Affrontare con serenita’ l’ultimo viaggio – gli Hospice

Nell’ultimo post abbiamo parlato di persone che se ne vanno. C’e’ chi mi ha ringraziato per aver affrontato l’argomento, dato che, in genere, si cerca di rimuovere la morte dalla nostra vita quotidiana, eppure essa c’e’ e, anzi, e’ inevitabile per ognuno di noi. In realta’ io penso a questo tema fin da bambino 😀 Festeggio non piu’ ogni singolo compleanno, ma ormai anche ogni singolo mese perche’ lo considero un dono che altri, purtroppo, non sono giunti ad avere. C’e’ chi lo riterra’ un comportamento esagerato, ma io penso invece che sia un prendere coscienza di qualcosa che c’e’, esiste, e la cui consapevolezza possa servire non gia’ ad averne terrore, ma al contrario a vivere pienamente cio’ che ci e’ concesso vivere, dando il giusto peso a tutto cio’ che ci accade, perche’, di fronte alla morte, tutto e’ davvero piccola cosa. Tutto, salvo l’amore e la serenita’.
Come scrissi in occasione del post su mia madre (
Un po’ di Wolf… 2006: mia madre, qui invece quello dedicato a mio padre: Un po’ di Wolf… 2003: Era mio padre), ho imparato che tutto se ne va presto o tardi. Pensiamo di solito che il fisico ci lasci prima della mente, ma non e’ sempre cosi’, e in fondo puo’ anche essere una fortuna. Quando arriviamo in fondo non abbiamo piu’ nulla, non portiamo piu’ nulla con noi, niente denaro, tanto meno salute, nemmeno la posizione che ci siamo costruiti. L’unica cosa che conta e’ lo stato d’animo con cui a quel viaggio ci avviciniamo.
Ho visto persone avvicinarsi alla morte con una angoscia, una disperazione tali, che il solo pensarci mi spaventa piu’ del dolore e della morte stessa. Ma so anche di persone che ci sono arrivate con il desiderio – incredibile a pensarci – di imparare anche nell’ultimo periodo della loro vita, di ritrovare la serenita’, la pace, di andarsene con un sorriso, lasciando chi vegliava su di loro in uno stato di rassegnazione si’, ma rassegnazione serena. Forse perfino di stupore. Uno stato che li accompagna poi per tutta la vita. Cosi’ per come succede a chi resta segnato, per sempre, dalla visione di una persona cara che se ne va con il terrore negli occhi.
Per questo ho voluto dar spazio all’articolo di un’amica, che ha preferito restare anonima, in cui vengono presentati gli “Hospice”, strutture… no, ambienti, dove il malato viene accompagnato per mano, sostenuto fino alla fine. Un ambiente dove, di nuovo incredibile, sono a volte i malati ad insegnare qualcosa di importante a chi li accompagna, piuttosto che il contrario. Testimonianza palese di quanta serenita’ abbiano ricevuto.
Non tutti arrivano a tanto, certamente. Ma anche un solo passo che nella direzione della serenita’ venga compiuto, e’ un grande, enorme successo.

Per amor di verita’, personalmente non ho mai visitato un hospice. Esso fu proposto a mia madre, ma poi non ci fu il tempo materiale di operare il suo trasferimento. Mia madre, come mio padre, se ne ando’ in casa sua. Di solito i malati preferiscono cosi’, andarsene in casa propria, tra mura amiche che conoscono bene, ma a volte cio’ non e’ possibile, o comunque problematico, sia per le cure che il malato necessita, sia per la difficolta’ oggettiva di una continua assistenza da parte dei famigliari che magari hanno l’esigenza di dover continuare a lavorare e non possono permettersi qualcuno che sia sempre accanto al malato.

Credo che il mio sogno piu’ grande sia lavorare affinche’, un giorno, quando il tempo verra’, possa avvicinarmi all’ultimo viaggio serenamente, senza quel terrore, quello sgomento, che troppe volte ho visto nelle persone care e che, sono convinto, e’ peggiore della morte stessa.
Sono convinto che chi abbatte la paura della morte, abbatte il timore della vita e di ogni sua sorpresa.
Qualcuno ha detto “Ricordati che per una buona vita ci sono solo due cose di cui ricordarsi. La prima e’  non preoccuparsi delle piccole cose. La seconda e’ che [di fronte alla morte] esistono solo piccole cose”.


