Austerlitz di Sebald – Recensione e commento di giuba47

Austerlitz di Sebald
Recensione e commento di giuba47
Blog: Pensare in un’altra luce

AusterlitzWinfrid Georg Sebald è nato nel 1944, ha lasciato la Germania a venticinque anni non potendo più tollerare quel silenzio con il quale la generazione dei padri continuava a nascondere i crimini e le sofferenze provocate dal nazismo e da una guerra devastante, incapaci di confrontarsi con un passato.
Emigra quindi in Inghilterra, dove insegna letteratura tedesca fino alla morte, avvenuta nel dicembre 2001. Aver lasciato, però, la sua terra natia non ha voluto per lui dire dimenticare, voltar pagina, ma al contrario ripercorrere vicende che hanno lasciato segni e ferite indelebile in chi le ha vissute.

Le tragedie del ‘900, soprattutto quelle tedesche, vengono riviste con gli occhi di chi le ha subite o di chi ne è scampato, come in alcuni racconti degli Emigrati oppure, come nel caso di Jacques Austerlitz, di chi cerca di ricomporre la propria identità ricostruendo la storia della propria origine, ma che continuamente si scontra con la difficoltà della memoria di mantenere in vita ciò che invece va dissolvendosi nella dimenticanza.

“Persino adesso che sto cercando di ricordare – dice Austerlitz – (..) l’oscurità non si dirada, anzi si fa più fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadano incessantemente nell’oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per così dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi ed oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno…”

Sebald non è ebreo ma ugualmente parla delle vittime del nazismo descrivendo non raccontando tanto le atrocità da loro subite nei lager, quanto le conseguenze, soprattutto psicologiche che col tempo invece di alleviarsi si fanno più acute (e mi viene da pensare al nostro Primo Levi): i personaggi di Sebald, infatti, soggiacciono al potere di una “memoria inesorabile”. La memoria è, per questo scrittore, una facoltà sempre problematica, necessaria e dolorosa allo stesso tempo, perché se da un lato favorisce la costruzione della sua identità, dall’altro può metterne in pericolo il suo equilibrio psichico.

Strappato ai genitori durante l’invasione nazista della Cecoslovacchia e spedito in Inghilterra insieme ad altri bambini, Austerlitz cerca faticosamente di ricomporre la sua storia dopo anni di buio totale. E il passato si ricompone lentamente straziante e implacabile. Il percorso individuale di Austerlitz diventa per Sebald l’occasione per una riflessione sulla Storia, sulla natura del tempo, sull’evanescenza e sulla perennità del passato, sulla lacunosità della conoscenza.

Nei suoi lunghi monologhi alla presenza del narratore, Austerlitz ripercorre la sua storia, a cominciare dall’infanzia passata in Galles nella casa del predicatore Elias. Nel collegio dove va a studiare gli viene rivelato il suo vero nome – fino ad allora aveva creduto di chiamarsi Dafydd Elias; ma non trova nessuna indicazione sulla sua vera famiglia. Solo quarant’anni più tardi, nel 1998, riesce a ritrovare la sua balia a Praga, che gli racconta la storia della sua famiglia, come prima dell’arrivo delle truppe tedesche egli sia stato caricato su di un treno verso l’Inghilterra, come il padre sia riuscito a fuggire a Parigi e la madre sia stata invece deportata a Theresienstadt, perché ebrea.
Però il bambino resterà segnato per sempre. Potrà studiare o viaggiare quanto vorrà, ma sulle spalle porterà sempre il peso di una immensa solitudine.

E, quando riaffiorerà il ricordo del momento in cui sarà costretto ad abbandonare la sua famiglia per salvarsi da una morte sicura, sarà un momento molto doloroso:

“Ricordo soltanto che, nel vedere il bambino seduto sulla panca, divenni consapevole con un’angoscia sorda, della devastazione sorda, della devastazione che l’abbandono aveva prodotto in me dei lunghi anni passati, e una stanchezza spaventosa mi assalì al pensiero di non essere mai stato veramente in vita o di essere venuto al mondo solo allora, per così dire alla vigilia della morte”.

