L’importanza dell’obiettivo

Amerigo Vespucci“If you want to build a ship, don’t drum up people together to collect wood and don’t assign them tasks and work, but rather teach them to long for the endless immensity of the sea”

 

“Se vuoi costruire una nave, non radunare gli uomini per raccogliere il legno e distribuire i compiti e i lavori, piuttosto insegna loro ad anelare all’infinita immensità del mare”

Antoine de Saint-Exupéry

 

… ovvero, “su uno dei motivi per cui falliamo”.

Abbiamo la conoscenza e le capacità per raggiungere i nostri obiettivi eppure ci areniamo miseramente. Perché? Di volta in volta la causa è attribuita all’incostanza, alla mancanza di determinazione, alla scarsa convinzione nel nostro potenziale. Si sa solo che un giorno ci si sveglia e ci si rende conto che l’ennesimo obiettivo per il quale ci si era armati e preparati si è perso nel nulla. E ogni volta che abbandoniamo un obiettivo, insegniamo un po’ di più al nostro subcosciente che non fa nulla se non raggiungiamo ciò che ci eravamo prefissati, col risultato che esso lascerà con sempre più facilità il campo all’inerzia.

Tempesta sul mare di Galilea - RembrandtMi sono nel tempo convinto che la causa spesso risiede nella reale “appetibilità” dell’obiettivo: se esso non genera entusiasmo, se non fa sognare, se non fa venire l’acquolina in bocca al solo pensarci… allora non avrà sufficiente forza per spazzare via la nostra inerzia, e il nostro viaggio si arenerà nei fondali della pigrizia e al vento contrario degli alibi.

Anthony Robbins dice “non ho mai visto nessuno arrivare al successo arrancando”: ci vuole la carica dell’entusiasmo, l’energia del desiderio. Per questo si dice che bisogna “sognare in grande”: il vento di un piccolo sogno non ha la forza di gonfiare le vele della nostra nave. E’ giusto poi spezzare il percorso in tratte più brevi, in sotto-obiettivi più facilmente raggiungibili e misurabili, per avere percezione che il nostro veleggiare sta dando i frutti sperati. Perché il successo genera successo e “sentire” che stiamo riuscendo ci da nuova e più forte linfa. Ma la meta finale deve essere grande.

Perché i giovani sono più pronti a gettarsi in grandi imprese? Non perché sono più incoscienti, ma perché non hanno ancora smesso di sognare in grande.

Colombo

 

Uscire dall’abitudine per migliorare sé stessi

“Una grande intensità: evocazione di qualcosa proveniente dal nulla. È vero che gli strumenti sono quelli, la tecnica, le abitudini, ma un’incognita permane: gli anni di pratica non vi possono proteggere, non vi devono proteggere. Bisogna gettarsi in uno spazio vuoto, uscire dalla memoria. Tutti vi stanno guardando; in questo momento della vostra vita, smettete con i luoghi comuni e inventate.”
Tim Hodgkinson – compositore autodidatta inglese

Questo aforisma mi fu donato anni fa da un amico che ha un profilo e un blog anche su Splinder (rabesto) anche se purtroppo lo ha chiuso proprio recentemente. Chissà se se ne ricorda 🙂
Allora non mi colpì particolarmente, lasciandomi anzi abbastanza indifferente.

waltersteinerRecentemente, grazie al lavoro con la compagnia teatrale che frequento (www.waltersteiner.it), l’ho riscoperto, capendone il significato, soprattutto vedendo (e ascoltando) il lavoro dei registi e degli attori della compagnia stessa. Certamente è un aforisma che si adatta particolarmente alle arti, di qualunque genere esse siano. Certo, in tutte le arti ci sono delle regole, c’è sempre un intenso lavoro, indicazioni, lezioni… ma davvero, più che da altre parti, non ci si può fossilizzare: chi si ferma è perduto, se non agli occhi degli altri, almeno verso quelli propri, perché l’artista sa perfettamente quanto sta dando e quanto può dare, e senz’altro non può accettare, da sé stesso, nulla di meno.

Ma poiché sono convinto che non esista settore che sia completamente autonomo, che non sia in qualche modo lo specchio della vita, questo aforisma non fa eccezione e trova “maledettamente” riscontro anche nella nostra quotidianità.
Pensateci… pensate a quante occasioni da cogliere o per crescere perdiamo a causa delle nostre abitudini, dell’identificazione delle nostre azioni abitudinarie con la nostra stessa vita. E’ come se noi non esistessimo al di fuori della nostra quotidianità, perfino quando di essa ci lamentiamo.

via SestriAd esempio, camminiamo per strada – facendo per la decimillesima volta il percorso che abbiamo sempre fatto – senza prestare davvero attenzione alle cose che ci accadono attorno, proiettati già a quella che sarà la nostra giornata una volta arrivati in ufficio o in qualunque altro luogo ove ci stiamo recando. Chissà quante cose, che magari potrebbero cambiare la nostra vita – un volantino, un manifesto, una persona – non notiamo, persi come siamo nei nostri pensieri.

Molti di noi dichiarano di voler cambiare la propria vita, ma – a parte parlarne – non fanno nulla per farlo, anzi, perfino parlarne diviene un’abitudine, al pari delle altre.

Certo, può esserci timore di sbagliare, di rendersi ridicoli, di buttare via tempo ed energie per qualcosa che forse non funzionerà, senza rendersi conto che il tempo e le energie se ne stanno già andando per i fatti loro da un pezzo!

C’è qualcosa che vorreste fare, provare, tentare? Qualcosa che se funzionasse migliorerebbe voi e la vostra vita, e che non tentate per paura di fallire? Fatelo! Se non lo fate… avete già fallito.

Un mio vecchio mito, un notissimo motivazionista americano, Anthony Robbins, vi chiederebbe: che cosa fareste, se sapeste di non poter fallire?
vittoria