Avete mai sentito parlare di Hospice?
L’Hospice è una struttura sanitaria residenziale per malati terminali. E’ un luogo d’accoglienza e ricovero temporaneo dove il paziente viene accompagnato nelle ultime fasi della sua vita con un appropriato sostegno medico, psicologico e spirituale affinché le viva con dignità nel modo meno traumatico e doloroso possibile.
Intesa come una sorta di prolungamento e integrazione della propria dimora, l’Hospice include pure il sostegno psicologico e sociale delle persone che sono particolarmente legate al paziente (partner, familiari, amici), per cui si può parlare dell’Hospice come di un approccio sanitario olistico che vada oltre all’aspetto puramente medico della cura, intesa non tanto come finalizzata alla guarigione fisica, non più possibile ma letteralmente al ‘”prendersi cura’” della persona nel suo insieme.
L’Hospice è struttura che dona dignità a coloro che si trovano nelle condizioni di non poter ambire più alla qualità della vita. L’Hospice, di fatto, rappresenta una famiglia allargata, un luogo in cui si riscoprono sentimenti che si pensavano irritrovabili nel vivere un dolore forte: serenità, dolcezza, amore, comprensione e tranquillità. Un luogo in cui si accompagnano i propri cari accuditi nel migliore dei modi. Un luogo in cui i pazienti sono rispettati proprio in qualità di persone e non nominati in base al loro numero di letto e/o di stanza.
La capacità del personale tutto è quella di donare la serenità indispensabile a chi vive questi momenti drammatici, la loro paura è attenuata ed i pazienti riescono a vivere momenti di serenità che in altre strutture, persino nelle loro stesse case, non potrebbero vivere. Un luogo in cui ci si sente protetti sempre e in cui tutti gli operatori, nessuno escluso, sono persone disponibili e con il sorriso sulle labbra.
Spesso, infatti, con i malati terminali si riscontrano problematicità che la famiglia non riesce a risolvere. In strutture di questo tipo, tutti i confort sono a portata di mano, i desideri dei pazienti esauditi, nel limite entro cui è consentito dallo stato di salute di ognuno. Il cibo… appetitoso e gustoso e non quello solito per cui le persone malate sono veramente invogliate a mangiare. I pazienti possono ricevere la visita anche dei loro animaletti per ricreare il calore famigliare a tutto tondo. Tutte le culture sono rispettate.
In un Hospice si parla di cure palliative: esse affermano la vita e considerano la morte come un evento naturale; non accelerano né ritardano la morte; provvedono al sollievo del dolore e degli altri sintomi; integrano gli aspetti psicologici, sociali e spirituali dell’assistenza; offrono un sistema di supporto per aiutare la famiglia durante la malattia del paziente e durante il lutto.
L’ Hospice è composto da un numero molto ristretto di stanze singole dotate di una poltrona-letto che permette la presenza continuativa di un familiare o di un amico che desideri soggiornare con il paziente, cui è garantito anche il ristoro giornaliero, da condividere con il proprio parente e/o amico.
Le camere sono spaziose, di solito munite di televisore, radio, connessione per il computer, un piccolo frigorifero, dotate di servizi igienici che rispondono alle esigenze di persone non autosufficienti. Ogni paziente può portare nella propria stanza gli oggetti personali che ritiene più utili. In alcuni Hospice c’è la cucina anche all’interno della camera.
Ritengo che tali strutture dovrebbero essere maggiormente diffuse sul territorio nazionale, dovrebbero avere il massimo della publicizzazione poiché indispensabili a pazienti e famigliari.
Nessuno vorrebbe sentir parlare di malattie che non possono avere soluzione (tali argomenti vengono bellamente evitati), ma poi, quando inevitabilmente capita la situazione di emergenza, nessuno sa a chi rivolgersi.
Ecco qui un elenco di Hospice presenti sul territorio nazionale
http://www.fedcp.org/hospice_italia/index.htm

mani e farfalla

81 pensieri su “Affrontare con serenita’ l’ultimo viaggio – gli Hospice

  1. Lavoro in una clinica per malati terminali da uná vita, per comprendere la vita ho dovuto guardare io stessa in viso la morte.. la mia…
    La vita mi ha donato la seconda volta la Vita…da allora feci una scuola specializzata per tutto cio'..scrissi un post ma non parlai del Ospice…ma di esperienza vissuta con un morente…la dignita della persona parte gia' dalla famiglia…molti lasciano i lori ammalati morenti soli per paura.. metto il link chi lo volesse leggere..

    Ti lascio un sorriso e buona settimana di Pace..