Il ritornare al passato gli restituisce i ricordi ma nello stesso tempo non lo guarisce da quel senso di spaesamento che lo accompagnerà tutta la vita. In uno dei passi più intensi, Austerlitz dice: “Per quanto mi è dato risalire indietro col pensiero, mi sono sempre sentito come privo di un posto nella realtà, come se non esistessi affatto”.

La ricerca del passato diverrà ossessiva, incessante. Visita musei, fa ricerche nelle biblioteche per conoscere tutti i documenti disponibili sul periodo della guerra. Studia attentamente ogni foto, ogni carta disponibile. Poi parte per Parigi e seguita a indagare per avere notizie del padre lì fuggito e, probabilmente, lì deportato.

Questo libro come gli altri libri di Sebald è pieno di fotografie, come se le immagini siano indispensabili a sorreggere le parole. Si sa che alla fine tutto sarà inutile: del passato non rimarrà nulla, della verità, così come dei destini umani, solo qualche frammento. E allora tornano alla mente le possenti fortezze descritte nella prima parte del romanzo, molto simili a cattedrali nel deserto.

Quello di Sebald è un romanzo, dolente la cui nota dominante è la malinconia ed il pessimismo.

Certo dovrebbe aiutarci a riflettere come gli eventi storici sono in completa simbiosi con la vita dell’individuo. L’evento storico passa, ma il dolore che ha generato rimane traccia indelebile nella vita delle persone con cui ognuno dovrà fare i conti per sempre.

La storia di Austerlitz mi ha fatto pensare come anche come individui abbiamo responsabilità forti. Se poco possiamo fare per deviare il corso della storia, qualcosa possiamo sempre fare nel nostro microcosmo, anche in epoche così devastanti come il nazismo. Mi è venuto da pensare che se Austerlitz avesse trovato ad accoglierlo un’altra famiglia affettivamente più valida anche la sua vita poteva essere diversa. Austerlitz non è in grado di capire cosa avesse indotto, infatti, la famiglia Elias a prendersi cura di un bambino di quattro anni e mezzo, quel era lui, ma fa, una supposizione. “Privi di figli com’erano, speravano forse di poter contrastare il pietrificarsi dei loro sentimenti”. La sua vita con loro sarà quindi un inferno e aggraverà molto la separazione che aveva subito così traumatica e devastante.



Commento di Wolfghost (è il commento al post originale): Complimenti per l’esposizione! Molto curata e completa, nonostante il breve spazio 🙂
Non ho letto il libro, però da quel che scrivi, a “intuito”, credo proprio che tu abbia ragione: l’ossessione, la perenne malinconia e la solitudine di Austerlitz, non erano state, per così dire, impresse nel suo DNA nei primi anni di vita e a causa di quella separazione, erano nate anche – e oserei dire soprattutto – per una mancanza affettiva e di “presenza” della sua famiglia adottiva.

Venendo più strettamente a cio’ che scrivi, più che al contenuto del libro, trovo molto interessante questa frase: “La memoria è, per questo scrittore, una facoltà sempre problematica, necessaria e dolorosa allo stesso tempo, perché se da un lato favorisce la costruzione della sua identità, dall’altro può metterne in pericolo il suo equilibrio psichico.”
Concordo pienamente ed aggiungo che, nel nostro piccolo, vale per chiunque di noi che abbia un “passato” alle spalle, con le sue separazioni, con i suoi distacchi, con i suoi dolori che la vita sempre riserva, a tutti, ottimisti e pessimisti, solari e oscuri. E’ solo questione di tempo.
Ebbene, credo che non sia facile trovare un equilibrio nel ricordo… E’ facile cancellare, rimuovere, per evitare di soffrire troppo, e così facendo mancare un passo, forse importante, nella propria evoluzione. Ma è altrettanto facile cadere in una malinconia senza via d’uscita, in un lungo tunnel buio nel quale, prima o poi, si finisce per arrendersi alla depressione, alla sofferenza cronica, alla morte dell’anima.
Non è facile.
Io feci la scelta, anni fa, di evitare di pensare coscientemente al passato, a quel passato che non esiste più, nella credenza che ciò che abbiamo da imparare dagli eventi della vita, la impariamo nel momento stesso in cui li viviamo oppure nel periodo immediatamente successivo. Dopodiché bisogna lasciar fare all’inconscio, è lì apposta; continuare a occuparci dei nostri scheletri non solo è inutile, ma disturba il lavoro che è già in atto dentro di noi, potendo addirittura arrivare a vanificarlo.
Ma… questa è solo la mia personalissima opinione e, se devo dire la verità, il terrore che un giorno il mio personale “vaso di Pandora dei ricordi” venga scoperchiato ed io annegato da un’onda anomala di malinconia… esiste eccome.

