Il coraggio di bussare

Oggi riporto un breve racconto di Paulo Coelho.

(foto mia: Palazzo Te, Mantova)
porta palazzo te - MantovaLA PORTA DELLA LEGGE
Kafka racconta la storia di un uomo che cerca la giustizia e arriva al Palazzo della Legge. Davanti alla porta del Palazzo, c’è un soldato di guardia. Visto che la sentinella non gli rivolge una sola parola, l’uomo decide di aspettare. Aspetta un giorno, ma la guardia continua a restare in silenzio.
“Se rimango qui, capirà che voglio entrare,” pensa l’uomo. E rimane lì fermo. Passano giorni, settimane, anni interi. L’uomo è sempre lì davanti alla porta, e la sentinella continua a montare la guardia. Passano decenni, l’uomo invecchia, e non riesce più a muoversi.
Finalmente, quando sente che la morte si sta avvicinando, raccoglie le sue ultime forze e domanda alla guardia: “Sono venuto fin qui in cerca della giustizia. Perché non mi hai fatto entrare?”.
“Io non ti ho fatto entrare? – risponde sorpresa la sentinella – Tu non mi hai mai detto che cosa stavi facendo lì. La porta era aperta, bastava spingerla. Perché non sei entrato?”.

Commento: Quante occasioni si perdono nella vita perche’ si ha paura che bussando non ci sara’ aperto? Nessun rimpianto per un passato che ormai non si puo’ recuperare, piuttosto un invito ad avere il coraggio, in futuro, di chiedere, e non di aspettare che gli altri capiscano da soli e ci vengano incontro.
Il mondo e’ pieno di uova di Colombo che aspettano solo di essere colte.

La mediocrita’ comoda (di Paulo Coelho)

apollo e dafneIl dio Apollo segue la ninfa Dafne nel bosco. È innamorato di lei, ma Dafne – sempre corteggiata da tutti – non sopporta più il proprio splendore, e chiede aiuto agli dèi, dicendo: «Distruggete questa bellezza che non mi lascia mai tranquilla».
Gli dèi ascoltano la preghiera di Dafne e la trasformano in una pianta: l’alloro. Apollo non riesce più a trovarla, giacché adesso lei è solo una parte della vegetazione. Dafne ha agito in un modo che tutti noi conosciamo bene: spesse volte uccidiamo i nostri talenti, perché non sappiamo cosa farne.
È più comoda la mediocrità: essere soltanto «uno in più», invece di lottare per mostrare tutto ciò che siamo capaci di fare con i doni che Dio ci ha dato.