Ricerca spirituale e vita

Questo post risale a marzo 2008 (caspita… 9 anni fa ormai!), eravamo ancora in epoca Splinder. Che tempi! 🙂 Qua trovate il post originale, assieme ai commenti dell’epoca: Ricerca spirituale e vita

Lo ripropongo perché sempre attuale. Cambierei forse qualcosa qua e la, ma nel complesso lo ritengo ancora valido 🙂

Ne approfitto per farvi salutare dai due mici più giovani di casa Wolfghost: Junior a sinistra e Jones a destra 🙂

juniorjones

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Da una nuova iscritta di Splinder, mi e’ arrivato il seguente messaggio che ho ritoccato qua e la, togliendo dati personali e tentando un riassunto. Spero che il risultato sia consono allo spirito del messaggio originale.

“Sono sempre stata una persona molto riflessiva, che si fa anche molte domande. Questo mio lato si è mostrato ancora di più quando ho dovuto affrontare una serie di problemi di salute. Da questa cosa è iniziata la mia ricerca spirituale. Nei primi tempi mi sono affidata, dietro altrui consigli, a libri che ho letto con attenzione lasciando perdere i miei interessi personali. Tuttavia in tutto questo sento una certa forzatura; pur interessandomi la materia di ricerca interiore e spirituale mi piacerebbe avere una visione più ampia e sapere, magari visto che anche tu hai intrapreso questo percorso quali testi hai iniziato a leggere, come ti poni nei confronti della realtà del mondo esterno, visto che tutto deve passare attraverso l’esperienza come dicono i grandi Maestri ad esempio Aivanhov, altrimenti tutto questo studiare non serve a nulla.”

tibetSono assolutamente in sintonia con quanto scritto nelle ultime righe dello scritto della nostra amica: ogni insegnamento, per divenire tale a tutti gli effetti, deve passare attraverso l’esperienza. Anzi, se l’esperienza – cercata o meno che sia – puo’ divenire insegnamento, il puro studio teorico, senza esperienza, no: esso lascia il tempo che trova. Infatti ogni grande maestro che si rispetti ammonisce a non prendere il suo insegnamento pedissequamente, per oro colato, bensi’ a “viverlo” a “sentirlo sulla propria pelle”.
La teoria e’ allora inutile? No. Diciamo che e’… propedeutica 🙂
Un buon insegnamento scritto si impara due volte: la prima volta con la mente, come informazione puramente mnemonica; la seconda… quando ci si accorge di stare vivendolo.
Naturalmente chi ha scritto libri di un certo spessore non e’ uno stupido, afferma generalmente cose importanti e incontrovertibili. Il problema e’ che fondamentalmente la vera conoscenza non puo’ essere trasmessa a parole, puo’ solo essere appresa esperendola sulla propria pelle. Quando questo avviene… ti guardi indietro, e ti ricordi le parole che avevi letto come se le “vedessi” solo ora per la prima volta. Il loro significato “mnemonico” e’ ovviamente il medesimo, ma stavolta le ha capite ed apprese “col cuore”.
Notate che qualcosa di simile avviene spesso con i genitori apprensivi: essi credono di poter risparmiare ogni errore ai loro figli tramite il loro insegnamento; ma cio’ non e possibile, perche’ certe cose si imparano solo attraverso l’esperienza personale.

siddhartaIl libro che piu’ di ogni altro rappresenta il mio pensiero su questo argomento, e’ il bellissimo Siddharta di Hermann Hesse. Immergersi nella teoria, senza fare esperienza – esperienza “vera”, di vita, non meditazioni, pratiche yoga o quant’altro – lascia un senso di vuoto o, peggio, di frustrazione, perche’ si sente che ci si sta impegnando tanto per ottenere poco.
Il protagonista del libro abbandona i suoi studi e le pratiche ad esso collegate perche’ sente che “manca qualcosa”, qualcosa senza il quale non potrebbe mai arrivare la’ dove si e’ prefissato di arrivare.
Questa cosa e’ la vita, e’ la sua esperienza.
Siddharta inizia un percorso di vita dove nulla gli manca: dall’esperienza amorosa a quella lavorativa.
Alla fine del suo percorso, che potremmo definire “naturale ma vissuto con gli occhi aperti”, Siddharta si “ritira” in un umile e tranquillo lavoro: il traghettatore su un fiume. Ma la saggezza che ha raggiunto diventa presto proverbiale venendo riconosciuta dalle persone con cui viene a contatto; cosi’ si sparge la voce del “maestro sul fiume”.

