La scoperta più rivoluzionaria del Buddhismo è questa: vita e morte sono nella mente, e in nessun altro luogo. La mente è vista come la base universale di tutte le esperienze, il creatore della felicità e della sofferenza, il costruttore di ciò che chiamiamo vita e di ciò che chiamiamo morte.
da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal Rinpoche
Per il Buddhismo, la vita, come la percepiamo, è una sorta di Matrix, ovvero un’illusione della mente. L’illusione non sta in ciò che materialmente abbiamo attorno – un albero è vero, non è un’illusione – ma in come noi lo percepiamo. L’albero dell’esempio non è una entità separata, è un tutt’uno con ciò che lo circonda, non vi è una vera separazione. Ogni cosa, noi stessi, è una “precipitazione”, una “condensazione” dell’energia universale, qualcosa che la nostra mente separa dal resto, ma tale separazione, come un’onda dell’oceano che è parte dell’oceano stesso, è solo un inganno della percezione.
Al di là di questo, in pratica, la mente è davvero la creatrice di tutto ciò che percepiamo, soprattutto delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti. Una volta ebbi una delusione sentimentale. Ricordo che ero in palestra, in stato di frustrazione. Improvvisamente ebbi una sorta di illuminazione, mi guardai attorno e mi dissi “Dov’è la persona che ti sta facendo soffrire? Qua non c’è, perché allora soffri?” e improvvisamente la sofferenza passò. Anni dopo subì un grave lutto. Feci lo stesso esperimento… e funzionò, anche se dopo, poiché non lo trovavo giusto, preferì non continuare. Ma in realtà… cosa è giusto e cosa non lo è? Culturalmente sappiamo che dobbiamo piangere quando subiamo una perdita, che dobbiamo disperarci quando ci dicono che ci resta poco da vivere. Ma tutto ciò è vero o è frutto di condizionamento? Ad ogni modo, è sempre lei, la mente, a decidere quando dobbiamo soffire o dobbiamo disperarci. Giusto o sbagliato che sia. Questa è una delle dimostrazioni che ciò che percepiamo non è il “teritorio”, ma è solo una “mappa” mentale. Una mappa che non è immutabile, ma che anzi è un processo dinamico dovuto all’esperienza ad al condizionamento.
Quando il buddhismo dice che non c’è nascita e non c’è morte, significa che un “me”, separato dal resto, non esiste, è solo frutto della percezione della mente. Il “me” è un’onda dell’oceano, la cui nascita e la cui fine non possono esistere, perché il mare esisteva prima e continuerà ad esistere dopo. Assieme all’onda che, semplicemente, non sarà più un’apparazione manifesta, ma continuerà comunque ad esistere nell’oceano.
Anche questo 2016 sta riservando parecchie sorprese. Diciamo che il periodo di tanto sospirata serenità, che sembrava dietro l’angolo fino a qualche settimana fa’, è ancora un miraggio.
Sappiamo benissimo che la serenità non è un “traguardo” bensì una condizione che si può raggiungere ogni tanto nel corso della vita, per poi cercare di mantenerla il più a lungo possibile. Quanto a lungo però… è quasi indipendente dai nostri sforzi: la vita fa’ quel che vuole, non guarda in faccia nessuno. Non guarda ai meriti, all’impegno, alla bravura o alla bontà. Dico sempre che la vita non è “meritocratica”, non c’è un premio. Nell’aldilà… non lo so, non so nemmeno se c’è un’aldilà, e soprattutto nessuno sa davvero come è fatto e se e in quale modo ne faremo parte.
Il riconoscimento della transitorietà della vita è uno dei capisaldi del Buddismo. La sua promessa è quella di liberarci dalla sofferenza, soprattutto mentale, e dalla paura della morte, riuscendo così a vivere pienamente il tempo che abbiamo. Fondamentalmente l’idea è: non respingendo l’idea della morte, ma anzi accogliendola completamente, alla fine si termina di averne paura, poiché si riconosce l’inutilità di qualcosa dalla quale è impossibile fuggire. Non ha senso dunque averne paura. Vero, il buddismo ha la reincarnazione, ha un aldilà come lo hanno i cristiani, seppure diverso. Eppure non è la rinascita il vero scopo del buddismo, essa non è nemmeno così importante. Si narra che il Budda storico, quello realmente vissuto, non rispondeva mai alle domande sull’aldilà e sulla rinascita, poiché, diceva, questi sono solo pensieri che rischiano di distogliere l’attenzione sulla vera liberazione, quella della mente, quella dalla paura e dalla sofferenza. Che esista o meno un aldilà.
