Superare la Paura della morte – dal libro di Lucio Della Seta

Bene, finalmente sono pronto a pubblicare l’annunciato estratto dal libro “Debellare l’ansia e il panico” di Lucio Della Seta. Pensate che mi sono portato il libro in ufficio per una settimana con l’idea di scriverlo durante una delle pause pranzo ma, ovviamente, non ho avuto tempo 😛 Comunque, anche se in ritardo, eccolo qua 🙂

Superare la Paura della morte

La nostra vita ha una caratteristica indecente: finisce sempre male con tutti che piangono.

Di conseguenza, per capire le nostra difficoltà esistenziali ci dobbiamo ricordare che solo qualche decina di migliaia di anni fa i nostri antenati non sapevano di esistere. Né sapevano di morire. Secondo me, quando la funzione cosciente si è sufficientemente sviluppata da permettere loro di capire che si muore per sempre, sono andati fuori di testa.

Nel tempo hanno cominciato a portare del cibo ai morti, a inventare cerimonie, riti, religioni, superstizioni, sperando così di evitare la catastrofe.

D’altra parte, a meno di non essere seguaci della dottrina indiana della Maya, in cui la realtà non esiste e tutto è illusione, quello che sappiamo è che passiamo un certo periodo di tempo su una palla di terra, acqua, fuoco, che gira attorno al Sole.

Non sappiamo altro. Allora inventiamo. Deliriamo.

La definizione di “delirio” da parte della psichiatria è: “”una convinzione che non corrisponde né alla ragione né all’esperienza”.

Ma la psichiatria si limite a considerare deliranti solo quei comportamenti e quelle idee che appartengono a piccolo minoranze, e non considera deliranti una grande quantità di comportamenti solo perché troppe persone vi sono coinvolte.

Credersi Napoleone è delirio, mentre chi è convinto della pericolosità dei gatti neri non delira.

Insomma, se idee o concetti chiaramente deliranti sono comuni a molti, a una maggioranza, non sono più deliri.

Nelle nostre condizioni, avere dei pensieri deliranti e teorie inventate che cercano di capire e di conoscere la realtà è normale.

Ci possiamo illudere di sapere qualcosa ma non è vero: quindi è fisiologico delirare, anche se questi deliri sono poi fonti di sofferenza.

Tutte le superstizioni sono forme di delirio e la loro eliminazione è condizione indispensabile per il benessere mentale. Superstitio viene dal concetto di essere superstiti, di sopravvivere.

Chi ha l’ansia non deve conservarne neppure una. Faccia questa guerra e ne avrà enormi vantaggi perché ogni superstizione alimenta, direttamente o indirettamente, la Paura di morire.

Ho visto che nel Taoismo c’è una pratica particolare e molto saggia, si chiama Wu Wei e consiste nel “non fare”.

E’ un non fare attivo, un astenersi.

Applicare il concetto di Wu Wei al fatto che si muore è un intelligente rimedio all’irrisolvibile.

Più si tenta di risolvere il problema della morte e più se ne rimane invischiati.

Il Wu Wei può servire a governare questa Paura decidendo di non occuparsene. Si deve imparare a non occuparsene, perché non è vero che si tratta di un problema risolvibile.

Tra i significati del Wu Wei, qui, il “non fare” equivale a resistere alla tentazione di far seguito pensieri, considerazioni, idee, azioni alla Paura della morte. A 360 gradi.

E’ inutile illudersi di risolvere il problema della morte con invenzioni e pratiche che non possono funzionare mai fino in fondo.

Occuparsene è, semplicemente, una trappola infernale.

Non è impossibile imparare a essere attivi nel “non fare”.

Ci si deve abituare a non occuparsi mai del fatto che si muore. Quando viene in mente che c’è la morte, si deve imparare a ignorare questa istanza. Allora essa si estingue, smette di presentarsi e tormentarci.

Quando viene il pensiero della morte si deve imparare a restare fermi con la mente, vuoti, fino a quando il pensiero scompare. Non è facile, ma funziona.

Il beneficio per gli ansiosi è evidente, visto che l’Ansia, lo ricordo, è in ultima analisi Paura della morte.

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Commento di Wolfghost: può sembrare che questa visione sia estremamente materialista e distante dal mio modo di vedere le cose, ma non lo è veramente, non troppo almeno. In fondo ricordiamoci che il Buddha storico non rispondeva mai alle domande sulla vita dopo la morte ritenendo la faccenda superflua. Quello che interessava era la libertà dalla sofferenza, qui e adesso. La vera meditazione, in fondo, è assenza di pensiero e può perciò essere usata anche per eliminare il pensiero della morte, senza “risolverne” il problema. Lo si rimuove semplicemente. Una specie di “lontan dagli occhi, lontan dal cuore”.