E’ stata utile a Siddharta la teoria da lui appresa per arrivare al suo stato finale? E’ probabile che la risposta sia “si”. Tutto lo e’ stato. La teoria e l’esperienza. Certamente mentre faceva esperienza, Siddharta trovava via via riscontro in cio’ che aveva precedentemente appreso. Ma solo allora esso diveniva reale parte di lui. Sua stessa essenza. Solo allora diveniva davvero utile.

Ci sono periodi della nostra vita, dove il richiamo alla nostra interiorita’, spesso dettato dalle nostre difficolta’ “esterne”, dal desiderio di capire cosa ci sta succedendo, e’ cosi’ forte che abbiamo bisogno di “nutrirci” di libri e lezioni positive, di qualcosa che ci aiuti a far chiarezza o, perlomeno, a ridarci un po’ di fiducia, superando cosi’ quei difficili momenti. Personalmente – ma sento che questa e’ anche storia della nostra amica, e’ anche storia di molti – superata la crisi, si “sente” che si deve tornare alla vita, la vita “normale”, quella “di tutti i giorni”, non necessariamente abbandonando la propria ricerca, ma evitando che sia “mutuamente esclusiva col resto della vita”. Il “ritorno alla vita” viene fatto nella consapevolezza, o almeno nella speranza, che stavolta la si vivra’ in maniera diversa. E’ la differenza tra il “vivere qui e ora” degli animali (ad esempio) e il “vivere qui e ora” delle persone “consapevoli”: il valore aggiunto e’ infatti la consapevolezza di cosa si sta facendo, del momento che si sta vivendo. E’ un “qui e ora” che si e’ scelto.
Si e’ insomma “tornati indietro”, agendo pero’ stavolta da “veri architetti della propria vita”.

“Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare un po’ diverso quando lo si esprime, un po’ falsato, un po’ sciocco, sì, e anche questo è bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ sciocco alle orecchie degli altri”
(Siddharta – citazione da Wikipedia)



NON BASTA RINUNCIARE
di Paulo Coelho

Conobbi la pittrice Myie Tamaki durante un seminario sull’Energia Femminile, a Kawaguciko, in Giappone. Le domandai quale fosse la sua religione.
“Non ho più religione”, rispose lei.
Notando la mia sorpresa, spiegò: “Sono stata educata a essere buddista. I monaci mi hanno insegnato che il cammino spirituale è una costante rinuncia: dobbiamo superare la nostra invidia, il nostro odio, le nostre angosce di fede, i nostri desideri”.
“Da tutto ciò sono riuscita a liberarmi, finché un giorno il mio cuore è rimasto vuoto: i peccati se n’erano andati via, ma anche la mia natura umana”.
“All’inizio ne ero contenta, ma ho capito che non condividevo più le gioie e le passioni delle persone che mi circondavano. È stato allora che ho abbandonato la religione: oggi ho i miei conflitti, i miei momenti di rabbia e di disperazione, ma so di essere di nuovo vicina agli uomini e, di conseguenza, vicina a Dio”.

torrente

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Siddharta

Le mie serate, e di conseguenza quelle di Lady Wolf, vanno a periodi. Ci sono i periodi dei film, quelli dei documentari, quelli delle serie TV e quelli dei libri. Tutto dipende dal periodo, forse perché dopo aver fatto indigestione di una cosa passiamo, o torniamo, all’altra 🙂

Recentemente abbiamo attraversato nuovamente il “periodo libri” ed essendo temporaneamente a corti di letture nuove e interessanti, abbiamo ripescato un libro antico, un classico senza tempo, ancora oggi di grande attualità anche perché le filosofie orientali, un tempo appannaggio di pochi tra gli occidentali, sono ora di grande interesse. Suona quasi strano leggere in un libro che ormai sfiora i cento anni – 92, per l’esattezza – concetti riguardanti il buddhismo scritti, seppure in forma romanzata, da uno scrittore europeo.

Ad ogni modo il libro non mi ha colpito come la prima volta. Probabilmente, ricordando l’entusiasmo che allora mi aveva creato, mi aspettavo un coinvolgimento maggiore. Ma ogni periodo ha il suo tempo e ciò che ha entusiasmato da giovani, quando si è alla ricerca dell’illuminazione, può apparire meno interessante più avanti.