Il pensiero illuminista occidentale è invece l’opposto, è la negazione della morte. Sappiamo tutti, a livello logico, che moriremo, ma restiamo aggrappati alla vita come se ciò fosse evitabile. Qualche tempo fa’ misi un post, tratto dal pensiero di uno psicologo romano, che sosteva che è inutile cercare di “risolvere” la paura della morte: è impossibile uscirne, si può solo “svagarsi”, pensarci il meno possibile. E’ un po’ il “La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti.” di Epicuro.
Quale delle due si scelga, e lo stesso vale per l’idea della resurrezione cristiana, comunque va perseguita totalmente, questo è il difficile. Tutte difficilmente resistono alla prova del tempo, della malattia, della vicinanza della dipartita, propria o dei propri cari. Quasi nessuno ci riesce, basta lasciare uno spiraglio di porta aperta al dubbio e l’angoscia e la paura entrano strisciando.
Riflettere sulla morte ha lo scopo di indurre un reale cambiamento nel profondo del cuore. Ciò può richiedere un periodo di ritiro e di contemplazione, perché spesso solo così possiamo aprire davvero gli occhi a come stiamo usando la nostra vita.
La contemplazione della morte vi darà un senso sempre più profondo di ciò che viene chiamato ‘rinuncia’, in tibetano ngé jung. Ngé significa ‘realmente, totalmente’ e jung, ‘nascere, emergere, venire fuori’. Il frutto di un’assidua e profonda riflessione sulla morta è che vi sentirete ‘emergere’, spesso con un senso di nausea, dai vostri modelli abituali. Vi scoprirete sempre più disposti ad abbandonarli, finché saprete liberarvene con la stessa facilità, dicono i maestri, “con cui si toglie un capello da una fetta di burro”.
da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal Rinpoche
Bene, il 2016 ormai è iniziato. Un saluto dai nostri animalotti (manca Sissi… lei non si schioda dal suo divano 😀 ).
Ogni anno buttiamo giù i nostri buoni propositi per l’anno nuovo di cui poi quasi sempre ci dimentichiamo. Se ci prendessimo la briga di andare a leggere quelli degli anni precedenti chissà cosa scopriremmo, non dico sui completati con successo, ma anche solo a riguardo di quelli che abbiamo almeno tentato di portare avanti, diciamo, per un paio di mesi 🙂
Il passo seguente ci ricorda come la mente possa essere il nostro paradiso o il nostro inferno, a seconda di come la usiamo. Ci sono persone che, purtroppo, versano in condizioni gravissime, eppure sono serene; altre che hanno piena salute e uno stato socio-economico invidiabile… eppure moralmente e psicologicamente sono distrutte. Ciò che fa la differenza è sempre la mente.
Da ciò si deduce l’importanza di controllarla. Ma come?
La mente è come un cane, il momento del “cambiamento” è essenziale nel suo controllo. Se il cane vede un nemico, dobbiamo essere immediati nel richiamarlo, un attimo di ritardo e, quando ormai “il sangue gli è andato al cervello”, ogni richiamo è inutile.
Chi li ha provati, sa che anche gli attacchi di panico, ma in generale gli stati emotivi, sono così. Se si riesce a “riportare la mente a casa” immediatamente, li si può evitare, altrimenti non si può che aspettare che facciano il loro doloroso percorso e passino. E poiché il successo genera fiducia nelle proprie possibilità, genera il successo futuro. Tuttavia prima che il controllo diventi un automatismo, ci vogliono innumerevoli successi, e qui sta il difficile: raramente “siamo presenti” a noi stessi, molto più spesso ci facciamo trascinare supinamente dai nostri stati emotivi e perdiamo il controllo.
Il buddhismo dice che non è pensabile riuscire ad affrontare i grandi cambiamenti senza prima aver imparato a gestire quelli piccoli, che nascono nella nostra mente, ed esorta perciò ad essere vigili sui cambiamenti di stato della propria mente, nel riconoscerli prontamente e gestirli finché è possibile.
