Il lupo e il filosofo

Il lupo e il filosofoRiprendo e concludo l’argomento introdotto nel post “A testa alta…” dove avevo riportato un brano rappresentativo del libro “Il lupo e il filosofo” di Mark Rowlands.
A dire la verita’ ho finito il libro da un paio di settimana ormai, ma prima di riparlarne volevo lasciarne sedimentare i contenuti e raccoglierne le impressioni. Credo infatti che l’importanza di un libro stia in cosa lascia in ognuno dei suoi lettori, e questo e’ spesso piu’ personale e soggettivo di quanto si creda comunemente. Quanto letto, infatti, colpisce laddove il lettore e’ piu’ “vulnerabile” ed e’ proprio li’ che viene metabolizzato e diventa parte del lettore stesso che lo fa suo, spesso esprimendolo successivamente come fosse farina del suo sacco senza nemmeno rendersi conto di enunciare “solo” una personale rielaborazione di quanto gia’ scritto da qualcun altro  🙂
Dico spesso che quasi mai nessuno inventa davvero qualcosa di completamente nuovo… ma forse perfino questo e’ gia’ stato detto da qualcun altro che ho letto o sentito parecchio tempo fa 😐 😀

Tutto questo cappello per mettere per cosi’ dire le mani avanti, in modo da far capire che cio’ che scrivero’ e’ solo cio’ che piu’ e’ rimasto a me e che forse, almeno in parte, ho gia’ rielaborato. Ognuno di voi, leggendolo, potra’ avere o aver avuto una visione diversa, in accordo al suo personale sentire e forse ai suoi bisogni.

Lo spunto di riflessione che Brenin, il lupo, offre al filosofo riguarda la vita e la morte, e parte dalla domanda “Cosa ha tolto veramente la morte a Brenin?”.

Come molti sapranno, Epicuro sosteneva che avere paura della morte e’ assurdo, poiche’ finche’ ci siamo noi non c’e’ lei, e quando c’e’ lei non ci siamo noi. Dunque perche’ temerla? Tuttavia, sostiene Rowlands, tutti noi o quasi “sentiamo” che qualcosa non ci convince nella dichiarazione di Epicuro, e cerca di capirne il perche’.
Il lupo – come tutti gli animali – non sembra preoccuparsi troppo della vicinanza della morte e neppure esserne affranto. Solo alcuni animali cambiano “volutamente” i propri comportamenti, come ad esempio cercarsi un luogo dove lasciare la vita, ma cio’ avviene quando davvero la morte e’ ormai dietro l’angolo. Ecco da dove nasce allora la domanda di Rowlands: mentre lui ammette che, nonostante tutta la sua filosofia, sarebbe atterrito dalla conoscenza di essere prossimo alla morte, apparentemente la morte non ha presa sul lupo. Davvero per il lupo la frase di Epicuro puo’ essere adatta: il lupo vive finche’ puo’, pur nelle limitazioni alle quali la malattia lo costringe, noi smettiamo (quasi tutti) di vivere come vivevamo prima, iniziando una nuova fase che e’ di fatto un’attesa di cio’ che sappiamo essere ineluttabile.
Tra l’altro, a ben vedere, questa appare essere anche in generale la piu’ grande differenza tra noi e il resto degli animali: la consapevolezza della morte che spesso ci impedisce di vivere davvero fino in fondo molte esperienze.

La risposta di Rowlands sta nel tempo. Mentre infatti l’animale vive in maniera “ciclica”, come se ogni giorno rinascesse e finisse allo stesso modo di quelli che l’hanno preceduto, l’uomo vive su una “linea retta”, ovvero rivolto al passato o, soprattutto, proiettato al futuro; ogni cosa che fa, o quasi, e’ infatti proiettata ad ottenere qualcosa, che sia nel giro di poche ore, di mesi o di anni.
Ecco cosa toglie la morte a noi che non toglie agli animali: il futuro. E’ questo cio’ che noi non siamo capaci, per lo piu’, di accettare serenamente: non poter piu’ pensare di avere un futuro davanti; in questa ottica di “vita progettuale” tutto cio’ che abbiamo fatto nel passato o che facciamo nel presente diventa inutile, quando non una tragica presa in giro.

Rowlands non da vie di fuga, sarebbe troppo facile rifugiarsi nell’ormai usurato “carpe diem” o in qualche dottrina orientale del “vivere qua e adesso”, e la possibile credenza in una vita nell’aldila’ non rientra – volutamente – nella trattazione del libro e, immagino, nemmeno nel personale sentire dello scrittore. Lui da’ solo una spiegazione, non una ricetta per “uscirne”; forse perche’ sa bene che noi umani – nonostante tutta la nostra filosofia, o forse proprio a causa di quella – difficilmente potremmo davvero essere in grado di vivere completamente in maniera ciclica, cosi’ come appaiono fare quegli animali che possiamo solo continuare ad ammirare.