Per ritrovare l’interesse di un tempo, quello che ti lega avidamente ad ogni parola e ti spinge a rileggere i paragrafi più e più volte, ho dovuto attendere l’ultimo capitolo. Ma ne è valso la pena 🙂

Vi metto qualche estratto con relativo commento 😉

« Son vecchio, sì » disse Govinda « ma di cercare non ho mai tralasciato. E mai cesserò di cercare, questo mi sembra il mio destino. Ma tu pure hai cercato, così mi pare. Vuoi dirmi una parola, o degnissimo? »

Disse Siddharta: « Che dovrei mai dirti, io, o venerabile? Forse questo, che tu cerchi troppo? Che tu non pervieni a trovare per il troppo cercare? « Come dunque? » chiese Govinda.

« Quando qualcuno cerca » rispose Siddharta « allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla in sé, perché pensa, sempre e unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa esser libero, restare aperto, non aver scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti agli occhi ».

Questa è stata anche la storia della mia vita, almeno di quella che ho vissuto finora. Scrivo spesso che dai 18 ad oltre i 30 ho come dimenticato di vivere. Leggevo, cercavo, meditavo, praticavo, ma non riuscivo a portare nel quotidiano, e il quotidiano lo vivevo con pesantezza, come se non avesse nulla da insegnare, come se ciò che mi serviva potessi trovarlo solo in qualche recondito e arcano insegnamento delle parole altrui.

Dopo mollai tutto e iniziai a vivere. Non posso dire di averlo fatto appositamente, accadde e basta. E mi resi conto molti anni più tardi che così doveva essere, perché la teoria, ma anche la pratica “didattica”, non possono avere la stessa forza della vita, possono fornire un aiuto, un sostegno, ma non sostituirsi alla “via maestra” dell’esperienza perché al massimo ne sono solo un surrogato.

« Ho avuto pensieri, sì, e principi, e come! Tante volte ho sentito in me il sapere, per un’ora o per un giorno così come si sente la vita nel proprio cuore. Molti pensieri furono quelli, ma mi sarebbe difficile fartene parte. Vedi, Govinda, questo è uno dei miei pensieri, di quelli che ho trovato io: la saggezza non è comunicabile. La saggezza che un dotto tenta di comunicare ad altri, ha sempre un suono di pazzia ».

Quante volte ho sperimentato queste parole! Non solo mi accorgevo che parlare di temi esoterici e spirituali mi esponeva a critiche e ironie altrui, ma anche che mi “opponevo” alle visioni di altri pur sinceramente altrettanto coinvolti, come se dovessi proteggere ciò che via via stavo costruendo, a costo distruggere visioni “non allineate”. E poi il nostro sentire viene inevitabilmente distorto non solo dalle parole ma dall’atto stesso di concettualizzare, perché la vita non è concetto, è azione, è movimento, perfino nella quiete:

« Mi venne detto senza premeditazione. O forse era per dire che appunto questa pietra, e il fiume, e tutte queste cose dalle quali possiamo imparare, io le amo. Posso amare una pietra, Govinda, e anche un albero o un pezzo di corteccia. Queste son cose, e le cose si possono amare. Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non contan nulla per me: non sono né dure né molli, non hanno colore, non hanno spigoli, non hanno odori, non hanno sapore, non hanno null’altro che parole: Forse è questo ciò che impedisce di trovar la pace: le troppe parole. Poiché anche liberazione e virtù, anche samsara e nirvana sono mere parole, Govinda. Non c’è nessuna cosa che sia il nirvana, esiste solo la parola nirvana ».

Disse Govinda: « Non una sola parola è il nirvana, amico. È un pensiero ».

Siddharta continuò: « Un pensiero, sia pure. Devo confessarti, mio caro, che non faccio una gran distinzione tra pensieri e parole. Per dirtela schietta, non tengo i pensieri in gran conto. Apprezzo di più le cose. Qui a questo traghetto, per esempio, ci fu, mio predecessore e maestro, un uomo, un santo uomo, che per tanti anni credette semplicemente nel fiume e in nient’altro. Egli aveva notato che la voce del fiume gli parlava, e da quella imparava, essa lo educava e lo istruiva, il fiume gli pareva un dio, e per tanti anni non seppe che ogni brezza, ogni nuvola, ogni uccello, ogni insetto è altrettanto divino e può essere altrettanto saggio e istruttivo quanto il venerato fiume. Ma quando questo santo se ne andò nella foresta, allora sapeva già tutto, sapeva più di te e di me, senza maestro, senza libri, solo perché aveva avuto fede nel fiume ».