Se il metodo può essere applicato a questa visione, il “progetto” finale è diamentramente opposto nel caso dei buddhisti tibetani odierni: i buddhisti infatti cercano di accettare la morte, non di evitarne il pensiero. Questa, per me, sarebbe la soluzione ideale poiché evita di ritrovarsi un giorno impreparati di fronte alla morte, sempre che essa non arrivi di colpo, senza darci il tempo di pensare.

Tuttavia è molto difficile.

E’ più facile imporsi di non pensare alla morte che cercare di accettarla fino in fondo, di convivere con la consapevolezza che c’è. Questo lo so per esperienza. Forse è per questo che Della Seta ritiene la morte un problema “irrisolvibile”.

Non so se sia veramente così, sono anzi certo che ci sono molte persone che la morte l’hanno accettata veramente, la loro come quella dei loro cari. E il cui pensiero non li disturba più.

Probabilmente l’approccio corretto è personale e la scelta individuale insindacabile.

Insomma… fate la vostra scelta, io qui non posso esservi di aiuto 🙂

32 pensieri su “Superare la Paura della morte – dal libro di Lucio Della Seta

  1. Siamo troppo radicati alla vita che è difficilissimo pensare con serenità che ci sarà un giorno che dovrà finire. Noi occidentali consideriamo la fine della vita umana come un problema, tanto che, presi da una specie di sindrome dell’onnipotenza e dell’eternità, la consideriamo come qualcosa che non ci riguarda, anche scaramanticamente addirittura la pensiamo come un evento aleatorio che è molto meglio se colpisce gli altri che ci sono lontani. Perciò per queste persone è un problema “irrisolvibile”
    E non consideriamo quelli che ad ottant’anni sono così presuntuosi da sostenere che il loro tocco magico e miracoloso al contempo, farà rivivere il mondo soltanto perchè solo loro ne hanno assoluta abilità!
    Il mondo è fatto da sempre così: si nasce, si cresce (e molto spesso ci si accresce) e poi si muore 🙂 per far spazio agli altri, forse? 😉
    Sorella Morte, come la considera San Francesco, e umilmente la considero anch’io, è prossima a tutti, ci è vicina ma non è invadente. Ci dispiace quando accompagna i nostri cari in un’altra dimensione, ma non ha il potere di strapparli dal nostro cuore e dalla nostra mente, ma come dicono i miei amatissimi Beatles, “I know I’ll never lose affection for people and things that went before, I know I’ll often stop and think about them in my life I love you more.” in “In My Life”(1965). Se ti va ascoltala è qui http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=T4C7nzceL8Q (io scrissi anche un post su Splinder che mi sono riportato su blogger, http://clereveries.blogspot.it/2011/11/ai-nuovi-amici-sono-qui-da-qualche.html#comment-form)
    Buona notte e buon weekend
    A lovely hug for the Wolfgost’

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    • Bé, veramente non considerare la morte è un pò la soluzione che propone l’autore del libro: poiché tento si muore comunque, tanto vale non pensarci 🙂 E’ un po’ un nascondere la testa sotto la sabbia… sapendo di farlo.
      Il problema secondo me ce l’ha chi la morte ce l’ha fin troppo presente e non riesce né ad accettarla né a far finta che non ci sia, a non pensarci. Chiaro che se si crede in una altra dimensione che ci accoglierà, come sembri pensarla tu, è più facile, sia per noi stessi che per i nostri cari che non ci sono più perché sappiamo che li rivedremo o che in ogni caso non sono scomparsi del tutto.
      Le parole dei Beatles sono belle, ma… cosa accade quando anche chi è rimasto scomparirà? Voglio dire, noi ricordiamo i nostri genitori, forse i nostri nonni, ma i nostri bisnonni è come se non fossero mai esistiti, e con loro tutte le migliaia di generazioni precedenti. Intendo dire che anche considerando la “memoria” una soluzione, è una soluzione comunque temporanea.
      Grazie cara e buonanotte… una notte più in là 🙂

