La disperazione del non vivere

disperazioneEssere rifiutati o respinti
può essere estremamente doloroso
ma non venire corteggiati
o non avere il coraggio di corteggiare
causa un’infelicità che
con il passare del tempo
porta alla disperazione.
(John R. Marshall)

A volte, quando non so cosa scrivere, provo a “sfogliare” la mia raccolta di aforismi e brevi racconti, raccolti via via nel tempo. Qualcosa di solito mi fa nascere una sufficiente ispirazione da farmi pensare che valga la pena di usare un po’ di tempo per scriverne e pubblicarlo. Di solito non mi colpiscono gli scritti “piu’ belli”, ma quelli che sono piu’ significativi in quel particolare momento, pensando a me oppure a persone a me care.
Stasera ho trovato questi 🙂

 

Il primo, di Marshall, mi ha fatto venire in mente tutte quelle persone che sono disperate perche’ non hanno cio’ che desiderano, ma non perche’ sono state respinte o rifiutate, bensi’ perche’ non hanno mai nemmeno provato, o non provano piu’, ad ottenerlo veramente.
L’amore non e’ l’unico esempio, c’e’ il lavoro, l’aspetto, la cultura, un posto migliore dove vivere, tante altre cose, ma l’amore e’ spesso quello che si cita di piu’.
Spesso si trovano persone con passati tremendi alle spalle, rapporti burrascosi, finali dolorosi. Eppure non chiudono mai la porta a lungo: dopo la sofferenza la riaprono e si rimettono in gioco. Soffrono, ma non sono “disperate”. Le persone davvero disperate sono quelle che la porta non l’hanno mai aperta oppure che non sono piu’ disposte a farlo… salvo aspettarsi che sia qualcun altro a forzarla dall’esterno e rimanere deluse se cio’ non accade.

Si hanno a disposizione dieci minuti per mettere in atto un’idea
prima che questa ritorni nel mondo dei sogni.
(Richard Buckminster Fuller)


Collegato a quello sopra c’e’ quest’altro aforisma. Perche’ collegato? Perche’ spesso alle persone di cui si parlava, le idee e le intuizioni che potrebbero cambiarne il corso della vita non mancano, ma… non le mettono mai in pratica. Le vedono sorgere, passare, scomparire. E rimangono piu’ vuote e piu’ disperate di prima.
Le idee, senza che si decida ad agire, non portano da nessuna parte, e rimandarle significa quasi sempre perderle. Questo dovrebbe essere scolpito nel marmo. Se ognuno di noi facesse il calcolo delle idee che ne avrebbero probabilmente cambiato la qualita’ della vita, ma che non ha seguito… probabilmente non gli basterebbe un volume di cento pagine. Provate a pensare a tutte le idee brillanti alle quali, chissa’ perche’, non avete dato seguito.

Quando ogni cosa è vissuta fino in fondo non c’e’ morte ne’ rimpianto,
e neppure una falsa primavera.
Ogni orizzonte vissuto spalanca un orizzonte più grande, più vasto,
dal quale non c’e’ scampo, se non vivendo.
(Henry Miller)


E il buon Henry arriva a chiudere il cerchio e torna a ribadire il concetto di partenza: il provare con tutto noi stessi da gia’ senso alla vita, che si vinca oppure si perda.
O, per dirla con lo Zen, la vera ricompensa sta sempre nel viaggio, non nel raggiungimento del suo termine.
Chi ha combattuto con tutto se’ stesso, e’ sempre soddisfatto di se’; poiche’ sa che ha fatto tutto cio’ che poteva fare, non ha rimpianti ne’ rimorsi.

falco

 