mano aperta

 

0 pensieri su “Austerlitz di Sebald – Recensione e commento di giuba47

  1. x yasmine: grazie cara! Buona giornata anche a te! 🙂

    x rigirandola: quella della “buona elaborazione” degli eventi traumatici e’ sicuramente un tema molto complesso, poiche’ estremamente soggettivo. Esistono persone che, sottoposte al medesimo evento negativo, e avendo a disposizione gli stessi strumenti, ottengono risultati diametralmente opposti.
    Il perche’ non e’ facile capirlo, credo che la mente umana sia davvero molto delicata: basta un errore di valutazione minimo, cosi’ impercettibile da passare inosservato, per provocare un effetto valanga che porta alla follia.
    Tu hai fatto un percorso che “suona” come il classico lavoro psicanalitico molto lungo e complesso. Ed ha funzionato. Altre persone, che hanno intrapreso lo stesso percorso, non hanno avuto i medesimi benefici, al punto di arrivare a deridere l’intero processo (cfr. Woody Allen, ad esempio).
    Ognuno ha la sua strada che, credo, sia in gran parte determinata dalla fiducia che nutre verso di essa. Perche’, se e’ vero che ogni terapia, se fatta bene, funziona, essa e’ sempre e solo un veicolo che, se non trova collaborazione nel guidatore, non puo’ andare da nessuna parte.
    Personalmente (e sottolineo questo “personalmente”) non sono tanto per questi processi lunghi: troppo difficili da seguire, troppa la determinazione richiesta, oggi le persone non hanno questa pazienza (e, per chi si rivolge a professionisti qualificati, nemmeno le capacita’ economiche a volte). Sono piu’ per le terapie comportamentiste, per le moderne tecniche che agiscono direttamente sulla percezione degli eventi (come la PNL ad esempio), senza preoccuparsi di andare a scovare i motivi che hanno determinato il cattivo funzionamento della percezione stessa.
    Al di la’ di queste considerazioni, “tecniche” se vogliamo, e’ molto chiaro nella mia mente che cio’ che davvero conta e’ trovare individualmente il giusto equilibrio, ovvero determinare quel punto di elaborazione conscia che e’ da raggiungere per non “rimuovere”, e oltre il quale non andare perche’ inutile e dannoso.
    Guarda, basta guardarsi attorno per scovare un nugolo di persone bloccate in un passato troppo presto sepolto, costretti a comportamenti dolorosi senza nemmeno saperne il perche’, e un altro nugolo che attraverso il reiterato e perpetrato ricordo di un passato ormai morto, si avvelenano inutilmente il loro presente e futuro non riuscendo a staccare una spina che non ha piu’ ragione di restare attaccata. Queste persone potrebbero avere ben altra vita se solo si decidessero a… andare oltre, ma sono ormai cosi’ abituate a stare nella loro sofferenza, che senza di essa si sentirebbero svuotati e persi.
    Il pensiero ricorrente pare essere “finche’ si soffre allora c’e’ qualcosa da elaborare, quindi continuo a pensarci su!”, senza rendersi conto che e’ come tenere il rubinetto dei ricordi aperto al massimo perche’ il lavabo della sofferenza non si e’ ancora svuotato! Piu’ quel rubinetto stara’ aperto, piu’ quel lavabo si manterra’ pieno di malinconia e sofferenza. C’e’ poco da fare.

