Le anime devono essere lasciate libere

LE CONTRADDIZIONI DEL CAMMINO
di Paulo Coelho

StradeIn uno dei suoi rari scritti, il saggio sufi Hafik parla della ricerca spirituale. «Accetta con saggezza il fatto che il Cammino è pieno di contraddizioni. Ci sono momenti di gioia e disperazione, di fiducia e mancanza di fede. Così come il cuore si espande e si contrae per continuare a battere, spesse volte il Cammino nega se stesso, per stimolare il viaggiatore a scoprire ciò che esiste al di là della prossima curva».
«Se due compagni di viaggio stanno seguendo lo stesso metodo, ciò significa che uno di essi è sulla pista falsa. Perché non ci sono formule per raggiungere la verità del Cammino, e ciascuno deve correre i rischi dei propri passi. Solo gli ignoranti cercano di imitare il comportamento degli altri. Gli uomini intelligenti non perdono il loro tempo con questo, e sviluppano le proprie abilità personali; sanno che non esistono due foglie uguali in una foresta di centomila alberi. Non esistono due viaggi uguali nello stesso Cammino».

 



Commento di Wolfghost: Quante persone credono di conoscere il “giusto percorso” non solo per se’ stesse ma addirittura per il prossimo? Quanti genitori non lasciano liberi i figli credendo di poter risparmiare loro gli errori in cui tutti incorrono inevitabilmente prima o poi, e attraverso i quali imparano? Chi non sbaglia prima lo fara’ quasi sempre dopo… e con meno tempo per recuperare. Quanti credono che il fatto di aver commesso terribili errori dia loro il diritto di guidare la vita altrui? Quanti falsi maestri se la prendono se qualcuno non sceglie il loro stesso percorso? Quanti artisti pretendono che la vera arte sia solo la loro?

Vanno bene le indicazioni, vanno bene i consigli, va bene l’informazione, ma che sia chiaro che ognuno ha il diritto di decidere della propria vita con la propria testa.
Perfino sbagliando.

“Ma non pretendere, o tu che tenti di modulare l’arpa, che altri si accordino con te. Le anime devono essere lasciate libere di vibrare come vogliono, perché ogni musica è adatta all’espressione di quella coscienza.” (Raphael)

Road

 

 

Chi ha spostato il mio formaggio?

Chi ha spostato il mio formaggio“Chi ha spostato il mio formaggio?” è un libro di Spencer Johnson di straordinario successo negli Stati Uniti: scritto ormai diversi anni fa, è arrivato a innumerevoli ristampe ed è stato a lungo tra i libri più letti.
E’ molto breve, si può leggere in una giornata o forse in una serata; io ci misi un po’ di più perché lessi la versione americana “Who moved my cheese?” che, essendo in inglese non-tecnico, mi richiese qualche ora in più 🙂

E’ molto semplice in fondo, non dice nulla di straordinario e non troverete in esso alcun miracoloso segreto, molti di voi lo troverebbero simpatico… ma banale.
Perché allora tutto questo successo? Perché le banali pillole di saggezze che elenca, e che tutti noi siamo supposti conoscere… spesso le abbiamo completamente dimenticate.

Di che tratta? Bé, essendo un libro americano non può che parlare di cambiamento. Esattamente della capacità di “annusare” il cambiamento non appena arriva o, ancora meglio, prima che ci piombi addosso.

Riporto un estratto della recensione che potete trovare qui: it.geocities.com/claupalm/Testi/Recensioni/spostato_formaggio.html

E’ un libretto che si legge in pochissimo tempo, una favola. Sì, proprio una favola, tanto che la si può leggere anche ai bambini divertendoli con le avventure di due topolini, Nasofino e Trottolino, e di due gnomi, Tentenna e Ridolino che vivono in un Labirinto.

Per nutrirsi ed essere felici i quattro protagonisti di questa storia hanno bisogno di Formaggio. Per questo loro vagano nel Labirinto fino a che riescono a scovare un deposito in cui ciascuno trova il tipo di Formaggio che lo soddisfa di più.

La vita, grazie all’abbondanza di Formaggio, scorre tranquilla anche se lo stile con cui i topi e gli gnomi la affrontano e’ diversa. I topolini vanno ogni giorno al deposito del Formaggio, ma sono sempre all’erta. Notano i cambiamenti e tengono sempre le loro scarpine da ginnastica attaccate al collo per essere pronti all’esigenza di dover ricominciare a correre per cercare.

