Perche’ cerchi la gloria, l’applauso, il consenso, l’amore degli altri, la sicurezza emotiva, la distinzione? Perche’ ti condanni ad elemosinare un sorriso, un’amicizia, il sesso e la compiacenza di qualcuno, quando esiste una condizione di Essere come quella del sole che vive del proprio splendore? Perche’ ti concedi a prodotti volgari quando l’Oro purissimo splende nel fondo della tua caverna?
Raphael, “La Via del Fuoco”
Volevo oggi pubblicare un post dal titolo “L’ultimo rifugio e’ dentro di noi”, un post che avrebbe parlato di un luogo ove c’e’ sempre silenzio, quiete, pace, nonostante tutto il rumore, il caos, la paura, il dolore e l’angoscia che sono intorno. Non sono particolarmente in forma pero’, percio’ ho lasciato introdurre l’argomento al buon Raphael.
Dico subito che la sentenza di Raphael e’ da interpretare: non intende dire che le cose descritte vanno respinte, bensi’ che non vanno “elemosinate”, cercate ad ogni costo. Se arrivano, bene, altrimenti non bisogna farsene un problema, perche’ il valore di ogni cosa, di tutto, siamo noi a stabilirlo, che ne siamo consapevoli oppure no. Queste cose possono per noi essere tutto, ma possono anche non essere niente.
E’ un po’ lo stesso concetto induista (e buddista) di “maya“, ovvero di illusione che avvolge tutte le cose: non e’ che le cose non esistano, che siano false, esistono eccome ma ognuno di noi le esperisce a modo proprio ed e’ quel personalissimo modo di percepirle, legato allo “Io”, che non esiste, che e’ illusorio. Ogni cosa, di per se’, non ha alcuna connotazione negativa o positiva. Perfino la morte.
Abbiamo casi facili da vedere ed altri che lo sono meno. Ci sono persone che impazziscono perche’ non riescono a vincere una partita, mettiamo, ad un gioco alla Playstation. Arrivano a starci male fisicamente. Non hanno presente quale valore abbia nel computo di una vita la vittoria a quel videogioco, sentono solo che per loro e’ fondamentale, non possono vivere senza. E perche’? Perche’ la loro mente e’ rimasta incastrata nel desiderio, divenuto folle, di vincere quella partita. Se riuscissero solo per un attimo a fermare la loro mente, si renderebbero subito conto di quale follia stanno perseguendo. Ma la mente vive di vita propria e non vuole morire, percio’ elabora una serie di trabocchetti per non lasciarli andare.
E’ meno facile da capire, ma e’ cosi’ per tutto, anche per le cose che comunemente sono ritenute essenziali.
La mente e’ il nostro “Io”, e’ la costruzione mentale che abbiamo fatto e subito nel corso della nostra vita. E’ illusione, non concreta, ma e’ un chiacchiericcio interminabile che impedisce di connettersi alla percezione di pace che e’ in noi. Ecco perche’ molte filosofie esoteriche parlano di “morire a se stessi”. Non siamo noi a dover morire, ma e’ quell’Io che ci imprigiona nell’ignoranza, nella confusione, nella paura.
La realta’ esiste, il nostro corpo esiste, ma la costruzione mentale che abbiamo di essi, che abbiamo di noi stessi, e’ falsa, e’ come un film proiettato su uno schermo bianco: potete trasmettere qualunque genere di film e identificarvi in esso, ma lo schermo resta in ogni caso bianco.
Non sempre riesco a rientrare in quel nucleo di pace e silenzio che e’ dentro di me, ci sono riuscito solo a volte. Momenti in cui stavo molto male fisicamente, moralmente o psicologicamente. E posso testimoniare che quel luogo esiste e non dipende dalla fede, dal credo. Si puo’ anche essere atei: esiste comunque.
Vorrei estendere il tempo nel quale riesco a stare in esso, magari prolungarlo indefinitamente. Forse e’ un sogno, forse avrei dovuto perseguirlo con impegno e costanza molto tempo fa per riuscire a farcela. Ma puo’ anche darsi che anche questi dubbi siano un trucco dell’Io per evitarsi di morire.

Cosi’ oggi se n’e’ andato Steve Jobs… Una fine annunciata



Kit era un bel gattone, un tigrato europeo classico. Aveva una carinissima coda che finiva a “cavaturaccioli” per un difetto probabilmente congenito. Nacque in una cucciolata nel bar vicino a dove mia madre aveva il suo negozietto di parrucchiera, in un piccolo quartiere di Genova, dove, come tutti i piccoli quartieri, tutti conoscono tutti. Purtroppo non ho sue foto qua con me, quelle che vedete, sono foto “da internet” (tranne le ultime).
Non ricordo se io all’epoca vivevo per conto mio – non andavo proprio d’accordo con mio padre e, soprattutto, le sue idee vecchio stampo – o se me ne andai proprio in quel periodo… Ad ogni modo, un anno dopo Kit ebbe probabilmente una ricaduta della malattia: nel giro di poche settimane invecchiò di colpo: era diventato magrissimo e non riusciva nemmeno più a masticare. Gli facevamo pezzettini di cibo piccoli piccoli e lo imboccavamo, sperando inutilmente che riprendesse le forze. Faceva una pena tremenda vederlo così, quasi immobile, con quegli occhietti sempre lucidi che sembravano piangere.
Ma poi, alla morte di mio padre, decisi di prendere un animaletto che tenesse compagnia a mia madre, e così… arrivo’ Sissi (foto a lato, aveva pochi mesi), che svolse egregiamente e diligentemente il compito assegnatole negli ultimi anni di lei. Era diventata il suo “animaletto adorato” 🙂 … Che ricordi…
Sissi oggi 😉