    Per continuare con questo paragone, del tutto casuale ma che non mi dispiace 😉 , e’ come se la giusta elaborazione sia agire, togliendo il tappo e aspettando che l’acqua stagnante scivoli via (la rimozione sarebbe invece il non preoccuparsi affatto della faccenda, ovvero il non iniziare nemmeno il processo di guarigione togliendo il tappo), evitando pero’ di nutrire ulteriormente il lavabo con nuovi flussi di inutili pensieri e ricordi coscienti.
    I ricordi che servono vengono a galla da soli, se noi non li cacciamo indietro, perche’ fanno parte di cio’ che il nostro inconscio sta elaborando (es.: i sogni). Quelli che volutamente riportiamo alla memoria, quelli che continuiamo a nutrire “pensandoci su”, be’… per me rappresentano davvero un farsi del male da soli.

    Ma ripeto e ribadisco il “per me”. Ognuno ha, appunto, il suo personalissimo modo di affrontare i suoi “lutti”. L’importante, l’essenziale, e’ che se non ottengono risultati, se continuano a stare in una sofferenza che e’ ormai soffocante da troppo tempo, si decidano a cambiare strada.
    Abbraccione a te e un ringraziamento per questo splendido scambio 🙂

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  2. Caro Wolf, con la tua risposta al mio commento mi confermi che l’approccio che si ha nei confronti di sè stessi, degli avvenimenti è fondamentale e quello fa la differenza.
    Ieri sera, parlando con un amico lui sottolineava una cosa: la qualità della vita. Sembra una cosa banale, ma dalla qualità della nostra vita dipende il tutto ed anche le nostre azioni.
    Hai fatto bene a sottolineare come la rimozione possa essere negativa e comprendo il percorso da te accennato, ma a me è capitato difficilmente di incontare persone che da sole sono riuscite a chiudere con i loro comportamenti negativi ed a trovare questo equilibrio. Lasciare il rubinetto aperto significa non negare il dolore, ma non essere sopraffatti da esso e, per farlo, bisogna aver imparato, in qualche modo, a farlo…
    Io non credo nella psicoanalisi, infatti io non ho fatto un percorso psicoanalitico classico ossia inizialmente ci provai, ma fu fallimentare, anzi deleterio; mi capitò di cadere ancora di piu’ nel baratro, poi intrapresi un altro cammino-e fui fortunata-, l’approccio iniziale era quello comportamentista, la base, ma poi si arricchiva con lavori terapeutici basati per lo piu’ sulla riscoperta corporea delle emozioni e dei sentimenti vissuti e rimossi…il tutto in ambiente protetto.
    L’essere consapevoli, come lo sei tu…è questo l’inizio e forse la strada da perseguire senza voler giungere a semplici schematizzazioni….
    Piacere mio…
    Un bacio.

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  3. x rigirandola: be’, ti ringrazio per la consapevolezza che mi attribuisci 😉 Chissa’ se e’ un complimento (cosi’ lo prendo) meritato… 😀
    Sono assolutamente convinto che conti di piu’ l’approccio mentale che la “metodologia”, altrimenti non si spiegherebbero antitetiche risposte a identici sistemi 😉
    Pero’ mi permetto di dire che la via attraverso la quale sei passata te, non passa affatto attraverso la “memoria” classica. Casomai cio’ che e’ sepolto e che ha ancora bisogno di “tornare alla luce” affinche’ si abbia consapevolezza di esso, nasce spontaneamente. Dunque, a patto poi di non nutrirlo standoci a ragionare troppo sopra, non e’ poi un percorso cosi’ dissimile dal mio 😉
    Bacio ricambiato :*

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  4. x Ultrainternet: ahahah come sarebbe a dire “scrivi molto”???? Direi che scrivo mediamente… uhm… un paio di post la settimana? Non e’ tanto, dai! 😀
    Buon viaggio allora! 🙂

    x Emme: grazie carissima! Ricambio l’augurio 😉

    x Aicha: ne ho gia’ sentito parlare, ma… sai, mi sono accorto che se ami relegare i ricordi nel dimenticatoio, ci finisce anche cio’ che leggi o vedi! ahahah
    Ok, lo vedro’ con I.E. 😉

    x Gwineed: ehiiiii Quanto tempo! 🙂 Giusto ogni equinozio, piu’ o meno! ahahah
    Grazie cara, felice… ehm… equinozio anche a te! 😀

    x belllissima: bene bene, aspetto allora! Mi raccomando pero’: non sbagliare personaaaaaa! ahahah

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  5. Il passato è un valore, veniamo da lì e sta solo a noi col tempo e a volte con fatica, sistemarne le varie caselle in modo giusto e consapevole.
    Il passato che viene qui raccontato non va mai dimenticato: da lì e da altri esempi come questo, possiamo continuare a costruire percorsi di Pace nonostante le avversità.