La stella di Albert – racconto

crisi finanziariaEra notte inoltrata ormai, ma Albert ancora non riusciva a prendere sonno. Quasi ogni notte la sua mente rivisitava ossessivamente la sua vita, soprattutto l’ultimo periodo.
Ricordava quando, mentre cenava nella sua bella casa, assieme alla sua adorata famiglia, sentì per la prima volta la TV dare notizia della crisi americana dovuta ai mutui immobiliari subprimes. Non gli diede peso. Anzi pensò che come sempre gli americani erano stati un po’ pazzi nell’assumere rischi così grossi negli investimenti; certo, a volte quella politica aveva pagato, ma adesso i nodi stavano venendo al pettine. Sentì addirittura un pizzico di orgoglio nel pensare che evidentemente i sistemi europei, che tanto sembravano dover imparare da quello oltre oceano, adesso dimostravano la loro forza e solidità, in barba ai “soliti sbruffoni”.
Ma via via la situazione peggiorò e ciò che era sembrato distante iniziò ad apparire sempre più pericolosamente vicino. Anche la preoccupazione in famiglia cominciò a serpeggiare sempre più forte: malumori sorgevano sempre piu’ forti tra lui e sua moglie, e le due figliolette, che fino ad allora erano cresciute in un clima idilliaco, incominciarono a capire cosa erano urla e litigi.
Era così affranto nel ricordare il crollo del suo sogno… come poter prendere sonno? Ormai perfino la delusione se n’era andata, c’era solo sconforto.
Albert si rigirò sull’altro fianco cercando di coprirsi il più possibile con quella sola coperta e quel cartone, ormai diventato suo scomodo materasso. Almeno non c’era molto via vai di gente quella notte lungo il tunnel della stazione.
Vuoto e rattristato si arrese all’ennesima notte insonne e si mise a sedere. In quel momento stava passando una ragazza, anche in lei riconobbe la consueta reazione: l’occhiata di curiosità si trasformo in imbarazzo e paura, forse perfino in disgusto, distogliendosi in fretta con malcelata indifferenza.
Albert abbassò lo sguardo e dopo qualche secondo si alzò e si diresse all’aperto incurante del freddo pungente, lasciando lì quelle poche e povere cose che però erano tutto ciò che gli era rimasto.
Si diresse sul ponte e si affacciò, guardando il fiume che scorreva sotto di lui. L’aveva già fatto, ma quella sera l’acqua sembrava chiamarlo con voce suadente… ne era quasi ipnotizzato. Sembrava la soluzione a tutto quel vuoto che ormai imperava dentro di lui.
Alzò lo sguardo al cielo, cercando la sua stella, quella che fin da bambino gli fu’ indicata da sua madre, “vedi? Quella è la tua stella, non ti lascerà mai, ti sarà sempre vicina, ogni volta che sarai in difficoltà. Anche quando io non ci sarò più”. Quante volte in passato l’aveva cercata quella stella! L’aveva pregata con le sue richieste! E… ogni volta sembrava davvero che lo ascoltasse e l’esaudisse. Ma la crisi sembrava aver corrotto anche lei.
Aguzzò la vista, ma non riusci’ a vederla! Incredibile… eppure doveva essere lì, in mezzo alle altre due… Non c’erano neanche nuvole! Albert lo percepì come un segno, una conferma: perfino la sua stella l’aveva abbandonato come, al culmine della tensione, aveva fatto sua moglie, portandosi dietro le bambine. Non aveva nemmeno cercato di fermarli, lo trovava giusto, non era più in grado di provvedere economicamente a loro. Che padre poteva ormai essere? Trovava inevitabile quanto stava succedendo.
Tornò a fissare l’acqua con il cuore in gola e le lacrime che gli velavano la vista. Posò le mani sul parapetto e si preparò a scavalcare, quando si sentì chiamare…
“Giovanotto, mi scusi, sto cercando l’albergo Do Bonfim…”
Era una bionda signora anziana, molto ben vestita, uno stile antico… Sembrava uscita dal secolo scorso…
“Ah… ehm… sì, dunque…”
Albert si ricompose, quasi contento di poter esserle utile.
“Vede quel campanile che spunta dietro quelle case? L’albergo e’ proprio lì, a fianco della chiesa…”
“Grazie! Sono arrivata in stazione due ore fa’, sa? Ho i piedi che mi dolgono e le gambe che quasi non mi reggono più, nessuno sapeva aiutarmi. E dire che era così vicino, vero?”, disse sorridendo. Doveva essere stata una bella donna da giovane, pensò Albert. Trovava in lei qualcosa di familiare. La donna proseguì: “Sicuramente ho continuato a muovermi in circolo, mi avevano dato delle istruzioni sbagliate e io, convinta che dovevano essere giuste, mi sono intestardita a rifare sempre lo stesso percorso. Che stupidi che siamo a volte, vero giovanotto? Pensiamo che quella che ci è stata indicata sia l’unica strada possibile, perfino quando dimostra di non portarci dove vogliamo; quella “deve” essere la strada, solo perché così ci è stato detto! E la soluzione invece è là, dietro l’angolo, là che aspetta solo che non ci arrendiamo alle parole degli altri e decidiamo di tentare una strada nuova, usando la nostra testa e un po’ di coraggio…”
Albert non la stava più guardando, si era voltato verso l’acqua nella quale, solo pochi minuti prima, voleva lasciarsi cadere. Adesso la voce del fiume non era più dolce come era sembrata prima; era la voce ingannevole di tutti coloro che l’avevano spinto fin là, dentro quel tunnel, tra quel cartone e quella coperta. Alzò lo sguardo verso il cielo, con la fierezza dei bei tempi che ormai pensava di aver perso. “Domani è un nuovo giorno, busserò ad ogni porta, troverò un nuovo lavoro, non importa quale… e presto tornerò dalle mie bambine!”. Volse lo sguardo con tono di sfida verso la sua stella, rea di averlo abbandonato, ma… la stella adesso c’era, bella e brillante come sempre.
Si girò di scatto verso la signora per ringraziarla… ma non c’era nessuno dietro di lui.

