Nel novembre 2007, come alcuni di voi rammenteranno, visto che li ho tormentati per anni, iniziai a pubblicare dei brevi racconti di Paulo Coelho che utilizzavo come spunto per parlare di argomenti che mi interessavano. Coelho, che all’inizio trovavo interessante, è andato sempre più scemando nelle mie preferenze, tanto che ormai è da molto tempo che non riesco più a finire nemmeno uno dei suoi libri 🙂 Cos’è cambiato? Bé, certamente io, ma è cambiato anche il suo stile: leggero e scorrevole un tempo, è diventato… forzatamente ricercato, sia nei contenuti che nella prolissità. Ovviamente è questione di gusti, ma a me piaceva come sapeva dare messaggi importanti, anche se a volte banali, con semplicità, in modo che fossero alla portata di tutti. Ora è diventato… uno scrittore qualunque. O almeno così lo vedo io.
Il link all’articolo di allora, con i commenti che raccolse, è qua: Mantenere il dialogo
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L’importanza di mantenere il dialogo di Paulo Coelho
La moglie del rabbino Iaakov era considerata da tutti i loro amici una donna molto difficile: con qualsiasi pretesto iniziava una discussione. Iaakov, però, non rispondeva mai alle provocazioni. Fino a quando, al matrimonio del loro figlio Ishmael, mentre centinaia di invitati stavano festeggiando allegramente, il rabbino cominciò a offendere sua moglie, ma in maniera tale che tutti, alla festa, potessero accorgersene.
“Che cosa è successo? – domandò un amico di Iaakov, quando gli animi si furono rasserenati – Perché hai abbandonato il tuo costume di non rispondere mai alle provocazioni?”.
“Guarda com’è più contenta”, sussurrò il rabbino, indicando sua moglie. In effetti, ora sembrava che la donna si stesse divertendo alla festa.
“Ma avete litigato in pubblico. Io non comprendo né la tua reazione, né la sua”, insistette l’amico.
“Alcuni giorni fa, ho capito che ciò che più turbava mia moglie era il fatto che io mantenessi comunque il silenzio. Agendo così, sembrava che la ignorassi, che prendessi le distanze da lei con sentimenti virtuosi e la facessi sentire meschina e inferiore. Visto che l’amo tanto, ho deciso di fingere di perdere la testa davanti a tutti. Così lei ha capito che io comprendevo le sue emozioni, che ero uguale a lei, e che ancora voglio mantenere il dialogo”.
Mi sono servito di un altro breve racconto di Coelho per parlare del potere del Dialogo.
Qualche anno or sono, ebbi un colloquio con un noto psicoterapeuta genovese. Mi disse una frase che mi colpi’, ma in fondo pote’ farlo proprio perche’, come spesso accade, quella frase “era gia’ dentro di me”, seppure inespressa in parole: “Chi e’ troppo buono, si attira le cattiverie del partner”.
Cosa voleva dire? Che chi – per quieto vivere o perche’ ingenuamente pensa davvero che si possa sempre evitare lo “scontro” – e’ troppo “accomodante”, finisce spesso per innervosire il partner che magari ha invece bisogno dello scontro verbale per tirare fuori qualcosa che cova pericolosamente dentro di lui e che non riesce ad esprimere serenamente. Il “rifiuto” del partner a “dialogare” con queste modalita’, viene percio’ percepito come un “fare orecchie da mercante”, come mancanza di carattere o, come dice il Rabbino nel racconto, addirittura come altezzosa virtuosita’. E cosi’, quello che potrebbe essere risolto con un innocuo litigio chiarificatore, rischia di trasformarsi in una sorta di tragedia emotiva che travolge entrambi e rischia di essere difficilmente recuperabile.
Recentemente ho capito che le persone “di polso” non sono necessariamente quelle che alzano la voce, e’ vero, ma sono comunque quelle in grado – in caso di necessita’ – di intavolare un discorso e prendere decisioni grevi, anche sapendo che queste potrebbero non essere apprezzate scatenando cosi’ reazioni indesiderate.
Meglio ingaggiare una battaglia una tantum che arrivare ad una guerra dalla quale difficilmente qualcuno torna vincitore.
Purtroppo è di questi giorni l’enorme tragedia del Giappone, devastato da uno spaventoso terremoto, dal conseguente maremoto e, infine, sull’orlo del disastro nucleare. Più vicino a noi, abbiamo il calderone arabo del mediterraneo, con gli sconquassi politici e il dramma di popolazioni che devono subire l’ira dei loro tiranni. Infine, in casa nostra, non ha termine quella che sta diventando una pantomima tra le diverse forze (forze?) politiche.
Tutti questi avvenimenti, più altri che francamente mi vergogno di citare (vedi veline-sì, veline-no :-o), hanno scatenato nuvole di accaniti sostenitori o detrattori di questa o quella parte (nucleare, missioni all’estero, Berlusconi, eutanasia, ecc.).
Niente di strano fin qui, da sempre grandi temi (che spesso non sono affatto proporzionati in termini di importanza) scatenano opinioni e giudizi spesso contrastanti; la pluralità di punti di vista non è mai negativa in democrazia.
Quello che è strano, almeno per quello che vedo e sento attorno a me, è che, di qualunque campo si tratti, pare essere scomparsa la via di mezzo e, con essa, la capacità di ragionare con la propria testa.