Quando sarà diventata una sana abitudine, allora saremo pronti a gestire i cambiamenti, anche quelli dolorosi e drammatici che, altrimenti, ci devasterebbero.
Ecco, per quest’anno il mio unico proposito è questo: essere osservatore dei miei stati mentali, riconoscendone i cambiamenti agli albori e, se necessario, intervenendo prontamente per eliminare paura, angoscia, rabbia.
Ovviamente non mi aspetto di riuscirci, non sempre, anzi all’inizio sarà solo una volta ogni tanto, ma è la ripetizione, il non arrendersi, il riprendere il tentativo più e più volte senza lasciarsi abbattere dagli insuccessi, a portare alla riuscita. Soprattutto bisogna sapere che è possibile, eliminando il dubbio che non sia alla nostra portata.
La mente è malleabile, come scritto solo pochi post or sono, ma per cambiarne il funzionamento occorre innumerevole ripetizione.
La mente può essere meravigliosa, ma allo stesso tempo anche il nostro peggior nemico. Ci crea un’infinità di problemi. A volte vorrei che fosse come una dentiera, che si può togliere e lasciare tutta la notte sul comodino. Almeno, potremmo avere un po’ di tregua dalle sue noiose e spossanti divagazioni. Siamo così in balia delle mente che perfino quando sentiamo che gli insegnamenti spirituali fanno risuonare una corda dentro di noi, e ci toccano più di ogni altra esperienza, continuamo ugualmente ad esitare, per una sorta di radicata ed inspiegabile diffidenza. Prima o poi, però, dobbiamo smetterla di diffidare; dobbiamo lasciar andare i dubbi e i sospetti, che in teoria dovrebbero proteggerci ma non lo fanno mai, e finiscono col danneggiarci anche più di ciò da cui dovrebbero difenderci.
da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche
I maestri buddhisti di meditazione sanno quanto sia flessibile e malleabile la mente. Se la educhiamo, tutto diventa possibile. Siamo stati perfettamente educati dal samsara per il samsara, siamo stati educati a provare invidia, educati ad afferrare, educati a provare ansia, tristezza, disperazione e avidità; educati a reagire con rabbia a tutto ciò che ci provoca. Siamo così bene educati che queste emozioni negative sorgono spontaneamente, senza nessuno sforzo per suscitarle.
Tutto sta nell’educazione e nella forza dell’abitudine. Se siamo sinceri con noi stessi, sappiamo anche troppo bene che la mente, se la consegnamo alla confusione, diventa una un’oscura maestra di confusione, abile nelle sue intossicazioni, subdola e perversamente docile alle sue schiavitù. Consegnatela, con la meditazione, al compito di liberarsi dall’illusione e scoprirete che, con il tempo, la pazienza, la disciplina e la pratica corretta, incomincerà a sciogliere i propri nodi e a riconoscere la propria beatitudine e chiarezza essenziali.
da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche
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Commento di Wolfghost: al di là del richiamo alla meditazione, che possiamo sentire o non sentire, è indubbio che la mente sia estremamente malleabile. Ciò è evidente nei bambini e nei cuccioli in generale: sono come spugne, vedono e imitano tutto ciò che vedono fare, e così imparano. Il problema è che di ciò non siamo normalmente consapevoli. Diamo per scontato che le nostre reazioni, i nostri pensieri, siano indipendenti e incontrollabili, che, per dirla con Sogyal, sorgano spontanei. Eppure essi sono figli dell’abitudine.
L’abitudine non si cambia con un singolo atto di volontà, ma con la costanza e la ripetizione. Non è facile, ma imparare a evitare la rabbia, l’ostilità, la paura, l’angoscia, le disperazione e altre emozioni e sentimenti negativi è senza ombra di dubbio un premio che dovrebbe stimolarci a provarci e a non arrenderci al primo ostacolo.
Una perdita, un lutto possono farvi diventare acutamente consapevoli delle conseguenze di non aver dimostrato nella vita amore e comprensione, di non aver chiesto perdono, e ciò può rendervi molto più sensibili verso le persone care che restano.
