L’anima delle case

casaDevo dire che ho apprezzato il post precedente: non ci sono più i numerosi interventi che il blog aveva fino a qualche mese fa (colpa soprattutto mia che sono poco presente), ma la qualità degli scambi è stata ottima e proprio l’ultimo di questi, quello con piccolarondine (album omonimo piccolarondine), mi ha dato lo spunto per un nuovo post avente come oggetto “l’anima delle case” 🙂

Rondine dice che “la casa ha un’anima: le sue pareti sono impregnate dal vissuto”. Io ho trovato questa “immagine” assolutamente azzeccata.

Posso testimoniare, come credo possano fare molti di voi, che quando ho avuto motivi di dolore, dispiacere, preoccupazione, il solo fatto di tornare all’interno delle quattro mura tra le quali avevo vissuto quel “sentimento negativo” mi faceva salire un profondo senso di angoscia. Ovviamente, e per fortuna, e’ vero anche l’opposto: si torna volentieri in un posto che ci ha dato felicita’, serenita’, piacere di vivere.

Naturalmente, in questo post, non sto parlando di “energie” reali che si legano fisicamente alla casa – anche se invero sarebbero da valutare – ma “semplicemente” di meccanismi mentali per cui un’emozione o un sentimento, sia esso positivo o negativo, viene mentalmente collegato ad un luogo o a un oggetto, cosi’ che il solo fatto di ritrovarsi in quel luogo o davanti a quell’oggetto, fa risalire alla superficie quella determinata emozione o sentimento, perfino se la causa che l’ha provocata e’ venuta ormai a cessare.

Voi, che ne pensate? 🙂

Vi lascio il mio saluto con una foto molto tenera di Julius e della piccola Numa 🙂 Chi volesse vedere altre foto, può cliccare qua – Sissi, Julius, Tom e Numa – o sul banner nella colonna sinistra del blog: il titolo e l’immagine sono da aggiornare, ma il link funziona. Nei prossimi giorni aggiungerò diverse altre foto

Numa e Julius

Che cos’è un cane… – “Il Perdono di Dio” di Paolo Frani

Questo è un racconto riportato da orchismoria nel suo blog Era l’anno del cane. Quando l’ho letto mi ha colpito come un pugno nello stomaco, ho sperato che fosse solo un racconto di fantasia, purtroppo però ci sono versioni che iniziano con le righe che ho aggiunto al post di orchismoria, in caratteri corsivi…

 



Premessa:
questa non è una favola, questa è un esperienza che è stata in grado, da sola, di infondere la fede in Dio ad un bambino. Un bambino che, per colpa sua o forse delle catechiste, non riusciva a capire il significato della Prima Comunione che si apprestava a ricevere. Dedico queste righe a tutti i cani del mondo.

cane

 