Gli gnomi invece cominciano a fare del deposito di Formaggio un posto dove sistemarsi e vivere confortevolmente le loro giornate. Arrivano con calma, sistemano le loro scarpine bene in ordine, cominciano a decorare il magazzino con delle scritte che lo rendano familiare, e si considerano arrivati ora che quell’enorme e apparentemente inesauribile riserva di Formaggio e’ a loro disposizione.

Ma un giorno qualcosa cambia. Il Formaggio comincia a diminuire finché si esaurisce del tutto. I topolini, che avevano già intuito i segni di questo cambiamento, partono subito e si tuffano nel Labirinto alla ricerca di un nuovo deposito di Formaggio.

Per gli gnomi le cose vanno diversamente. Da bravi abitudinari essi continuano a tornare ogni mattino al magazzino aspettandosi che, una volta entrati, tutto sia tornato come prima. Sperano che il Formaggio ritorni e invece di cambiare il loro comportamento e darsi da fare, rimangono bloccati a sperare che gli venga restituito ciò che avevano.

Non voler vedere il cambiamento, non volerlo affrontare per timore di un domani che non conosciamo, per non perdere ciò che abbiamo o che addirittura non abbiamo più, è spesso molto più dannoso del cambiamento stesso. Può portarci alla rovina, a volte oltre al punto di non ritorno. E questo non vale solo nel lavoro o negli affari, ma in tutti i campi della vita, dalle relazioni alla salute, nostra e altrui.

C’è qualcosa che state facendo finta di non vedere o che proprio non volete affrontare? 😐 Non state a prendervela contro chi vi ha spostato il formaggio o a pretendere che vi venga restituito: infilate le vostre scarpette e cercatene di nuovo! 🙂

formaggio

 

Il blog cambia rotta…

Julius accanto al PCRieccoci così alla solita ora tarda, ormai è da troppo tempo che mi ritrovo a scrivere in piena notte e la stanchezza e il sonno iniziano a farsi pesanti. Perfino Julius, qua al mio fianco, inizia ad avere gli occhietti pesanti e sembra chiedermi “Ma che ci fai ancora in piedi?” 😛 Per fortuna tra poco avrò qualche giorno di festa e, seppure con qualche impegno già preso, spero di poter riposarmi un po’ 🙂
Come ho spesso avvisato, sia qui che sui blog amici, è un periodo molto intenso per me lavorativamente parlando, e tra l’altro arriva al termine di una serie di anni difficili, a tratti drammatici.
La mia vita è sempre stata un po’ ciclica: a periodi intensi, vissuti perennemente di corsa con grande profusione di tempo ed energie, se ne alternano altri che, apparentemente, mi servono per recuperare; periodi nei quali sento la necessità di ritrovare la calma, la serenità e, magari, qualche risposta ad antiche domande mai completamente risolte.
Non è un caso se proprio in questo periodo avverto un forte richiamo a pratiche che furono, molto tempo fa, un po’ i miei primi amori, come la meditazione e lo yoga, mentre andare in palestra – ad esempio – mi diventa alquanto pesante.
Ho profuso molto anche nel mondo dei blog, sia sul mio che “altrove”, e non vi nascondo che a volte ho proprio sentito di esagerare. I contatti si sono moltiplicati, sono divenuti centinaia, e tenerli è diventato sempre più difficile e oneroso anche per la concomitanza del boom lavorativo, sia in termini di impegno che temporali.
A volte mi interrogo sulla mia scelta di ampliare il numero dei contatti, piuttosto che mantenerne solo alcuni. Perché averne tanti, alla fine, significa o avere tanto tempo a disposizione, ed io non l’ho più, oppure non riuscire più a seguire nemmeno quelli maggiormente affini. E questo un po’ dispiace, ovviamente.
Tuttavia l’idea iniziale prevedeva l’intenzione di rendere il mio pensiero il più possibile aperto, in modo da avere la massima condivisione e il maggior numero di punti di vista possibile. In un certo senso è difficile capire se tale scelta sia più egoista o altruista. Molte persone si sono via via offese per questo, ma molte di più non sarebbero mai arrivate qua, e sono dell’avviso che è il cambiamento, il rinnovamento, la vera fonte della crescita. La “parola” che farà traboccare il vaso, che ci spingerà verso il definitivo cambiamento, può arrivare da chiunque ed anzi, in genere, io l’ho sempre ricevuta da chi non mi aspettavo o da chi nemmeno conoscevo.
Alla fine, comunque, è davvero difficile trovare la famosa “via di mezzo”.
Però ora sono stanco, ho desiderio di ridirezionare le mie vele verso temi più “intimistici”, un po’ come in fondo avevo anche scritto nel profilo di “Wolfghost” 🙂 Non ho nemmeno bisogno, infatti, di chiudere il blog – come va di moda fare – e aprirne un altro: mi basta riscoprire lo spirito con cui lo aprì nel settembre 2007. I miei post cambieranno, in corrispondenza di un cambiamento che è già in atto nella realtà (niente di drammatico: tutti cambiamo, la differenza è esserne o meno consapevoli). E, se avrò almeno un poco di tempo, cambierà probabilmente anche il template (ma questo non è importante).