Dice Elizabeth Kubler-Ross: “Cerco di insegnare alla gente a vivere in modo da dire agli altri queste cose mentre possono ancora ascoltarle”. E Raymond Moody, dopo una vita di lavoro con le esperienze di pre-morte, scrive: “Ho incominciato a capire quanto tutti siamo vicini alla morte nella vita quotidiana. Ora più che mai sono attento a comunicare alle persone che amo i miei sentimenti”.
da “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” di Sogyal rinpoche
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Commento di Wolfghost: tutti, almeno tra le persone che ho conosciuto io, diventiamo più ricettivi verso i sentimenti e il rispetto degli altri e della vita in generale, allorquando subiamo un lutto o andiamo vicini alla morte, anche se ognuno risponde a questi drammatici eventi a modo proprio. Tuttavia, sebbene sia auspicabile e necessario superare la fase del lutto o della paura per poter continuare a vivere, troppo spesso dopo un po’ di tempo molte persone ricadono negli stessi errori di prima, come se non avessero imparato nulla. Tornano a prendersela oltre misura per banalità, ad essere solamente incentrati su sé stessi, a non rispettare la vita in ogni forma in cui essa si presenti, a sottovalutare le cose davvero importanti.
Un tempo amavo dire che meglio sarebbe restare un po’ più ignoranti piuttosto che subire lezioni tremende, ma visto che queste, purtroppo, accadono ugualmente, è un peccato – nel vero senso del termine – non imparare nulla.
Un aggiornamento su Tom: verrà operato per l’asportazione del tumore martedì prossimo, tra una settimana esatta. Poi non potremo fare altro che restare in attesa del risultato dell’esame istologico, così poi da decidere se e quale terapia adottare.
Aggiornamento 1 ottobre: stasera siamo stati dal veterinario perché nel pomeriggio Julius sembrava di nuovo in difficoltà. E’ stato bravissimo! Mentre aspettavamo il risultato delle analisi del sangue, lo portavo a spasso per lo studio tenendolo in braccio, lo facevo guardare fuori dalle finestre e lui era decisamente interessato… Un vero tesoro 🙂
Purtroppo le analisi sono state impietose. I globuli rossi sono così bassi che il veterinario si è detto stupito che sia ancora vivo 😦 Lady Wolf è molto abbattuta, perché visto il colorito e il fatto che mangia di gusto, iniziava a sperarci… La nuova diagnosi, la quinta a questo punto, è leucemia, non quella infettiva classica dei felini, la FELV, bensì il tumore del sangue. Attendiamo l’esito di altri esami che il veterinario ha mandato a far analizzare, ma si è detto quasi sicuro. E comunque, anche non fosse quella la causa, i valori sono così bassi che le speranze sarebbero quasi zero comunque.
Julius tornato a casa è andato nella sua cuccetta e poi ha mangiato 🙂 E’ un vero guerriero e… sì, certamente è ancora con noi per tutte le attenzioni amorevoli che gli diamo 🙂 Ho detto a Lady Wolf di non essere abbattuta per non essere riuscita a salvarlo: ogni giorno che passa con noi senza soffrire, con il nostro affetto, è un regalo grande che gli facciamo… e un regalo grandissimo che lui fa’ a noi 🙂
Aggiornamento mercoledì 30 settembre: stasera Julius ci preoccupa molto… è peggiorato nel giro di due giorni, è tornato a sembrare raffreddato, peggio di qualche giorno fa’… e pensare che sembrava averla passata, inoltre è molto molto debole 😦 Nonostante il colorito sia ancora buono, ovvero molto meno giallo rispetto a 15 giorni fa’, è ora evidente che effettivamente qualcosa non va’ nell’apparato respiratorio. Avremmo l’appuntamento in clinica sabato, ma a questo punto rischiamo di non arrivarci 😦 E’ probabile che domattina chiameremo il veterinario affinché venga a dargli un’occhiata…
Julius oggi, in giardino
Era il pomeriggio inoltrato del 30 di agosto. Io, Lady Wolf e Tom stavamo per terminare qualche bellissima ora lungo uno dei laghetti formati da un torrente alle spalle della nostra cittadina. Tom si era divertito tanto e noi eravamo contenti di terminare l’estate, almeno ai laghetti, con una bella giornata.
