Anche nella nostra testa possiamo perderci

Ho iniziato la stagione autunnale (anche se a rigore ha ancora da iniziare) nel migliore dei modi: mega-influenza che prima mi ha steso la gola (il peggior mal di gola che ricordi :-D) e poi è passato a bronchi e testa. Ovviamente sono andato al lavoro lo stesso, al punto da beccarmi qualche epiteto (peraltro giusto) da “appestato” o “untore” 😀 Spero mi passi presto poiché sabato prossimo è il terzo anniversario di matrimonio e Lady Wolf ha prenotato per il weekend in un hotel di Garda (sul Garda, ovviamente ;-)).

Il titolo del post prende spunto da un’altra riflessione fatta nel famoso viaggio da Merano già citato nel post precedente. Riflettevo sulla vicenda di Julius, disperso per tre giorni e due notti. Lo immaginavo terrorizzato, spaesato, incapace di agire morso com’era dallo spavento. Ne è nata una correlazione spontanea su quando andiamo in tilt nella nostra testa, solitamente a causa di paure e preoccupazioni. Il meccanismo è identico, anche se nel caso di Julius più immediato poiché lui si era perso fisicamente. Ma anche noi ci perdiamo, forse non fisicamente, ma ci perdiamo. Perdiamo la direzione, la “bussola”, finendo per girare in eterno sulla stessa faccenda. Un pensiero ricorrente, a ragione o torto, è insorto a spaventarci e preoccuparci, ma invece di reagire iniziamo a cercare di risolverlo solo cerebralmente finendo per tornare sempre al punto di partenza, allo stesso pensiero, poiché nulla si può risolvere solo con la mente. Ci siamo persi e stiamo girando a vuoto.

A volte, come nel caso di Julius, siamo fortunati e qualcuno ci viene a recuperare, a darci uno scossone, a dirci che “la campana non è ancora suonata”. A volte però non succede oppure non basta: allora solo noi possiamo interrompere questo nefasto circolo vizioso, questo schema mentale ripetitivo. Dobbiamo agire, o se la logica ci dice che ancora non è il momento, distrarci, riuscire a pensare o fare dell’altro. Poi quel pensiero tornerà, ma per allora, forse, saremo pronti per agire.

Quando scoprite che state pensando per l’ennesima volta la stessa cosa, allora vi siete persi nella vostra testa e dovete forzarvi a cambiare strada: se potete, agite, se ancora non è logicamente il momento di agire, allora pensate ad altro, ritornare mille volte sullo stesso punto non è costruttivo e fa perdere solo tempo ed energie.

Forse, se vi accorgete che questo comportamento lo ripercorrete spesso, allora sarà maeglio cambiare… modo di vivere, di pensare, di reagire alle avversità. A volte basta un pizzico di follia. La follia, intesa in senso buono, arricchisce di ironia ed autoironia, stempera la paura, permette di affrontare le sfide con più serenità.

Personalmente sposo la follia, e spero di farlo sempre di più.

Folli e savi

Lo so, e’ un argomento sul quale si e’ gia’ scritto tanto: sono davvero folli i folli o sono solo persone che hanno semplicemente una concezione della vita non consona alla societa’ alla quale appartengono?

Tra le persone che conosco vi sono anche dei “folli”. Mi permetto di chiamarli cosi’ qua al fine di intenderci tra di noi, identificandoli con coloro che vengono definiti cosi’ dalla maggior parte dei cittadini o da enti pubblici preposti.

Capita anche a me di pensare a loro come folli, finendo per non prendere piu’ cio’ che dicono come necessariamente vero ma piuttosto come espressione di una mente contorta che non riesce piu’ ad essere fedele alla realta’.

Pero’… pero’ capita che, stando attento alle mie azioni, parole e pensieri, a volte mi accorgo di ricalcare cio’ che questi “folli” fanno, dicono, pensano, anche se per un periodo limitato di tempo. Parentesi di follia, potremmo chiamarla.

Credo che questa sia una cosa che coinvolge molti tra noi, se non tutti. Fate un autoesame di voi stessi, stando attenti a cosa fate e ai vostri pensieri nell’arco della giornata… e poi sappiatemi dire.

E allora… cos’e’ che contraddistingue i “sani” dai “malati”? I savi dai folli? Credo che sostanzialmente si tratti della durata del “pensiero non consono” e del fastidio o danno che esso arreca al prossimo.

Mentre fastidio e danno sono soggettivi, ovvero davvero dipendono dal giudizio di terze persone o della societa’ – giudizio spesso basato non su dati oggettivi ma appunto sul disagio che l’elemento ha modo di arrecare – la durata del “pensiero disturbante” e’ un dato oggettivo e molto importante.

Vedete, il mio parere e’ che la maggior parte dei “folli” siano persone che hanno perso il controllo dei loro pensieri perche’ hanno concesso ad essi troppo tempo per mettere radici, a volte anche agevolati dalla loro situazione di inattivita’ sociale.

Ognuno puo’ pensare qualcosa di strano, ma se non lo “coltiva”, non ci pensa continuamente, magari perche’ ha un lavoro o altre attivita’ o persone che lo distraggono, che lo riportano nella societa’ e nella vita di tutti i giorni, torna poi a pensieri normali e non disturbanti.

Una caratteristica comune che ho trovato nei “folli” e’ in genere proprio questa: hanno avuto troppo tempo per… pensare. E il pensiero e’ un mezzo molto potente: se e’ positivo ci accresce, se e’ negativo e gli lasciamo spazio… ci porta su chine pericolose.