Il Perdono di Dio
Paolo Frani


Avevo sette anni. In tutta la provincia di Bergamo, il mio,era l’unico paese ad avere una Prima Comunione con bambini di soli 7 anni.
Dicevano, di noi, che era troppo presto, che non eravamo in grado di capire il significato del perdono di Dio.
Non avevano torto, infatti.
Per quel che mi riguardava, l’unico pensiero che mi passava per la testa in quei giorni era di correre a giocare con un grosso e vecchio cane, nero come il carbone, affettuoso come un cucciolo.
Il cane apparteneva ad un anziano signore, ormai vedovo, che abitava nella sua stalla a pochi metri da casa mia. Dietro la nostra casa, un prato saliva fino a formare una piccola collina, verde, con un sentiero che si arrampicava fino a scomparire dietro la cima.
Rochi, il suo nome.
Era davvero enorme, col pelo raso, la testa grossa e massiccia…sembrava un lupo, gli volevo un bene incredibile. Lui era come mi sentivo io, evitato per via dell’incomprensione, ma, in fondo, anche il mio caratteraccio era solo un modo per attirare attenzione, purtroppo nessuno capiva.
E la stessa cosa succedeva a lui. Evitato perchè nero e grosso, ma quella non era una sua colpa.
Purtroppo aveva il vizio di cacciare galline, e il suo padrone non poteva più sopportare il fatto che tutto il paese l’additasse come ladro di pollame.
Un giorno venne da me, mentre giocavo col mio unico amico, il suo cane, e disse:
” mi spiace, ma domani lo porto via, non posso più tenerlo, quindi stai a casa tua, domani, perchè lo porto via.”
La sua voce era incerta e mi spaventava.
L’indomani volevo almeno salutare quel cane così importante per me, dunque avevo deciso di andare a salutarlo a tutti i costi.
Mentre mi incamminavo, vidi il mio simpatico amico salire la collinetta, dietro casa mia, accompagnato dal suo padrone, che in mano teneva un grosso martello. L’avevo rincorso, ma non avevo fatto in tempo a raggiungerlo ed erano spariti dietro la collina.
Forse sarei riuscito a digli almeno addio.
Poco dopo sentii il rumore, un botto, il più terribile del mondo. In un silenzio surreale uno stormo di uccelli si era levato da un albero li vicino…il cuore cominciava a battere sempre più forte.
Avevo capito dove era stato portato il mio Rochi, e avevo compreso, in quel momento, di aver perso l’unico amico che avevo.
Poco dopo, il padrone del cane comparve dalla cima della collina e si incamminò verso di me, io lo aspettavo.
Quando mi raggiuse, mi disse che era l’unica maniera, che non aveva sentito niente, che aveva fatto la cosa giusta…una lacrima gli rigava il volto ormai arso dalla vecchiaia. Guardai il martello, sporco di sangue…il sangue di Rochi.
Ci incamminammo insieme verso la sua stalla, il vento scompigliava i capelli grigi dell’anziano signore che si era tolto il cappello, forse in rispetto del suo cane. L’erba mi solleticava le gambe e le mie lacrime scivolavano via fino a finire nel vento.
Un respiro, alle mie spalle, fermò il mio cuore per un attimo. Quando mi voltai, e il signore al mio fianco si voltò con me, una sagoma nera ci seguiva tranquilla.
Lo guardai. Quello che era stato il suo padrone si inginocchiò al suolo, distrutto dal rimorso a colpito dal terrore che il cane volesse punirlo.
In silenzio, rimasi a guardare come, un cane vecchio, stanco e tradito, si avvicinava con la testa bassa e sanguignolenta, la coda agitata come una bandiera e andava a leccare la faccia del suo amato padrone, quasi come se gli stesse chiedendo scusa di averlo spinto sino a quel gesto di punizione. Il signore esplose in un pianto, un pianto da bambino e abbracciava il suo cane, ormai sfinito ed incapace di reggersi sulle zampe.
E io vedevo.
Vedevo il perdono di un essere vivente che, dopo essere stato colpito a morte dalla persona più amata, si accingeva a farle il regalo più bello, immenso e meraviglioso che un uomo pentito potesse ricevere, il Perdono.
Quello fu, per il bambino che ero, la visione del perdono di Dio.
A lungo piansi vicino al corpo dell’amico più caro, ormai esanime, stretto forte dalle braccia di quello che fu il suo padrone.
Quando ci fu la riunione prima della cerimonia della prima comunione, la catechista ricominciò il suo discorso copiato da qualche volume trovato chissà dove, che recitava come l’uomo ricevette il perdono di Dio.
Allora, piangendo gli chiesi:”…ci hai parlato tanto di quel perdono, ma Dio ci perdona tutti i giorni…tu ti sei mai accorta quando succede?…”

Questa storia è per te, per te che abbandoni il tuo cane per andare in ferie, per te che non ti rendi conto e forse non ti interessa nemmeno di quello che il cane proverà mentre ruote di macchine costruite dall’uomo strazieranno il suo corpo. Facendolo agonizzare sull’asfalto fino alla fine.
Questa storia è per te, che non te ne frega di lasciarlo legato ad una catena tutto il gorno senza nemmeno la possibilità di correre, giocare, o anche solo dissetarsi.
Questa, è per te, che non ti rendi conto di quello che lui arriverebbe a fare pur di non abbandonarti.

E ricorda, quando sarai in chiesa e il prete narrerà il tradimento di Giuda, che stanno parlando anche di te, che quest’estate sacrificherai la vita di un cane per le tue ferie.

 