Senza scordare l’impegno ulteriore preso al momento di fondare il blog parallelo www.adottauncucciolo.net che voglio, anch’esso, si evolva, non parlando più solo di adozioni ma anche riportando post informativi e, quando è il caso, di denuncia. Ricordo che al blog Adotta un Cucciolo chiunque può chiedere di partecipare, se ha acqua da portare in favore dei nostri piccoli amici animali.

Io non trattengo nessuno. Non mi sono mai offeso se qualcuno ha preferito “voltarsi altrove”, anche questo fa parte della visione pluralistica della condivisione. Magari è potuto dispiacermi, questo sì, ma fa parte del percorso. Spero onestamente che nessuno si offenderà se sarò meno presente, soprattutto “altrove”, come d’altronde, per necessità, è già avvenuto.
Ma… bé, voi non potete vedermi, ma ho appena dato un’alzata di spalle, perché, alla fine, se fare contenti gli altri significa rendere scontenti sé stessi… non è nemmeno più una vera scelta.
E se qualcuno non capisce… onestamente non so cosa farci. Il blog sta virando.

Come diceva un mio vecchio amico… Buona Vita a tutti, e – per chi ci sarà – a presto 🙂

Wolfghost

Cambio di rotta

 

Lettera a una persona forte… che non sa di esserlo

Stasera voglio riportare qua la lettera in risposta ad una persona forte… ma che probabilmente non si rende conto di esserlo. Il suo racconto, che ovviamente ometto, mi ha toccato perché è il racconto di una persona che è passata tra mille difficoltà, le ha superate, e adesso chiede solo di andare “oltre”, lasciandosele alle spalle.

Credo che anche se non se ne rende conto, è lei a poter essere di esempio per tante persone tra di noi che si sono lasciate atterrare, spesso troppo presto, dalle difficoltà della vita.


Ciao T. 🙂

Grazie di avermi scritto, credo tu mi abbia raccontato cose molto personali delle quali, sono certo, non parli spesso. E’ vero: certamente una parte l’ha avuta il fatto di sapere che sono “un esterno”, qualcuno che non ti conosce, con il quale perciò puoi confidarti liberamente, ma… lo prendo anche come segno di stima 🙂

Molti di noi hanno avuto una vita difficile, è vero, ma la tua è stata davvero drammatica: onestamente credo tu abbia fatto quanto nelle tue possibilità, fare di meglio sarebbe stato oggettivamente molto, molto difficile.

Adesso… capisci quanto sia privo di senso chiedermi “dove sbaglio?”, vero? 🙂 Tu non hai sbagliato nulla, anzi ammiro il tuo spirito di reazione, uno spirito che ti ha fatto sopravvivere alle difficoltà. Molti al posto tuo si sarebbero arresi allo sconforto, alla sfiducia non solo nelle persone (e credimi, ti capirei), ma perfino nei confronti della vita stessa. Ma tu sei rimasta in piedi e continui a cercare quella felicità, o almeno quella serenità, che non hai mai avuto.

Da questo devi ripartire, dal riconoscere la tua forza, il tuo coraggio, dal prendere coscienza che è stata proprio quella insoddisfazione che senti, a impedirti di lasciarti andare, essa è la tua anima che ti sta dicendo che tu non sei fatta per vivere così, che meriti di più.

E, certamente, se sei andata avanti nonostante tutto, quel “di più” lo puoi ottenere.
Credici, e lo farai 🙂

Quindi scordati i sensi di colpa e di autocommiserazione, che proprio non hanno senso di esistere, e… pensa solo a vivere, a godere della vita, perché chi ama la vita, nonostante tutto, la strada prima o poi la trova… sempre 🙂

falco

 

Una canzone, una fede.