Avrebbe potuto Siddharta essere Siddharta, senza il suo passato di erudito bramino? La risposta è che Siddharta è tutto ciò che ha vissuto, anche le sue letture e i suoi studi. Ma è la parola “anche” ad essere fondamentale: senza l’esperienza, senza l’immersione nella vita, con le sue gioie e i suoi dolori, i suoi incontri ed i suoi addii, Siddharta non sarebbe giunto a compimento, sarebbe stato come un libro con una bella copertina rilegata e tante pagine… ma con nessun contenuto dentro. E, soprattutto, senza pace.

Hermann Hesse

Illusione e realtà – Sulle filosofie orientali

Castello di sabbiaPare un assurdo,

eppure è esattamente vero che,

essendo tutto il reale un nulla,

non v’è altro di reale né di sostanza al mondo

che le illusioni.

(Giacomo Leopardi)

Quando lessi per la prima volta queste parole, pensai che fossero del “solito” Buddha o di qualche santone Indù, fui sorpreso invece di constatare che erano di un poeta tutto nostrano 🙂

Sono parole forti e importanti, perché mettono il dito proprio su quella che in occidente è sentito essere il punto oscuro del buddismo, dell’induismo e, in generale, delle correnti spirituali orientali (taoismo incluso): il loro presunto nichilismo.

La teoria dell’impermanenza buddista, quella induista (per chi non lo sapesse, il buddismo deriva dall’induismo, in contrapposizione con le tre grandi religioni che derivano dalla Bibbia: ebraismo, cristianesimo, islamismo) che parla di maya, ovvero dell’illusione che ci circonda, appaiono all’occhio di chi si avvicina per la prima volta a queste “filosofie”, francamente un po’ deludenti. “Tutto è illusione”, “niente è reale”, “tutto finisce”, “nulla dura per sempre”… in una cultura dove siamo stati portati a cercare la sicurezza, ad avere punti fermi o – come canterebbe Battiato – un centro di gravità permanente, pensieri come questi appaiono inaccettabili.

angelo e diavolo sexyNemmeno l’aldilà “aiuta”: il concetto di aldilà definitivo, alla fine del ciclo (molto lungo eh!! ;-)) di morti e rinascite, che hanno questi insegnamenti, non suona così apprezzabile per noi: raggiungiamo il Nirvana, cioé… il nulla 😮 o, al massimo, l’annullamento totale del nostro “io” con “l’annegamento” nell’Uno primordiale (che insomma… non suona poi come una grande consolazione, visto che la nostra personalità, la nostra “coscienza”, non c’è più, e allora… chi ci sarebbe a godere di questa riunione con “Dio”?). La leggenda dice che il Buddha “storico”, quello realmente vissuto, non rispose mai alle domande che riguardavano la vita dopo la morte: che esistesse o meno, era per lui ininfluente, dato che era la “liberazione totale” quella a cui mirava, non un’eventuale rinascita. Le preoccupazioni dei suoi fedeli al riguardo dell’eventuale sopravvivenza dell’anima o rinascita del corpo, erano solo… distrazioni da evitare 😐

Mi tenterebbe quasi di più il paradiso musulmano, con le 7 (erano 7 o sbaglio?) vergini ad attendermi ;-), o almeno quello cristiano dove non solo l’Io risorge, ma perfino il corpo fisico.

Eppure è proprio nel riconoscimento dell’illusorietà di ciò che ci circonda che si trova il fascino e l’attrattiva di tali “filosofie”: se si riconosce che tutto è sì illusione, ma che non esiste altra realtà all’infuori dell’illusione stessa… allora siamo liberi. Liberi davvero.

Liberi dalla paura, perché non abbiamo nulla da perdere, dato che tutto ciò che abbiamo è illusione, perfino la vita. Mentre molte grandi religioni invece, anche se non dal principio, usano proprio la paura (dell’inferno e della morte) per “guidare” i loro fedeli. O, forse, per controllarli.