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  2. x Raggioluminoso: leggere i libri che parlano di Hospice… non ci avevo pensato, ma effettivmante puo' essere un buon suggerimento

    x Glicine: bé, io credo che chi davvero tiene ad una persona non senta il peso di doverla accudire, almeno non quanto noi pensiamo possa sentire. Poi appunto, ci sono posti e organizzazioni che cercano di aiutare in questo, l'importante è farle conoscere, poi ognuno fa le proprie scelte.
    In quanto al motto che hai riportato, mi pare di ricordare fosse di Epicuro. Certo, a parole è vero, ma in realtà o prendi consapevolezza vera di cosa ti aspetta e lo superi, oppure se rimuovi soltanto, prima o poi ti ritroverai spiazzato e con una porta spalancata sull'angoscia. Non so… forse è meglio affrontarla questa paura, anche se non è detto che la si riuscirà mai a vincere veramente…
    Un caro saluto

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  3. x Orchismoria: bé, ognuno è libero di vivere come vuole, figuriamoci di morire come vuole! Tuttavia tu fai l'esempio del cane morente… ma non è proprio al cane morente che il proprietario di buon cuore fa addirittura l'eutanasia per non farlo più soffrire? Onestamente capisco cosa vuoi dire, e certamente chi ha raggiunto un tale stato di consapevolezza e accettazione della morte da non esserne angosciato ne spaventato, e non ha bisogno di cure palliative per tenere sotto controllo dolori altrimenti insopportabili, puo' certamente fare a meno di Hospice e cure amorevoli. Ma… io non mi reputo certo ad uno stato tale di consapevolezza, ne di accettazione. Chi invece c'è… ben per lui! Anche se credo siano davvero in pochini…

    x Dalloway: personalmente festeggio ogni compleanno proprio per la gioia di esserci arrivato, perché non è assolutamente scontato. Paradossalmente non li festeggiavo, se non pro-forma, quand'ero giovane.
    Sai cosa c'è cara Dalloway? Che sulla morte si "filosofeggia" troppo, ma poi quando la si trova di fronte tutto cambia: tutti i buoni pensieri, la calma, il credersi pronti, svaniscono come neve al sole, anzi come lacrime nella pioggia (fanno prima a svanire…). Io per primo ho scritto tante volte sulla morte parlandone con filosofia, ma… dovremmo pensarci bene, anche per rispetto verso chi, ad essa, ci si sta realmente avvicinando.
    Si cambia nel tempo. Nel tempo me ne sto accorgendo.
    Di eutanasia io ne ho parlato spesso, sia in altri post, sia in un post ad esso dedicato. E chi mi conosce sa che sono assolutamente d'accordo, ovviamente con controlli adeguati perché rischierebbe per qualcuno di diventare un mezzo di disfarsi di chi ormai è solo un peso. Ma con rigidi controlli, si, sono d'accordo, e se ci fosse un referendum voterei sicuramente a favore.
    Un abbraccio

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  4. x Donnaflora: grazie cara, un abbraccio anche per te!

    x Cris: benvenuta e grazie per il tuo gradito commento Andando per ordine…
    Aspettarsi una morte dignitosa non significa non cercare una vita dignitosa, o almeno così dovrebbe essere.
    Sono d'accordo sul sistema sanitario, anche se oggettivamente se c'è qualcosa da cambiare in meglio, è giusto battersi per questo, poco importa cosa fanno negli altri paesi.
    Sono d'accordo sul fatto che non è con la rimozione che si risolve il problema, anzi in genere è proprio chi rimuove che subirà il maggior shock e la maggiore angoscia quando, giocoforza, dovrà affrontare il problema. Sempre che, naturalmente, abbia il tempo di rifletterci.
    L'eutanasia immagino venga chiesta da chi soffre troppo, vuoi fisicamente che mentalmente. E sul secondo tipo di sofferenza, la mia idea è che effettivamente diminuisca mentre ci si rende conto che la fine è ormai vicina. Ma… bisogna anche vedere se l'angoscia che si è provato in precedenza ne vale davvero la pena… Perché infliggersi una tale sofferenza se ormai non serve a nulla? Certo, per la vita, che, anche se solo per qualche settimana in più, è comunque preziosa, ma… c'è secondo me un punto di equilibrio superato il quale la vita stessa non vale più l'angoscia opprimente che richiede per essere vissuta.
    Sugli animali non credo che i fatti che citi siano sufficienti a dire che "sappiano" cosa sta per accadergli, l'istinto è una cosa, la consapevolezza un'altra, e onestamente non mi sento di condannare una persona perché, vedendo soffrire ormai senza speranza il proprio amico di un pezzo di vita, decide di porre termine alle sue sofferenze.
    Sul detto di Epicuro mi sono già espresso. Spesso – non sempre! – chi lo cita cerca solo di rimuovere il problema, ma non lo affronta veramente. I conti vengono fatti alla fine, o meglio, in vicinanza di questa.
    Onestamente non so cosa sia meglio, è questione di scelta.
    Un caro saluto anche per te

