La fortuna dei principianti

Un po’ di tempo fa, diciamo un annetto, ripresi a giocare a scacchi dopo molti anni. Ancora adesso, anche se poco, sempre per via del tempo a disposizione, ogni tanto una partitina me la faccio 🙂 Purtroppo Lady Wolf non sa giocare a scacchi – e comunque non ne avrebbe la pazienza 😀 – così gioco contro un programma online.

Iniziai presto a vincere facilmente le partite al livello per principianti (bé… ero parecchio arrugginito, per cui iniziai dalla “base” :-)). Poco dopo seguì il livello intermedio… ma il livello avanzato mi era parecchio ostico.

Poi, un bel giorno, vinsi la prima partita del livello avanzato. E dopo la prima seguì presto le seconda, e poi la terza e la quarta 🙂 Iniziai a bearmi della mia bravura e… per un sacco di tempo non ne vinsi più nemmeno una! 😛

Mi venne così in mente un altro episodio. Ero in vacanza a Maiorca con degli amici ai tempi dell’università. Una sera, sulla passeggiata che condiceva al mare, decidemmo di cimentarci in uno di quei giochi che simulano la pallacanestro: ti arriva una palla dopo l’altra e devi riuscire a centrare il canestro. Io ero l’ultimo ad effettuare la prova. Non avevo mai giocato a basket in precedenza quindi non mi aspettavo di fare bella figura. Comunque iniziai e… il primo pallone si infilò perfettamente, e dopo di quello un altro e altri quattro consecutivamente! I miei amici erano stupefatti e, ovviamente, vista la fascia di età, anche palesemente invidiosi. Immagino di essermi esaltato e… inutile dirvi che non ho messo più dentro una palla che fosse una! 😀

Credo che nella vita molte cose non siano affatto così difficili come crediamo ma la nostra mente ci mette del suo. Partiamo liberi e sgombri, ma presto iniziamo ad aggiungere stati emotivi che minano ciò che stiamo facendo.

Può essere la supponenza di essere bravi, quasi infallibili, a farci crollare lo stato di attenzione facendoci così fallire. A quanti succede di commettere errori stupidi proprio in ciò che hanno fatto mille volte senza sbagliare? Purtroppo a volte errori anche drammatici, come incidenti automobilistici. Ricordo ad esempio che all’università non sbagliavo mai i calcoli difficili ma quelli del tipo “2+2”. Una rabbia… 😛

Altre volte iniziamo a caricare ciò che stiamo facendo di aspettative che ci appesantiscono e rendono insicuri. Quello che prima era solo un gioco o che comunque, essendo principianti, ci perdonavamo di sbagliare, diventa una sfida da non fallire. In queste condizioni spesso si cade.

L’esempio della guida è di nuovo buono.

Quando arrivai alla maggiore età fu il momento di prendere la patente. A differenza di altri io non avevo mai provato a guidare in precedenza, magari con il papà su una strada di campagna, quindi cercavo di capire come riuscire a evitare i pericoli e fare sempre le manovre corrette. Ricordo che tentavo perfino di “predire” i momenti successivi, ovvero di portarmi avanti con la mente al tratto di strada che vedevo in lontananza, in modo da prepararmi. Inutile dire che questa invasione della mente razionale in un processo che richiede uno sforzo si di attenzione, ma non “ragionata”, non poteva funzionare. E’ come camminare pensando in ogni momento il movimento da fare con le gambe: non credo riusciremmo a muovere più di qualche passo.

La nostra parte razionale, il nostro tentativo di controllo totale ci mina. E’ un autogoal. La vera attenzione è solo essere in ciò che si fa, non ragionarci sopra in ogni momento con uno sforzo immane e controproducente.

In automobile non abbiamo bisogno, per fortuna, di riflettere su ogni mossa, con la velocità con cui viaggiamo sarebbe impossibile. Dobbiamo solo evitare di distrarci portando l’attenzione su altre cose. La vera attenzione non comporta sforzo. Se ci stiamo sforzando, vuol dire che qualcosa non va, che non ci fidiamo di noi stessi e cerchiamo di autocontrollarci con la ragione. Ma di solito non funziona.

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La sindrome del “facile a dirsi”

L’argomento della possibile “illuminazione” tramite meditazione buddista (ma anche preghiera cristiana) ha, come mi aspettavo, sollevato diversi commenti alla “Si’, facile a dirsi…”. Questo commento, che spesso usiamo anche tra noi e noi, e’ secondo me uno dei piu’ forti ostacoli ad ogni tipo di realizzazione, materiale o spirituale che esso sia. Il punto e’ che spesso (“spesso”, non “sempre”) abbandoniamo il nostro progetto alla prima difficolta’, senza un minimo di determinazione. Eppure sappiamo benissimo che un cambiamento radicale necessita di tempo, in particolare quando riguarda una mente – la nostra – che e’ condizionata da decenni di sovrastrutture nate da condizionamenti culturali, sociali e personali.
Roma non e’ stata costruita in un giorno, no? 🙂

Mi piace riportare qui un paio di risposte che ho dato in commenti ai post precedenti (rispettivamente a artistapaolo2 ed a Gabbiano):