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      • E’ proprio vero, credere in un mio prossimo futuro sotto un’altra veste, anche se non riesco ad immaginare come sarà, mi aiuta tantissimo, lo ammetto.
        Ci sono arrivata “aggrappandomi” ai miei ricordi. Ne ho passate tante nella mia non breve esistenza.
        Ho contestato, rifiutando i facili compromessi che mi offriva la vita, sapendo che mi avrebbero portato a quella morte che è deleteria, quella dell’anima.
        Ho fatto scelte di cui non mi sono mai pentita e che mi hanno lasciato bellissimi ricordi, e che forse hanno favorito l’arricchimento di valori come la fiducia e la speranza che non mi abbandona mai, anche in momenti difficili, per esempio, quando un coma diabetico mi fa da simulatore per allenarmi meglio a non aver paura della morte.
        Non mi importa quanti mi ricorderanno, non ho la pretesa di essere Giulio Cesare, 🙂 mi piacerebbe che quello che ho dato con amore venisse conservato nella mente e nel cuore di chi mi è stato vicino!
        Grazie, mio caro amico!

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      • Il tuo è un risultato straordinario, comunque sia avvenuto; credere fermamente che non tutto finisce con la morte è una grande conquista che da serenità alla vita, perfino nei momenti difficili. Un mio collega, molto credente, mi ha detto una volta che in fondo non è nemmeno importante cosa davvero c’è dopo, perché anche non ci fosse nulla… non potremmo starci male, l’importante per lui è vivere con quella certezza: vive bene, sereno, affrontando le cose con uno spirito migliore. Se poi si sarà sbagliato… almeno avrà vissuto bene 🙂
        Un abbraccio! 🙂

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  2. Semplicemente straordinario!
    E non solo per quanto riguarda la “paura della morte” – che io non ho -, ma anche per il concetto di delirio – che io possiedo – e per la distinzione di esso in base alla sua diffusione. Dato che soffro d’ansia, metterò in atto ciò che ho attentamente letto.
    Grazie, lupo 🙂

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    • Bé, probabilmente chi non lo possiede, il delirio così come inteso dallo scrittore, viene considerato un cinico che non crede a nulla. Non è così? 🙂 Insomma credo tu sia in ottima compagnia 😛
      Un abbraccio cara Alessandra 🙂

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    • Bé, a me non è il pensiero che prima o poi morirò, sono ragionevolmente certo che se avessi la fortuna di diventare novantenne (faccio per dire) non avrò questo timore. Piuttosto sul… quando, e sì, un pò anche sul come 🙂
      Bacione 🙂

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  3. E’ interessante quando illustri l’argomento “superstizioni”, come appunto delle illusioni che gli umani inventano per affrontare la paura soprattutto della morte, un modo per sopravvivere, ma questo modo non c’è e come tutto intorno a noi, siamo destinati, almeno per quanto riguarda il corpo materiale, ad avere un invecchiamento ed una fine. Quello che mi preoccupa di più è la sofferenza e vorrei tanto invece morire come si racconta fra gli aborigeni o gli indiani d’America e cioè il rendersi conto della fine ed avere la possibilità di prepararsi. Alla morte in se stessa non ci penso. Un saluto gradissimo, Fulvia

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    • Bé, non solo gli aborigeni. I buddisti tibetani basano in pratica tutta la loro esistenza sulla preparazione al passaggio della morte, non aspettano nemmeno di essere prossimi alla fine, per cui quando questa arriva non importa. Chiaramente per loro non si tratta di superstizione, per Della Seta e chi la pensa come lui sì 🙂 Chi ha ragione? 😉
      Salutone 🙂

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  4. OT che non è un OT.
    Talvolta hai scritto – o qui o da me – che sei deluso dal seguito del tuo blog. Capita anche a me. Ma ciò che voglio dirti è che molti miei amici, e amiche, della “vita reale” – in realtà, stupida definizione – ti leggono stesso, pur senza commentare. Ciò accadeva anche su Splinder; ma il fenomeno si è ripetuto qui.
    E tutti concordano con me: il tuo è il miglior blog.
    Un caro abbraccio, lupo!

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    • Sì, posso averlo scritto di essere deluso, ma non tanto per il mio specifico blog – sono il primo a non riuscire a seguirlo come vorrei 😀 quindi come posso pretenderlo dagli altri? – quanto dal come viene utilizzato questo mezzo – e in generale il web. Sui numeri, è tanto che ho smesso di guardarli, certamente se andassi a leggere il numero delle visite che ho ora lo troverei enormemente inferiore al numero che – in pari tempo – avevo su Splinder. Il punto è che certamente il mio blog di adesso non ha nulla a che vedere con il blog di allora, basta andare a vedere i post che pubblicavo nei primi anni. Avevo più tempo, forse tante cose da dire, argomenti da trattare. Ora sono sempre di corsa, spesso mi trovo a dover “inventare” un argomento, all’epoca mi nascevano spontanei ed anzi avevo il problema di non “sovrapporli” 🙂 Dovrei reinventarlo un po’ questo blog… 😐
      Abbraccione 🙂