Commento di Wolfghost: I cani, gli animali, non “perdonano”, non nel senso che diamo noi al termine, poiché loro non hanno bisogno di perdonare. Siamo noi ad aver bisogno del perdono per abbandonare l’ira e l’odio verso chi ci ha fatto del male; gli animali non odiano, mai, nemmeno per un solo secondo, perfino chi si macchiasse di crimini orrendi nei loro confronti, di veri e propri tradimenti, come quello descritto nel post.
Il desiderio di perdonare nasce dal senso di colpa, dalla consapevolezza di essersi macchiati di un crimine, legalmente punibile o non punibile che sia, grande o piccolo, che sarà scoperto oppure no.
E’ mia convinzione che il senso di colpa nasca dalle sovrastrutture mentali tipiche dell’uomo, così come i crimini “innaturali” dei quali esso si macchia. Gli animali agiscono per istinto, uccidono per istinto; ciò che fanno non è una vera e propria scelta. Possiamo dire che anche la loro è crudeltà, ma solo perché vestiamo i loro gesti di significati umani, non naturali.
La scelta l’abbiamo noi, con la nostra ragione. Purtroppo spesso, invece di applicare tale ragione in senso positivo e costruttivo, lo facciamo in senso negativo e distruttivo.
La dimostrazione di questo, la indica la stessa Orchismoria, che, rispondendo al mio commento sul suo post, dice “non mi sentirei di escludere la realtà della vicenda, purtroppo è anche tutta una mentalità “vecchia” che, in alcuni, magari sia pure solo inconsciamente, perdura ancora. Per quanto ci sia affetto, il pensiero di fondo resta ‘è “solo” un’animale’….. Questo ci insegna anche un altro indigesto aspetto della realtà e cioè che non è vero che i sentimenti sono “liberi” in realtà. Vengono sperimentati secondo i codici dell’epoca, della cultura, dell’educazione e delle esperienze vissute precedentemente.” – ecco, questa mutabilità dell’uomo e dei suoi sentimenti in accordo alla “cultura” e all’epoca storica, sono la dimostrazione che l’istinto e la naturalezza – che invece sono la base, sostanzialmente immutabile, nell’animale – c’entrano poco. Non è un caso che anche gli animali, perdono in parte i loro istinti naturali proprio quando sono in “cattività” (già il termine è indicativo, no?), ovvero in un contesto non naturale.
Gli animali rispettano la Natura, perfino quando diciamo che sono crudeli, poiché loro stessi sono la Natura.
Noi abbiamo voluto porci, nel corso dei secoli, fuori dal contesto naturale e, identificando Dio con la Natura (se questo vi disturba potete pensare il contrario, la sostanza non cambia), facendo così, ci siamo allontanati anche da Dio.
Non è un caso che il risveglio spirituale coincida – se preferite comprenda – l’amore per la Natura.

E dopo il crudo racconto, qualcosa che faccia sorridere, sempre dal blog Era l’anno del cane 🙂

Questa vita, cosi’ ciclica, cosi’ unica…

The show must go on, canterebbero i Queen, perche’ la vita, intesa come "mondo", non si ferma.
 
Passerotto0Nella sequenza fotografica riportata in questo post, si vede il dramma di una rondine che si accorge della morte del compagno e lo "piange" disperata (almeno e’ questa l’interpretazione piu’ immediata che siamo tentati di dare alla scena).

Oltre a commuovermi, questa sequenza ha fatto passerotto1nascere in me una ridda di pensieri; alcuni sono ovvi, come il fatto che ancora oggi molte persone, in preda a delirio di superiorita’ della specie, affermino che solo gli esseri umani sono capaci di sentimenti e affetti reali, mentre quelli delle altre specie animali sarebbero solo riflessi istintivi (ma non e’ che sara’ cosi’ anche per noi, piuttosto? 😉 cos’e’ un affetto? E cosa un riflesso istintivo?); altri pensieri forse sono meno scontati, come la ciclicita’ della vita "nel suo complesso" che pure rimane unica e irripetibile per il singolo.

passerotto2Come scrivevo qualche post fa’, la Natura, per fare il suo percorso evolutivo, necessita del ciclo di nascita e morte delle creature, perche’ altrimenti le specie non potrebbero evolversi. Questo, a ben vedere, vale davvero per tutto e per tutti, nel piccolo come nel grande, in una sorta di universale democrazia.
I buddisti sottolineano questo concetto ricordando che tutto e’ caduco, tutto: gli esseri viventi, le piante, gli oggetti, i pensieri…

Come quella rondine, chissa’ quante altre creature hanno dovuto piangere i loro morti, chissa’ quante lo dovranno fare ancora. Un ciclo senza fine, dunque apparentemente inutile e senza senso.

passerotto3Eppure, a parte il senso nel quadro complessivo dell’evoluzione, per ognuna delle creature la vita non si ripete: e’ unica, come la nascita, la morte e ogni singola azione e avvenimento che accade nel mezzo.
La rondine non si chiede cosa c’e’ stato prima, non si chiede cosa ci sara’ dopo, per lei eternita’ e infinito sono parole senza senso. Il tempo della sua vita e’ l’eternita’. Lo spazio che conosce e’ l’infinito. Dopo la sua morte niente esistera’: tutto e’ iniziato con lei, tutto finira’ con lei. Miliardi di rondini nasceranno e moriranno, eppure non ci sara’ mai una rondine uguale a questa, e nemmeno "una vita di rondine" uguale alla sua.