Liberi di essere ciò che vogliamo, dato che qualunque cosa scegliamo di essere è… vera o falsa esattamente allo stesso modo di qualunque altra possibile scelta. Per non parlare “della fine fisica”, che in ogni caso ci aspetta tutti e cancella tutto.

Perché dunque non essere ciò che vogliamo essere? Perché dunque la paura?

Perfino la vita e la morte assumono un significato diverso: esse non esistono, non sono mai esistite. Come tutto il resto. Perché averne timore?

La libertà è la vera conquista di queste “filosofie”.

“Che pensiero meraviglioso una vita senza paura! Superare la paura: questa è la beatitudine, questa la redenzione.

Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudizi, del proprio cuore; si ha paura del sonno, del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte. Specialmente di quest’ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti.

In realtà c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni sicurezza possibile… c’è una sola arte, una sola dottrina, un solo mistero: lasciarsi cadere, non opporsi recalcitrando alla volontà di Dio, non aggrapparsi a niente, né al bene né al male. Allora si è redenti, liberi dalla sofferenza, liberi dalla paura.”

Hermann Hesse, “Aforismi”

nel cielo

Ricerca spirituale e Vita

Da una nuova iscritta di Splinder, mi e’ arrivato il seguente messaggio che ho ritoccato qua e la, togliendo dati personali e tentando un riassunto. Spero che il risultato sia consono allo spirito del messaggio originale.

“Sono sempre stata una persona molto riflessiva, che si fa anche molte domande. Questo mio lato si è mostrato ancora di più quando ho dovuto affrontare una serie di problemi di salute. Da questa cosa è iniziata la mia ricerca spirituale. Nei primi tempi mi sono affidata, dietro altrui consigli, a libri che ho letto con attenzione lasciando perdere i miei interessi personali. Tuttavia in tutto questo sento una certa forzatura; pur interessandomi la materia di ricerca interiore e spirituale mi piacerebbe avere una visione più ampia e sapere, magari visto che anche tu hai intrapreso questo percorso quali testi hai iniziato a leggere, come ti poni nei confronti della realtà del mondo esterno, visto che tutto deve passare attraverso l’esperienza come dicono i grandi Maestri ad esempio Aivanhov, altrimenti tutto questo studiare non serve a nulla.”

tibetSono assolutamente in sintonia con quanto scritto nelle ultime righe dello scritto della nostra amica: ogni insegnamento, per divenire tale a tutti gli effetti, deve passare attraverso l’esperienza. Anzi, se l’esperienza – cercata o meno che sia &nd9ash; puo’ divenire insegnamento; il puro studio teorico, senza esperienza, no: esso lascia il tempo che trova. Infatti ogni grande maestro che si rispetti ammonisce a non prendere il suo insegnamento pedissequamente, per oro colato, bensi’ a “viverlo” a “sentirlo sulla propria pelle”.
La teoria e’ allora inutile? No. Diciamo che e’… propedeutica 🙂
Un buon insegnamento scritto si impara due volte: la prima volta con la mente, come informazione puramente mnemonica; la seconda… quando ci si accorge di stare vivendolo.
Naturalmente chi ha scritto libri di un certo spessore non e’ uno stupido, afferma generalmente cose importanti e incontrovertibili. Il problema e’ che fondamentalmente la vera conoscenza non puo’ essere trasmessa a parole, puo’ solo essere appresa esperendola sulla propria pelle. Quando questo avviene… ti guardi indietro, e ti ricordi le parole che avevi letto come se le “vedessi” solo ora per la prima volta. Il loro significato “mnemonico” e’ ovviamente il medesimo, ma stavolta le ha capite ed apprese “col cuore”.
Notate che qualcosa di simile avviene spesso con i genitori apprensivi: essi credono di poter risparmiare ogni errore ai loro figli tramite il loro insegnamento; ma cio’ non e possibile, perche’ certe cose si imparano solo attraverso l’esperienza personale.

