’ di trovare l’illuminazione divenendo un asceta, ovvero rinunciando a tutto e sottoponendo il proprio corpo ad un regime di vita sufficiente a malapena per sopravvivere. Dopo diversi anni colse una conversazione proveniente da una barca che transitava nel fiume vicino all’albero dove lui era seduto. Si trattava di un maestro di musica che spiegava al suo interlocutore come preparare il suo strumento: “Se tendi la corda oltremisura si spezzerà, se la lasci troppo lenta non suonerà”. Basto’ questa frase per fargli capire che stava sbagliando: se il suo corpo fosse diventato troppo debole, a causa delle privazioni autoimposte, non sarebbe riuscito a raggiungere il suo obiettivo, e lo stesso sarebbe successo se l’avesse lasciato senza controllo. Questo fu un passo importante nella sua strada verso l’illuminazione.
Questo è un ottimo consiglio 🙂 Anche noi dovremmo cercare, nel nostro piccolo e poco importa se siamo o meno buddhisti, di evitare gli eccessi in ogni cosa che facciamo o addirittura pensiamo. Ad esempio sappiamo benissimo che lavorare troppo senza pause, così come lavorare poco, da meno frutti che lavorare il giusto, concedendosi un corretto tempo di riposo. Anche per il cibo è così: troppo o troppo poco sono entrambi dannosi. Perfino per la nostra mente è così: farla lavorare troppo ci porta ad ossessioni,
paure e esaurimento; farla lavorare poco non ci porterà dove vogliamo andare 😐

P.S.: per la cronaca, i primi cinque discepoli del Buddha, ritratti nel dipinto qua sotto, non capendolo, si sentirono traditi dal suo cambio di rotta e lo abbandonarono. Anche questo in fondo è un insegnamento: a volte chi abbiamo attorno puo’ non capire i nostri comportamenti e le spiegazioni che lo accompagnano, ma se pensiamo di essere sulla strada giusta, almeno per noi, dovremmo continuare a percorrerla.

buddha

La voce dell’intuito

L’amica Happysummer mi ha dato l’opportunita’ nel corso dei commenti al post precedente di parlare un po’ di intuito e delle altre “voci” che affollano la nostra mente 🙂
Vi sarete certamente imbattuti in qualcuno che afferma che la voce dell’intuito e’ infallibile e che andrebbe sempre seguita; eppure molti tra noi – seguendo “suggerimenti interni” –  hanno preso cantonate anche clamorose 😐
Dov’e’ l’inghippo? Non e’ vero che l’intuito e’ infallibile o siamo noi a fare confusione? 😐

Vediamo prima di tutto cosa l’intuito e’ e cosa non dovrebbe essere.
intuizioneBasta fare una breve ricerca su Google per capire che nessuno puo’ dire di sapere con certezza cosa l’intuito e’, infatti di esso si sono tentate spiegazioni sia logico-scientifiche che metafisiche e paranormali. A mio avviso il problema e’ che semplicemente la scienza non ne sa ancora abbastanza, e un giorno le due ipotesi collimeranno 😛
Comunque per il momento faremo quindi meglio a prendere per buona la semplice affermazione del Wikizionario “concetto astratto che indica la facoltà di comprendere con immediatezza“, dove non viene espressa alcuna ipotesi sull’origine dell’intuito.
L’intuito è qualcosa che, da qualunque parte provenga, si basa su una profonda conoscenza inconscia dell’oggetto del problema che sgorga all’improvviso alla superficie dandoci la sensazione “dell’illuminazione”. Se tale conoscenza sia effettivamente dovuta ad una elaborazione inconscia dei dati raccolti o di… altra provenienza, poco importa, seppure il quesito abbia indubbiamente il suo fascino 🙂
Dobbiamo pero’ riconoscere che nella nostra mente non gira solo la voce di queste “illuminazioni”, ma anche tante altre di origine diversa, in particolare quelle dovute alle nostre paure ed ai nostri desideri.
Quando qualcosa arriva ad ossessionarci, i pensieri che lo riguardano iniziano a “vivere di vita propria”, ovvero ad autoalimentarsi in una catena irrefrenabile e vorticosa. In buona sostanza… non li controlliamo piu’ 😉 Il turbinio di emozioni che tali pensieri generano ci porta a caricare molto il significato, la valenza, di questi “messaggi” che, invece di essere visti per la vera natura che essi hanno – ovvero il prodotto quasi casuale di ragionamenti impazziti e dunque di scarso valore, diventano apportatori di verita’ assolute, che siano visioni da sogno al quale aggrapparci tenacemente e seguire ciecamente e acriticamente oppure tetri messaggi di prossima e ineluttabile sventura 😀
Bene, e’ chiaro che tali messaggi non hanno nulla a che fare con l’intuito, ma noi li prendiamo spesso e volentieri per esso, a volte perché vorremmo che lo fossero, altre volte perché ottenebrati dalla paura  😐
E’ fondamentale imparare a riconoscere la differenza, o, almeno – al di la’ di stabilire se davvero l’intuito autentico e’ infallibile – a tenere in considerazione la sua esistenza, cosi’ da mediare l’importanza dei messaggi che “riceviamo” con un pizzico di sana logica e buon senso 😉

puma

La sindrome del “facile a dirsi”