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  5. x Raggioluminoso: conosco da tempo (anche se non personalmente) Orchismoria, non voleva dire che gli Hospice sono peggio degli ospedali, ci mancherebbe Diciamo che, almeno così ho interpretato io, chi riuscisse ad avere una consapevolezza ed una accettazione totale della morte, non ne avrebbe bisogno (se non per trarre sollievo dal dolore fisico).
    Credo siano in pochi, e onestamente li invidio moltissimo. Ma indubbiamente è vero.

    x Kjya: io credo che molti li lascino per un motivo peggiore, se è per questo: il loro quieto vivere. Ma sicuramente ci sono anche tanti che oggettivamente non riescono a fare tutto cio' che si dovrebbe fare per lenire le sofferenze di queste persone, pur mettendocela tutta. Cerchiamo di non fare di tutta l'erba un fascio, non sarebbe giusto.
    Grazie e buona settimana di pace anche a te!

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  6. x TUTTI : Siamo rientrati stasera da un weekend passato in zona Rimini/San Marino per "visita parentale" , purtroppo ho trovato una connessione scarsa e sono un po' "indietro" ma pian piano passero' a "trovarvi" sui vostri blog

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  7. Certo lui era lui però traccia una strada per tutti non trovi? Sai mi rendo conto che non è la prima volta che cito S.Francesco da te, anche se lui era nella chiesa e tu non te ne senti parte integrante noto che avete una sensibilità verso il mondo molto affine

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  8. Ho pensato troppo alla morte e parlato troppo della morte in questi ultimi anni e finalmente, alla conclusione di un ciclo, quello del lavoro, vorrei pensare di più alla vita, che spesso ho dimenticato, ed è una cosa che non bisognerebbe fare mai.

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  9. x Affabile: eeeh! Con tutto il rispetto che posso avere per me stesso… non credo! Pero' è vero quel che dici: le "grandi" figure ci servono come punti di riferimento per migliorare noi stessi, poco importa se non arriamo ad essere come loro

    x Diaktoros: vero, la vita non andrebbe mai dimenticata, a volte pero' è più facile non dimenticarla se non sia ha paura della sua fine.
    Un salutone!

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  10. li ricordo i post riguardo ai tuoi genitori, me li avevi fatto leggere quando stavano male i miei…
    non he ho mai sentito parlare di queste strutture…
    io sono pronta alla mia morte però ci sono persone persone, molto più vecchie di me (per es. una mia zia, che mi ha praticamente cresciuta, 90 anni a settembre) che non mi sono ancora rassegnata a perdere…   
    soffrirò tantissimo se come le probabilità lasciano intuire, moriranno prima di me.
    è strano, io sono convinta che l'anima sia immortale… quindi non dovrei soffrire all'idea di perderle.. solo a pensarci comincia l'angoscia. è il distacco… sapessi che invece di morire parte per sempre per i caraibi sarebbe lo stesso… quindi è egoismo immagino.. ma non riesco a prepararmi all'idea di perdere le persone a cui voglio bene.
    per quanto mi riguarda invece sono più bastarda… mi dispiace sì lasciare i miei cari, ma sono persino attratta dall'idea del dopo… e anche qui è egoismo, mi sa…

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  11. Grazie del post ^__^
    Mia madre se n'è andata qualche giorno fa, nel sonno, quasi all'improvviso, nella sua casa, circondata dal suo bel giardino, il suo bel marito e i suoi bei gatti, lasciandoci un gran senso di pace come ultimo regalo.
    Da qualche anno lei e mio padre avevano preso molto a cuore il tema della qualità della morte, per ovvi motivi. Rimuovere questo argomento è molto consueto nella nostra cultura, ma l'argomento, e soprattutto l'argomento non si lasciano proprio rimuovere.  La qualità della morte fa parte della qualità della vita, ed è un problema, come dire, che riguarda tutti. Non avevo mai sentito parlare degli hospice, ma spero di avere la possibilità di usarne uno, quando toccherà a me.