Questa canzone, di Schiller, il nome di un “progetto musicale tedesco” (lo so, suona strano) pressoché sconosciuto da noi, mi colpì fin da subito. Ve la voglio proporre in due versioni: quella del video (per me meno bella) e quella solo-audio.
Sebbene una volta, cambiando qualcosa nel testo, la dedicai a una donna che non è più con me (sono un romanticone, che ci volete fare! :-D), questa canzone per me rappresenta la vera fede: in essa non viene mai pronunciato il nome di un dio – che sia esso Gesù, Buddha, Allah, il Grande Spirito, l’Universo, la Natura o dir che si voglia – eppure il collegamento con l’energia, lo spirito, che anima il mondo, fuori da noi e dentro di noi (è lo stesso poiché non vi è differenza), è sempre presente, così come dovrebbe esserlo in ogni secondo della nostra vita… Ognuno dia pure ad esso il Nome che desidera 🙂
E’ insomma un inno alla Vita.

Per chi non conosce l’Inglese, allego testo e traduzione (mia).

I feel you
Ti sento
I feel you
Ti sento

In every stone
In ogni pietra

In every leaf of every tree
In ciascuna foglia di ogni albero

That you ever might have grown
Che tu abbia mai potuto crescere

I feel you
Ti sento

In everything
In ogni cosa

In every river that might flow
In ogni fiume che possa scorrere

In every seed you might have sown
In ogni seme che tu possa aver seminato

I feel you x5
Ti sento (x5)

I feel you
Ti sento

In every vein
In ogni vena

In every beating of my heart
In ogni battito del mio cuore

Each breath i take.
Ogni respiro che faccio.

I feel you,
Ti sento,

Anyway,
In ogni modo,

In every tear that I might shed
In ogni lacrima che possa aver pianto

In every word i`ve never said
In ogni parola che possa aver mai detto

I feel you 5X
Ti sento (x5)

In every vein
In ogni vena

In every beating of my heart
In ogni battito del mio cuore

In every breath I ever take
In ogni respiro che abbia mai fatto

I feel you
Ti sento

Any way
In ogni modo

In ever tear that i might shed
In ogni lacrima che possa aver pianto

In every word i`ve never said
In ogni parola che abbia mai detto

I feel you x5
Ti sento (x5)

I feel you
Ti sento

sunset2

 

Devil deve vivere

03/01/2009, aggiornamento: Devil è salvo!! La sanità abruzzese si è impegnata a “cederlo alla presidentessa nazionale della Lav o a una persona idonea e qualificata da lei delegata”.
Alleluia! 😉

 



Sicuramente tutti avrete sentito nei giorni scorsi parlare della tragedia del giardiniere attaccato e ucciso da un cane che ben conosceva: questo cane, un rottweiler di una certa età, abita, o per meglio dire abitava, in una casa con uno dei giardini che veniva curato proprio da quella sventurata persona e non aveva mai dato problemi. L’ipotesi più accreditata è che il giardiniere, entrato nel giardino come faceva da anni, si sia chinato e il cane, a causa dei problemi di vista e olfatto legati all’età, l’abbia scambiato per un qualche animale.
Il proprietario del cane ha chiesto per primo l’abbattimento del cane, cosa che appare quasi inevitabile.

Premesso l’ovvio dispiacere e l’assoluto rispetto per la persona uccisa… mi chiedo il senso di giustiziare il cane.

Io parlo spesso di perdono, e certamente lo applico a maggior ragione a un animale che non sa, ovviamente, quel che sta facendo, nel senso che non ha il concetto di “bene e male” che abbiamo noi, agisce per istinto, non con quella preterintenzionalita’ tipica dell’essere umano. Anzi, qui non si tratta nemmeno di perdono, ma di comprensione della natura istintiva del cane.
Con questo, riconosco certamente che un animale (così come un uomo) che abbia dimostrato di essere pericoloso vada messo in condizione di non ripetersi. Però… c’è modo e modo. Non posso credere che con tutti i soldi che buttiamo dalla finestra non sia possibile far vivere questo cane in un posto sicuro, dove non possa più fare del male. Abbatterlo significa aver recepito il termine “umanità” come sinonimo di specie superiore, con potere di vita e di morte su tutte le altre specie, anziché col significato di specie dotata di spiritualità e comprensione; almeno quel minimo necessario a capire che togliere una vita è sempre inutile.
Così come sono contro la pena di morte (salvo in rarissimi casi), credo che abbattere un cane non serva a nulla. Perché? Perché perfino per gli uomini, non si uccide quasi mai per motivi di “sicurezza” (per questo esiste l’ergastolo), lo sappiamo tutti, piuttosto per dare un segnale, un avvertimento a chi rimane che dice “Vedete? Se fate come lui, farete la stessa fine!”.
Adesso… crediamo davvero che gli altri cani si spaventeranno perché Devil è stato ucciso? Non scherziamo.
E allora a che serve? Come atto consolatorio e per quella parte di opinione pubblica che reclama “giustizia”. Ma non si uccide per questi motivi.