1) Per il buddismo non esiste un punto di arrivo e, in teoria, non esiste nemmeno il desiderio di arrivare. Puntare alla “illuminazione” e’ il modo migliore di non centrarla mai 🙂 Il concetto e’ di meditare con serieta’, senza mollare alla prima inevitabile difficolta’. Il premio e’ immediato: il senso di pace, di stacco dai problemi quotidiani, la serenita’ che si prova, valgono gia’ il “prezzo del biglietto” 😉 Il sentire attraverso la meditazione la vera mente, che non e’ quella del “chiacchiericcio” continuo, percependola come qualcosa di non limitata e nemmeno “propria” in senso stretto (secondo i buddisti la “mente” e’ universale ed ogni cosa ne e’ permeata), e’ in un certo senso un graditissimo effetto collaterale. Ma cercare di cogliere lo “universo” o Dio, guardando dentro di se’, pone troppe aspettative per cui non si riesce a raggiungere quello stato di “quieta meditazione senza sforzo” che e’ quella necessaria.
“Fede”, “convinzione”, sono solo parole. Il lama mi disse “medita, poi capirai” 🙂 Io allora non capi’, mi servivano prove. Oggi ho capito che nemmeno una prova ragionevole potrebbe convincermi; non resta che dare retta al lama. Che si ha da perdere? 🙂 Come minimo la meditazione dona pace e tranquillita’ mentre la si fa. Gia’ questo sarebbe di per se’ un motivo sufficiente per farla 🙂

2) Il tuo e’ il problema dei piu’, me compreso. Ad affermazioni cosi’ rispondiamo sempre “eh! Facile a dirsi!” 😐 Ma… siamo sinceri, quanti di noi hanno provato a seguire questi ed altri suggerimenti del genere per un tempo prolungato? Quanti sono stati determinati senza mollare dopo la prima volta bollando nella propria mente il tutto come “sciocchezze”? 😐
Bisogna provare, con coraggio, costanza e determinazione, senza dar peso a difficolta’ che inevitabilmente ci saranno, perche’ questi metodi non sono medicine allopatiche che le prendi e (sperabilmente) il giorno dopo stai meglio. Ci vuole costanza e tempo. Costanza, non creduloneria: diamoci una scadenza, che so, 3 mesi (ma sono certo che basterebbe meno), 3 mesi in cui con determinazione sperimentiamo. Solo dopo saremo davvero titolati a dire “eh! Facile a dirsi!” 😉

costruzione

Lascialo cadere – l’opportunismo

– LASCIALO CADERE –

vaso porcellanaUn ricco mercante si recò un giorno dal Buddha.
“Dimmi che cosa devo fare per ottenere la liberazione” gli domandò offrendogli un vaso d’argento.
Il Buddha gli rispose: “Lascialo cadere”.
L’uomo lasciò cadere a terra il vaso.
Poiché il Buddha si era fatto silenzioso, il visitatore gli ripeté la domanda e, questa volta, gli offrì un piatto d’oro.
“Che cosa devo fare per raggiungere la salvezza?”
“Lascialo cadere” gli rispose l’Illuminato.
Il mercante lasciò cadere a terra il piatto.
Poi, visto che non gli veniva data altra indicazione, si decise a ripetere la richiesta, porgendo il dono più prezioso che aveva: un diamante.
Il Buddha gli rispose: “Lascialo cadere”.
Il visitatore pensò di essere stato preso in giro.
Indignato, si alzò di scatto per andarsene.
Fatto qualche passo, si voltò a dare un ultimo sguardo al Buddha.
E questi gli disse: “Lascialo cadere”.
All’improvviso il mercante capì.



Commento di Wolfghost: Il mercante capi’ che la conoscenza, la liberazione, non possono essere acquistate; esse possono solo essere acquisite attraverso la presa di consapevolezza, che arrivi da parole, intuizioni o esperienze. Il discorso puo’ essere pero’ esteso ai rapporti con il prossimo, alla salute, alla vita in generale. D’altronde la spiritualita’ non dovrebbe essere percepita come qualcosa di separato dalla nostra esistenza, ma piuttosto come sua componente indissolubile.
Fin da piccoli ci viene insegnata una mentalita’ mercantilistica: per avere qualcosa dobbiamo dare, per avere affetto dobbiamo essere buoni, per avere rispetto dobbiamo essere generosi; cosi’ nel tempo ci facciamo idee quali “nessuno fa niente per niente”, se qualcuno ci fa una cortesia significhera’ che sta cercando di ottenere qualcosa. Ma potremmo arrivare a pensare che anche un “dono” della vita nasconda qualcosa, che prima o poi la vita stessa ci chiedera’ di “pagare”, e questa aspettativa potrebbe minarci la gioia e il godimento per il dono ricevuto. Quante persone ho conosciuto che non sapevano accettare i doni altrui o quelli della vita, cosi’ convinte che qualunque cosa andasse “guadagnato” con il sudore della propria fronte! E quanti, dall’altra parte (ma poi sono sempre gli stessi, a ben vedere), cercano di ottenere dando a piene mani, spesso per venire accusati di “voler comprare il prossimo”. Ammettiamolo: quanti di noi sentono o hanno sentito almeno una volta un senso di irritazione, di ingiustizia, perche’ comportandosi amorevolmente o generosamente non ottenevano altrettanto (a parer loro) dalla vita e dal prossimo? Invece di essere felici e soddisfatti per il fatto stesso di fare del bene, si sentono avvelenati per non averne ottenuto indietro almeno altrettanto.
I nostri nonni (e forse genitori, per i meno giovani) appendevano targhe in legno nelle loro case che dicevano “Fai il bene… e poi scordalo”; che volevano dire? Proprio questo: non e’ vero bene se ci si aspetta un “ritorno”.
E questo vale in tutto: amore, rispetto, fortuna, salute, conoscenza (intesa in senso spirituale). Chi si butta nella spiritualita’ per darsi un tono da santone, non cerca davvero la spiritualita’, e chi lo incontra non trovera’ saggezza nei suoi occhi.
Nel dare stesso e’ insita la soddisfazione e la gioia. Che poi, agendo in tale modo, generalmente si ottenga anche, dovremmo considerarlo solo “effetto collaterale”, e non obiettivo.


fai il bene