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  12. x Ivy: a me succede abbastanza il contrario Certo, la perdita di persone a me vicine ha sempre lasciato un segno profondo, ma mi accorgo che esso e' stato spesso inconscio: ce l'ho, ma forse perche' ho dovuto prendere in mano la situazione, non l'ho sentita particolarmente in quei momenti. Invece mi spiacerebbe immensamente lasciare chi adesso mi e' vicino (due o quattro zampe perfino! ), avrei tante, troppe preoccupazioni sul loro futuro, sulla reazione che potrebbe determinare in loro la mia scomparsa. E poi, dopo tanti anni di difficolta', che per certi versi non sono ancora finite (leggi: lavoro), vorrei godermene almeno qualcuno serenamente e felicemente. Poi non chiedo di campare a lungo, mi accontenterei di arrivare intorno ai 75, che e' l'eta' tradizionalmente critica dei "maschi di famiglia"

    x Murasaki: grazie davvero per la tua preziosa testimonianza che conferma la "teoria" del post, anzi di questi post ma anche di tanti altri passati Sono d'accordo: la qualita' della morte e della sua attesa, condiziona anche la qualita' della vita. Ecco perche' il detto di Epicuro citato piu' volte nei commenti a questo post ("Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi.") non e' per me.
    Un caro saluto

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  13. Mah…più che affrontare la paura, forse sarebbe meglio solo imparare a conviverci ed accettarla questa paura, tanto non potremo mai eliminarla completamente ed anche accettare la morte come un fatto che fa parte nel corso naturale delle cose (ovviamente non la morte prematura)… la morte in fondo é anche pace assoluta, che non conosceremo mai da vivi…Penso che essere consapevoli che i nostri giorni avranno una fine ed accettarlo serenamente faccia parte dell'imparare a vivere umano, del nostro percorso evolutivo. L'importante é vivere secondo la propria natura ogni giorno e realizzare i sogni dell'anima…e se proprio non si possono realizzare, anche solo viverli i sogni…é già meglio che vivere senza sogni…
    Gli animali quando sentono che si avvicina la morte (anche loro lo sentono eccome) si appartano in un angolo e aspettano…anche in questo forse sono più bravi di noi, in un certo senso…Comunque Wolf, il discorso sarebbe molto lungo ed articolato, é difficile trattarlo in poche parole. Buona giornata!

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  14. Be', per me "affrontare" la paura e imparare a conviverci ed accettarla sono la stessa cosa Si "affronta" qualcosa che e' ostico, non qualcosa che e' "normale"; si affronta una salita, non una discesa o un tratto piano, almeno questo e' il senso che comunemente si da al termine "affrontare".
    Non sono pero' d'accordo sul discorso degli animali. Come ho gia' scritto in qualche altro commento, un conto e' un'azione fatta per istinto, un altro e' se e' scelta consapevolmente. Non possiamo dire che gli animali sappiano cosa sta loro per succedere; sappiamo solo che per istinto sono portati a cercare la tranquillita' in quegli ultimi momenti.
    Sono invece d'accordo, in linea di massima, sulla sostanziale differenza tra una morte in tarda eta' piuttosto che prematura. Anche se alla morte e' comunque non facile giungere "preparati", nemmeno a cent'anni.
    Per questo certi centri sono ancora di piu' ben apprezzati

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  15. Lo spero anch'io che le cose vadano meglio, anche se  dalle mie parti capita spesso di essere rifiutati dalle strutture pubbliche perché non c'è posto.  Almeno per gli ultimi giorni di vita dovrebbe esserci un po' di umana pietà.
     

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  16. Eh, proprio questo ho sottolineato anche io in qualche commento precedente Bene che ci siano posti come questo, purtroppo pero' sono ancora pochi e necessariamente con pochi posti disponibili. Questo e' un vero peccato…

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  17. Caro Wolfghost, è un post bellissimo che ti fa dimenticare la ragione per cui una persona è ospitata lì, sì, ne ho sentito parlare da una collega che portò suo padre in uno di questi posti per trascorrere i suoi ultimi giorni.
    Forse questi Hospice avrebbero bisogno davvero di più visibilità e pubblicità, e magari essere sostenuti da contributi. Magari il  5 per mille delle dichiarazioni del reddito potrebbe essere di aiuto.

    Davvero, un bel gesto il tuo, anche nel informare dove si trovino gli Hospice.

    Grazie per la bella pagina!