Mentre ci stavamo preparando per rientrare, mi è squillò il telefono… e in un attimo cambiò tutto. Nel giro di qualche ora trovammo mio fratello defunto. Oltre allo shock, che probabilmente è stata la causa di uno stato di malessere durato quasi un mese, iniziò un periodo di inferno, con mille cose da sistemare, problemi da risolvere, lutto da affrontare. Quasi subito ci si è messo anche Julius che sembrava dover essere spacciato solo una settimana dopo.
Per quanto cerchiamo di rendere la nostra vita stabile, tutto può cambiare nel giro di un attimo, lo spazio dello squillo di un telefono. Lo sappiamo tutti, eppure tiriamo avanti come nulla fosse. Un tempo pensavo che così volesse la vita, non ci si può fermare. Ma ora non ne sono più certo, forse è più la nostra società a volere che lo show vada avanti, qualunque cosa succeda.
Dice il maestro Sogyal Rinpoche:
“Quanti di noi sono trascinati via da ciò che mi viene da chiamare ‘attiva pigrizia’? Ci sono molti stili di pigrizia, orientali e occidentali. Lo stile orientale consiste nello starsene tutto il giorno al sole senza fare nulla, evitando qualunque lavoro o attività fruttuosa, bevendo il tè e spettegolando con gli amici.
La pigrizia occidentale è piuttosto diversa. Consiste nell’imbottarsi di attività compulsive, che non lasciano il tempo per occuparsi delle cose serie.
Se consideriamo la nostra vita vedremo quanti impegni inutili, le cosiddette ‘responsabilità’, accumuliamo per riempirla. Un maestro lo paragona a “sbrigare le faccende domestiche in sogno”. Diciamo a noi stessi di voler dedicare il nostro tempo alle cose importanti della vita, ma non c’è mai tempo.
Guardiamo inermi le nostre giornate riempirsi di telefonate e programmi irrilevanti, di tali e tante responsabilità… o dovremmo vorse chiamarle ‘irresponsabilità’?”
E ora le novità su Julius.
Julius, ieri pomeriggio, torna a godersi un po’ di sole 🙂
Ieri sera il ragazzo ci ha fatto preoccupare. Ci siamo accorti che il respiro era ancora più pesante e difficile dei giorni precedenti, come se avesse l’asma. Inoltre i battiti del cuoricino erano davvero velocissimi. Sperando che fosse solo un raffreddore, che nel suo stato debilitato avesse “picchiato duro”, ho chiamato il veterinario e ci siamo accordati di aspettare un paio di giorni a meno che la situazione non peggiorasse ulteriormente. il suo sospetto infatti è che potesse esserci qualcosa di più, come un versamento polmonare del quale controllare le cause (con una radiografia).
Oggi il ragazzo è sempre molto stanco, ma il respiro, almeno fino a quest’ora del tardo pomeriggio, sembra un po’ migliore. Quindi aspetteremo la visita già precedentemente stabilita continuando con la terapia che, francamente, spero di poter alleggerire un po’ nei prossimi giorni.
Cosa pensiamo? Non lo diciamo… non per evitare di essere pessimisti, ma perché davvero nel giro di qualche ora la situazione cambia molto. Prima ad esempio Julius è andato in giardino e appena ha sentito che arrivavo con i pacchetti degli stecchini (sono “snack” per gatti) mi è venuto incontro ed ha mangiato di gusto (ovviamente secondo le sue possibilità attuali).
