Dipendenze Affettive (estratto da uno scritto di Piero Priorini)

Il seguente post, un estratto di un articolo di Piero Priorini, psicologo romano, l’ho pubblicato per la prima volta sul mio blog il 20 ottobre 2007, qui potete trovare il post originale con i commenti dell’epoca: Dipendenze Affettive (estratto da uno scritto di Piero Priorini)

Incredibilmente, solo oggi, a distanza di pìù di sei anni, ho scoperto che Priorini ha un suo sito (http://www.pieropriorini.it/) nel quale si possono trovare i collegamenti alla sua pagina facebook, al suo blog e a numerosi suoi articoli, compreso questo che, quindi, potete anche leggere nella sua interezza (qui: Dipendenze Affettive).Magari può interessarvi 🙂

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[…] Alcune domande fondamentali che ho imparato a rivolgere a coloro che si rivolgono a me per curare una supposta ferita d’amore, sono quelle relative alla descrizione del proprio compagno e delle esperienze vissute insieme. Quasi sempre c’è incompatibilità d’anima, mancanza di rispetto, progettualità diverse se non addirittura opposte, bisogni e desideri che non possono essere condivisi. E scarsi, se non assenti, sono stati i momenti di comunione profonda e di soddisfazione reciproca.

Perché allora continuare?

Perché tormentarsi nella speranza che le cose possano cambiare quando il supposto cambiamento è stato solo desiderato, sognato, immaginato ma mai sperimentato come possibile?

Perché non poter chiudere e allontanarsi, magari tra mille turbamenti, ma con la consapevolezza di una fine che era inevitabile per il rispetto di entrambi?

Perché restare sul posto, immobili… spesso indifferenti agli insulti e agli oltraggi… amplificando il proprio dolore a dismisura in una sorta di delirio sacrificale il cui orrore è pari solo alla sua inutilità?

E – soprattutto – perché questo stato di cose sembra non avere mai fine? Non essere limitato entro un ragionevole lasso di tempo entro il quale valutare le effettive opportunità di cambiamento…

Una osservazione superficiale potrebbe far ritenere il fenomeno dovuto alla minore capacità degli uomini e delle donne moderni di sopportare qualunque tipo di frustrazione, e di stabilire perciò dei legami di dipendenza non essendo semplicemente in grado di accettare il rifiuto di sé.

Ma non è così. Anzi… si potrebbe affermare addirittura il contrario: e cioè che la dipendenza si stabilisce appunto perché c’è il rifiuto. Se non ci fosse, quasi sempre il supposto amore finirebbe in un lasso di tempo incredibilmente breve.

Per quanto paradossale possa sembrare, la dipendenza si alimenta del rifiuto, della negazione di sé, del dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità.

Quello che seduce è la lotta.

Quello che incatena – per usare le parole della psichiatra milanese Marta Selvini Palazzoli – è l’Ibris, cioè a dire la ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi nella vita a farsi amare da chi proprio non vuole saperne. O, secondo una serie di specifiche variabili, di riuscire a curare chi non può o non vuole essere curato, di salvare chi non può o non vuole essere salvato.

Ma ancora una volta, contrariamente a quello che può ritenere il buon senso comune, questa compulsione ad oltranza che spinge gli affettivo-dipendenti a permanere nella proprie inutili battaglie, non è determinata da una sorta di masochismo psichico. Non è il piacere per le proprie sofferenze che motiva tutte queste persone, bensì proprio l’opposto: la speranza inconsapevole di saturare una vecchia ferita. Di guarire da un male antico.

Perché il rifiuto, l’abbandono, la svalutazione di sé, l’umiliazione, hanno già fatto parte della loro vita emotiva; in un modo o nell’altro sono state queste le esperienze cruciali che hanno caratterizzato il delicato periodo formativo della loro personalità. Che ne è stata segnata!

In un’epoca in cui l’autonomia emotiva e la piena coscienza non potevano ancora essersi formate ci sono state laceranti esperienze di rifiuto e di abbandono da parte di uno o di entrambi i genitori, come conseguenza delle quali i bambini sono cresciuti in una sorta di anestesia che nasconde però sia l’ambivalenza dolore-rabbia per il mancato riconoscimento d’amore, sia l’atroce dubbio di non valere poi tanto e di dover fare di tutto per essere migliori.

La crescita copre la ferita… ma la lascia insanata.

Quando poi, nella vita adulta, si presenta una situazione simbolicamente simile a quella precedentemente vissuta è come se fosse colta al volo l’occasione di ritualizzarla per tentare di sanare il passato attraverso il presente. L’intento dell’inconscio non è sciocco né tanto meno auto-distruttivo. Piuttosto è ingenuo nel suo presumere di poter dimostrare una volta per tutte la propria disponibilità affettiva e il proprio valore, di conquistare (curare o sanare) l’essere tanto amato ma mai conquistato, e di venir così risarcito di tutto l’amore mancato.