 

Pulizia mentale

CervelloAvrei voluto intitolare questo post “igiene mentale” ma ho voluto evitare riferimenti non voluti all’omologo ente della ASL 😉

Cosa intendo io con “pulizia mentale”… be’, intendo la capacita’ di saper controllare la nostra mente: cosa le diamo in pasto, come la usiamo, come sappiamo direzionarla spronandola in una direzione piuttosto che in un’altra.

E’ noto che l’inconscio, che, anche se non ne siamo consapevoli, regola la maggioranza delle nostre reazioni agli eventi, e’ malleabile e credulone: secondo gli esperti infatti, esso non e’ nemmeno in grado di distinguere realta’ da sogno, oggettivita’ da immaginazione. Proprio per questo a volte un brutto sogno ci perseguita per giorni come fosse stato un evento reale. Proprio su questo si basano tecniche psicologiche moderne come la visualizzazione creativa o le antiche pratiche di concentrazione su un’immagine mentale.

Tempesta sul mare di Galilea - RembrandtLa qualita’ del nostro inconscio e’ fondamentale per una “buona vita”. Se esso e’ sereno, le nostre reazioni agli eventi saranno equilibrate e pronte; se e’ disturbato, saranno altresi’ scomposte, disordinate, spesso dannose. Ci sara’ chi, non vedendo arrivare la persona amata ad una certa ora, pensera’ che avra’ trovato traffico, e chi, invece, iniziera’ a immaginarsi gli scenari piu’ devastanti possibili, come incidenti o tradimenti. La vita sara’ di conseguenza una navigazione serena – anche se con necessari cambi di rotta e qualche tempesta, pero’ momentanea e affrontata con determinazione e combattivita’ – e un continuo andare alla deriva, in balia di ogni onda inaspettata anche se semplicemente poco piu’ grande della media.