Attendiamo e… speriamo 🙂
Le foto precedenti sono di Julius oggi, quella a chiudere risale al 2008 quand’era ancora un giovanissimo gatto 🙂 Gli stavo costruendo il suo primo tiragraffi e lui ne era visibilmente entusiasta! 😀
Aggiornamento Julius, 22 settembre: oggi il ragazzo non ha quasi mangiato, tuttavia il veterinario è venuto a visitarlo e… si è detto soddisfatto: ricordando com’era dieci giorni fa’, con tre zampette su quattro nella fossa, il miglioramento è evidente, anche se ci sarà tanto da lottare. Pare che Julius non mangi quando la febbre sale sopra i 39 gradi (che non corrispondono ai nostri 39, per fortuna: la temperatura basale dei gatti è più alta), e stasera gli ha trovato 39,4. Abbiamo deciso di tornare a terapia piena con i corticosteroidi poiché il veterinario pensa che la temperatura sia salita per la riduzione della dose. Anche la diagnosi è cambiata: essendo al momento sopravvissuto, il veterinario pensa a questo punto che sia un problema autoimmune (anemia emolitica autoimmune) che probabilmente aveva da tempo e si è via via aggravato. E’ meno grave di un tumore e si può tentare di curarla con la stessa cura che abbiamo iniziato ormai undici giorni fa’. Poi, a seconda dei risultati, la cambieremo, perché i medicinali che prende non si possono assumere per lungo tempo. Adesso la prossima pietra miliare sarà giovedì: per allora, grazie al ripristino della dose di medicinali, si spera che la temperatura si sia abbassata. Vedremo… Buonanotte a tutti, noi adesso iniziamo la terapia serale a Julius 😉
Ieri sera pensavo di mettere un aggiornamento su Julius; Lady Wolf però mi ha suggerito “Sì, ma basta col post ‘Addio Julius’! E’ vivo: mettine uno nuovo!”. Ed aveva ragione: è ora di andare avanti e… cambiare post 😉
Così stasera vi metto un brano del maestro buddhista tibetano Sogyal Rinpoche, del quale ho parlato pochi post or sono, e… vi aggiorno sul ragazzo 🙂
Partiamo con Julius.
Julius, 19 settembre 2015
Questo era Julius stamattina. La foto è la più… bella, ce ne sono altre nelle quali si nota lo sguardo ancora… diverso, ma abbiamo scelto di mettere questa. Non fosse per il segno della rasatura sotto collo, per il prelievo di sangue di una settimana fa’, non si noterebbe granché, vero? Bé… in realtà si può vedere che è dimagrito dallo “svuotamento” di ciccetta sulla coscia. Ma chi non è abituato a vedere Julius spesso… non può accorgersene. Inoltre si intravede il colorito giallastro dell’interno-orecchia (fate il raffronto con la foto sotto).
Julius è tornato a mangiare, seppure con moderazione. Mangiucchia l’umido (tonno in gelatina), pezzi di stecchino (prima ci provava ma a causa della masticazione difficile sputava quasi tutto) e, mi dice Lady Wolf (io non l’ho visto), perfino qualche crocca. Inoltre la sera gli diamo un po’ di omogeneizzato. Come? Bé, a forza di tentativi abbiamo trovato la chiave: mi poggio Julius sulle cosce, come se fosse “seduto”, mettiamo un po’ di omogeneizzato tra pollice e dorso della mano e, avvicinandogliela al muso… lecca da solo! 🙂
Come medicinali, la novità “pesante” è che da stasera dimezziamo il corticosteroide… speriamo bene! Stava reagendo bene e non vorrei che il merito fosse di questo prodotto! Per gli altri medicinali – flebo, antibatterico, epatoprotettore e multivitaminico – continuamo così.
Lo stato del “gatto-capo” è migliorato: a tratti è tornato ad aggirarsi per casa e giardino, anche se riposa molto a lungo ed ha comprensibili difficoltà a saltare. Il colorito di lingua, mucose e pelle, appare meno giallo. Tuttavia è evidente che non è fuori pericolo, si ha come la sensazione che… la situazione possa cambiare rapidamente. O sono le parole profetiche del veterinario che ci fa’ pensare che c’è poco da sperare.
Noi andiamo avanti.
Julius con la “sorellina” Numa, 2010
E ora il brano di Sogyal Rinpoche.
“Quando insegno la meditazione incomincio spesso dicendo: “Riportate la mente a casa. Allentate la presa. Rilassatevi”.
Riportare la mente a casa significa portare la mente nello stato di dimorare nella calma mediante la pratica della presenza mentale. Al livello più profondo, riportare la mente a casa significa rivolgerla verso l’interno e farla riposare nella natura della mente. Questa è la forma più alta di meditazione.
Allentare la presa significa liberare la mente dalla prigionia dell’afferrare, riconoscendo che la paura, il dolore e l’angoscia derivano dall’avidità della mente che afferra. A livello più profondo, la fiducia che nasce dalla sempre maggiore comprensione della natura della mente ispira quella profonda e naturale generosità che vi rende capaci di lasciare andare tutti gli attaccamenti che sono nel vostro cuore. Così il cuore si libera, sciogliendosi nell’ispirazione della meditazione.