Quasi mai l’Altro è visto per quello che è (spesso un egoista chiuso su se stesso, o un nevrotico senza speranza o un approfittatore senza scrupoli); piuttosto è immaginato come sarebbe qualora si lasciasse finalmente amare e con amore ricambiasse tanta dedizione. È di questa immagine, evocata come per incantamento nello specchio magico dell’inconscio, che il dipendente si innamora; senza accorgersi minimamente che dietro tale mascheramento occhieggia il volto del genitore che l’ha tradito.

L’ulteriore e ultimo paradosso consiste nel fatto che il rituale simbolico è percepito tanto più significativo – e dunque tanto più coercitivo – quanto più l’Altro si presenta affettivamente poco disponibile e non del tutto conquistabile, così come mai raggiunto e mai conquistato è stato l’adulto abbandonico. Non a caso la maggioranza degli affettivo-dipendenti confessa spontaneamente di non aver provato quasi mai attrazione verso Altri che, pur avendo tutti i requisiti per essere desiderabili, hanno commesso l’errore di testimoniare un gratuito affetto nei loro confronti. Come se la gratuità, appunto, avesse il potere di soffocare il loro desiderio, che solo nella morbosità della difficoltà e del rifiuto viene invece percepito e riconosciuto. In sostanza, più che di una immaturità cognitiva ed emozionale del dipendente, si tratta di una distorsione patologica della sua vita affettiva, ricalcata sull’impronta distorta impressa dal modello di relazionale primario.

Fermo restando che in qualunque relazione possono esserci brevi dolorosi momenti di mancata comprensione e incompatibilità, l’essenza dell’amore dovrebbe consistere nel piacere e nella gioia di condividere con un altro essere umano il mistero della propria vita. La dipendenza affettiva, al contrario, è caratterizzata da una tensione di incomprensioni e di ostilità, magari inconsce ma costanti, e dal ristagno dell’anima in condizioni quanto più dolorose e difficoltose… pena la fine dell’incantamento e la ricerca di una nuova relazione ancora più penosa e priva di speranza, in una coazione a ripetere pressoché infinita.

Piero Priorini

36 pensieri su “Dipendenze Affettive (estratto da uno scritto di Piero Priorini)

  1. Ora comincio a capire perchè molte coppie che non si sopportano rimangono insieme…certo che la psiche umana è assai complessa. Io lo vedevo più come un atteggiamento autodistruttivo, invece sembra non sia così, c’è un enorme dispendio di energia da parte del dipendente e per cosa poi…Addirittura secondo Priorini anche se finisse una relazione di questo genere ne nascerebbe una simile, insomma non sempre l’esperienza insegna a quanto pare.
    Un bacione caro Lupo 😉

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    • Vero, sono dinamiche particolari e affascinanti allo stesso tempo. A suo tempo mi feci una discreta cultura e devo dire che se decisi di pubblicare questo scritto è perché fu quello che evidentemente trovai più convincente. Anche se, va da sé, non bisogna generalizzare, per quanto sia convincente non è sicuramente applicabile a tutti i casi.
      Bacione 🙂

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  2. Ho letto tre volte questo post! Qualche frase l’ho letta molte più volte. Se avessimo la possibilità di conoscere noi stessi e di conoscere lo “standard” umano, penso che tutti si potrebbe vivere meglio. Mi affascinano sempre i discorsi riferiti alle emozioni, ai comportamenti – trovo siano argomenti di estremo interesse e ne sono rapita. Ovvio che, personalmente, a questo non aggiungo nulla – trovo tutto perfettamente vero.
    Concordo con quanto mi hai risposto in un blog precedente e la poca volontà di trovare “strade alternative” penso sia comunque il peggior nemico di questo nostro tempo.
    Tommino e gli altri … sorrido!
    Buona domenica esteso a tuttissime/i

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  3. Esiste anche un’altro aspetto della dipendenza affettiva che rigurada il partner che vorre chiudere il rapporto e conscio dei suoi sentimenti ma si trova intrappolato nel senso di colpla e l’invcapacità di trovar eil coraggio di ferire o finire per dare il colpo di grazia ad un partner a con problemi d’ansia e punte di depressione, senza un lavoro e che ha fatto tabula rasa della sua vita affettivamente dipendente…
    Un saluto

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    • Come rispondevo a Demetra, un paio di commenti prima, ovviamente ogni caso fa caso a sé ed una regola, per quanto valida, non può essere generalizzata. Tuttavia… io vedo nel caso che descrivi non un caso completamente isolato, ma piuttosto un sottocaso di quello generale. Credo che la prima regola sia l’autoprotezione: per quanto gravato da difficoltà oggettive dell’altra persona, una persona “sana” sa razionalizzare e seguire il fatto che se sta male lei, a causa del rapporto, non potrà comunque aiutare nemmeno l’altro. Il sacrificio di sé stessi, in definitiva, non solo non è d’aiuto, sul lungo periodo, al partner in difficoltà, ma finisce per rovinare entrambi.
      Saluto 🙂

