“Chi ha spostato il mio formaggio?” è un libro di Spencer Johnson di straordinario successo negli Stati Uniti: scritto ormai diversi anni fa, è arrivato a innumerevoli ristampe ed è stato a lungo tra i libri più letti.
E’ molto breve, si può leggere in una giornata o forse in una serata; io ci misi un po’ di più perché lessi la versione americana “Who moved my cheese?” che, essendo in inglese non-tecnico, mi richiese qualche ora in più 🙂
E’ molto semplice in fondo, non dice nulla di straordinario e non troverete in esso alcun miracoloso segreto, molti di voi lo troverebbero simpatico… ma banale.
Perché allora tutto questo successo? Perché le banali pillole di saggezze che elenca, e che tutti noi siamo supposti conoscere… spesso le abbiamo completamente dimenticate.
Di che tratta? Bé, essendo un libro americano non può che parlare di cambiamento. Esattamente della capacità di “annusare” il cambiamento non appena arriva o, ancora meglio, prima che ci piombi addosso.
Riporto un estratto della recensione che potete trovare qui: it.geocities.com/claupalm/Testi/Recensioni/spostato_formaggio.html
E’ un libretto che si legge in pochissimo tempo, una favola. Sì, proprio una favola, tanto che la si può leggere anche ai bambini divertendoli con le avventure di due topolini, Nasofino e Trottolino, e di due gnomi, Tentenna e Ridolino che vivono in un Labirinto.
Per nutrirsi ed essere felici i quattro protagonisti di questa storia hanno bisogno di Formaggio. Per questo loro vagano nel Labirinto fino a che riescono a scovare un deposito in cui ciascuno trova il tipo di Formaggio che lo soddisfa di più.
La vita, grazie all’abbondanza di Formaggio, scorre tranquilla anche se lo stile con cui i topi e gli gnomi la affrontano e’ diversa. I topolini vanno ogni giorno al deposito del Formaggio, ma sono sempre all’erta. Notano i cambiamenti e tengono sempre le loro scarpine da ginnastica attaccate al collo per essere pronti all’esigenza di dover ricominciare a correre per cercare.
Gli gnomi invece cominciano a fare del deposito di Formaggio un posto dove sistemarsi e vivere confortevolmente le loro giornate. Arrivano con calma, sistemano le loro scarpine bene in ordine, cominciano a decorare il magazzino con delle scritte che lo rendano familiare, e si considerano arrivati ora che quell’enorme e apparentemente inesauribile riserva di Formaggio e’ a loro disposizione.
Ma un giorno qualcosa cambia. Il Formaggio comincia a diminuire finché si esaurisce del tutto. I topolini, che avevano già intuito i segni di questo cambiamento, partono subito e si tuffano nel Labirinto alla ricerca di un nuovo deposito di Formaggio.
Per gli gnomi le cose vanno diversamente. Da bravi abitudinari essi continuano a tornare ogni mattino al magazzino aspettandosi che, una volta entrati, tutto sia tornato come prima. Sperano che il Formaggio ritorni e invece di cambiare il loro comportamento e darsi da fare, rimangono bloccati a sperare che gli venga restituito ciò che avevano.
Non voler vedere il cambiamento, non volerlo affrontare per timore di un domani che non conosciamo, per non perdere ciò che abbiamo o che addirittura non abbiamo più, è spesso molto più dannoso del cambiamento stesso. Può portarci alla rovina, a volte oltre al punto di non ritorno. E questo non vale solo nel lavoro o negli affari, ma in tutti i campi della vita, dalle relazioni alla salute, nostra e altrui.
C’è qualcosa che state facendo finta di non vedere o che proprio non volete affrontare? 😐 Non state a prendervela contro chi vi ha spostato il formaggio o a pretendere che vi venga restituito: infilate le vostre scarpette e cercatene di nuovo! 🙂


E’ inutile saper risolvere problemi logici quando l’emotività ci gioca un brutto tiro e andiamo nel pallone: qualunque sia il Q.I. non saremo in grado di risolvere granché. Non a caso libri e teorie come “l’intelligenza emotiva” di Daniel Goleman, hanno avuto grande successo in un recente passato: un elevato Q.I., a fronte di una scarsa capacità di controllo emotivo, non serve a nulla o quasi.
Sono assolutamente in sintonia con quanto scritto nelle ultime righe dello scritto della nostra amica: ogni insegnamento, per divenire tale a tutti gli effetti, deve passare attraverso l’esperienza. Anzi, se l’esperienza – cercata o meno che sia &nd9ash; puo’ divenire insegnamento; il puro studio teorico, senza esperienza, no: esso lascia il tempo che trova. Infatti ogni grande maestro che si rispetti ammonisce a non prendere il suo insegnamento pedissequamente, per oro colato, bensi’ a “viverlo” a “sentirlo sulla propria pelle”.
Il libro che piu’ di ogni altro rappresenta il mio pensiero su questo argomento, e’ il bellissimo Siddharta di Hermann Hesse. Immergersi nella teoria, senza fare esperienza – esperienza “vera”, di vita, non meditazioni, pratiche yoga o quant’altro – lascia un senso di vuoto o, peggio, di frustrazione, perche’ si sente che ci si sta impegnando tanto per ottenere poco.