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  6. Caro Wolf, anch’io mi associo al coro di complimenti per questo post di Giuba. Riguardo al tema della memoria, tema quanto mai complesso, credo che l’opposizione tra il voler dimenticare e la necessità di ricordare richieda il trovare un punto di equilibrio. Dici che non dobbiamo fossilizzare il nostro pensiero sul passato, cosa assolutamente vera, ma penso sia importantissimo anche approfondire il passato… Forse io sono più simile a Sophia, con la sua necessità di smitizzare i ricordi, di “normalizzarli” ricordandoli, ma, quando mi accadono fatti dolorosi, sento la necessità di rielaborarli, di assorbirli poco alla volta, reinserendoli in un contesto di “normalità”, o a volte di “razionalità”. So che è una forzatura, per lo meno in alcuni casi, ma serve per superare ed accettare il dolore che segue. Il problema credo proprio stia in questo: “razionalizzare” non è sempre possibile; a volte questi fatti sono così aberranti, come quelli del libro, o anche solo noi li viviamo come troppo estranianti, da non poterli ricordare, accettare ed accantonare, proseguendo nel nostro cammino.
    Un abbraccio

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  7. x AnnA: grazie cara, buon inizio (meno un giorno ormai ;D ) anche a te! 🙂

    x dorha: ciao Dorha, benvenuta! 🙂 Questo è indubbio: il ricordo collettivo di simili tragedie non deve andare dimenticato, ma quello individuale che aggiunge l’inferno del ricordo all’inferno reale che si è passato… bé, quello se avessi una bacchetta magica lo cancellerei a tutti coloro che l’hanno subito 😉
    Vorrei leggessi il commento #50…

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  8. x Laura: ma io non sono contrario al tipo di approccio che descrivi, Laura, in fondo lo faccio anche io, per questo capisco bene anche la posizione di Sofia. Ciò che però è ben necessario valutare, è che la situazione non sfugga di mano: va bene elaborare, ma si deve avere l’accortezza di capire quando poi è arrivato il momento di lasciare andare quell’esperienza e i ricordi che l’accompagnano, evitando perciò di restarne prigionieri come avviene per il protagonista del libro.
    Credo che ci sia un “momento di non ritorno” nel lasciare andare, che non si deve fallire… o dopo diventa tutto maledettamente più difficile.
    Abbraccione!

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  9. Infatti, il lavoro avveniva mediante il ricordo che veniva a galla da sè e non con un dialogo bensì mediante stimolazioni varie-ambiente adatto e protetto, musiche, predisposizione del corpo e della mente-, non si trattava affatto di “memoria” classica, quindi ragionata-tipo psicanalisi-. La parola era successiva all’evento rivissuto emozionalmante, dal corpo.
    Aggiungo che il lavoro di cui parlo non è affatto dissimile da quello di cui parli tu…anzi… 🙂
    In quanto al rimescolare pensieri negativi…non è quello che faccio io quando scrivo di me, ma, per questo, forse dovremmo parlare in privato o conoscerci di persona…
    😀
    Un abbraccio.

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  10. x Red: grazie cara, buona giornata anche a te 🙂

    x rigirandola: Si, l’ambiente deve essere assolutamente adeguato e assistito, a volte vengono fuori traumi brutti da affrontare da soli.
    So che talvolta si hanno perfino regressioni spontanee a vite precedenti 😀 Ti e’ mai successo??