Se e’ vero che l’inconscio e’ per definizione… non conscio, ovvero agisce senza che noi ne abbiamo consapevolezza, e’ pero’ vero che esso e’ condizionato da cosa le diamo in pasto.
Se continuamo a nutrire la nostra mente con messaggi carichi di pessimismo, disperazione, negativita’, siano essi letture, filmati, persone o nostri stessi pensieri “stantii”, come possiamo poi aspettarci di reagire con forza e serenita’ agli avvenimenti della vita?
Non sto sostenendo che ogni “bruttura” deve essere allontanata, mai letta o ascoltata, questa sarebbe una fuga con conseguenze su di noi e sugli altri, ma ogni cosa ha un suo tempo. Quando ci sentiamo sereni ed equilibrati possiamo senz’altro affrontare temi pesanti ed aiutare persone giu’ di morale, forse depresse, ma dovremmo evitare di farlo se anche noi non siamo in un buon periodo. Non si tratta di egoismo, ma piuttosto di un briciolo di autoprotezione che ci impedisce di farci trascinare dalla corrente dei vortici negativi di chi abbiamo di fronte o stiamo leggendo.

Particolare attenzione dovremmo poi porla ai nostri stessi pensieri. E’ vero che essi sorgono il piu’ delle volte spontaneamente, ma se alimentarli prestando loro attenzione e “ragionandoci sopra”, o piuttosto vederli semplicemente passare (oppure distrarci da essi pensando ad altro), e’ alla nostra portata. Non dobbiamo naturalmente fuggire dagli eventi e dalle responsabilita’, questo no, nascondere la testa sotto la sabbia e’ un’altra cosa. Dovremmo capire, e sono sicuro che la maggior parte delle volte in fondo lo sappiamo, se il nostro pensiero e’ davvero costruttivo o se invece ci siamo incanalati in una strada chiusa su se stessa, un circuito che gira sempre in tondo e non ci porta da nessuna parte. Allora e’ necessario distrarci, cambiare strada. Spesso basta “rompere lo schema mentale” nel quale siamo caduti per veder sorgere limpida nella nostra mente la possibile soluzione.
A volte basta davvero poco. Ma quel poco dobbiamo farlo.

Difficile? Puo’ darsi, ma… e se fossimo noi a non provarci nemmeno o ad arrenderci al primo intoppo? La mente e’ malleabile, puo’ apprendere un modo diverso di lavorare, ma ha bisogno di ripetizione, ripetizione, ripetizione. L’abitudine, si sa, alleggerisce la fatica.
Puo’ essere un lavoro che richiede molta pazienza, ma sono certo che e’ un campo che, se ben curato, da buoni frutti…

pesche

 

Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato

giumentaLA GIUMENTA MORTA DI STANCHEZZA
di Paulo Coelho

Nasrudin decise di cercare nuove tecniche di meditazione. Bardò la sua giumenta e iniziò un pellegrinaggio per il mondo: andò in India, in Cina, in Mongolia, conversò con tutti i grandi maestri, ma non ne ricavò nulla.
Sentì dire che c’era un saggio nel Nepal: si recò fin laggiù, ma mentre stava salendo sulla montagna per incontrarlo, la sua giumenta morì per la stanchezza. Nasrudin la seppellì in quello stesso luogo, e pianse di tristezza.
Passò un uomo e disse: “Questa dev’essere la tomba di un santo, e voi eravate suo discepolo. Sicuramente, state piangendo la sua morte”.
“No, è solo la tomba della mia giumenta, che è morta di stanchezza”.
“Non ci credo – disse il passante -. Nessuno piange per una giumenta morta. Questo dev’essere un luogo santo, dove accadono i miracoli, e voi state tentando di nasconderlo”.
Per quanto Nasrudin discutesse, non servì a niente. L’uomo si recò al paese vicino, raccontò a tutti la storia di un grande maestro che operava guarigioni sulla sua tomba, e ben presto cominciarono a sopraggiungere i pellegrini. A poco a poco, la notizia della scoperta del Saggio dal Lutto Silenzioso si diffuse per tutto il Nepal – e sul luogo accorsero moltitudini di persone.
Vi giunse anche un uomo ricco, che ritenne di essere stato ricompensato e perciò fece costruire un imponente monumento nel punto in cui Nasrudin aveva seppellito il “suo maestro”. Visto l’accaduto, Nasrudin decise di lasciare le cose come stavano. Ma imparò una volta per tutte che, quando qualcuno vuole credere a una menzogna, nessuno lo convincerà del contrario.