    Rondine

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  18. Grazie cara, allargo i tuoi ringraziamenti a chi mi ha fornito in dettaglio le informazioni sugli Hospice e a tutti coloro che hanno aggiunto altre informazioni e preziose testimonianze nei commenti che si sono via via succeduti. Te e il tuo commento inclusi, naturalmente

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  19. Conosco molto bene gli hospice. Mia sorella ha passato lì tutto il mese di febbraio, poi è potuta ritornare a casa sua, sempre circondata da tutti noi che le volevamo bene, un medico dell'hospice veniva ogni settimana a visitarla, se c'ea qualche problema bastava chiamare ed in pochissimo tempo arrivavano con tutto il necessario. E' morta 15 giorni fa serenamente, dopo tanti anni di sofferenze affrontati con un coraggio indescrivibile.
    Gli hospice sono delle strutture ssolutamente indispensabili che ogni città dovrebbe avere e le persone che vi lavorano dentro poi sono degli angeli!
    Ciao 🙂

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  20. Cara Dupont, in un certo senso su certi argomenti meglio sarebbe restare ignoranti, poiché significherebbe non averne avuto bisogno, ma… la tua è stata una testimonianza davvero preziosa, a te – ed a tua sorella – va il mio sentito ringraziamento, anche se purtroppo è poca cosa.
    Un carissimo saluto!

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  21. Vagando tra blog arrivo casualmente e con molto ritardo al tuo bellissimo e profondo post per quanto riguarda il pensiero sulla morte.
    Sull’hospice invece, ho pensieri tristi e discordanti , anzi molto discordanti.
    Hai detto che tu non hai mai visitato un Hospice e se mai lo farai, ti pregherei di guardare oltre la “facciata“ dipinta con gentilezza, ai sorrisi e al modo in cui trattano l’ammalato che, sicuramente, si sentirà circondato da sorrisi e belle maniere, ma purtroppo quando si parla di cure e terapie, non sono altro che sedativi, morfina, antidolorifici. Certamente dirai : “Ben vengano se una persona necessita di questi, verrà accompagnata alla morte con dignità e senza alcun dolore…” Che bello eh?
    E se invece pensassimo ai malati terminali, come a delle persone che ancora non sanno di essere “terminali” , che camminano, guidano e sono indipendenti, ma vengono indirizzate alle cure palliative a domicilio, mentre ancora pensano di guarire e di avere tanto tempo davanti, che lottano e si aggrappano alla vita, cosa succede nel loro animo? E’ come farle morire a poco a poco, perchè viene tolta loro la speranza e i dubbi nella loro testa affiorano ogni giorno di più, uniti alle ansie e al dispiacere dell’essersi sentiti abbandonati dal medico a cui hanno creduto. Si, perché quando un medico mette quell’etichetta è come se avesse terminato il suo lavoro, ma non pensa a quale disastro psicologico vanno incontro malato e familiari, non ci pensa o non vuole pensarci perché d’ora in poi ci sarà l’hospice a prendersi cura di loro.
    E dopo aver tolto la speranza , può succedere che l’ammalato con l’andar del tempo non si senta bene e allora cosa fare? Lo si porta al pronto soccorso, dove subito viene ricoverato; ma è un ammalato terminale!
    Può restare lì giusto pochi giorni, per fare qualche esame, e poi? Poi viene trasferito all’hospice, ma lui, solo qualche giorno prima, camminava, andava in bagno da solo, si lavava da solo e guidava la macchina.
    Perché allora mandarlo all’hospice? Perché per i medici ormai è un malato terminale; ormai è giunta la sua ora: cosa vale una settimana di vita in più? O un mese in più? E così ad attenderlo ci saranno sorrisi, gentilezza, una camera a 4 stelle e sedativi. E antidolorifici, anche se non ha dolore! – Ma lui non dice niente per cui sicuramente ha dolore, quindi? Quindi altri sedativi così resta tranquillo e non pensa.
    Poi tra un sedativo e l’altro ormai è apatico, non risponde più e si addormenta per sempre.
    E’ questo il rispetto per una persona? E’ giusto che sia così? E’ questa la morte dignitosa?
    E’ questa l’umanita?
    Ti sei mai chiesto quante persone si spegneranno con questa dignità?
    Scusa lo sfogo, ma è perché sono certa di una cosa: l’unica vera dignità è quella di tenere queste persone in vita il più possibile e non certo quello di togliere loro l’ultima speranza.