Infine, rilassarsi significa essere spaziosi e rilassare la mente da tutte le tensioni. A livello più profondo, vi rilassate nella vera natura della mente, lo stato di Rigpa. E’ come colare lentamente una manciata di sabbia su una superficie piatta: ogni granello trova spontaneamente il suo posto. Lo stesso accade se vi rilassate nella vostra vera natura, lasciando che i pensieri e le emozioni si calmino naturalmente dissolvendosi nello stato naturale della mente.”
Sogyal Rinpoche – Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire
Sogyal Rinpoche, maestro buddhista tibetano, è tra i miei autori preferiti. Sul mio blog ho già presentato uno dei suoi libri: Vivere e morire – Il libro tibetano del vivere e del morire, per me autentico capolavoro. Purtroppo, pur essendo molto attivo in tutto il mondo – ha avuto una parte perfino nel film di Bertolucci “Il piccolo Buddha” – non ha scritto molto, altri soli due libri a parte il precedente (che però da solo ne vale cento); “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” è uno di questi.
Normalmente non mi piacciono le raccolte di aforismi o pensieri e questo è proprio uno di quei libri “un pensiero al giorno” con tanto di data.
Tuttavia gli aforismi sono davvero pochi e sempre a tema, gli altri sono tutti brevi pensieri di Sogyal Rinpoche con un numero percentualmente elevato di essi che merita davvero riflessione attenta.
E poi… non è forse estate? Cosa c’è di meglio di un breve pensiero prima di addormentarsi o qua e là nel corso della giornata, magari in una sosta su qualche sasso con vista monti o su uno scoglio in riva al mare? E “Riflessioni quotidiane sul vivere e sul morire” si presta bene, visto che è anche tascabile 😉
Comunque nel seguito vi proporrò qualche pensiero tratto dal libro, anzi inizio proprio dal primo che ci aiuta a capire quanto questa filosofia sia distante dalla nostra società occidentale: provate in giro a dire che vi state preparando alla morte… sentirete i commenti! Come minimo vi sentirete dire il classico “Ma vivi e non pensarci!”, come se questo nascondere la testa sotto la sabbia allontanasse l’ineluttabile problema. Il punto è che pochi in Occidente accettano davvero di pensare alla morte: sanno solo, a livello “scolastico”, che accadrà, ma dentro di sé c’è una rimozione completa della faccenda. Ma affrontare la morte significa non solo svuotarla dal terrore che essa apporta ma anche vivere molto più pienamente che facendo finta che essa non ci riguardi.
“Secondo la saggezza del Buddha, noi possiamo utilizzare la vita per prepararci alla morte. Non dobbiamo aspettare che la morte dolorosa di una persona cara o una malattia terminale ci costringano finalmente a considerare la nostra vita. E neppure siamo condannati ad affrontare la morte a mani vuote, andando incontro all’ignoto. Possiamo incominciare qui e ora a trovare un significato nella nostra vita. Possiamo trasformare ogni momento in un’occasione per cambiare e per prepararci, con sincerità, accuratezza e pace mentale, alla morte e all’eternità.”
Eccomi finalmente qua a parlare de “Il libro tibetano del vivere e del morire” di Sogyal Rinpoche. Anche se è un periodo in cui ho davvero poco tempo, ci tenevo a parlarne, prima che la freschezza del ricordo della lettura svanisse troppo 🙂
Questo libro finirà fisicamente in mezzo agli altri della libreria, con romanzi (pochi in verità), altri saggi e manuali, ma in realtà dovrebbe avere un posto tutto suo per l’importanza che riveste. Sogyal Rinpoche, un lama tibetano che vive ormai da decenni a cavallo tra Europa e America, ha impiegato anni a scriverlo ed è stato supportato da numerose altre autorità nel campo, come lo stesso Dalai Lama. Anche la stesura, la correzione e le traduzioni nelle varie lingue sono state preparate con grande cura e attenzione. Lo scopo di Sogyal Rinpoche era quello di arrivare a spiegare in una forma e un linguaggio comprensibili a noi occidentali, la teoria e la pratica (fondamentalmente contenute nel famoso “il libro tibetano dei morti”) che ognuno dovrebbe seguire al momento del trapasso e nella fase successiva; pratica e teoria che pero’ imprescindibilmente devono iniziare nella vita stessa, il prima possibile. Ecco perché il libro non parla solo del “morire” ma anche del “vivere”, perché le due cose sono indissolubilmente legate: nascosto nel vivere vi è già la strada per un buon morire (e per una buona rinascita), basta saperla riconoscere.