Mi viene da pensare che in fondo siamo sempre li’: al peccato di aver colto la mela dall’albero della conoscenza.

orme

69 pensieri su “Il lupo e il filosofo

  1. A proposito del cappello, qualcuno ha detto (il sublime Proust) che in realtà ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. Da qui la necessità di fare macerare gli aspetti che più si avvicinano a noi… ma d'altra parte esiste anche una universalità dei temi, no? in fondo ci sono dei quesiti che, pur rimanendo senza risposta, ci si continua a porre da millenni… ecco perché è un continuo ri-dire…
    e così anch'io ri-dico che non è il quando che mi spaventa, bensì il come… il che in fondo equivale ad avere paura e perciò a limitarsi di continuo… eppure tu sai bene quanti post chilometrici ho dedicato alla ciclicità… ma che ci vuoi fare? si predica bene e si razzola malissimo…
    baci

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  2. x Raggio: chi lo sa cara, noi non c'eravamo Chissà se davvero un tempo c'era più fede… pero' puo' essere, c'era anche molta più superstizione Comunque a noi viene sempre raccontato solo cio' che fa piacere raccontare al… governante di turno

    x Lecordedelcuore: … mi sembra un ottimo programma Buon relax allora!

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  3. x Katia: eheheh ed ha anche un espressione da duro!
    Grazie cara, felice settimana anche a te!

    x Dorame: sì, mi interesseranno senz'altro le tue impressioni sul libro  Come scrivevo, più che una recensione la mia contiene impressioni personali, e non è detto che siano simili a quelle che ne ricaverai tu…
    Buon WE!

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  4. x Dalloway: ahah ti capisco carissima! Anche a me capita di fare lo stesso, ma in realtà non è strano: in fondo si finisce per scrivere le cose che più interessano no? E quali sono se non quelle a cui noi stessi per primi cerchiamo soluzione?
    L'aforisma di Proust l'ho citato già diverse volte anche qua sul blog, lo trovo davvero azzeccato

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  5. Direi che è solo la presunzione dell'essere umano in generale che non vuole accettare di essere solo una minuscola parte del creato, niente di più niente di meno di un lupo o di un albero. Chi vive senza questa presunzione non può temere la morte ne tutti gli altri eventi della vita. Per questo nasce la parola filosofia, come alternativa alla parola presunzione che ha un significato meno accettabile perl'essere umano. Si wolf, concordo pienamente con te nel fatto che dobbiamo continuare ad ammirarli e trarne insegnamenti per cercare di migliorarci e sanare certi malesseri conseguenziali…Non posso non rinnovarti i complimenti per questo blog che ogni giorno diventa sempre di più un punto di riferimento per tanti, dove attingere sentimenti a badilate e verità ineluttabili. //occhiolino

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  6. "Quando ci sarà la morte, non non ci saremo", diceva Epicuro… Ma è appunto questa consapevolezza che ci angoscia. Quando "Lei" verrà, noi dove e cosa saremo? E, soprattutto, saremo?
    Sono queste domande a creare il terrore, se conoscessimo le risposte,  forse la morte non farebbe più tanta paura.

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  7. abbiamo paura della morte o di morire??
    La storia dell'uomo, spesso, è la storia della lotta contro le paure che ci caratterizzano come umani (le malattie, le guerre, il dolore…)
    La morte e il morire…
    Per filosofeggiare (sarà anche questo un atto apotropaico??) c'è differenza di termini: la morte è ciò che c'è quando non c'è più la vita
    (Epicuro docet); il morire èl'atto terminale della vita
    Si tratterebbe quindi di due paure diverse, la paura di ciò che ci aspetta dopo cioè dell'aldilà della vita, e la paura di arrivarci in modo invivibile, con grande sofferenza, e in alcuni casi, con la perdita della dignità del vivere.
    La paura della morte deriva dalla paura dell'ignoto, abituati come siamo a pianificare tutto.
    Per chi ha paura della morte è insopportabile l'idea che tutto finisca; che non ci sia futuro hic et nunc; tanto è vero che facciamo di tutto per sfuggirle in caso di pericolo. Istinto della sopravvivenza. L'idea di essere eterni se non immortali
    Forse si ha paura del Nulla!
    La paura del morire è la paura del soffrire, di vedere umiliata la dignità, di non poter essere "padrone" più di me stesso…
    D'altra parte pensare sempre alla morte fa dimenticare di vivere. E allora prendere come motto l'oraziano Carpe diem???
    Vivere…finchè morte non ci separi…da noi stessi e poi
     sarà quel che sarà;)))  .
    Buona fine settimanacon un sorriso. Buona vita