 



Commento di Wolfghost: Almeno 15 anni fa frequentai un gruppo che faceva pratiche di meditazione. Si trovavano in una bella e ampia casa con tanto di terrazzo e praticavano in particolare la “Meditazione Dinamica” di Osho, che consiste in una danza sfrenata di quindici minuti, nella quale ci si può muovere e gridare come si vuole, per poi – quando la musica “vivace” finisce e inizia quella tranquilla – lasciarsi cadere a terra e, sfruttando il fatto di aver scaricato le energie, entrare facilmente in meditazione. Poi c’era il periodo della condivisione, nella quale ognuno diceva cosa aveva provato, e infine si cenava tutti assieme con ciò che ognuno aveva portato dalla propria casa.
Mi resi ben presto conto che, come spesso avviene, per diverse di queste persone la meditazione era solo un pretesto per fare gruppo, e ciò a poco a poco mi allontanò, ma alcuni di loro erano davvero dotati di profonda e bella spiritualità.
In quel periodo ero in difficoltà, una persona a cui tenevo molto si trovava in grave crisi, io ne percepivo la disperazione ma per quanti sforzi facessi per aiutarla, essa continuava ad andare dritta verso il suo baratro.
Chiesi l’opinione della persona spiritualmente più dotata del gruppo ma, invece di udire parole di comprensione verso quella persona, come mi aspettavo, ascoltai una lezione destinata a diventare tra le più importanti della mia vita, una lezione di poche parole, detta con un’improvvisa serietà che lasciava trasparire, senza ombra di dubbio, essere di chi aveva dovuto impararla tristemente sulla sua pelle. La lezione era “Non si può aiutare chi non vuole essere aiutato”.
Non importa quanto bene potrebbero fare le nostre parole se venissero ascoltate, per chi, nella sua testa, si rifiuta o non è in grado di mettere in discussione, le proprie idee.

senza uscita

 

Raccoglieremo ciò che piantiamo

RACCOGLIEREMO CIO’ CHE PIANTIAMO
di Paulo Coelho

 

seminaIl pessimismo contagia. Il vittimismo contagia. La disperazione contagia. Coloro che hanno la sensibilità sufficiente per scorgere le auree (vibrazioni energetiche che avvolgono gli esseri viventi) capiscono che, prima che la malattia fisica penetri nel corpo, parte dell’energia vitale viene drenata dal cervello afflitto e preoccupato.
Tutto ciò che investiremo nell’oggi, in qualche maniera ci sarà restituito in un ciclo molto simile a quello che osserviamo in natura. “Ciò che piantiamo, raccoglieremo”, dicevano i nostri antenati. Essi non udirono mai parole come ecologia. Ma in questa semplice frase – “ciò che piantiamo, raccoglieremo” – risiede parte della saggezza che l’Universo ci insegna.
Ogni momento della nostra realtà è direttamente influenzato da come noi riteniamo che una “realtà” debba essere.

 

 


Commento di Wolfghost: la chiave sta nella parolina “influenzato”: ogni nostro momento è influenzato da come noi siamo portati a pensare esso debba essere. Quando arriva un lavoro importante ci si può ritrovare a pensare frasi come “Sarà un bagno di sangue”, “Di qua non ne usciamo”, e altre cosette del genere. Oppure si può vedere quel lavoro come una nuova sfida, una nuova opportunità di crescita e di prova di sé stessi. Di divertimento perfino. E chi credete che lavorerà meglio, più tranquillo, e con maggiori risultati? 😉