    Una nonna

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    • Ciao e benvenuta sul blog 🙂
      Il problema che delinei non e’ degli hospice in se’, ma casomai di come qualcuno pensa di gestire la situazione del singolo ammalato. Voglio dire che l’hospice nasce per prendersi cura di ammalati “in fase terminale”, non di malati incurabili. Questo significa che l’ammalato non solo non e’ piu’ autosufficiente ma che perfino l’assistenza a casa e’ ormai problematica.
      Non si mette un ammalato in un hospice solo perche’ ammalato, per quanto grave sia la malattia, e se qualcuno lo fa’… sbaglia, e sbaglia chi gli permette di farlo.
      Detto questo, c’e’ poi da discutere se l’ammalato in fase terminale debba essere portato in un hospice o tenuto in casa fino alla fine. Qui la faccenda dipende da molti fattori. C’e’ chi dice ostinatamente che il malato deve essere tenuto in casa, ma… cosa se in famiglia c’e’ magari una persona sola, forse un lavoratore che non puo’ assistere l’ammalato tutto il giorno e che non ha i soldi per pagare un’assistenza al suo posto? Ogni caso fa caso a se’, e non e’ giusto generalizzare, non lo e’ mai ma ancora di piu’ in casi drammatici come questo. Te lo dice uno che ha tenuto in casa entrambi i genitori fino alla fine ma che, in tutta onesta’, non andrebbe mai a sindacare i casi altrui senza averne una profonda conoscenza.
      Un saluto e grazie per essere intervenuta 🙂

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  22. Al l’hospice non hanno fallito, hanno solo fatto il loro lavoro di “rottamazione”: arriva l’ammalato, etichettato come terminale e non sprecano tempo per cercare di capire il motivo del suo peggioramento, non sprecano tempo per valutare veramente le sue condizioni, a loro basta avere un referto medico di provenienza. Poco importa se quel referto non è dell’oncologo che lo aveva in cura da tre anni e mezzo, in un istituto di eccellenza, in contatto con lo stesso hospice, ma di un medico di medicina generale, dove era stato ricoverato per un malore. Non sono servite le mie richieste di valutare e confrontare il referto medico dell’ultima visita oncologica,effettuata il mese precedente, in base al quale ci avevano rassicurato, dicendoci che andava tutto bene. La risposta del medico dell’hospice è stata: “Io devo attenermi soltanto al referto della struttura di provenienza”. Stop.
    Viene spontaneo pensare: “E se ci fosse un errore?”
    Ma prima ancora di poter fare la domanda, con brutte maniere, mi è stato detto che non intendevano interferire nel lavoro degli altri, perché anche loro si seccherebbero se altri medici interferissero nel loro lavoro. E quindi? Quindi procedono secondo il protocollo: gentilezza, sorrisi, sonniferi e antidolorifici.
    Quello che intendo far capire, non perché è una mia teoria, ma perché l’ho vissuto in prima persona, è che all’hospice non vengono indirizzate solo persone con tre giorni di vita ma, secondo la legge 38/2010 sulle cure palliative, le semplificazioni prima previste per i soli “pazienti affetti da dolore severo
    in corso di patologia neoplastica o degenerativa” sono state estese a tutti i “malati
    che hanno accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore secondo le vigenti
    disposizioni”; Così le persone, come nel caso da me citato, che davanti hanno un anno e forse più di vita, vengono buttate dentro al calderone, perché l’oncologo dell’ospedale d’eccellenza quando capisce che la malattia progredisce e le cure non hanno avuto l’effetto sperato, indirizza l’ammalato all’hospice; e se nel periodo di un anno, come nel mio caso, l’ammalato ha bisogno di una trasfusione deve rivolgersi ad altri ospedali dove, se tutto va bene, verrà effettuata con vari mugugni dei medici, perché il paziente non è in cura da loro e dovrebbe quindi rivolgersi alla struttura che l’ha in cura. Ma lì non possono: ovvio è ammalato “terminale” quindi ti dicono di rivolgerti all’hospice, ma all’hospice non si fanno trasfusioni perciò bisogna rivolgersi al pronto soccorso. E mentre l’ammalato non ha quasi la forza di reggersi in piedi per i valori bassi, deve farsi dalle quattro alle sei ore al Pronto Soccorso per poi sentirsi dire che non può fare la trasfusione: bisogna programmare per il day hospital, ma prima deve essere sottoposto a visita oncologica presso lo stesso ospedale, in modo da predisporre una cartella. Così passano i giorni e le forze vengono a mancare sempre più. Intanto i medici dell’ospedale d’eccellenza sono tranquilli: il loro assistito per ogni evenienza può rivolgersi all’hospice. Cosa deve chiedere di più?
    I mesi trascorrono, tra visite presso l’hospice e l’ospedale d’eccellenza; lì ci dicono di stare tranquilli perché nonostante qualche valore fosse fuori norma, nel complesso andava bene. Ma succede che l’ammalato ha un malore, viene accompagnato al Pronto Soccorso e poi ricoverato. Ma subito mi dicono: “Si tenga pronta. Il suo congiunto è alla fine”.
    “Ma come! è impossibile, ci hanno detto, alla visita nell’ospedale di eccellenza, che va tutto bene…”
    “No, signora. La malattia è in progressione”.
    “Ma mi spieghi: cosa è successo? Cosa è cambiato?”
    “Non è cambiato nulla, ma a suo marito resta poco da vivere”.
    “Ma per quale motivo?”
    “Signora, il motivo avrebbero dovuto dirglielo i medici dell’ospedale di eccellenza. Noi qui lo possiamo tenere qualche giorno, poi bisogna trasferirlo all’hospice”.
    Ecco perché all’inizio ho parlato di “rottamazione”: invece che dei medici mi sembrava di avere davanti a me dei meccanici, che non stessero parlando di un essere umano ma di una vecchia automobile, ormai poco conveniente da tenere ancora in circolazione.
    A loro interessava liberarsi di un impiccio e il posto giusto era l’hospice, dove avrebbero svolto il compito con grande gentilezza, sorrisi, sonniferi e antidolorifici.
    Ho voluto raccontarti tutto questo perché magari gli hospice sono nati per gli ammalati che hanno solo pochi giorni di vita, ma perché allora indirizzano anche ammalati con un anno di vita, e forse più, come nel caso di mio marito? Perché forse questi ammalati costerebbero troppo per regalar loro un pezzo di vita in più? Perché gli ospedali di eccellenza devono tenere alto il loro nome?
    Sai la prima volta che sono entrata in uno di questi ospedali tanto blasonati,mi aveva dato una fiducia immensa vedere i manifesti appesi al muro raffiguranti medici sorridenti che abbracciano gli ammalati; pensavo di aver trovato l’ancora di salvezza, mi guardai attorno e vidi che le persone, in sala d’attesa, tutte, stavano effettivamente bene, erano tutte belle e forti, certo tutte forti, non sembravano neppure malate.
    Adesso però ho capito: ovviamente alcuni di loro non avevano ancora ricevuto il bel calcione che li avrebbe spediti dritti all’hospice. Con questo chiudo, chi vuol farci un pensierino lo faccia. Da parte mia non smetterò di mettere in evidenza l’esperienza negativa che ho avuto con queste strutture.
    Una nonna

