E’ tanto che non “recensisco” (tra virgolette, perché le mie sono lungi dall’essere vere recensioni) un libro, non perché non legga, ma perché non sempre trovo cose che mi ispirino la condivisione.
“Il nulla è tutto” è una raccolta di discorsi inediti di Sri Nisargadatta Maharaj, un maestro spirituale di Advaita Vedanta, una forma di Induismo che mi piace molto.
Si usa dire che, poiché la verità non può che essere la stessa, le basi delle grandi religioni sono comuni, sono le diverse tradizioni culturali che ne rendono la forma apparentemente diversa. Bene, sebbene questo modo di vedere le cose sia intrigante, non mi trova molto d’accordo. Ciò che è spesso simile è casomai il “metodo”, non la filosofia che sta dietro le diverse religioni. Prendiamo Dio. Per i Cristiani Dio è un essere individuato che tutto ha creato e guidato secondo la sua volontà. Noi possiamo solo affidarci a lui e pregarlo affinché ci redima e salvi (perfino su quanto possiamo fare di nostro, attraverso retto comportamento e opere di bene, c’è poi discordanza all’interno delle stesse correnti cristiane). Non le conosco molto, ma credo che anche Ebraismo e Islam abbiano questa visione. Per il Buddhismo, l’Induismo e il Taoismo, Dio non è un essere individuato, non è un essere pensante che ha voluto il creato e che guida con intenzione, Dio è coscienza universale, è tutto e tutto permea. Quel che c’è, non è una “creazione voluta o donata”, è una “semplice” manifestazione della coscienza universale stessa. Io faccio l’esempio, non so quanto corretto, è una personalissima metafora, dell’acqua in un catino, un’acqua che per suo stesso modo di essere non può che aumentare nel tempo. Ad un certo punto, l’acqua trabocca dal catino e “dona” sé stessa all’esterno: non lo fa come atto di volontà, lo fa perché è sua natura farlo (nota: questi concetti che pensiamo essere nati e presenti solo in Oriente, trovano riscontro anche in un pensiero occidentale ormai antico, ma da cui, qualcuno dice, sono nate anche le confessioni occidentali, vedere Plotino). Noi stessi siamo parte di Dio. Tuttavia i metodi per “percepire” Dio sono comuni: la meditazione e la preghiera, ad esempio, sfruttano il superamento del pensiero e dell’ego arrivando alla trascendenza da sé stessi e perciò, in qualche modo, alla percezione – non mentale! – di quel Qualcosa che tutto è e tutto permea.
Detto questo, Nisargadatta, almeno in questo libro, è di quanto più vicino ci possa essere… all’ateismo occidentale 😀 Infatti, a suo dire, fenomeni come la reincarnazione o la rinascita, sono semplici illusioni del nostro io che non può ammettere di scomparire con la morte. Attenzione però: quello che chiamiamo il nostro io, non siamo noi, noi siamo eterni e immortali essendo parte della Coscienza universale. La Coscienza universale però assomiglia tanto, nel pensiero di Nisargadatta, all’energia che tutto è e tutto permea (anche per la Scienza). Quindi non vi è alcun conflitto, visto che entrambe le “filosofie” sostengono che nulla si crea e nulla si distrugge: noi siamo fatti di atomi, di energia, e atomi ed energia continueranno ad esistere anche dopo la nostra morte o, se volete, la coscienza universale continuerà ad esistere anche quando quella individuale non ci sarà più.
La Salvezza di Nisargadatta perciò non è certo la rinascita del corpo o della mente, ma piuttosto il fatto di riconoscere, assolutamente nel corso dell’attuale vita, che noi siamo coscienza universale, non corpo, mente o coscienza individuale (che pure è fondamentale perché è l’elemento che ci permette di percepire la coscienza universale). E che pertanto siamo eterni e immortali.
Questo è sorprendentemente vicino al modo di pensare che avevo molti anni or sono (e che penso molti tra noi hanno, ad esempio ho scoperto recentemente in una intervista che anche Vasco Rossi ha questo concetto della morte 😀 ). Il vero nocciolo della faccenda è che di fatto noi ci riconosciamo, ci identifichiamo, nel nostro io individuale e sapere che “dopo” saremo sì coscienza universale, ma senza più percezione della nostra individualità, di cosa siamo stati (o abbiamo pensato di essere stati) nonché memorie di cosa abbiamo fatto in questa vita… non pare poi essere così allettante, non è vero? 😀
Questo suppongo accada perché pochi in realtà arrivano a percepire sé stessi (o perlomeno sostengono di farlo) come Coscienza universale. Altrimenti, in fondo, l’io sarebbe anche sacrificabile. Con buona pace di cosa siamo stati o abbiamo creduto di essere in questa vita. Non sorprende che per Nisargadatta questa vita e questa “forma umana” siano fondamentalmente una mera rottura di scatole senza alcun costrutto (anche qui, grande differenza con la stragrande maggioranza dei maestri, per i quali, in forma un po’ consolatoria secondo me, siamo tutti qui per “imparare”).
Il gatto a fianco al libro è Jones, quella sullo sfondo è Numa, anche chiamata affettuosamente… NisardaGatta 😀



Sono assolutamente in sintonia con quanto scritto nelle ultime righe dello scritto della nostra amica: ogni insegnamento, per divenire tale a tutti gli effetti, deve passare attraverso l’esperienza. Anzi, se l’esperienza – cercata o meno che sia – puo’ divenire insegnamento, il puro studio teorico, senza esperienza, no: esso lascia il tempo che trova. Infatti ogni grande maestro che si rispetti ammonisce a non prendere il suo insegnamento pedissequamente, per oro colato, bensi’ a “viverlo” a “sentirlo sulla propria pelle”.