Guardatevi attorno, è facile trovare altri esempi: la fidanzata ansiosa pensa, dopo 5 minuti di ritardo, che il fidanzato “sarà con un’altra!” o che “ecco, non gliene importa nulla!”; un’altra ne approfitterà per farsi una chiacchierata con un’amica, magari sul telefonino, o per finire qualcosa che stava facendo. Poi magari scoprirà che… c’era semplicemente traffico 🙂 Questa persona renderà il rapporto leggero, divertente, pieno di sorrisi; la prima, al contrario, pianterà il seme del dissidio, del dubbio, del rancore, del sospetto… e il rapporto non potrà che declinare per davvero 😮
Certo, essere “influenzato”, non significa essere completamente “determinato”: una persona “sportiva” potrà mettere le corna sia all’una che all’altra delle due sopra descritte, ma… almeno fino al momento della scoperta si sarà vissuti sereni, senza essere preda dell’ansia e del disfattismo 🙂
… e soprattutto senza avere il dubbio di essere stati artefici delle proprie corna! 😛

 

p.s.: e ora non iniziate a chiedermi “ma perché parli così? Forse qualcuna… ?” ahahah 😀 No, al momento sono felicemente single, ma il testo è assolutamente generale 🙂

Sissi e Julius sulle scaleNelle foto: Sissi che cerca di non far rientrare Julius in casa quando lui, al mio arrivo, si va a fare la sua passeggiata per le scale! 😀 Lei ad esempio ha seminato male: lo ha trattato male fin dall’inizio, e ora che lui è cresciuto… sono dolori! eheheh 😛 Non fatevi ingannare da queste foto: Julius non è tipetto da farsi mettere sotto! 😉

 

Saltare alle conclusioni – Il vaso e la goccia

IL VASO E LA GOCCIA
di Paulo Coelho

A volte ci irritiamo per certe reazioni esagerate del nostro prossimo. Noi facciamo un piccolo commento, una battuta – ed ecco che l’altra persona scoppia a piangere o si ribella.

cammelloRacconta una leggenda del deserto la storia di un uomo che doveva recarsi in un’altra oasi e cominciò a caricare il suo cammello. Caricò i tappeti, gli utensili della cucina, i bauli con la biancheria – e il cammello sopportava tutto. Proprio mentre stava per partire si ricordò di una bella piuma azzurra che il padre gli aveva regalato. Decise di prendere anche quella, e la caricò sopra il cammello. In quello stesso istante, l’animale crollò sotto il peso, e morì.
«Il mio cammello non ha retto il peso di una piuma», avrà pensato l’uomo. A volte pensiamo anche noi la stessa cosa del nostro prossimo – senza capire che la nostra battuta può essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sofferenza.


Commento di Wolfghost: spesso mi sono ritrovato da ambedue i lati. Sono stato in situazioni difficili, qualche volta addirittura in stato di vera e propria disperazione, chiaro che le mie reazioni non potevano essere equilibrate anche se cercavo di mantenere contegno e controllo. Eppure alcuni amici, pur sapendo, con mia sorpresa dimostravano di non capire; come se il mio stato d’animo, venendo a turbare la loro oasi felice, fosse rifiutato a priori; come se, in qualunque situazione o stato uno si trovi, debba mantenere sempre un solare sorriso per non “disturbare” il quieto giardino altrui. Altre volte sono stato io, in passato, ad essermi angustiato molto per reazioni apparentemente spropositate di persone a me care. Probabilmente tali persone avevano i loro problemi, ma un po’ egocentricamente (più che altro per timore…) si tende sempre a pensare di dover essere la causa degli stati emotivi altrui. Il partner è “nero”? Certamente abbiamo fatto qualcosa che l’ha reso tale. Il capo appare nervoso? Sarà senz’altro scontento di noi.
Questo tipo di pensiero ci mette in uno stato di svantaggio, poiché, non chiedendo espressamente, iniziamo ad agire in maniera innaturale, nervosamente, avendo un approccio preoccupato e negativo, rischiando di creare una frattura – anche a causa dello stato emotivo pregresso di chi abbiamo di fronte – che potrebbe richiedere molto tempo per essere sanata.
Molto meglio preoccuparsi di ciò che semplicemente vediamo – ovvero che chi abbiamo vicino è in difficoltà – piuttosto che sentirci sempre parte in causa saltando subito alle conclusioni.