L’argomento della possibile “illuminazione” tramite meditazione buddista (ma anche preghiera cristiana) ha, come mi aspettavo, sollevato diversi commenti alla “Si’, facile a dirsi…”. Questo commento, che spesso usiamo anche tra noi e noi, e’ secondo me uno dei piu’ forti ostacoli ad ogni tipo di realizzazione, materiale o spirituale che esso sia. Il punto e’ che spesso (“spesso”, non “sempre”) abbandoniamo il nostro progetto alla prima difficolta’, senza un minimo di determinazione. Eppure sappiamo benissimo che un cambiamento radicale necessita di tempo, in particolare quando riguarda una mente – la nostra – che e’ condizionata da decenni di sovrastrutture nate da condizionamenti culturali, sociali e personali.
Roma non e’ stata costruita in un giorno, no? 🙂

Mi piace riportare qui un paio di risposte che ho dato in commenti ai post precedenti (rispettivamente a artistapaolo2 ed a Gabbiano):

1) Per il buddismo non esiste un punto di arrivo e, in teoria, non esiste nemmeno il desiderio di arrivare. Puntare alla “illuminazione” e’ il modo migliore di non centrarla mai 🙂 Il concetto e’ di meditare con serieta’, senza mollare alla prima inevitabile difficolta’. Il premio e’ immediato: il senso di pace, di stacco dai problemi quotidiani, la serenita’ che si prova, valgono gia’ il “prezzo del biglietto” 😉 Il sentire attraverso la meditazione la vera mente, che non e’ quella del “chiacchiericcio” continuo, percependola come qualcosa di non limitata e nemmeno “propria” in senso stretto (secondo i buddisti la “mente” e’ universale ed ogni cosa ne e’ permeata), e’ in un certo senso un graditissimo effetto collaterale. Ma cercare di cogliere lo “universo” o Dio, guardando dentro di se’, pone troppe aspettative per cui non si riesce a raggiungere quello stato di “quieta meditazione senza sforzo” che e’ quella necessaria.
“Fede”, “convinzione”, sono solo parole. Il lama mi disse “medita, poi capirai” 🙂 Io allora non capi’, mi servivano prove. Oggi ho capito che nemmeno una prova ragionevole potrebbe convincermi; non resta che dare retta al lama. Che si ha da perdere? 🙂 Come minimo la meditazione dona pace e tranquillita’ mentre la si fa. Gia’ questo sarebbe di per se’ un motivo sufficiente per farla 🙂

2) Il tuo e’ il problema dei piu’, me compreso. Ad affermazioni cosi’ rispondiamo sempre “eh! Facile a dirsi!” 😐 Ma… siamo sinceri, quanti di noi hanno provato a seguire questi ed altri suggerimenti del genere per un tempo prolungato? Quanti sono stati determinati senza mollare dopo la prima volta bollando nella propria mente il tutto come “sciocchezze”? 😐
Bisogna provare, con coraggio, costanza e determinazione, senza dar peso a difficolta’ che inevitabilmente ci saranno, perche’ questi metodi non sono medicine allopatiche che le prendi e (sperabilmente) il giorno dopo stai meglio. Ci vuole costanza e tempo. Costanza, non creduloneria: diamoci una scadenza, che so, 3 mesi (ma sono certo che basterebbe meno), 3 mesi in cui con determinazione sperimentiamo. Solo dopo saremo davvero titolati a dire “eh! Facile a dirsi!” 😉

