Continuo nel recupero di “antichi” post che mi paiono ancora interessanti 🙂 Siamo ancora a Gennaio 2008…
Colgo l’occasione per dire che Tom sta decisamente meglio, anche se il percorso per tornare al 100% è ancora lungo, ma va bene così, pian piano… 🙂
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Il vaso di porcellana e la rosa (di Paulo Coelho)
Il Grande Maestro e il Guardiano condividevano l’amministrazione di un monastero zen. Un giorno, il Guardiano morì e fu necessario sostituirlo. Il Grande Maestro riunì tutti i discepoli per scegliere chi avrebbe avuto l’onore di lavorare direttamente al suo fianco.
“Vi esporrò un problema – disse il Grande Maestro -, e colui che lo risolverà per primo sarà il nuovo Guardiano del tempio”. Terminato il suo brevissimo discorso, collocò uno sgabellino al centro della stanza. Sopra c’era un vaso di porcellana costosissimo, con una rosa rossa che lo abbelliva. “Ecco il problema”, disse il Grande Maestro.
I discepoli contemplavano, perplessi, ciò che vedevano: i disegni raffinati e rari della porcellana, la freschezza e l’eleganza del fiore. Che cosa rappresentava tutto ciò? Cosa fare? Qual era l’enigma? Dopo alcuni minuti, uno dei discepoli si alzò, guardò il Grande Maestro e gli allievi tutt’intorno. Poi, si avviò risolutamente al vaso e lo scagliò per terra, mandandolo in frantumi.
“Tu sarai il nuovo Guardiano”, disse il Grande Maestro all’allievo. E non appena questi fu tornato al suo posto, spiegò: “Io sono stato molto chiaro: ho detto che vi trovavate davanti a un problema. Non importa quanto bello e affascinante esso sia, un problema deve essere eliminato. “Un problema è un problema; può trattarsi di un rarissimo vaso di porcellana, di un meraviglioso amore che non ha più senso, o di un cammino che deve essere abbandonato, ma che noi ci ostiniamo a percorrere perché ci fa comodo… C’è solo una maniera di affrontare un problema: attaccandolo di petto. In quei momenti, non si può né avere pietà, né lasciarsi tentare dall’aspetto affascinante che qualsiasi conflitto porta con sé”.
Commento di Wolfghost: sono notoriamente per la lotta, per il non arrendersi finche’ c’e’ ancora speranza, finche’ si puo’ ancora tentare qualcosa. Tuttavia possono arrivare dei momenti nel corso della vita nei quali ci si rende conto che cio’ per cui si sta’ lottando, per quanto bello e importante sia, e’ ormai perso. In quei momenti proseguire la lotta significherebbe passare da una “giusta battaglia” ad un “accanimento (non)terapeutico”; significa non essere un buon comandante, perche’ un buon comandante, per quanto valoroso e coraggioso sia, non manda mai se’ stesso e le proprie truppe incontro ad un inutile e sicuro massacro.
Un buon comandante combatte finche’ ha senso farlo ma capisce quando arriva il momento di ritirarsi e, nonostante il valore del contendere e il proprio orgoglio, sa’ aprire le mani e lasciare andare…
Senza tregua
“Un maestro zen è appeso con i denti al ramo di un albero.
Sotto, passa un monaco che gli domanda: “Spiegami che cos’è la verità”.
Se risponde, precipita e muore. Se non risponde, manca al suo compito.
Che cosa deve fare?”
(Hsiang-yen Kyogen)
Commento (non mio): In apparenza non c’è via d’uscita: parlare fa precipitare, ma il silenzio non comunica nulla a chi non è preparato. Eppure una possibilità di risposta esiste sempre, anche nelle situazioni più disperate… o forse proprio in virtù di esse. In realtà il “koan” è creato dalla mente e, finché si rimane all’interno della sua logica, non si può risolverlo. “Quando sei in un vicolo cieco,” consiglia un detto zen “cambia la tua mente; quando hai cambiato la tua mente, puoi uscirne.”
Un maestro afferma: “Anche se siete appesi a una rupe, dovete mollare la presa, aver fiducia in voi stessi e accettare l’esperienza”.