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  11. Non posso dirlo. Una delle regressioni mi vide in culla e lo rivissi. Fu terribile…se fossi stata sola sarei caduta minimo minimo in depressione. Ci vollero due di loro per calmarmi e per frenare la forza fisica che emerse. Non posso dire se l’evento rivissuto appartenesse a questa vita o no.
    Posso solo affermare con certezza che “dopo” sono avvenuti dei veri e propri “sblocchi emotivi”…
    Un abbraccio.

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  12. Infatti e’ pericoloso da affrontare da soli, e’ vero. Io talvolta riscopro la meditazione, quando ho bisogno di far staccare un po’ la mente nei momenti particolarmente stressanti, vuoi per stanchezza o per preoccupazioni, e spesso ho notato, dopo un immediato sollievo, un senso di profondo malumore, tipicamente nel giorno successivo. Imputo questa cosa proprio al fatto di essere andato a toccare “acque stagnanti” che giacciono normalmente nelle profondita’ dell’anima; il che non e’ sbagliato di per se’, ma bisogna stare attenti a non sottovalutarlo, bisognerebbe essere preparati e non farsi prendere alla sprovvista.
    Per inciso, questo e’ uno dei motivi per cui, dopo due sole visite, mi allontanai in tutta fretta da uno di quei centri di buddismo giapponese (Soka Gakkai) molti anni fa: beccai un gruppo dove accettavano chiunque, anche le persone evidentemente disturbate, e, con una noncuranza davvero discutibile, iniziavano a farle praticare senza alcuna accortezza. Cio’ mi colpi’ molto negativamente, infatti vidi persone letteralmente fuori di testa…
    Per amore di completezza, parlando in giro con altre persone (anche qui su Splinder) che frequentano altri centri, mi e’ stato detto che non succede di solito, che dipende da chi “regge” il centro: purtroppo c’e’ chi semplicemente mira a “fare numero”, ad accrescere i “proseliti” senza alcun riguardo alla loro condizione; ma non e’ cosi’ in generale.
    Non ho elementi per dire che queste persone non siano sincere, di per se’ ogni meditazione e’ positiva, anche la loro certamente funziona. Solo… forse dovrebbero scegliere con piu’ cura i “capetti” delle sezioni locali…
    … non che in altre “attività” siano cose che non succedono, eh! Chiese comprese, ovviamente! 😀

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  13. Ma wolf…da dove la prendi tutta questa capacità di discernimento? Benissimo, condivido pienamente….quando affermi che bisogna essere accorti e che devono esserlo soprattutto i responsabili di alcuni centri e luoghi di aggregazione finalizzati ad un lavoro un pò piu’ profondo…
    Concordo pienamente, la responsabilità non è una bazzecola 🙂
    Comunque piacevolissimo questo nostro discorrere….ora è entrata anche Julie 🙂
    C’è un’altra rispostina da me, vieni?
    Un bacio.

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  14. x rigirandola: esagerata 🙂 Mi piace solo discutere argomenti che trovo interessanti 🙂

    x Cristina: no… a quell’ora pero’ avresti potuto augurarmi buona digestione ;D
    Non ti preoccupare, capitano spesso anche a me periodi di iperlavoro.
    Ciao! 🙂

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  15. Ciao Wolf, hai ragione sul punto del non ritorno. E’ quello che penso anch’io parlando di equilibrio tra le due tendenze, se no si rischia di impazzire, vivendo nel passato e non nel presente.
    Come stanno le due piccole pesti ?
    Un abbraccio

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  16. x Laura: Stanno bene, direi 🙂 Continuano a darsele di santa ragione, ma stanno bene 😀
    Abbraccione! 🙂

    x Sofia: ahahahah Non preoccuparti, mi pare che non succeda nulla! 🙂

    x Stella: mettere a tacere ciò che è ancora vivo è un conto e sono d’accordo che sia un errore, ma riportare volutamente a galla ciò che ormai è morto e sepolto, oppure dovrebbe e poterlo essere, è un altro… ed è decisamente un accanimento del quale sarebbe meglio fare a meno.

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  17. Bé, preferirei me la desse la tipetta in fondo (la buonanotte, cos’hai capito??? :D), ma… mi accontenterò 🙂
    Buonanotte a te! E… mi sai che devi fare il refresh del link, questo è un post vecchio! 😉

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