Il libro che piu’ di ogni altro rappresenta il mio pensiero su questo argomento, e’ il bellissimo Siddharta di Hermann Hesse. Immergersi nella teoria, senza fare esperienza – esperienza “vera”, di vita, non meditazioni, pratiche yoga o quant’altro – lascia un senso di vuoto o, peggio, di frustrazione, perche’ si sente che ci si sta impegnando tanto per ottenere poco.


Dovete sapere che sto leggendo assieme a Lady Wolf (poverina, ho coinvolto anche lei in queste amene letture :-D) un libro di Ramesh S. Balsekar, scomparso nel 2009 all’età di 92 anni, che trovo molto interessante: si tratta di “La verità definitiva – un’esposizione organica dell’advaita vedanta”.
Devo dire che il lavoro svolto da questo gruppo e le prove da esso portate sono molto convincenti, anche se, va da sé, un conto è leggerne il libro-testimonianza o vedere il film ad esso dedicato (che riporta tra l’altro anche l’incontro tra il gruppo di Scole e un noto medium italiano – Marcello Bacci – che usava soprattutto la metafonia diretta, ovvero l’ascolto di voci di defunti provenienti da una vecchia radio) un altro deve essere stato presenziare ai loro esperimenti. E’ sempre molto difficile credere, magari cambiando le proprie convinzioni, ad argomenti delicati e di fondamentale importanza come questo solo grazie a racconti di terzi.
cosa siano davvero gli Orbs cambia da persona a persona e da esperto ad esperto. Gli scettici le bollano come riflessi o pulviscolo, o addirittura come malfunzionamenti della circuiteria delle telecamere. Io non posso dire cosa siano, ma escludo che siano sempre riflessi o pulviscolo, poiché a volte si muovono sullo schermo con moto irregolare, cambiando spesso direzione, in un modo che esclude polvere e riflessi nelle condizioni in cui le ho osservate. Sul possibile malfunzionamento, bé, mi domando se sia possibile che tutti coloro a cui accadono di vedere cose come queste abbiano problemi con le loro apparecchiature 🙂 Ma chissà… Tuttavia, ripeto, mi guardo bene dal gridare “all’entità” per questo, è troppo poco, ed altro non ho ottenuto, anche se, a dire il vero, ho provato troppo raramente e non faccio attualmente testo. Se siete interessati a saperne di più sugli orbs, anche l’amica di blog Demetrablu ne ha parlato nel suo blog qualche tempo fa, ecco il suo articolo:
Tornando e concludendo sul gruppo di Scole, ciò che mi ha lasciato perplesso è stato il modo – frettoloso – con cui si conclusero, mi pare nel ’99, gli esperimenti. Ufficialmente furono le entità delle altre dimensioni a chiederlo perché, a loro dire (a mezzo medium), un’altra entità – dal futuro – aveva trovato il modo di inserirsi nella “porta” tra le dimensioni che era stata aperta, e ciò poteva essere molto pericoloso. Di fatto, tutto venne bruscamente interrotto. Una persona scettica potrebbe pensare che… forse le attività erano ormai così di dominio pubblico da richiamare attenzioni così alte da rischiare che qualcosa che non doveva essere visto venisse scoperto. Peccato, perché fino a quel punto il lavoro prometteva davvero bene…
Al di là di credere o meno, di essere o meno interessati, una cosa mi lascia perplesso: le presunte prove sono davvero tante e piuttosto difficili da smontare; come mai l’eco di questi esperimenti è stato così basso? Come mai quasi nessuno ne ha parlato? Sono cose che comunque avrebbero per lo meno meritato ben’altra attenzione, invece sono passate in sordina. E non è la prima volta che capita. Davvero la maggior parte della gente non è interessata e preferisce guardare “Il Grande Fratello” (con tutto il rispetto per chi lo guarda, eh!)? Forse si ha timore di passare per sciocchi creduloni anche solo a parlarne? O forse ci sono interessi a che tutto questo passi il più possibile inosservato?
“Il mattino seguente tenni Cleo chiusa in casa. Sul vialetto, il piccolo tordo giaceva immobile nello stesso punto. I suoi occhi erano spenti, le zampine arricciate in un gesto di stupore. Io ricacciai indietro le lacrime. Sorprendentemente, i genitori stavano ancora facendo la guardia sul cespuglio di camelie e fissavano il figlio ormai morto con incredulità. Non mi ero mai resa conto che gli uccelli potessero provare dolore per i loro piccoli perduti, così come fanno le persone. Ma come aveva detto spesso Sam [il figlio morto], il mondo degli animali è più complesso e bello di quanto gli esseri umani riescano a comprendere.”
“Fuori, al piano terra, attraversai la strada e trovai una piccola chiesa. Rivestita in legno e in stile coloniale, mi ricordava quella in cui da bambina avevo cercato con tanta determinazione di imparare le leggi divine. Tentai di pregare ancora, ma la mia conversazione con Dio fu come al solito a senso unico.
“<<Ne ho passato di belle e di brutte>> diceva [il figlio malato]. <<E credimi, quelle belle sono molto meglio. Solo quando hai assaggiato il pane secco apprezzi veramente quella roba morbida appena uscita dal forno>>”
“Ma anche se la punta della coda rimase indolenzita per il resto dei suoi giorni, Cleo non cercò mai di elemosinare la nostra simpatia. Anzi, si portò in giro la coda ammaccata con il garbato orgoglio di un ufficiale di cavalleria ferito in guerra. Il perdono per una lesione permanente era un processo ovvio per lei, semplice come respirare.