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  4. Io soffrivo di questa ” malattia”..ma da anni sono guarita. Quando ho imparato ad amarmi, a superare un vecchio disagio, e poi, in ultimo, quando ho trovato, dopo questo percorso di rinascita, la persona giusta 🙂 Buon 2014 Lupo, ti abbraccio :*

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    • Bé, certamente la “persona giusta” aiuta molto 🙂 però tu avevai già iniziato il tuo percorso da sola, e questo ti rende merito, anche perché in ogni caso bisogna metterci del proprio altrimenti l’aiuto altrui finirà per non bastare 🙂
      Grazie, abbraccio anche per te! 🙂

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  5. L’argomento è interessante e molto chiaro! Mi fa riflettere sul perchè tante donne maltrattate moralmente e fisicamente non lasciano trapelare nulla e non denunciano il partner neanche quando arriva alla violenza da pronto soccorso!

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    • Sì, è vero Flo’. E’ mia convinzione che il vero amore non sta lì a farsi prendere a calci in faccia, perché ha anche rispetto per sé stesso. Quando ciò succede c’è sempre qualcosa dietro…

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  6. ciao Wolf,
    lungi da me entrare in polemica con Priorini ma… i concetti espressi sono troppo elementari, dozzinali, la proiezione di un cambiamento di un/a partner finalizzato a un coinvolgimento affettivo compensativo, non nasce da incaponimento concettuale. L’affettivo-dipendente è masochista per definizione, fino all’asservimento mutato in fonte di appagamento.

    La psicologia è una sorta di zona franca ove è possibile affermare tutto e il contrario di tutto ma esistono punti fermi dai quali è impossibile prescindere. La sperimentazione è spesso di proposta e non di risposta, chiamiamola una scorciatoia, è sufficiente un risultato minimo, tra l’altro interpretato, per aprire nuove strade teoriche, SEMPRE e solo teoriche.

    TADS

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    • Secondo me Priorini non parla di “incaponimento concettuale”, piuttosto di un meccanismo inconscio che determina quello che appare come masochismo, e di fatto lo è. Lui cerca di dare una spiegazione di tale masochismo, di dire cosa lo provoca. Sulla seconda parte del tuo commento, anche io ho avuto spesso tale sensazione, di fatto ognuno trova valida la teoria che semplicemente sente vera… per sé stesso, il che non significa che sia vera in generale.
      Un saluto 🙂

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  7. …ti sembrerà banale, ma condivido tutto!
    Non è semplice comprendere sé stessi e avere la pretesa di conoscere gli altri è l’assurdo in cui viviamo!
    Ciao, come vedi,sono di nuovo in rete (anche se ancora un po’ malconcia 😦 )
    Vi abbraccio

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  8. Sono d’accordo su tutto, del resto sapevo che più ci si detesta e più non si ha la forza di troncare. Tutto parte dall’infanzia e da ciò che i genitori hanno trasmesso, chi non ha ricevuto amore costante sarà una persona insicura e diffidente e alla ricerca di una stabilità affettiva a qualunque costo.
    Interessante, molto interessante, mi piacciono questi post introspettivi.
    buon tutto
    un saluto
    annamaria

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  9. Un post interessantissimo…è vero e non riesco a capire perchè la natura ci ha inguaiati in questo modo. Per quanto mi riguarda da ormai un bel po’ di tempo ho deciso di chiudere (magari dopo averci pensato bene sopra) defnitivamente le situazioni che mi fanno star male…Non credo che sia egoismo ma necessità di sopravvivenza. Ciao 🙂

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    • Bé, complimenti 🙂 Un gran passo il tuo, spero che tu riesca a mantenerlo a lungo. Magari tutta la vita 😉 Sicuramente si tratta di sopravvivenza, concordo in pieno… e pazienza se qualcuno storce il naso e la pensa diversamente 😉
      Ciao cara 🙂

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  10. Post molto impegnativo e profondo.
    Di coppie così c’è ne sono molte più di quanto si possa immaginare ….. sono vite buttate via!!
    Ti invito a passare da me per leggere il mio ultimo post, potrebbe interessarti

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  11. A chi lo dici 😀 non so se i datari sono stati usati da altri, fatto sta che li devo comunque risistemare, volevo crearne altri due ma prima devo mettere a posto quelli che ho già fatto. Con IE anche il mio template(dove posto i lavoretti)fa i capricci e il lavoro è un po lungo per sistemare tutto. Oggi avendo un po di tempo invece di sistemare i codici ho fatto i biscotti alla piccola peste (a Tigre non piacciono), credo che lui lo abbia preferito 😀

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