Devil ha 11 anni e qualche acciacco. Probabilmente non ha tanti anni davanti a lui, e certamente è un peccato che viva il resto della sua vita in un recinto o, peggio, in gabbia. Ma niente è prezioso come la vita. Anche per un cane.

Le ultime parole sono per coloro – sempre ce ne sono – che si scandalizzano quando, di fronte alla morte di una persona o più in generale alle difficoltà degli esseri umani, si cerca di spezzare una lancia in favore degli animali. Come se, chi protegga un animale sia contro l’uomo.
Ognuno ha le sue opinioni naturalmente, ma la persona che si fa vedere “perbene” perché non perde occasione di sottolineare che la vita di un essere umano vale più di quella di un animale e cerca di dimostrarlo dicendo che opporsi all’abbattimento dell’animale significa mancare di rispetto all’uomo ucciso, sta cercando in realtà di rinfocolare il più classico degli scontri: animalisti da un lato e “umani superiori” dall’altro.
Io sono certo che perfino il pover’uomo ucciso sarebbe contrario all’abbattimento del cane, che conosceva fin da cucciolo.
Io sono certo che nessuno qua dentro ritiene che la vita di un uomo valga meno di quella di un animale.
Io sono certo che solo chi cerca di mettersi in mostra rinfocolando la visione dell’animalista come persona che disprezza la vita umana, sia da biasimare. Perché sta giocando su una dicotomia che non esiste e lo fa in un momento, per di più, drammatico. E’ questo, casomai, non rispettare chi non c’è più.

Io, ad esempio, amo gli animali, ma amo anche le persone, perché amo la vita.

Chi è d’accordo, se vuole, può esprimerlo verso il comune di S. Giovanni Teatino, e alla ASL di Chieti, affinché la vita di Devil sia risparmiata.

ufficio.sindaco@sgt.ch.it

urp@aslchieti.it

segreteria.dirsan@aslchieti.it

Rottweiler(foto da internet, non è Devil)

 

Il disegno della Natura

Colgo l’occasione di riflessione datami da un post di Asoka nel suo blog sclerocardia (un bel blog, tratta di svariati temi, dalla protezione animali alle filosofie, orientali e non), per riportare qui, un poco modificato, un mio commento. L’argomento è semplicissimo: lo scopo, il fine ultimo della nostra vita, come disegno di qualcosa di più grande. Semplice, no? 😛
Quella che vado a proporre è una visione dove non si fa cenno alle eventuali "vite dopo le vite", ma non è detto che l’una escluda l’altra: forse il fine ultimo della Natura e quello, spirituale, nostro, si intersecano e si complementano… si sovrappongono.

Leonessa e leoncinoE’ mia opinione che, a noi singoli individui, questo è quanto ci è "richiesto" dalla Natura: vivere, nel bene e nel male, possibilmente sempre nell’ambito di un contesto naturale. Nulla più, nulla meno.
Il "disegno" che spesso non vediamo, lo abbiamo proprio davanti ai nostri occhi e non è difficile scorgerlo: è l’evoluzione, è dove la Natura sta portando noi e le altre specie (sempre che continueremo a permetterglielo non distruggendo lei e noi stessi, ma forse pure questo fa parte del disegno della Natura… chissà!). Quello che per la Natura conta, è quella l’evoluzione che trova espressione nella crescita della specie. Per questo esiste la morte: se non ci fosse, non sarebbe possibile per la specie evolvere, poiché saremmo sempre gli stessi, sempre uguali. Anzi, saremmo ancora le amebe primordiali che popolavano le acque. Nei piani della Natura non c’è spazio per l’eternità, tutto deve essere caduco, deve nascere, portare il suo contributo, e poi morire. La morte è necessaria. Ma finché non c’è… alla Natura serviamo vivi e, possibilmente, belli svegli 😉
E’ semplice in fondo, non è vero?  🙂

Il "problema" è che l’individuo, il singolo animale, la singola pianta, il singolo sasso, sono sacrificabili in questo disegno della Natura. Per questo esistono, oltre la morte, le malattie, anche le più terribili. Fateci caso: finito il periodo della riproduttività, il rischio di malattia e morte inizia ad aumentare rapidamente, questo perché alla Natura non serviamo più ed anzi dobbiamo lasciare spazio ai nuovi arrivati.
E’ ovviamente triste sentirsi una pedina sacrificabile, ma… ci è dato di vivere una vita: questa. E non è poco. Il massimo che possiamo fare è viverla così come desideriamo viverla.