Nessuno ha più dubbi. Nessuno pare fare riflessioni proprie, ognuno “assorbe” quello che ha sentito dire dalla parte che esso ha “sposato”, ha fatto propri gli slogan di questi e il massimo che riesce a fare è promulgarli in giro. L’unica cosa che conta, parrebbe, non è più il contenuto del messaggio, ma quanto colore, enfasi o tono si riesce a dare ad esso 😦
Ovviamente non esiste nemmeno il dialogo, perché nessuno è davvero aperto ad ascoltare cosa l’altro ha da dire, né, tantomeno, a valutare se esiste la possibilità di avere torto. In fondo nessuno ha la verità in tasca, anzi spesso non esiste nemmeno un’unica verità. Ma tant’è nessuno pare porsi il problema della propria, normale, fallibilità.
Ecco, tra tutte le cose che personalmente mi infastidiscono di più, quella principe è notare che nessuno appare più disposto al dialogo. Si sposa una linea, e non per ragionamento, ma bensì perché quella è la linea tenuta dalle persone alle quali ci si è “affidate” un tempo (e già questo non dovrebbe esistere, non a priori, non per sempre), e la si tiene a testa bassa, qualunque cosa succeda o venga detta.
Non si vede più, non si ascolta più, non si ragiona più. Si obbedisce e basta. Che sia a “questo” o a “quello”, non importa. La gente sembra solo avere bisogno di un galletto dalla voce altisonante, un “condottiero” al quale affidarsi. E infatti non è un caso che personaggi di dubbio spessore abbiano oggi tanto successo. Almeno fino a quando non arriva il galletto successivo che grida a voce più alta. Poco importa se quel galletto è una persona fisica, un giornale, una trasmissione, una linea politica.
Tutti o quasi ci diciamo contrari agli assolutismi, pero’ di fatto è proprio questo che la maggioranza di noi fa: sceglie una volta – anzi forse non sceglie nemmeno, è qualcosa che ha “ereditato” – dopodiché non è più disposto ad ascoltare, almeno a valutare, alcuna diversa ragione. E non è assolutismo questo? 😐
Parliamo tanto di libertà, ma siamo noi stessi a scegliere la nostra schiavitù.
L’importanza di mantenere il dialogo di Paulo Coelho
La moglie del rabbino Iaakov era considerata da tutti i loro amici una donna molto difficile: con qualsiasi pretesto iniziava una discussione. Iaakov, però, non rispondeva mai alle provocazioni. Fino a quando, al matrimonio del loro figlio Ishmael, mentre centinaia di invitati stavano festeggiando allegramente, il rabbino cominciò a offendere sua moglie, ma in maniera tale che tutti, alla festa, potessero accorgersene.
“Che cosa è successo? – domandò un amico di Iaakov, quando gli animi si furono rasserenati – Perché hai abbandonato il tuo costume di non rispondere mai alle provocazioni?”.
“Guarda com’è più contenta”, sussurrò il rabbino, indicando sua moglie. In effetti, ora sembrava che la donna si stesse divertendo alla festa.
“Ma avete litigato in pubblico. Io non comprendo né la tua reazione, né la sua”, insistette l’amico.
“Alcuni giorni fa, ho capito che ciò che più turbava mia moglie era il fatto che io mantenessi comunque il silenzio. Agendo così, sembrava che la ignorassi, che prendessi le distanze da lei con sentimenti virtuosi e la facessi sentire meschina e inferiore. Visto che l’amo tanto, ho deciso di fingere di perdere la testa davanti a tutti. Così lei ha capito che io comprendevo le sue emozioni, che ero uguale a lei, e che ancora voglio mantenere il dialogo”.
Mi sono servito di un altro breve racconto di Coelho per parlare del potere del Dialogo.
Qualche anno or sono, ebbi un colloquio con un noto psicoterapeuta genovese. Mi disse una frase che mi colpi’, ma in fondo pote’ farlo proprio perche’, come spesso accade, quella frase “era gia’ dentro di me”, seppure inespressa in parole: “Chi e’ troppo buono, si attira le cattiverie del partner”.
Cosa voleva dire? Che chi – per quieto vivere o perche’ ingenuamente pensa davvero che si possa sempre evitare lo “scontro” – e’ troppo “accomodante”, finisce spesso per innervosire il partner che magari ha invece bisogno dello scontro verbale per tirare fuori qualcosa che cova pericolosamente dentro di lui e che non riesce ad esprimere serenamente. Il “rifiuto” del partner a “dialogare” con queste modalita’, viene percio’ percepito come un “fare orecchie da mercante”, come mancanza di carattere o, come dice il Rabbino nel racconto, addirittura come altezzosa virtuosita’. E cosi’, quello che potrebbe essere un innocuo litigio chiarificatore, rischia di trasformarsi in una sorta di tragedia emotiva che travolge entrambi e rischia di essere difficilmente recuperabile.
Recentemente ho capito che le persone “di polso” non sono necessariamente quelle che alzano la voce, e’ vero, ma sono comunque quelle in grado – in caso di necessita’ – di intavolare un discorso e prendere decisioni grevi, anche sapendo che queste potrebbero non essere apprezzate scatenando cosi’ reazioni indesiderate.
Maglio ingaggiare una battaglia una tantum che arrivare ad una guerra dalla quale difficilmente qualcuno torna vincitore.