La morte per il Buddhismo è solo un passaggio, uno dei tanti a cui ciascuno è sottoposto. Questi passaggi sono chiamati “bardo”: ogni passaggio è un bardo. Caratteristica fondamentale dei bardo è che, seppure con “intensità” diversa, hanno fondamentalmente la medesima natura: in essi si puo’ intravvedere la vera natura della mente, immateriale e immortale. E i bardo sono in ogni nostro tempo: il più intenso è al momento della morte e nelle fasi immediatamente successive, ma un bardo si puo’ sperimentare attraverso la meditazione o la preghiera, ed anche spontaneamente, nel passaggio dallo stato di veglia a quello di sonno – uno stato del quale quasi mai siamo consapevoli – o addirittura nell’istante prima di ogni nostra parola o ogni nostro pensiero. E’ in ognuno di questi momenti che si puo’ percepire, grazie al silenzio del “chiacchiericcio mentale”, lo stato primordiale della nostra mente, in grado di rivelarci la nostra vera natura immortale.
Perché, direte voi, è così importante cogliere questi momenti? La morte tanto arriva comunque. E’ solo (si fa per dire) per evitare la paura della morte?
In realtà nel bardo del trapasso, che coinvolge anche i giorni successivi alla morte clinica, noi determineremo la nostra prossima rinascita o perfino l’assenza di una eventuale rinascita. Determineremo, sostanzialmente, se saremo in paradiso, all’inferno, o in uno stato intermedio, come un’altra vita terrena, anche se non necessariamente in forma umana. Grazie alla caratteristica comune dei bardo di rivelare la vera natura della mente, l’averne già fatto esperienza in precedenza ci aiuterà a superare brillantemente il bardo della morte, anche se superiore per intensità.
Sogyal Rinpoche narra di come, arrivando in occidente, fu sorpreso di notare che al progresso materiale non avesse trovato un corrispondente sviluppo della spiritualità e della compassione, che anzi erano quasi assenti. Tutto in occidente era mirato allo “star bene quando si sta bene”, mentre i malati e soprattutto i morenti erano lasciati a loro stessi: pochi di loro avevano la fortuna di avere sostegno morale e spirituale, medici, infermieri e parenti si limitavano per lo più ad un sostegno pratico, rivolto ad alleviare al massimo il dolore fisico. Il risultato è che i morenti si spegnevano nell’angoscia, nel tormento, determinando tra l’altro il fallimento di una buona rinascita.
Come non ammettere che in occidente si tende, finché è possibile, a rimuovere il pensiero della morte? Si cerca semplicemente di non pensarci. Il risultato pero’ è, secondo Sogyal Rinpoche, di arrivare assolutamente impreparati all’ultimo passaggio, nonostante Sogyal ammetta che anche le religioni occidentali, cristianesimo per primo, forniscano in teoria i mezzi per fare il medesimo percorso di preparazione del Buddhismo.
Di fatto Sogyal cerca, con questo libro, di fornire una metodologia di avvicinamento alla morte che passa attraverso un buon vivere, con indicazioni di sostegno per sé stessi, per i propri cari che si è chiamati ad assistere, per tutti. Una metodologia che puo’ e dovrebbe partire oggi, adesso, senza aspettare che sia troppo tardi.
Chi ha visto la paura, lo sgomento, negli occhi dei propri cari o di chiunque si sia avvicinato alla morte vivendola con terrore, sa che già solo la libertà dalla paura della morte ha un valore incalcolabile, che nessuna ricchezza al mondo puo’ valere. Il libro di Sogyal Rinpoche cerca di colmare la lacuna dell’insegnamento di come evitare il più possibile tale paura, cercando serenità e pace perfino in quei terribili ultimi momenti. Ma, fatto questo, va anche oltre, cercando di indicare la strada per una buona rinascita.