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  5. Semplicemente ti lascio il mio abbraccio.Tornerò a leggerti con calma non appena mi sentirò un poco meglio (attualmente ho sommato una frattura grave al gomito dx (fsrò suonare gli allarmi di banche e negozi visto che mi ritrovo una placca e due chiodi lì..) all’influenza…
    Insomma posso solo migliorare se guardo avanti! 🙂

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    • Ah, caspita! Mi spiace soprattutto per la frattura, cara Paola! Spero che i tempi di un buon recupero non siano troppo lunghi… Ti mando un grosso abbraccio virtuale, bé… magari non troppo forte, va’, non vorrei farti male al braccio! 😉

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  6. credo di aver affrontato questo argomento con te tante volte, forse a simboleggiare quanto lo sentiamo “vicino”.
    Ho letto frequentemente ( e concordo pienamente) che in occidente cresciamo con l’idea assoluta di evitare di parlare di morte come di qualcosa di negativo a cui non dobbiamo pensare per non intristirci senza mai riflettere che 1) è qualcosa che esiste e che prima o poi … 2) perchè deve essere semplicemente vista come una cosa negativa ?

    il mio problema è ben altro ovvero COME MORIRE… malattia ? incidente ? suicidio ? omicidio ? tutte sembrano comportare sofferenza sia fisica che emotiva… e qui si che alzo le mani.

    un saluto
    Isaac

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    • Mi colpisce soprattutto la seconda questione: perché deve essere semplicemente vista come una cosa negativa? Bé… perché – a meno di non credere in qualcosa dopo la morte – porta al non-essere, all’annullamento, al dolore ed alla tristezza che lasciamo in chi, eventualmente, ci sopravvive. Forse ha ragione un filosofo che sosteneva che l’uomo è così abituato ad “esserci” che difficilmente riesce a percepire veramente un mondo senza di lui.
      Poi è chiaro, ci sono condizioni – di grande sofferenza – dove perfino la morte diviene cosa buona.
      Su “come” morire, non lo so. Lo percepisco come… un problema secondario 😀
      Ciao caro 🙂

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  7. Non credo che sia possibile dimenticare la morte come sembrerebbe auspicare l’autore del libro…
    Siamo a contatto con questo evento infausto ogni momento e dimenticarlo vorrebbe dire dimenticare il senso della nostra vita, che sappiamo finirà inevitabilmente.
    Accettarla come qualcosa che è impossibile evitare, accettarla senza drammatizzare (almeno per quanto riguarda la nostra) penso che sia l’unica soluzione possibile.
    Diverso è quando ci toglie i nostri cari, allora la sensazione di perdita è così straziante che facciamo una gran fatica a giustificare la ragione di ciò che ci accade…del resto questo succede sempre quando qualcosa ci fa soffrire.
    Ciao 🙂

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    • Il problema è che accettare la morte è davvero difficile, per chi ce l’ha ben presente. Ma per queste persone è forse ancora più difficile far finta che non ci sia. Anzi, è sicuramente molto più difficile.
      Ciao cara 🙂

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  8. Astenendomi dall’azione, preferirei astenermi dal morire. Però mi viene il sospetto che non sarà possibile. In realtà spero sempre in un passaggio indolore a qualcos’altro, cosa anche questa piuttosto rara. Mi piacerebbe però compiere fino in fondo il mio compito sulla terra, prima di perdere la coscienza e l’esistenza come individuo e non dispero di riuscirci.

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    • eheheh no, mi sa che non morire non e’ purtroppo un’opzione possibile 😛 Oltre al modo pero’, io metterei anche il quando… no? 🙂
      Compiere il proprio compito fino in fondo e’ un ideale e un obiettivo molto bello e valido. Forse il “proprio compito” inizia con il riuscire a vivere a pieno, al di la’ degli scopi che uno si pone.

