Ipocrisia – Dorian Gray

Martedì sono andato a vedere “Dorian Gray”, trasposizione cinematografica de “Il ritratto di Dorian Gray”, opera di Oscar Wilde.
Il film in sé non mi è piaciuto troppo: ad un primo tempo godibile, con le battute taglienti che Wilde mette in bocca ad uno dei protagonisti (Lord Henry, interpretato nel film dal bravissimo Colin Firth) e che sono proprio ciò che ci si aspetta da lui, fa seguito un secondo tempo dall’atmosfera troppo gotica, a tratti quasi horror, che il regista Oliver Parker ha espressamente voluto ma che personalmente ho trovato troppo “pesante”. Ho lasciato il cinema in riflessione, e questo è sì un merito, ma anche un poco di cattivo umore.

Premettendo che non avevo letto il libro, mi sono documentato trovando che la trasposizione appare fedele solo fino ad un certo punto ma comunque a sufficienza da mantenere lo spirito del libro. Mi piacerebbe naturalmente conoscere l’opinione di chi il libro l’ha letto 😉

In particolare mi sono piaciute due sentenze, una udita nel film (che immagino esserci anche nel libro), l’altra letta in una critica al libro che l’ha originato.
Quella del film viene pronunciata dal personaggio Basil Hallward (interpretato da Ben Chaplin nel film), pittore omossessuale innamorato di Dorian (Ben Barnes), che, accorgendosi dell’influsso negativo che Lord Henry ha sul giovane, cerca di metterlo in guardia dicendogli “Non credere a tutto ciò che dice: non ci crede nemmeno lui”.
Quella della critica, invece, è in realtà una frase scritta dallo stesso Wilde in una lettera ad un suo amico, con la quale sostiene, parlando dei personaggi che ha creato, che “Basil è ciò che penso di essere. Henry è ciò che il mondo pensa di me. Dorian è ciò che io vorrei essere”.

Contrariamente alle critiche e alle recensioni che mi sono capitate di leggere su libro e film – e perfettamente in linea con le parole di Proust “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”, parole che lasciano la porta aperta alla interpretazione individuale di un libro – il messaggio che io ho visto nel film è l’ipocrisia; ipocrisia che, se oggi c’è, non mancava certamente nell’epoca vittoriana di Wilde.

Dorian è il bellissimo giovane al quale ognuno vorrebbe strappare il segreto di bellezza e giovinezza; di più, è ciò che ognuno vorrebbe essere: una persona che sa – e può, date le sue caratteristiche – godersi una vita edonistica ricca di piacere, libero perfino dal tormento del male che gli capita attorno o che esso stesso procura.
Wilde stesso di tale figura dice “è ciò che vorrei essere”.

Lord Henry è l’impersonificazione della società ipocrita che crea continuamente immagini di “Dorian Gray”, magnificandole e proponendole come modelli per tutti (pensate alle pubblicità o al divismo che mostrano sempre – o quasi – persone bellissime e/o brillanti) per poi, quando la gente si rende conto di non essere in grado di raggiungere tali modelli, provocare invidia o addirittura disprezzo verso chi così lo è veramente, al punto dal voler, potendo, distruggerlo. Quante persone famose – come Marilyn Monroe o John Belushi, ad esempio – hanno fatto una tale fine? E quante, non famose, se non nel piccolo di un’azienda o di un paese, le hanno seguite?

Anche la figura di Basil è interessante. Wilde dice che Basil è ciò che pensa di essere, ma questo sembra quasi un auto-assolversi, un’ennesima forma di ipocrisia, giacché è proprio Wilde l’autore non solo delle frasi che mette in bocca a Lord Henry, che in fondo potrebbero far parte di un personaggio letterario e con ciò essere “capite”, ma anche di tante altre ad esse simili, per non parlare del suo stile di vita. E, se è vero che “[Non credere a tutto ciò che dice:] non ci crede nemmeno lui”, allora perché le dice, se non per conquistare il “pubblico” con la sua battuta tagliente e brillante? Si cala nella parte che ci si aspetta da lui, ma non ci crede, rinnegando in pratica la figura che di sé stesso ha costruito.
Basil è in un certo senso la “persona buona” che si vorrebbe essere per emendarsi dal desiderio di essere come Dorian… ma che si è lungi dall’essere.
Il messaggio di ipocrisia dunque non solo non ne è toccato, ma ne esce addirittura rafforzato, come se un certo grado di ipocrisia non fosse evitabile.