Cammelli al tramonto

Muoviti, non lasciarti andare!

helpQuesto post e’ dedicato a tutti gli amici e amiche in difficolta’ proprio in questi giorni, nonche’ a tutti coloro che  sentono di aver imboccato una strada apparentemente senza via di uscita… Questo post e’ per voi!

prigioneCi sono fasi della vita nelle quali puoi arrivare a credere per disperazione che il tunnel nel quale sei scivolato non abbia fine. Ti senti in trappola, saresti pronto a buttarti dalla finestra se solo riuscissi ad abbattere le sbarre che la proteggono.
In momenti come questi il senso di un destino avverso e ineluttabile ti pervade; la tua mente e’ alla frenetica ricerca di un qualunque barlume di luce che possa indicare una via di uscita, eppure sembra non riuscire a trovare nulla.
Ho imparato che momenti come questi possono o meno averla una via di uscita.

Se la via c’e’, in genere la conosciamo bene ma facciamo finta di non vederla; non ascoltiamo la nostra stessa voce perche’ vorrebbe dire ammettere che dipende da noi: dobbiamo muoverci, assumerci la responsabilita’ di uscire dalla nostra rassicurante – ma dolorosa – inerzia e andare verso un destino sconosciuto, ma che sentiamo essere inevitabile. Come scrisse qualcuno su questo stesso blog mesi fa, “l’immobilismo diviene colpevolezza”: devi muoverti!

Se la via non c’e’ o, meglio, non c’e’ ancora, allora non puoi fare altro che resistere in attesa che la tempesta passi, aggrappato a quella vocina che sicuramente ti sta dicendo che ne uscirai, che perfino questo momento disperato avra’ fine, non importa quanto ci mettera’.
speranzaSe saprai stare in ascolto, coglierai quando quel senso di oppressione iniziera’ a mollare la presa e, in quel preciso momento, non dovrai esitare: dovrai muoverti. Ributtati nella vita! La vita e il movimento (non solo in senso fisico, anche se pure quello aiuta) sono la migliore medicina per uscire dagli stati di impantanamento. Non subito forse, nel momento di sofferenza acuta forse non riuscirai a trovare terreno abbastanza solido da muovere quel primo passo, ma non appena sentirai che puoi farlo… fallo!
E quando ricadrai, perche’ quello che starai percorrendo sara’ all’inizio un terreno impervio, rialzati e fai un altro passo. Ti sembrera’ di essere tornato al primo passo che avevi gia’ fatto, ma non e’ cosi’: quello sara’ gia’ il secondo passo… e poi ne seguira’ un altro ed un altro ancora, fino a quando, un giorno, voltandoti indietro, ti accorgerai all’improvviso di quanta strada avrai fatto e di come quella sofferenza sia ormai lontana.

Ci sono cose nella vita che possono essere materialmente cambiate. Allora dobbiamo smettere gli indugi ed agire per farlo.

Altre possono essere solo accettate. Allora sara’ il tuo animo a dover e poter cambiare, reinquadra la situazione: e’ davvero cosi’ limitante cosa non puoi cambiare? Non puoi comunque vivere di altro? Davvero non c’e’ nulla di bello per cui valga la pena di tornare a sorridere?
Forse sei tu che in questo momento non hai occhi per vederlo. Ma sono sicuro che c’e’.
Ci sono persone, in condizioni fisiche terribili, che non si sono arrese, che sono tornate a vivere.

Davvero non puoi farlo anche tu?

Non importa cosa hai fatto finora, il tuo passato, i tuoi presunti errori, le condizioni dalle quali parti, gli strumenti che hai a disposizione, ne’ il punto dove potrai arrivare…

Muoviti, non lasciarti andare!

basket

Il disagio esistenziale

Riporto come nuovo post un mio commento, dato che mi pare possa essere di interesse generale…

E. Munch - DisperazioneIl “disagio esistenziale” è una sensazione che purtroppo capita frequentemente nella vita di molte persone. Di solito è un “periodo”, un “passaggio” tra due fasi di vita, come quella che porta alla maturità attraverso la dolorosa presa di coscienza che certi sogni e desideri dell’adolescenza non sono stati realizzati, forse perché oggettivamente sproporzionati, forse per circostanze avverse. Non puo’ percio’ che essere un passaggio doloroso.