La vita: universalmente ciclica, individualmente unica e irripetibile.
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Sempre come canterebbero i Queen… chi vuol vivere per sempre, se perfino l’amore deve morire?
 

Esprimere le proprie emozioni: donna vs. uomo?

Colgo l’occasione offertami da un post dell’amica emmelania nel suo simpatico blog senza via di scampo per parlare un po’ della capacità delle persone, uomini o donne che siano, di esprimere le proprie emozioni.

Leonessa, regina della giunglaPremesso che il post di Emmelania è assolutamente innocente – è esattamente come tanti altri post scritti a onorare la figura della donna, tipici soprattutto del periodo intorno all’otto marzo 😉 – noto sempre più spesso scritti che esaltano certe qualità, come la sensibilità, l’empatia, la capacità di donarsi, come se fossero esclusivo appannaggio del genere femminile. In questo, nessuna delle mie lettrici se ne abbia a male, noto una sorta di denigrazione dell’uomo, come se questa parte del genere umano fosse incapace di provare o esprimere le emozioni e i sentimenti che ne derivano. Insomma, ciò che per lunghi tratti dei secoli scorsi era stato additato a dimostrazione della presunta inferiorità femminile dall’uomo, oggi è al contrario, e un po’ come sorta di rivendicazione, usato dalla donna per esprimerne la propria presunta superiorità.
Eppure oggi tutti “piangono” o “non piangono”, indipendentemente dal sesso. Ci sono molti uomini che esprimono liberamente i propri sentimenti a differenza di quanto accadeva qualche generazione addietro, uomini che, a parole, vengono apprezzati, ma che poi vedono che queste caratteristiche, così esaltate nel genere femminile, non sono nella realtà altrettanto apprezzate nel genere maschile al di là delle parole di circostanza, e tutto ciò dopo che la donna, per decenni o addirittura per secoli, è andata lamentandosi della presunta incapacità di dimostrare sentimenti che gli uomini avrebbero.
Un timido leoneOggi ci sono uomini che non hanno paura di piangere, così come ci sono donne di ghiaccio, che non piangono mai, che mai mettono allo scoperto il proprio cuore.
Oggi, mi diceva già parecchi anni fa un noto esperto genovese, gli studi degli psicologi annoverano sempre più spesso uomini che cercano di capire i loro disagi affettivo-sentimentali, laddove una volta c’erano solo donne. Anche se, aggiungevano, forse questo non dipende veramente da un cambio emotivo nell’uomo, forse questa sorta di “parità” nel disagio emotivo è sempre esistita, ma all’uomo era stato insegnato a non mostrarlo.
Niente di male in questo, fa parte, in fondo, del processo di emancipazione che è ormai da tempo in corso. Quello che fa specie, è notare come questa sorta di parificazione emotiva, non sia in realtà così gradita. Il sospetto che mi nasce spontaneo è che in fondo, nonostante le loro lamentele, siano proprio le donne, oggi, a desiderare che “l’uomo resti uomo”, con le caratteristiche, positive e negative, che gli erano riconosciute nei secoli scorsi, che stia insomma al suo posto, e non insidi ciò che ormai esse hanno imparato ad apprezzare delle proprie caratteristiche, vedendo in esse punti di forza laddove in precedenza vedevano solo debolezza.
Senza considerare che… è molto più facile prendersela con qualcuno reo di non essere e di  non comportarsi come noi 😉

leonessa_e_leone

 

Eccomi qua…

Dopo anni di peregrinazione su siti vari e, soprattutto, forum, Wolfghost prova l’avventura del blog.

Il desiderio di esprimere cio’ che e’ dentro di me in una cornice mia, senza gli spazi angusti di un forum, forse senza la sua visibilita’, ma nemmeno la sensazione di disordine e, spesso, mancanza assoluta di controllo, e’ la molla che mi spinge in questa mia esperienza di blogger.

Sono stato per lunghi anni, da quando ne avevo 18 fino ai 37, un "ricercatore dell’anima", incuriosito tanto dall’esoterismo quanto dalla psicologia del profondo, affascinato in particolar modo quando scoprivo in essi percorsi paralleli, ma sempre con un nocciolo scettico che mi impediva di cadere preda di facili entusiasmi.
In seguito a disavventure sentimentali, lutti e momenti difficili, ho avuto la mia pausa, durata quasi 4 anni.

Adesso, a poco a poco, quella sete di conoscenza, quella voglia di chiudere il cerchio, si stanno di nuovo facendo strada…

Spero di non perdere gli amici che, via via, mi sono fatto da altre parti e che, almeno alcuni tra loro, siano pronti ad accompagnarmi, magari assieme a nuovi, in questa avventura.

Wolfghost