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  8. x ilmiomaestro: buonasera caro, è un piacere rileggerti Non so se sia davvero solo a causa della sua presunzione che l'uomo teme la morte, forse conta anche di più il fatto di avere continuamente consapevolezza che la morte c'è e non puo' essere (almeno ancora per un bel po') evitata. Ma certamente la presunzione alimenta tale timore
    Un caro saluto

    x Happy: non so cara… a dire il vero avere la certezza di "non essere" più, non mi solleverebbe troppo l'umore Certo, se invece sapessi che c'è ancora coscienza…

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  9. x Ilavi: certo, il "carpe diem" sarebbe la soluzione migliore, eviterebbe anche di porsi troppe domande Sfortunatamente è da secoli che l'uomo ci prova, ma sembra essersi un po' smarrito… forse il desiderio di conoscenza e la progettualità con cui si vive giorno dopo giorno impedisce di concentrarsi solo sul momento.
    Sul fatto di sfuggire alla morte così come fanno gli animali pero' la penso in maniera leggermente diversa: gli animali reagiscono al pericolo, l'uomo non solo reagisce – per istinto – al pericolo, ma cerca di evitare le strade che porta al pericolo e alla morte a prescindere dalla presenza di pericolo reale. Tuttavia… puo' essere anche questa una forma di evoluzione: sappiamo le cause dei pericoli e soprattutto sappiamo che presto o tardi non riusciremo ad evitarli, dunque abbiamo paura anche prima che i veri pericoli si presentino concretamente. Un po' come il classico gatto che non salta più sulla stufa sulla quale si è scottato… solo in maniera un po' più complessa 
    Buon fine settimana anche a te

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  10. La paura del vuoto, del nulla… la paura dell'abbandono del corpo tanto amato e curato e poi l'affrontare da soli quell'ultimo istante che ci separerà da quella che sarà stata fino ad allora la nostra dimensione….
    Si insomma morire, già la parola stessa suscita smarrimento, figuriamoci il sapere di essere agli sgoccioli della vita!…. eppure si dovrà passare da lì e nessuno può toglierci questo salto nel buio.
    Ma dove ero prima mi sono chiesta tante volte …e se ero nel vuoto non ne ho memoria, ne bella ne brutta……..ma allora sarà così?….. mille interrogativi in ciascuno di noi …..un dilemma che ci portiamo dietro da quando siamo diventati coscienti di ciò…… da quanto cominciamo a non vivere più come i lupi ma come le scimmie.

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  11. Vero: ce lo portiamo con noi da allora. Ma perfino sapere la risposta potrebbe non esserci di aiuto… se infatti questa propendesse per il nulla… bé, chissà quanti di noi riuscirebbero ad accettarlo serenamente. Da questp punto di vista non credo che gli atei stiano meglio dei credenti…

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  12. Gran bel post, complimenti!
    Condivido appieno il cappello introduttivo che hai scritto, come del resto la teoria del cammino in linea retta che distingue gli uomini dagli animali che vivono invece in maniera ciclica.
    Il tempo e il modo di intendere il tempo mi hanno sempre affascinato moltissimo.
    Buona domenica caro Wolf.
    A presto.
    Carmine

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    _***_BUONA DOMENICA_____***___
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  14. x Carmine: è vero, il tempo e la maniera di percepirlo e viverlo è sempre un argomento affascinante Per il resto, il "cappello" è il mio, la teoria della ciclicità contrapposta alla linearità è dell'autore del libro, Rowlands

    x Katia: grazie cara, buona domenica anche a te

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  15. Non avendo letto gli altri commenti, non so se ripeto concetti espressi oppure esprimerò un novità.
    Certo che colpisce la tua chiusa.
    Peccato aver colto la mela della conoscenza. 
    In fondo conoscere, permette di immaginare e la morte impedisce questo sguardo.
    Non possiamo essere ciclici, in quanto il ciclo prevede la chiusura di un cerchio e la mancanza di futuro, se non in una diversa dimensione che implica credere o meno ad una diversa vita, preclude quel compiersi.
    Forse é questa l'insoddisfazione che pervade l'uomo. E' conscio del proprio passato, consapevole del suo presente, ma smarrito davanti ad un futuro, nel quale la morte rimane una inossidabile certezza.
    La morte é un evento naturale per l'animale. Un'evento che non spaventa, ma é avvertito attaverso la difficoltà di compiere azioni fondamentali.
    L'uomo invece sa che prima o poi dovrà morire e si ingegna a spostare nel tempo l'inevitabile.Rimuove ostacoli, malattie, ma non riesce a rimuovere l'angoscia di non avere un futuro infinito.

    Ancora una volta sei riuscito a dar corpo e sostanza a domande a cui non riusciamo a dare risposte definitive, che riescano a farci superare quell'angoscia a farci accettare la finitezza del nostro futuro.

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  16. Ottimo caro Cape, questo e' proprio lo spirito del post (e del libro che lo ispira)
    Mi spiace poter solo "dar corpo e sostanza" alle domande senza poter poi trovar risposta… almeno per ora, un domani chissa'!

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