Il “disagio” non è affatto cosa semplice, soprattutto fino a quando non se ne comprendono le cause. Spesso lo si esprime con parole e frasi “più dense”, come “disperazione”, “angoscia”, “depressione”. Queste parole danno l’idea della profondità che quel disagio puo’ assumere.

Preferisco comunque usare la parola “disagio” perché essa è una parola più costruttiva, indicando uno stato nel quale non ci si trova a proprio agio, uno stato dal quale percio’ si vorrebbe uscire. Invece, molta gente – per quanto assurdo possa sembrare – sta’ bene nella sua disperazione perché, anche se fa’ male, la conosce bene, ne viene “confortata” dall’abitudinarietà al punto di rifiutare qualunque aiuto, seppure “fingendo”, talvolta, di richiederlo. Inoltre per molte persone essa è confortante perché fa’ sentire “importanti”, da’ diritto a potersi lamentare, seppure nella sofferenza che essa comporta.

E. Munch - LIl disagio di cui parlo è un disagio esistenziale che nasce dal fatto di non aver avere avuto quella vita soddisfacente che si pensava di meritare, se non altro come diritto acquisito per il fatto di essere vivi. L’aspirazione alla felicità, i propri sogni, hanno fatto i conti con una realtà che li ha frustrati, e cio’ ha determinato il disagio di vivere in una vita che non si sente “propria”. Questo, unito alla consapevolezza di avere solo la vita che sta’ scorrendo via, rende il passo verso la disperazione breve.

Vorrei che chi è in crisi, analizzasse la propria vita, dicendo poi se avverte un senso di “stagnazione”, di “inutilità”, di “incompiutezza”… Se è così, allora ho buone probabilità che cio’ che sostengo valga anche per lui. E, se è così, vorrei che riflettesse sul significato della parola “stagnazione”.

La stagnazione è assenza di movimento che genera mancanza di ricambio. La nostra anima, il nostro cuore, marciscono giorno dopo giorno, perché inermi, atrofizzati; la mente non li aiuta perché, lei per prima, non vede via di uscita essendosi fissata sul raggiungimento di un obiettivo ormai morto da tempo.

Il passo da fare è più semplice di quel che si crede: smettere di riflettere sulle cause di quella disperazione – tanto è evidente che si è entrati, coi pensieri, in un circolo chiuso, girando attorno sempre agli stessi concetti senza mai arrivare ad una via di uscita – e… vivere! Buttarsi a capofitto nella vita! Non importa nemmeno cosa si fa’ all’inizio, basta… “fare”. Poi si aggiusterà il tiro strada facendo, ma è necessario rompere quello schema mentale di chiusura che imprigiona.

Rompi quello schema, sorprenditi, non darti tempo di ragionare, fai qualcosa che forse hai sempre voluto fare ma non hai mai fatto, oppure tieni semplicemente gli occhi aperti e, il primo manifesto o volantino che ti capita sottomano e che pubblicizza una qualunque novità, attività o corso, non pensare subito “non mi interessa”, “non fa’ per me”: senti semplicemente se ti “piace”, e se è così… buttati! 😉

Decidi che entro una settimana farai qualcosa, qualunque cosa, e… falla! Non essere preoccupato dal pensiero che magari dopo un po’ non ti piacerà più; vuol dire che cambierai.

Il cambiamento, spesso, è il sale della vita più dell’ottimismo 😉

Movimento = fine della stagnazione. Ma è necessario agire!

“Per cambiare la propria vita:

1. Iniziare immediatamente.

2. Farlo vistosamente.

3. Nessun cedimento.”

William James (1842-1910) – psicologo e filosofo americano

volo