E già questo è tutt’altro che facile. Perché spesso, quando lo realizzi, ne hai già buttato via una buona parte e l’inerzia delle abitudini decennali che hai assunto, rischiano di farti buttare via anche ciò che ne rimane…

Non è peccato morire, peccato è non vivere. Almeno secondo la Natura.

Un nuovo giorno nel cielo

Distacchi

mano apertaIl titolo di questo post doveva essere “lasciare andare”, ma… mi sono accorto che l’avevo già scritto a gennaio, eccolo qui: Lasciare andare. E’ un gran bel post, sapete? ahahah mi faccio i complimenti da solo! 😀 Naturalmente però lo è anche grazie alle persone che all’epoca intervennero a lasciare i loro commenti 😉

Il fatto è che certe cose nella vita sono cicliche e prima o poi tornano, sempre. Per cui non mi stupisce averne già parlato, e più di una volta, seppure in forma diversa.

Che si parli di un amore finito, di un’amicizia persa, della perdita di un lavoro, dell’impossibilità di proseguire in un hobby che amiamo, per arrivare all’estremo saluto ai nostri cari che ci lasciano, siano essi familiari, amici sentiti o perfino amati animaletti domestici… i distacchi costellano le nostre vite, ne fanno parte: possiamo batterci fino alla fine per evitarli, ma a volte, semplicemente, non è possibile riuscirci, si può solo imparare ad accettarli e a gestirne il dolore che ne deriva nel migliore dei modi possibili.

Credo che ognuno di noi abbia dentro di sé un meccanismo innato, di difesa, di rinascita, che lo fa sopravvivere, che gli fa rialzare la testa. Ogni volta. E’ mia convinzione che in fondo non sia facile morire, sia fisicamente che in senso lato, sapete? Se solo siamo pronti ad accettare ciò che è avvenuto, la perdita che abbiamo subito, se solo siamo pronti a girarci un’ultima volta, a dare un ultimo abbraccio, a dire un “addio” sincero, convinto, a chi o cosa lasciamo ma soprattutto a quella parte di noi che vorrebbe ancora rimanere lì, attaccata a qualcosa che non c’è più, e poi girarci verso il futuro e la vita che ancora ci attendono… la Natura che è dentro di noi, ci aiuta a rinascere. Ancora una volta.

E poco importa cosa c’è nel nostro domani, certamente, se ciò che abbiamo perso non è più con noi, rimanere aggrappati al passato che lo rappresenta, sarebbe immensamente peggio che affrontare un avvenire che ancora non conosciamo.

Non abbiamo bisogno di lezioni, né di manuali o di facili ricette. Abbiamo solo bisogno di accettare di lasciare andare quella esperienza, per quanto possiamo averla amata.

Voglio chiudere questo post in maniera simpatica, perché la vita, non dimentichiamocelo, ha anche belle cose da offrirci, e… allora vi faccio salutare dai miei cari Julius e Sissi 🙂

Julius divanoSissi letto

 

 

Austerlitz di Sebald – Recensione e commento di giuba47

Austerlitz di Sebald
Recensione e commento di giuba47
Blog: Pensare in un’altra luce

AusterlitzWinfrid Georg Sebald è nato nel 1944, ha lasciato la Germania a venticinque anni non potendo più tollerare quel silenzio con il quale la generazione dei padri continuava a nascondere i crimini e le sofferenze provocate dal nazismo e da una guerra devastante, incapaci di confrontarsi con un passato.
Emigra quindi in Inghilterra, dove insegna letteratura tedesca fino alla morte, avvenuta nel dicembre 2001. Aver lasciato, però, la sua terra natia non ha voluto per lui dire dimenticare, voltar pagina, ma al contrario ripercorrere vicende che hanno lasciato segni e ferite indelebile in chi le ha vissute.

Le tragedie del ‘900, soprattutto quelle tedesche, vengono riviste con gli occhi di chi le ha subite o di chi ne è scampato, come in alcuni racconti degli Emigrati oppure, come nel caso di Jacques Austerlitz, di chi cerca di ricomporre la propria identità ricostruendo la storia della propria origine, ma che continuamente si scontra con la difficoltà della memoria di mantenere in vita ciò che invece va dissolvendosi nella dimenticanza.