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  9. Ho sempre pensato che la paura della morte sia dovuta al fatto che conosciamo così poco della vita,della sua origine del suo perchè,anche se ci sembra l’esatto contrario e,forse,proprio questa falsa conoscenza a precluderci la scoperta di comprendere in cosa realmente consista la vita ,magari vita e morte sono solo due termini coniati dalla nostra inconsapevolezza per designare una stessa situazione osservata da due piani di realtà differenti e,la realtà non è in fondo una questione percettiva?
    BElla nevicata e belle foto…..forse gli attimi che hai speso ad osseRvare un fiocco di neve che si scioglie valgono tutti gli anni trascinati fra i tuoi colleghi..anche in questo caso….puoi scegliere di valorizzare la qualità di certi spazi rispetto alla quantità di certi altri.
    Ti faccio i miei auguri e..chissà perchè ahahah leggendoti mi è venuto in mente questo:http://www.youtube.com/watch?v=q030WNZvXrA

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    • In un certo senso credo proprio che sia così: la paura della morte esprime il terrore di non esistere più, di scomparire nel nulla, di lasciare i nostri cari nelle difficoltà; è chiaro che sapere che non è così cambierebbe tutto. Ma siccome non c’è modo di esserne sicuri, se non per atto di fede, la paura difficilmente viene annullata.
      eheh forse un fiocco di neve non basta, ma ci si prova dai! 😀
      Un caro abbraccio, un augurio e… ahahah bé, quel film è un po’ il manifesto dell’impersonalizzazione dei nostri tempi! 😉

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  10. io ho sempre pensato che, in caso di morte collettiva…in conseguenza di un disastro planetario, la morte sarebbe piu’accettabile. Quello che e’ difficile da accettare e’ che la tua vita debba finire prima di tante altre vite, magari per una malattia incurabile di cui non hai colpa. E’ l’ingiustizia di fondo che fa rabbia. Poi c’e’ anche la paura. Io sono credente e sono certa che ci sara’ un’altra dimensione. Cio’ non toglie che ho paura di COME moriro’. La cosa migliore e’ probabilmente una morte improvvisa: alzarsi al mattino pieni di progetti per la giornata e bloccarsi all’improvviso in un attimo…un istante…e poi il nulla. L’attesa della morte, la previsione, la sofferenza fisica e morale: questi sono i fattori spaventosi, orribili!

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    • Mah… un tempo la pensavo anche io così… adesso non lo so. Pensare di lasciare tutto in disordine, di non aver il tempo di sistemare le cose per chi resta, di salutare le persone care, di… non essere proprio pronto “spiritualmente” (ammesso che si possa arrivare ad esserlo)… non so…
      Anche sul senso di ingiustizia ho avuto un cambiamento di tendenza: anche io un tempo pensavo che una “fine globale” l’avrei accettata più facilmente, ma… muore così tanta gente giovane e lo si viene a sapere così facilmente che non credo mi riterrei “additato dal destino” perché tocca a me… sono già anni che anzi mi ritengo fortunato ad essere arrivato alla mia età (47). Certo… morissimo tutti assieme non avrei il pensiero di lasciare in difficoltà chi lascerei, ma insomma, mi sembrerebbe quasi di augurare la morte anche ai miei cari! 😀

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    • eheheh benvenuta nel club, Luana 🙂 Sono anni che mi sto scontrando con questo dilemma ormai 😉
      Respingere semplicemente il pensiero della morte sembra molto semplice quanto… stupido, vero? 🙂 Eppure, come citato da questo psicologo, alla fine non è così distante dal pensiero orientale, dal “primo” almeno. Il primissimo buddismo, ad esempio, promulgava la semplice verità che l’Io, come lo conosciamo, non esiste. Prova semplicemente ad osservare i tuoi pensieri: compaiono, spariscono, non permangono se non per pochissimi secondi. Eppure noi ci identifichiamo con i nostri pensieri, pensiamo di essere essi. Non è così. Pur non sapendo cosa siamo, e nemmeno se siamo qualcosa, sicuramente non siamo il nostro pensiero e la dimostrazione è proprio nel fatto che i pensieri… non durano, sono una costruzione mentale che poggia… su un’illusione.
      Ma chi è che soffre, che è in ansia, che ha paura, se non il nostro pensiero? Quando riusciamo a non pensare – quasi mai in realtà – scompare tutto, abbiamo percezione di unità con il tutto dove noi, nel senso di “Io”, scompariamo. E non c’è paura, non c’è ansia.
      Il nostro corpo o le nostre percezioni basate sui cinque sensi (e forse di più) ci mandano segnali di allarme affinché noi si possa rimediare ad un pericolo incombente, ma l’ansia, la paura, sono altra cosa, sono i dubbi che ci pone il nostro pensare, sono le spiegazioni che tentiamo – a volte ossessivamente – di dare con i nostri pensieri.
      Noi dovremmo agire di fronte ai pericoli ed ai segnali. Preoccuparsi e stare fermi nell’ansia non serve a niente. E lo sappiamo, non è così? 😉

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