siddhartaIl libro che piu’ di ogni altro rappresenta il mio pensiero su questo argomento, e’ il bellissimo Siddharta di Hermann Hesse. Immergersi nella teoria, senza fare esperienza – esperienza “vera”, di vita, non meditazioni, pratiche yoga o quant’altro – lascia un senso di vuoto o, peggio, di frustrazione, perche’ si sente che ci si sta impegnando tanto per ottenere poco.
Il protagonista del libro abbandona i suoi studi e le pratiche ad esso collegate perche’ sente che “manca qualcosa”, qualcosa senza il quale non potrebbe mai arrivare la’ dove si e’ prefissato di arrivare.
Questa cosa e’ la vita, e’ la sua esperienza.
Siddharta inizia un percorso di vita dove nulla gli manca: dall’esperienza amorosa a quella lavorativa.
Alla fine del suo percorso, che potremmo definire “naturale ma vissuto con gli occhi aperti”, Siddharta si “ritira” in un umile e tranquillo lavoro: il traghettatore su un fiume. Ma la saggezza che ha raggiunto diventa presto proverbiale venendo riconosciuta dalle persone con cui viene a contatto; cosi’ si sparge la voce del “maestro sul fiume”.

E’ stata utile a Siddharta la teoria da lui appresa per arrivare al suo stato finale? E’ probabile che la risposta sia “si”. Tutto lo e’ stato. La teoria e l’esperienza. Certamente mentre faceva esperienza, Siddharta trovava via via riscontro in cio’ che aveva precedentemente appreso. Ma solo allora esso diveniva reale parte di lui. Sua stessa essenza. Solo allora diveniva davvero utile.

Ci sono periodi della nostra vita, dove il richiamo alla nostra interiorita’, spesso dettato dalle nostre difficolta’ “esterne”, dal desiderio di capire cosa ci sta succedendo, e’ cosi’ forte che abbiamo bisogno di “nutrirci” di libri e lezioni positive, di qualcosa che ci aiuti a far chiarezza o, perlomeno, a ridarci un po’ di fiducia, superando cosi’ quei difficili momenti. Personalmente – ma sento che questa e’ anche storia della nostra amica, e’ anche storia di molti – superata la crisi, si “sente” che si deve tornare alla vita, la vita “normale”, quella “di tutti i giorni”, non necessariamente abbandonando la propria ricerca, ma evitando che sia “mutuamente esclusiva col resto della vita”. Il “ritorno alla vita” viene fatto nella consapevolezza, o almeno nella speranza, che stavolta la si vivra’ in maniera diversa. E’ la differenza tra il “vivere qui e ora” degli animali (ad esempio) e il “vivere qui e ora” delle persone “consapevoli”: il valore aggiunto e’ infatti la consapevolezza di cosa si sta facendo, del momento che si sta vivendo. E’ un “qui e ora” che si e’ scelto.
Si e’ insomma “tornati indietro”, agendo pero’ stavolta da “veri architetti della propria vita”.

“Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare un po’ diverso quando lo si esprime, un po’ falsato, un po’ sciocco, sì, e anche questo è bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ sciocco alle orecchie degli altri”
(Siddharta – citazione da Wikipedia)

 



NON BASTA RINUNCIARE
di Paulo Coelho

Conobbi la pittrice Myie Tamaki durante un seminario sull’Energia Femminile, a Kawaguciko, in Giappone. Le domandai quale fosse la sua religione.
“Non ho più religione”, rispose lei.
Notando la mia sorpresa, spiegò: “Sono stata educata a essere buddista. I monaci mi hanno insegnato che il cammino spirituale è una costante rinuncia: dobbiamo superare la nostra invidia, il nostro odio, le nostre angosce di fede, i nostri desideri”.
“Da tutto ciò sono riuscita a liberarmi, finché un giorno il mio cuore è rimasto vuoto: i peccati se n’erano andati via, ma anche la mia natura umana”.
“All’inizio ne ero contenta, ma ho capito che non condividevo più le gioie e le passioni delle persone che mi circondavano. È stato allora che ho abbandonato la religione: oggi ho i miei conflitti, i miei momenti di rabbia e di disperazione, ma so di essere di nuovo vicina agli uomini e, di conseguenza, vicina a Dio”.

torrente

Che pensiero meraviglioso una vita senza paura!

00 Che pensiero meraviglioso una vita senza paura! Superare la paura: questa è la beatitudine, questa la redenzione.

Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudizi, del proprio cuore; si ha paura del sonno, del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte. Specialmente di quest’ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti.

In realtà c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni sicurezza possibile… c’è una sola arte, una sola dottrina, un solo mistero: lasciarsi cadere, non opporsi recalcitrando alla volontà di Dio, non aggrapparsi a niente, né al bene né al male. Allora si è redenti, liberi dalla sofferenza, liberi dalla paura.

Hermann Hesse, “Aforismi”