“Persino adesso che sto cercando di ricordare – dice Austerlitz – (..) l’oscurità non si dirada, anzi si fa più fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadano incessantemente nell’oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per così dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi ed oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno…”

Sebald non è ebreo ma ugualmente parla delle vittime del nazismo descrivendo non raccontando tanto le atrocità da loro subite nei lager, quanto le conseguenze, soprattutto psicologiche che col tempo invece di alleviarsi si fanno più acute (e mi viene da pensare al nostro Primo Levi): i personaggi di Sebald, infatti, soggiacciono al potere di una “memoria inesorabile”. La memoria è, per questo scrittore, una facoltà sempre problematica, necessaria e dolorosa allo stesso tempo, perché se da un lato favorisce la costruzione della sua identità, dall’altro può metterne in pericolo il suo equilibrio psichico.

Strappato ai genitori durante l’invasione nazista della Cecoslovacchia e spedito in Inghilterra insieme ad altri bambini, Austerlitz cerca faticosamente di ricomporre la sua storia dopo anni di buio totale. E il passato si ricompone lentamente straziante e implacabile. Il percorso individuale di Austerlitz diventa per Sebald l’occasione per una riflessione sulla Storia, sulla natura del tempo, sull’evanescenza e sulla perennità del passato, sulla lacunosità della conoscenza.

Nei suoi lunghi monologhi alla presenza del narratore, Austerlitz ripercorre la sua storia, a cominciare dall’infanzia passata in Galles nella casa del predicatore Elias. Nel collegio dove va a studiare gli viene rivelato il suo vero nome – fino ad allora aveva creduto di chiamarsi Dafydd Elias; ma non trova nessuna indicazione sulla sua vera famiglia. Solo quarant’anni più tardi, nel 1998, riesce a ritrovare la sua balia a Praga, che gli racconta la storia della sua famiglia, come prima dell’arrivo delle truppe tedesche egli sia stato caricato su di un treno verso l’Inghilterra, come il padre sia riuscito a fuggire a Parigi e la madre sia stata invece deportata a Theresienstadt, perché ebrea.
Però il bambino resterà segnato per sempre. Potrà studiare o viaggiare quanto vorrà, ma sulle spalle porterà sempre il peso di una immensa solitudine.

E, quando riaffiorerà il ricordo del momento in cui sarà costretto ad abbandonare la sua famiglia per salvarsi da una morte sicura, sarà un momento molto doloroso:

“Ricordo soltanto che, nel vedere il bambino seduto sulla panca, divenni consapevole con un’angoscia sorda, della devastazione sorda, della devastazione che l’abbandono aveva prodotto in me dei lunghi anni passati, e una stanchezza spaventosa mi assalì al pensiero di non essere mai stato veramente in vita o di essere venuto al mondo solo allora, per così dire alla vigilia della morte”.

Il ritornare al passato gli restituisce i ricordi ma nello stesso tempo non lo guarisce da quel senso di spaesamento che lo accompagnerà tutta la vita. In uno dei passi più intensi, Austerlitz dice: “Per quanto mi è dato risalire indietro col pensiero, mi sono sempre sentito come privo di un posto nella realtà, come se non esistessi affatto”.

La ricerca del passato diverrà ossessiva, incessante. Visita musei, fa ricerche nelle biblioteche per conoscere tutti i documenti disponibili sul periodo della guerra. Studia attentamente ogni foto, ogni carta disponibile. Poi parte per Parigi e seguita a indagare per avere notizie del padre lì fuggito e, probabilmente, lì deportato.

Questo libro come gli altri libri di Sebald è pieno di fotografie, come se le immagini siano indispensabili a sorreggere le parole. Si sa che alla fine tutto sarà inutile: del passato non rimarrà nulla, della verità, così come dei destini umani, solo qualche frammento. E allora tornano alla mente le possenti fortezze descritte nella prima parte del romanzo, molto simili a cattedrali nel deserto.

Quello di Sebald è un romanzo, dolente la cui nota dominante è la malinconia ed il pessimismo.

Certo dovrebbe aiutarci a riflettere come gli eventi storici sono in completa simbiosi con la vita dell’individuo. L’evento storico passa, ma il dolore che ha generato rimane traccia indelebile nella vita delle persone con cui ognuno dovrà fare i conti per sempre.