costruzione

Il buddismo tibetano – conclusioni

Per chiudere un ciclo di post dove spesso ho parlato di questo argomento, volevo raccontare brevemente cosa mi ha persolmente colpito di questa particolare religione.
E’ indicativo che già scrivere “religione” per descrivere il buddismo tibetano, mi fa un po’ storcere il naso. In effetti questo buddismo è più un “metodo” per controllare la propria mente e liberarsi da tutte le sofferenze, piuttosto che una religione. Tant’e’ vero che i lama sparsi per il mondo non cercano di fare proselitismo, ma solo di insegnare tale metodo al puro scopo di portare sollievo a tutti gli “esseri senzienti”: ciascuno è comunque libero di restare fedele alla religione di appartenenza ed anzi a volte, per motivi culturali, è addirittura consigliato.
Ovviamente è tutt’altro che facile spiegare tale metodo. Esso si basa sulla credenza che ogni sofferenza derivi dall’identificazione con il proprio “io psicologico”. Secondo i lama tibetani, noi siamo ospiti nell’involucro che chiamiamo corpo, ma siamo molto di più, e quando il corpo muore continuamo ad esistere. Già di per sé questa credenza sarebbe di grande sollievo, ma non è tutto qua. Un aspetto curioso è infatti che la rinascita non è un fatto positivo per i buddisti: rinascere significa infatti tornare a soffrire, perché il corpo inevitabilmente è caduco e prima o poi si ammala e muore. Il loro massimo è arrivare a non rinascere di più, o, meglio (e qui il buddismo tibetano si discosta da altre forme di buddismo) rinascere – pur potendo evitarlo – per propria scelta, solo per tornare ad aiutare tutti gli esseri che ancora soffrono.
E oltre al discorso del corpo, c’è anche di più. Nel corso di questa e di altre vite, ci siamo identificati con una figura psicologica che ha caratteristiche ben precise e al quale abbiamo dato il nome “io”. Allora soffriamo quando tale “io” viene ferito, offeso, non ottiene ciò che desidera. Ma tale identificazione è errata. Noi non solo non siamo il nostro corpo, ma non siamo nemmeno l’io psicologico che abbiamo via via costruito, e quando lo smascheriamo smettiamo di soffrire.
Queste sono le credenze.
Il “metodo” passa attraverso il riconoscimento dell’illusorietà dell’identificazione con il corpo (ne siamo solo ospiti) e con quello che chiamo “io psicologico” (è solo una nostra costruzione). La meditazione è il metodo. Essa non è “sedersi e non fare nulla”, ma osservare attentamente come lavora la propria mente, arrivando a vedere che tale lavorio è fine a sé stesso, ovvero che dietro non c’è nulla di concreto: solo idee preconcette alle quali abbiamo finito per credere dopo anni e forse secoli.
Questo non vuol dire che “non siamo nulla”, ma che ciò che siamo non è ciò con cui ci siamo identificati.
La cosa se vogliamo più curiosa è che… la parte più difficile è trovare cosa siamo; infatti per i Lama tibetani (così come per il “Budda storico”) “cosa siamo” – già ora, ma anche nell’aldilà – è qualcosa che è inutile spiegare a parole (e forse impossibile): lo si “percepisce” naturalmente attraverso l’illuminazione a cui porta la meditazione. Quindi sarebbe inutile, ed anzi fuorviante, parlarne 🙂

“Per innumerevoli vite ho vagato
cercando invano il costruttore di questa casa.
Doloroso invero è continuare a rinascere.
Oh, costruttore!

Ora ti ho trovato.
Non costruirai più questa casa.

Tutte le tue assi sono rotte,
La trave di colmo è spezzata.
La mia mente ha raggiunto la libertà suprema
Estinto è ogni desiderio”.
(Buddha)

Coast

La pacificazione – storiella buddista

VisvabhujStasera vi lascio una semplice storiella buddista, breve ma… importante! 😉
Ricordo ad esempio una volta in cui ero davvero addolorato dall’andamento di una storia amorosa, ero davvero affranto e il pensiero di “lei” mi tormentava. Improvvisamente ebbi una strana intuizione: mi voltai di scatto e… vidi che lei non c’era! Non era attorno a me, capite?
Improvvisamente mi sentii molto meglio 😛 😐

Leggete la brevissima storiella e il commento (non mio) e forse capirete di più…

Come? Mi sembra già di sentirvi “Non è così facile!” 🙂 E chi dice che è facile? Nessuna intuizione del genere lo è, sembra banale, scontata… forse proprio per questo di solito ci sfugge… 😉

p.s.: la musica proposta alla fine del post è tratta dalla colonna sonora del Piccolo Buddha di Bertolucci, composta da Ryuichi Sakamoto… ci credete se vi dico che mi commuovo ancora ogni volta che la sento? 🙂

 


 

Un giorno Hui-k’o si presentò a Bodhidharma e gli disse: “La mia anima è tormentata: ti prego, dalle pace!”
“Portami qui la tua anima e io le darò pace.”
“Come faccio? Quando la cerco, non la trovo.”
“Allora è già in pace.”
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Commento: Anche l’idea di “anima” è un prodotto della mente, e così quella di ego. Il problema è che noi finiamo per credere reali semplici immagini simboliche, e su di queste costruiamo interi sistemi filosofici che incidono pesantemente sulla nostra vita. Il discepolo di Bodhidharma si era costruito una “storia” sulla propria “anima tormentata”, e in base a questa fantasia soffriva realmente. Ma, quando il maestro gli fece notare la sostanziale irrealità di quella idea, ecco che anche i tormenti mentali gli apparvero di colpo inconsistenti. Impariamo a constatare come gran parte delle nostre sofferenze sia un prodotto della mente. Cerchiamo di dare un’occhiata al di là di questa immaginazione mentale che ama la contrapposizione. Anziché essere vittime di ciò che pensiamo, diventiamone i padroni.

Una storiella zen racconta di un uomo su un cavallo: il cavallo galoppa veloce, e pare che l’uomo debba andare in qualche posto importante. Un tale, lungo la strada, gli grida: “Dove stai andando?” e il cavaliere risponde: “Non so! Chiedi al cavallo!”.