Ciò mi rammenta un concetto noto in psicologia: spesso di una persona si finisce per odiare proprio gli aspetti che inizialmente attraggono.
Così, la persona chiusa sarà attratta da quella estroversa, ma, una volta avutala – nella figura di compagno o amico – percependo quell’aspetto come un pericolo per l’unione, potrà divenirne gelosa al punto di incrinare la relazione, oppure insofferente per senso di inferiorità, giudicandola “spocchiosa”.
E la persona povera potrà desiderare quella ricca o di successo, per poi percepire la differenza di condizione economica come sminuente.
Gli esempi potrebbero continuare a lungo.

Cantava il buon Fabrizio De André nella sua “Bocca di Rosa”:
Si sa che la gente da’ buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio
si sa che la gente da’ buoni consigli
se non può dare cattivo esempio.
” 😉

In un certo senso si potrebbe davvero arrendersi e concludere che forse un certo grado di ipocrisia è innato nell’uomo, però ci sono società, magari rurali, o persone singole, che ne appaiono davvero prive.

Mi ricordo una frase del film “Sette anni in Tibet”, nella quale una tibetana spiega al protagonista, che incarna il modello dell’uomo di successo europeo (un celebre scalatore davvero esistito e recentemente scomparso, Heinrich Harrer, interpretato nel film da Brad Pitt), che nella loro società “all’uomo medio non interessa mettersi in mostra, ma solo fare ciò che è bene per lui e per la società stessa” (vado a memoria).

Che sia la società occidentale ad essere affogata ormai da tempo in un mare di ipocrisia al punto dal farla sembrare ineluttabile?

Bé, se condideriamo che il nostro modello occidentale è quello più esportato nel resto del mondo… forse, almeno da questo punto di vista, non c’è da stare troppo allegri 😐

0 pensieri su “Ipocrisia – Dorian Gray

  1.  Ciao a tutti.
    Io amo il libro, ho cercato di approfondirne gli aspetti da diverse angolature.
    Da tener presente il credo esteta di Wilde.
    La filosofia dell’ estetismo si può spiegare con il ribaltamento del principio “ arte imitazione della vita” in “vita imitazione dell’arte”. Il motto dell’esteta è “ sii artificiale”, in quanto sostenitori dell’idea che per l’uomo sia indispensabile portare una maschera per poter vivere la vita con un giusto distacco. E questa maschera che ci si è scelti deliberatamente e prodotto della propria mente diventa l’unica identità dell’uomo e migliore in quanto elaborazione della propria natura imperfetta. Diventa quindi più importante chi si finge di essere di chi si è veramente. Paradossalmente l’ atteggiamento conta più della vera natura. La maschera rende la vita più ampia, più ricca e consente all’esteta di godere ogni sorta di esperienze. Oscar Wilde rende più che mai concreto questo principio scindendo fisicamente l’anima e la maschera del ragazzo che diventano due elementi distinti, concretamente indipendenti uno dall’altro. La maschera è il suo corpo che resta immutato e splendente, “migliore” della sua anima, il ritratto, che viene invece deteriorato dal tempo e dalle cattive azioni.

    Bisogna fare di questo credo una chiave di lettura, che giustifica il sofismo di Henry e la sua apparente incoerenza, in quanto disposto a tenere un qualsiasi punto di vista purchè gli altri gli credano. Oscar Wilde è coerentissimo. Non è l'ipocrisia di Henry che vuole condannare, ma l'ipocrisia della società, la falsa moralità. Wilde fa' come una suddivisione dell'ipocrisia in buona e cattiva, rispettivamente quella rappresentata da Henry, che rappresenta il principio e che si preoccupa  unicamente della forma, e quella cattiva della società, che come Henry mette in primo piano l'etica formale e falsa del doversi comportare, ma predica una morale che non rispetta, la vera ipocrisia.
     

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  2. x Carmela: mi spiace di aver letto il tuo commento solo adesso (grazie all'intervento dell'utente anonimo). Ogni tanto me ne perdo qualcuno

    x l'utente anonimo #53: grazie per il tuo bel intervento che ho letto con attenzione In linea di massimo direi che condivido il fatto che è la società ad essere accusata da Wilde di ipocrisia, d'altronde un grande autore come lui non si sarebbe – credo – preso la briga di scrivere un intero libro al fine di prendersela con un singolo individuo, per quanto possa essergli stato antipatico. Tuttavia è difficile leggere nell'analisi di Henry un'ipocrisia "buona"… io almeno non ci riesco. E' anche vero però che certamente tale figura è stata "caricata" nel film e può pertanto non essere fedele all'originale voluto da Wilde nel suo libro.
    A questo punto mi piacerebbe però sapere cosa ne pensi della figura di Basil, poiché è proprio dal confronto tra le figure dei tre personaggi maschili principali, più che dalla lettura delle singole figure, che forse si capisce di più il pensiero di Wilde…

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