La storia di Austerlitz mi ha fatto pensare come anche come individui abbiamo responsabilità forti. Se poco possiamo fare per deviare il corso della storia, qualcosa possiamo sempre fare nel nostro microcosmo, anche in epoche così devastanti come il nazismo. Mi è venuto da pensare che se Austerlitz avesse trovato ad accoglierlo un’altra famiglia affettivamente più valida anche la sua vita poteva essere diversa. Austerlitz non è in grado di capire cosa avesse indotto, infatti, la famiglia Elias a prendersi cura di un bambino di quattro anni e mezzo, quel era lui, ma fa, una supposizione. “Privi di figli com’erano, speravano forse di poter contrastare il pietrificarsi dei loro sentimenti”. La sua vita con loro sarà quindi un inferno e aggraverà molto la separazione che aveva subito così traumatica e devastante.



Commento di Wolfghost (è il commento al post originale): Complimenti per l’esposizione! Molto curata e completa, nonostante il breve spazio 🙂
Non ho letto il libro, però da quel che scrivi, a “intuito”, credo proprio che tu abbia ragione: l’ossessione, la perenne malinconia e la solitudine di Austerlitz, non erano state, per così dire, impresse nel suo DNA nei primi anni di vita e a causa di quella separazione, erano nate anche – e oserei dire soprattutto – per una mancanza affettiva e di “presenza” della sua famiglia adottiva.

Venendo più strettamente a cio’ che scrivi, più che al contenuto del libro, trovo molto interessante questa frase: “La memoria è, per questo scrittore, una facoltà sempre problematica, necessaria e dolorosa allo stesso tempo, perché se da un lato favorisce la costruzione della sua identità, dall’altro può metterne in pericolo il suo equilibrio psichico.”
Concordo pienamente ed aggiungo che, nel nostro piccolo, vale per chiunque di noi che abbia un “passato” alle spalle, con le sue separazioni, con i suoi distacchi, con i suoi dolori che la vita sempre riserva, a tutti, ottimisti e pessimisti, solari e oscuri. E’ solo questione di tempo.
Ebbene, credo che non sia facile trovare un equilibrio nel ricordo… E’ facile cancellare, rimuovere, per evitare di soffrire troppo, e così facendo mancare un passo, forse importante, nella propria evoluzione. Ma è altrettanto facile cadere in una malinconia senza via d’uscita, in un lungo tunnel buio nel quale, prima o poi, si finisce per arrendersi alla depressione, alla sofferenza cronica, alla morte dell’anima.
Non è facile.
Io feci la scelta, anni fa, di evitare di pensare coscientemente al passato, a quel passato che non esiste più, nella credenza che ciò che abbiamo da imparare dagli eventi della vita, la impariamo nel momento stesso in cui li viviamo oppure nel periodo immediatamente successivo. Dopodiché bisogna lasciar fare all’inconscio, è lì apposta; continuare a occuparci dei nostri scheletri non solo è inutile, ma disturba il lavoro che è già in atto dentro di noi, potendo addirittura arrivare a vanificarlo.
Ma… questa è solo la mia personalissima opinione e, se devo dire la verità, il terrore che un giorno il mio personale “vaso di Pandora dei ricordi” venga scoperchiato ed io annegato da un’onda anomala di malinconia… esiste eccome.

mano aperta

 

Di notte – un pensiero di redimpression

… ed ecco il secondo dei quattro scritti promessi 🙂

Stavolta non è un racconto e nemmeno una poesia, è piuttosto un semplice ma profondo pensiero, solo apparentemente solcato dalla malinconia; il riferimento al futuro, alla speranza sempre accesa, ne dimostrano il senso costruttivo: non un lento scivolare nella nostalgia, ma piuttosto un ricordare a sé stessi che la vita può essere bella, e immaginare un futuro dove tale sarà.


Di notte
By redimpression
Blog: maipersempre

 

Mi piace di notte tenere accesa una piccola luce.

Non leggo, non guardo la televisione, non dormo.

Non faccio nulla.

Assaporo la solitudine.

Mi sento un ”tutto” dentro uno spazio vuoto.

Pensieri.

Ricordi.

Sensazioni.

Emozioni.

Tutto mi ritorna in mente di notte.

Rileggo la mia vita.

Esploro il futuro.

Sono le due di notte,

e ho una piccola luce accesa…

sempre…

una speranza accesa…

sempre.

 

candela
O.T.: avete visto gli ultimi annunci su www.adottauncucciolo.net? Mi raccomando, se sentite qualcuno che cerca un nuovo e fidato amico… La speranza in una vita migliore è anche per loro! 😉