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    • Ma nel tuo resoconto la colpa non va’ all’hospice, loro hanno agito come da “protocollo”, li’ si riceve malati “terminali”, ovvero a cui resta poco da vivere. L’errore e’ casomai in chi manda li’ i malati che forse potrebbero ancora farne a meno. Cio’ che non capisco e’ perche’ e’ rimasto li’, non potevi portartelo via? Va bene che l’ospedale non puo’ tenerlo, ma non potevano mandartelo a casa? Purtroppo non c’e’ alternativa: o in ospedale o a casa, e se li’ il malato non puo’ avere assistenza adatta, all’hospice. Ma l’hospice, ripeto, non c’entra nulla in quanto ti e’ successo: loro, per definizione, per statuto, possono solo usare terapia palliativa, ovvero antidolorifici, non possono fare altro. Casomai ha sbagliato chi all’hospice ce l’ha mandato e ce l’ha tenuto.

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    • Il mio punto di vista e’ che prima, quando gli hospice non c’erano, la situazione era certamente peggiore. I malati erano abbandonati in corsie di ospedale oppure a casa, dove a volte i parenti non potevano e non riuscivano ad assisterli. Che poi ci siano situazioni migliorabili questo va da se’ e certamente si deve provare a farlo. Rimango della mia idea: e’ evidente che se qualcuno ha sbagliato, nel caso di tuo marito, quello e’ il medico di famiglia e, soprattutto, il dottore che lo seguiva in ospedale.
      Poi, hai certamente ragione: io parlo per cose lette, non posso essere nella tua esperienza, certamente ogni situazione e’ caso a se’, soprattutto quando si parla di vita e di morte.
      Un abbraccio!

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  23. Il medico di famiglia è l’unico che non ha colpa, non si è mai preso nessuna responsabilità dato che era in cura in un centro d’eccellenza. Lui eseguiva impegnative e ricette e mai si è permesso di agire per conto proprio.
    Quando ha saputo ha pianto.
    Grazie dell’abbraccio.

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